CAPITOLO V

Divento fratello maggiore

Si impara ad amare non perché ce lo insegnano, ma per il fatto di essere amati.

Ashley Montagu

Ci siamo. Il fratellino è nato ed è tornato a casa con la mamma. Per il primogenito ora è tempo di conoscersi, di prendere confidenza con il “fratellino fuori dal pancione” e con il suo nuovo ruolo di fratello maggiore. La famiglia è cresciuta, c’è ancora più amore in circolazione, e proprio l’amore è la chiave per affrontare con serenità il nuovo e il cambiamento che porta con sé.

Il puerperio della fratellanza

Spesso si sottolinea come i primi tempi, le prime settimane successive alla nascita di un bimbo rappresentino un periodo di rodaggio per i neogenitori. La mamma e il papà devono imparare a conoscere il loro piccino, a interpretarne i segnali e soddisfarne i bisogni. Per sintonizzarsi c’è bisogno di un po’ di tempo. E anche per entrare nei nuovi ruoli, da figli a genitori, da coppia a famiglia. Gli equilibri si modificano e così i ritmi e le abitudini quotidiane. Il fratellino maggiore vive un’esperienza del tutto simile. Forse può essere d’aiuto, per comprenderlo meglio, pensare a lui come a un “neofratello”. Per lui è tutto nuovo: prima era un figlio unico e viveva solo con la mamma e il papà.


Ora ha un nuovo ruolo, è diventato un fratello maggiore e nella sua famiglia c’è anche un fratellino piccino. Serve un po’ di tempo per conoscerlo. Per capire come “funziona” questa creatura così piccola, cosa sa fare e cosa si può fare insieme al fratellino. Ma il neofratello ha soprattutto bisogno di capire quali sono i nuovi ruoli all’interno della famiglia: qual è il posto del nuovo bebè, qual è il suo? La mamma e il papà sono ancora i suoi genitori? È tutto come prima? Lui conserva il suo posto nel loro cuore? Ora che è un fratello maggiore come cambierà la sua vita? Queste e altre domande affollano il cuore del bambino a livello può o meno consapevole. Le risposte sono lì, il bimbo le trova vivendo accanto al suo fratellino, giorno dopo giorno. Ed ecco perché i primi tempi successivi alla nascita, sono così particolari, fatti di emozioni a volte contrastanti, di gioia e di timori, di entusiasmo e di dubbio. Insomma, una sorta di puerperio della fratellanza…


PRIMI TEMPI INSIEME

Chi è il fratellino?

Per conoscersi i fratellini devono poter stare insieme. Il fratello maggiore1 ha bisogno di osservare il bebè, di poterlo toccare, di entrare in contatto con lui. Il neonato custodisce nella memoria della sua vita prenatale la voce del fratellino ed è in grado di riconoscerla e annoverarla tra le esperienze note e amate, insieme ai ricordi legati alla mamma (il battito del suo cuore, la sua voce, il suo profumo) e alla voce del papà.


Per il bebè, il fratello maggiore è parte integrante di questo nuovo mondo, della realtà fuori dal grembo materno.


Per il primogenito, il neonato è una creatura un po’ misteriosa (non capita tutti i giorni di vedere bimbi così piccini!) ed è normale che sia incuriosito.

A questo proposito il pediatra Alessandro Volta, spiega:

“Vedere il fratellino nudo è un’esperienza intensa, sentirlo piangere lo rende vivo e vitale; anche i fratelli, come i genitori, devono sostituire il bambino immaginario con il bambino reale, e l’immaginazione di un bambino di quattro anni è enormemente più forte di quella di un adulto”2.

Ecco perché è tanto importante lasciare che i fratellini possano conoscersi, e la conoscenza passa tramite la vista, ma anche tramite il tatto, l’olfatto, l’udito. Lasciamo che il nostro bambino possa accarezzare, toccare, abbracciare il piccolino. Il genitore spiegherà bene al fratello maggiore quali accortezze sono necessarie quando si accudisce un bimbo piccino, ma una volta indicate le regole basilari (mai sollevare il bebè dalla culla se la mamma non c’è, fare attenzione alla sua testolina, ecc.) è opportuno evitare continui divieti e raccomandazioni (“Attento a non fargli male!”, “Non stringerlo così forte!”, ecc.).


Certo ci sarà sempre un adulto quando il primogenito prende in braccio il piccolo, ma il desiderio del fratello maggiore di baciare o accarezzare il fratellino dovrebbe essere accolto e assecondato il più possibile. Coccole, abbracci e tenerezza favoriscono la conoscenza e anche l’affetto! Se il bimbo invece viene tenuto a distanza, può vivere i divieti a interagire con il fratellino come una mancanza di fiducia verso di lui e come una forma di esclusione dal rapporto che invece si crea tra mamma e bebè.


Sottolineare che il bambino può prendere in braccio il neonato e può prendersi cura di lui, proprio perché sono fratelli è un modo per valorizzare il ruolo del primogenito e dare risalto all’importanza del legame fraterno.


Potrebbe anche capitare che il bambino si avvicini alla culla e svegli il bebè, toccandolo o chiamandolo. Questi episodi naturalmente non fanno piacere ai genitori, (soprattutto a una mamma stanca che magari aveva faticato molto ad addormentare il piccolo!), ma può essere utile ricordare che non si tratta di dispetti: il primogenito non ha cattive intenzioni, ma è mosso dalla curiosità verso le reazioni del neonato.


Al ritorno a casa ho sempre lasciato che i due si studiassero, vigile ma distante li lasciavo fare la loro conoscenza senza interferire.

Valentina, mamma di Federico, 3 anni, Elena, 10 mesi

E se gli abbracci sono troppo “impetuosi”?

Può accadere, se il primogenito è un bimbo in età prescolare, che gli abbracci al fratellino comincino “bene”, ma si trasformino pian piano in strette un po’ troppo impetuose. Ecco, anziché rimproverarlo, cogliamo l’occasione per una bella scuola di abbracci. Una lezione un po’ teorica e molto pratica che al primogenito può piacere molto. Si parte con una breve spiegazione del fatto che il fratellino è piccino e delicato e che un abbraccio molto forte, anziché farlo contento, rischia di fargli male. Si può sottolineare che anche noi, quando era nato lui, avevamo dovuto fare un po’ di pratica per imparare a tenerlo in braccio.


Poi inizia la pratica. Tutti seduti per terra su un bel tappeto o sul divano e… si fanno prove di abbracci. Date al bimbo un abbraccio leggero leggero, poi un abbraccio un po’ più forte, perché senta e capisca la differenza e invitatelo a fare lo stesso con voi. A volte il bambino ha solo bisogno di imparare a calibrare e dosare le forze.


Insistete sul concetto di piano e forte. Gli abbracci alla mamma e al papà si possono dare forte, al fratellino no, solo abbracci leggeri leggeri. Con i piccolini bisogna fare piano, anche se si è molto forti come il primogenito.


Chiudete la lezione con un bell’abbraccio “stritolatore” e una risata. Quando il bambino prenderà in braccio il fratellino ricordategli di fare piano come ha imparato alla scuola di abbracci.


La lezione di abbracci potrà essere ripetuta più volte se al bimbo fa piacere, si tratta di un’opportunità per dargli attenzione e coccolarlo.

Questa proposta vale anche nei mesi successivi, quando il fratello minore impara a stare seduto e a muoversi nello spazio e il primogenito può tornare a “lasciarsi andare” con qualche abbraccio troppo vivace o qualche gioco un po’ irruento.

Piano e forte

Ecco un altro “esercizio-gioco” che, oltre a rappresentare un’opportunità per coccolare il primogenito, è utile per imparare a dosare e sentire la propria forza. Seduti vicini, la mamma o il papà fanno delle carezze sul viso al bambino: si comincia con un tocco lievissimo come ali di farfalla o come una carezza di formica, e via via si aumenta l’intensità della carezza (la carezza di un gatto, la carezza di un cane grosso, la carezza di un leone…). Poi tocca al bambino provare, facendo alla mamma delle carezze di intensità diversa (e inventandosi gli animali che preferisce). Infine si chiarisce qual è la carezza “giusta” per il fratellino (al fratellino solo la carezza della formica o della farfalla) e si sottolinea che le carezze da leone si fanno al papà (o alla mamma, o allo zio, ecc.).

Liberare le energie

A volte, semplicemente, i bambini non riescono ad essere delicati perché hanno parecchia energia in eccesso da sfogare. In questo caso, prima di abbracciare il fratellino o giocarci, meglio invitare il primogenito a fare un po’ di attività: dieci salti, qualche capriola, la lotta con il papà, la battaglia di cuscini con la mamma… Una volta liberata l’energia, ecco che siamo pronti per fare delle carezze leggere leggere o per giocare “piano” con il fratellino.


Coinvolgere il primogenito

Il nuovo bimbo è una faccenda di famiglia. Tutta la famiglia è coinvolta nella ricerca di nuovi ritmi ed equilibri, tutta la famiglia gioisce di questa nuova presenza e deve affrontare un po’ di stanchezza in più. Perché il primogenito non si senta escluso, messo da parte o trascurato, può essere utile coinvolgerlo nella gestione del fratellino.


Renderlo partecipe non è difficile: anche se è un bimbo di un paio di anni, sarà già in grado di portare alla mamma un pannolino pulito nel momento del cambio o, ancora, di andare a controllare se il piccino si è svegliato. Aiutare la mamma lo farà sentire grande e importante e gli farà molto piacere ricevere le sue lodi e sapere di esserle stato utile. In base all’età gli incarichi che si potranno affidare al fratello o alla sorella maggiore saranno naturalmente più vari e di responsabilità.


Per molti bambini diventare l’aiutante della mamma è stato d’aiuto per entrare nella nuova veste di fratello maggiore. Tra l’altro il primogenito che viene coinvolto nella cura del fratellino ha l’opportunità di stare accanto alla mamma, di fare qualcosa con lei anche in quelle situazioni che vedono la mamma dedicarsi alle esigenze del neonato. Sono sufficienti dei compiti semplicissimi per sentirsi parte dell’accudimento del piccolo, anziché spettatore che osserva da fuori la relazione tra mamma e bebè. Questa partecipazione permette al bambino di conoscere i bisogni del piccolo e i gesti di accudimento necessari per soddisfarli, e diventa così più facile capire perché in certi casi (ad esempio quando ha il pannolino sporco) il bebè non può aspettare e la mamma deve intervenire per garantire il suo benessere (se il pannolino non viene cambiato il sederino brucia e diventa tutto rosso).


Inoltre il fatto di poter contare su un piccolo aiutante può essere realmente d’aiuto anche per la mamma…


L’abbiamo coinvolta in tutto fin dal principio: Maria ci aiutava nel bagnetto, mi preparava i pannolini al momento del cambio e la sua vocina riusciva a tranquillizzare il piccolo nei momenti di ‘disperazione’… non potevamo sperare di meglio! Per noi il segreto è stato affrontare tutto con estrema serenità. I bambini sono molto più bravi di noi ad adattarsi a nuove situazioni se vivono in un clima sereno e disteso. Certo c’è bisogno di tempo e di attenzione per i bisogni che il figlio maggiore può manifestare in modo più o meno esplicito.

Alessandra, mamma di Maria, 3 anni, Nicola, 16 mesi


Samuele mi fa tenerezza quando Giacomo piange e allora lui corre a prendergli il ciuccio e dice: “Bata Giaco, bata”.

Nicoletta, mamma di Samuele, 2 anni, Giacomo, 1 mese


Le abbiamo permesso di partecipare a tutti i momenti di vita quotidiana di Federico. Camilla assiste quando lo cambiamo e gli mette il borotalco. Spesso gli dice di farmi “lo scherzetto” cioè farmi pipì addosso e purtroppo lui… l’ascolta! Così Camilla si fa grasse risate e io vedo un piccolo germe di complicità in questo.


La sera lo vuole nel suo letto mentre le raccontiamo la storia della buona notte, anche se lui spesso frigna e quindi non le fa sentire bene il racconto. A volte ci mette alla prova facendo qualche capriccio (non vuole vestirsi da sola, vuole essere imboccata), ma tutto sommato ha accettato bene questo piccolino. Non si lamenta mai se una sua richiesta deve attendere perché magari sono presa da Federico e non le posso dare retta.

Roberta, mamma di Camilla, 4 anni e mezzo, Federico, 3 mesi

Spiegare i bisogni del bebè

Coinvolgere il primogenito non significa solo renderlo partecipe nella pratica dell’accudimento. Per aiutarlo a capire meglio i bisogni del fratellino, è utile spiegargli in modo semplice e adeguato all’età come funzionano i bambini piccoli. Ad esempio si potrà raccontare che quando il bebè ha fame sperimenta una sensazione di grandissimo disagio; essendo tanto piccino non capisce cosa gli sta succedendo, quindi si spaventa per questo malessere, si agita e piange per chiedere alla mamma, al papà e al fratellino di aiutarlo!


Lo stesso accade se nel pannolino c’è la pupù, che a contatto con il sederino fa bruciare la pelle. Si potrà inoltre spiegare la gestione delle poppate, che sono numerose nell’arco della giornata perché lo stomaco di un neonato è molto piccino e può contenere solo piccole quantità di latte, e il fatto che il fratellino abbia bisogno di dormire anche durante il giorno per crescere (qui si può sottolineare che se il bebè dorme anche la mamma può riposare e/o fare qualcosa di bello con il primogenito).


Il suggerimento è di raccontare le cose come stanno, e nel racconto inserire anche qualche aneddoto legato al primogenito: “Quando eri piccino e avevi fame urlavi così forte che diventavi tutto rosso!”, “Una volta avevi fatto tanta di quella pupù che eri riuscito a sporcare anche la tutina e le calzine!”, “Quando eri piccolo poppavi quindici volte al giorno, avevi sempre tanta fame!”. I bimbi solitamente apprezzano molto questi racconti e la consapevolezza di aver ricevuto le stesse cure che ora vengono offerte al fratellino è rassicurante. E poiché i bambini sono persone gentili e generose, se conoscono le sensazioni del fratellino riescono ad accettare più facilmente di dover attendere quando la mamma si occupa di lui. Ciò non vuol dire che saranno sempre e ugualmente accomodanti (può capitare che in qualche momento della giornata, ad esempio se il bambino è stanco o nervoso o affamato, aspettare per ricevere le attenzioni della mamma sia più problematico che in altri), ma di sicuro che potranno essere molto più comprensivi.


Non gli ho mai impedito di parlare con un tono di voce normale mentre il fratellino dorme, ma gli ho chiesto di rimandare i giochi più rumorosi o di farli in un’altra stanza. Gli ho spiegato che se il piccolo si sveglia male, si spaventa, e poi io impiego molto tempo a farlo riaddormentare. Se invece lasciamo dormire tranquillo il fratellino noi due possiamo leggere insieme la sua storia preferita o giocare con gli animaletti. E Carlo stesso ora dice: “Ssh, facciamo piano”…

Ester, mamma di Carlo, 3 anni, Luca, un mese


Alice, tenerissima, quando Stefano piange per le coliche e io sono nel letto con lei per addormentarla, dice: “Mamma, grazie, ma ora vai da lui eh!”

Marzia, mamma di Alice, 2 anni e mezzo, Stefano, 2 mesi

Il piccolo aiutante
Date esempio di empatia, premura e disponibilità, in modo che vostro figlio apprezzi questi comportamenti.

J. Wyckoff, B.C. Unell

Che bella sensazione rendersi utili. Per il bambino è bello constatare che la mamma ha bisogno del suo aiuto e si fida di lui e della sua capacità di portare a termine i compiti che gli vengono affidati. Il fratello maggiore può rivelarsi per la mamma un aiutante prezioso. Può portarle qualcosa dall’altra stanza, controllare se il bebè dorme, cullare la carrozzina, intrattenere il bebè con una canzoncina. Per la mamma è un aiuto e per il bambino è un’opportunità preziosa di sviluppare doti quali cooperazione, empatia, disponibilità.


E se il bimbo non sembra interessato a collaborare? Logicamente non si chiamerà il bambino per farsi aiutare mentre è concentrato in un’attività interessante o tutto preso da un bel gioco. A proposito dell’eventuale rifiuto di collaborare del primogenito, Jerry Wyckoff e Barbara C. Unell, esperti di psicologia infantile, scrivono: “Valutate che cosa sta facendo, prima di chiedergli aiuto; forse vuole semplicemente portare a termine ciò che ha iniziato3. Ma nell’arco della giornata ci sono tanti momenti ed occasioni per coinvolgere il primogenito. Si può proporre e poi osservare la sua reazione. In genere, i bambini sono contenti di essere stati presi in considerazione e invitati al fianco della mamma, anche se poi scelgono di fare altro.


Infine, l’aiuto ricevuto dal primogenito potrà essere evidenziato quando si incontrano parenti e amici. Spesso l’attenzione generale è concentrata sul piccolino: mentre tutti chiedono informazioni a proposito delle abitudini del bebè (magari trascurando un pochino il primogenito), la mamma potrà sottolineare quanto le è d’aiuto il fratello maggiore (“Per fortuna c’è Mattia che mi aiuta con il piccolino!”, “Maddalena è una bravissima aiutante, mi dà proprio una bella mano”, “Nicola sa spingere la carrozzina come un grande”, ecc.).


Coccole e attenzioni per il fratello maggiore

Nei mesi dell’attesa abbiamo accompagnato il primogenito verso la nascita con tante piccole attenzioni. Coinvolgendolo nei preparativi, leggendo libretti sull’arrivo del fratellino, offrendogli un surplus di coccole e rassicurazione nei momenti di inquietudine. E ora? Adesso che il bimbo è nato, qualunque sia l’età del nostro primogenito è importante continuare a riservargli delle attenzioni, per rassicurarlo del fatto che il suo posto nel cuore della mamma è intoccabile. Lei e il papà gli vogliono sempre un mondo di bene! Per noi può essere scontato, ma per il bambino no. E in generale, dimostrare i propri sentimenti con i gesti d’affetto e le parole è sempre una buona abitudine. In fondo anche da adulti è bello ricevere conferme dell’amore che ci riservano il partner, i parenti, gli amici…


Ci hanno aiutato sicuramente il tanto tempo insieme, i librini letti durante le poppate (Alice sorella maggiore lo sappiamo a memoria!), la nanna del pomeriggio con la mamma in mezzo ai fratellini (mi aiutavo con diversi cuscini in modo che Sirio dormisse poppando su un lato e io potessi stare supina e abbracciare Aynarah dall’altro), la fascia che mi ha permesso di continuare a portare Aynarah al parco, spingerla sull’altalena e darle assistenza sui giochi di equilibrio, le bolle di sapone (a litri!), le ore libere del papà tutte impegnate a prendersi cura di noi, Mary Poppins (il film, anche se sarebbe stato bello averla in casa… o quantomeno saper fare quel trucco dello schioccare delle dita!). E ancora l’aiuto della nonna per i panni da lavare e il cibo, specialmente nei primi giorni, che ci lasciava più tempo libero, il massaggio infantile (adattato per Aynarah che è già grandicella) che mi ha permesso di focalizzarmi su entrambi in momenti separati, e il fatto che Sirio dormiva regolarmente e non gli importava un gran che di essere “lasciato” nella cullina (anche se io, abituata con Aynarah che non accettava di essere nemmeno appoggiata, mi sono sentita inizialmente un po’ a disagio!).


Insomma alla fine tutto è andato per il meglio, adesso che Sirio ha quasi otto mesi sono due fratellini molto affiatati, si parlano, si fanno ridere a vicenda e già giochicchiano insieme.


Lei è sempre molto affettuosa (a volte anche troppo!) e l’altro giorno si è messa addirittura a snocciolargli le ciliegie per fargliele assaggiare! Paradossalmente è più geloso lui, che ovviamente sta crescendo dolcissimo e stracoccolone come la sorellina anche se le loro indoli sono molto diverse.


Tornassi indietro, forse tenterei di prolungare l’allattamento del più grande per tutta la gravidanza del secondo, spesso ho pensato che se Aynarah avesse saputo ancora poppare tante cose sarebbero state più facili! Per il resto non nego che sono soddisfatta di come tutta la nostra famiglia ha accolto il nuovo arrivato e di come abbiamo saputo riadattarci e riequilibrarci. Chissà con il prossimo…

Veronica, mamma di Aynarah, 3 anni, Sirio, 8 mesi


Per ora mantengo un equilibrio leggermente sbilanciato verso di lei: se il piccolo riceve un regalo lo riceve anche lei (il contrario non avviene), espongo molte foto sue di quand’era neonata così che veda che anche lei è stata minuscola e ha ricevuto le stesse cure di Chicco, cerco di esprimere verbalmente in modo chiaro quando sono arrabbiata perché non si è comportata bene e quando invece sono orgogliosa per com’è matura.

Roberta, mamma di Camilla, 4 anni e mezzo, Federico, 3 mesi


Fratello maggiore: entrare nel ruolo

Se mamma e papà accompagnano il primogenito offrendogli conferme e certezze del loro amore e valorizzando il suo ruolo di fratello, per il bambino è più semplice e piacevole vestire i panni del maggiore.


Sono tanti i bimbi che vivono con entusiasmo e con gioia la presenza di un fratellino e sono orgogliosi di presentarlo ai compagni di asilo e di scuola.

Osservare il fratello maggiore che interagisce con il piccolino può rivelarsi davvero commovente. Horst Petri, neuropsichiatra tedesco, scrive: “Con lo sguardo illuminato, accarezzano il bimbo, gli canticchiano piano piano una canzone per non spaventarlo; gli parlano in maniera particolarmente dolce, (…) offrono loro dei fiorellini – doni d’amore in un piccolo cosmo personale. Nessuno deve disturbarli in quei momenti4.


Essere un fratello maggiore può essere davvero molto bello. I momenti di stanchezza, di gelosia, di nervosismo ci sono e sono normali. Non vogliamo dipingere un quadro idilliaco, fatto solo di momenti felici. I momenti ‘no’, le incomprensioni riguardano anche la relazione tra marito e moglie, la stanchezza tocca anche le neomamme innamorate del loro bebè… Ma la somma dei momenti felici ci ricorda che ne vale la pena, che la fatica è ben spesa, che essere una famiglia e volersi bene è qualcosa di grande che dà senso alla vita stessa.

Da quando è nato il mio secondo figlio la stima che nutro per la mia primogenita è cresciuta enormemente. Io non mi ritengo capace di nutrire sentimenti genuini e positivi come lei; sarei stata terribilmente gelosa di un fratello. Almeno credo. E mi sorprendo nel vedere come Margherita, che non ha ancora cinque anni, sia tollerante e disponibile nei confronti di questa creaturina appena nata che le toglie gran parte delle mie attenzioni. È vero che io mi faccio in quattro per dedicarmi un po’ anche a lei ma è anche vero che il nuovo arrivato richiede una grande energia da parte mia. Quando è tesa o provata per qualche sua ragione mi dice che vuole anche lei un po’ di mamma e io cerco di ritagliare per lei un momento di coccole speciali. Ma se devo rimandare o non posso, lei capisce. Se il fratellino piange lei si agita e si preoccupa e mi chiede di andarlo a soccorrere. Se dorme cerca di non fare rumore e di parlare a bassa voce.


Una volta le ho chiesto se era ancora contenta di avere un fratellino, ora che aveva visto quanto era impegnativo (l’anno precedente alla nascita mi ha chiesto e richiesto di farle un fratellino). E lei mi ha risposto: “Ma certo mamma”. “E come mai?”, le ho domandato. “Perché gli voglio tantissimo bene, perché è piccino e carino e mi piace tanto… e perché sono diventata sorella maggiore”. Le piace quando può tenerlo in collo sul divano, gli canta, gli ripete che gli vuole bene e gli fa versetti e moine. Mi passa l’asciugamano quando gli faccio il bagno, gli mette la crema sul culetto, mi porta i pannolini, sceglie che vestiti devo mettergli. Ovviamente con i suoi vezzeggiamenti spesso disturba il suo già difficile addormentarsi al mio seno ma io cerco di essere tollerante almeno la metà di lei.

Valentina, mamma di Margherita, 4 anni, e Iago, 2 mesi


Quando Alessandro ci saluta al mattino mentre esce con il papà per andare a scuola, fa a me e al piccolo un sacco di raccomandazioni, sembra quasi una suocera! E poi quando vado a prenderlo, al pomeriggio, si lancia verso suo fratello con un entusiasmo che mi riempie il cuore di gioia.

Maria Cristina, mamma di Alessandro, 4 anni, Francesco, 1 anno


Camilla ama molto che io e il piccolo andiamo ad accompagnarla a scuola o l’andiamo a prendere: lei mostra con orgoglio il suo fratellino agli amici e a volte chiede di prenderlo in braccio per mostrare come sa prendersi cura di lui.

Roberta, mamma di Camilla, 4 anni e mezzo, Federico, 3 mesi

Quando serve un po’ di tempo in più

Alcuni bimbi vestono i panni del fratello maggiore in modo spontaneo e indolore, altri hanno bisogno di un po’ di tempo per abituarsi al cambiamento. In questo caso il problema non è il fratellino in sé, cui in genere sono comunque affezionati, ma proprio la difficoltà di trovare nuovi ritmi ed equilibri.


Quando nasce il primo bimbo capita anche ai neogenitori di avere bisogno di un po’ di tempo per trovare la propria dimensione genitoriale. Se il primogenito è in difficoltà e manifesta il suo disagio con pianti, inquietudine, maggior bisogno di attenzioni, non resta che accogliere la sua fatica e porsi per lui come un solido e rassicurante punto fermo. Laddove molto è cambiato nella sua famiglia, c’è qualcosa che resta immutato: la disponibilità, la comprensione, l’amore di mamma e papà.


Per la mamma può essere molto faticoso – a livello pratico, ma forse ancor di più emotivo – gestire un bimbo piccino e il disagio del primogenito, ma la consapevolezza che si tratta di una fase passeggera e che presto tutti i membri della famiglia troveranno i loro equilibri può aiutarla a vivere questo periodo con maggior serenità.


Quando è arrivato il tanto atteso Omar, abbiamo passato alcune settimane difficili: il momento intimo dell’allattamento era visto da Shakil come un furto di qualcosa che era suo, anche se non mangiava al seno da oltre un anno.


Per il primo periodo non potevo allattare il piccolo se in casa non c’era qualcuno che distraeva il grande. Quando ha scoperto che Omar mangiava anche di notte, ha ricominciato a svegliarsi e se non potevo andare da lui perché stavo allattando, urlava disperato. Ora, dopo due mesi, le cose vanno meglio. È molto affettuoso con il piccolo e ogni sera mi dice che la cosa più bella della giornata è stato tenere Omar stretto stretto.

Monica, mamma di Shakil, 2 anni e Omar, 2 mesi


I primi giorni sono stati molto difficili. Le mettevamo in braccio il fratellino e lei nei suoi confronti ha dimostrato sempre e solo affetto. Ma spesso cadeva in crisi profonde di evidente sofferenza dentro cui era difficile arrivare. Il giorno dopo il ritorno a casa, a un certo punto, iniziò a piangere in modo inconsolabile. Dopo vari tentativi vani, sopraffatta dalla stanchezza ricordo che pensai solo che il suo dolore era così importante per me che avevo bisogno che lo capisse. Così mi lasciai andare e piansi con lei. Certo questo comprometteva l’immagine del genitore forte-fortezza che alcuni psicologi ritengono tanto importante, ma di sicuro il messaggio che lei ha ricevuto è stato che il suo dolore valesse almeno altrettanto dolore da parte della sua mamma che in quel momento non aveva più risorse per alleggerirla del peso. Lei mi guardò interdetta e poi ci abbracciammo forte e piano piano da quel giorno siamo andate recuperando il nostro rapporto, cercando nuovi modi di ritagliarci tempo e di farci sorridere.

Veronica, mamma di Aynarah, 3 anni, Sirio, 8 mesi


Michele non era affatto entusiasta della sorellina. Lo ha ripetuto spesso e a volte sembrava infastidito dalla sua presenza. Poi verso i diciotto mesi di Ines, la grande svolta: un pomeriggio li ho trovati seduti vicini sul tappeto che giocavano. Da allora è stato un crescendo, hanno iniziato a divertirsi insieme e Michele è diventato davvero un fratello maggiore.

Elena, mamma di Michele, 4 anni, Ines, 2 anni

Anche il bebè fa la sua parte!

Abbiamo detto che l’atteggiamento dei genitori è importante per aiutare il primogenito a vivere con serenità e con gioia il nuovo ruolo di fratello maggiore. Ma ben presto, nell’arco di poche settimane, anche il bebè inizia a fare la sua parte! Quando sceglie proprio il fratello per fare il suo primo sorriso, quando lo chiama con versetti e gridolini, quando risponde ridendo di gusto alle sue facce buffe…


L’ammirazione e l’affetto che i fratelli minori riservano al maggiore sembra iniziare già da qui, dai primi mesi di vita!


Per il primogenito le attenzioni del fratellino rappresentano un rinforzo positivo: avere un piccolino che ti sorride e si mostra entusiasta di te può essere molto gratificante. Ecco perché vale la pena sottolineare questi aspetti, facendo notare al primogenito la preferenza che gli riserva il bebè e valorizzando la sua capacità di farlo sorridere, calmare, divertire (“Ti vuole proprio bene, gli sei simpatico!”, “Tu riesci sempre a farlo ridere!”, “Vieni a aiutarmi con il bagnetto? Se gli canti quella tua canzoncina sta più tranquillo”).


La convivenza di Ale e Daniele è semplice e divertente! La mattina nel lettone (noi siamo per il co-sleeping) gli fa le coccole ed è felicissimo ogni volta che il SUO fratellino gli sorride. Il trucco secondo me è stato questo: dire ad Ale che il fratellino era tutto suo e che mamma e papà gli avevano fatto questo regalo d’amore. Lui si sente il “fratellone” ed è come se fosse diventato uno di quei supereroi che lo fanno impazzire! E Daniele che fa? Ogni volta che dico “Ale” lui ride come un pazzo!

Paola, mamma di Ale, 4 anni, Daniele, 3 mesi

Un po’ piccolo, un po’ grande

Quando nasce un bebè, è piuttosto comune vedere il primogenito improvvisamente “grande”. Anche se è un bimbo di due o tre anni, il confronto con un neonato ai nostri occhi lo renderà tutto d’un tratto molto più grande, abile e capace. È normale, trovandoci ad accudire un neonato (non ci ricordavamo più quanto fosse piccolo un bimbo appena nato, vero?) il primogenito non può che sembrarci decisamente cresciuto.


Attenzione però, il nostro bambino è grande solo rispetto al fratellino, in realtà è ancora piccolo e bisognoso delle attenzioni di mamma e papà.


Se è un bimbo piccino, in età prescolare, potrà avere bisogno delle cure che vengono riservate al fratellino (molte coccole e contatto fisico, assistenza per il vasino, per il bagnetto, per i pasti, ecc.), se è più grandicello avrà bisogno di assistenza nei compiti, di qualcuno che ascolti la sua giornata, che sia interessato alle sue passioni.


È quindi importante tenere presente che un fratello maggiore è sì il bambino più grande della famiglia, ma allo stesso tempo è un bambino piccolo.


Spesso è il primogenito stesso che si sente un po’ grande e un po’ piccolo. È grande perché sa fare tante cose che il fratellino non sa fare, ma è anche piccolo perché ha ancora bisogno di mamma e papà. Ecco perché non avrebbe senso negargli qualche attenzione “da bimbo piccolo”, pur continuando a valorizzare le sue competenze e le sue abilità di bambino di due, tre, quattro anni…

Con il linguaggio semplice di un bambino di due anni, a pochi giorni dalla nascita del fratellino, Shakil è riuscito ad esprimere il suo disagio come forse un adulto non avrebbe saputo fare: “Shakil piccolo, Omar grande”. Ha invertito i ruoli (e continua a farlo nonostante i tentativi di evidenziare i vantaggi dell’essere grande). Con quattro parole ha fatto capire come vorrebbe che fosse la realtà e ci ha ricordato che è ancora piccolo anche lui. Va bene dargli un ruolo importante, coinvolgerlo nella cura del piccolo, ricordargli quanto è bello crescere. Ma non possiamo togliergli il diritto di essere ancora il nostro piccolo…

Monica, mamma di Shakil, 2 anni, Omar, 2 mesi


Quando lui piangeva come un piccolo si metteva nella culla e strillava, io lo assecondavo nella sua fase di piccolo, mi comportavo come avrei fatto con Elena, ma sottolineavo il fatto che il mio Fede grande mi mancava perché con quello piccolo non potevo giocare a calcio, leggere un libro, fare i puzzle, parlare, ma se a lui andava bene così allora andava bene anche per me… E lui mi diceva: “Sono tornato grande mamma, giochiamo noi due”.

Valentina, mamma di Federico, 3 anni, Elena, 10 mesi


Giovanni adora il suo fratellino, me lo intrattiene e la mattina lo cerca ed è la prima persona che saluta e abbraccia. Ha manifestato non gelosia, ma purtroppo qualche regressione, io penso soprattutto a causa di noi adulti. “Ora sei il maggiore, comportati da grande!”, e quando un bambino di sei anni di colpo deve “crescere”, non può riuscirci subito, gli serve tempo.

Gabriella, mamma di Giovanni, 6 anni, Diego, 4 mesi

I vantaggi dell’essere fratello maggiore

Quando in famiglia c’è un neonato, tutti cambiano un pochino le loro abitudini. Il fratello maggiore impara che a volte è necessario aspettare qualche minuto (a volte anche un po’ di più) perché le proprie richieste vengano accolte (che si tratti di giocare con la mamma o di uscire per una passeggiata), impara a collaborare, a comprendere i bisogni degli altri e a mettersi nei loro panni (del fratellino che ha fame, della mamma che ha solo due mani…).


La nascita del fratellino rappresenta una preziosa opportunità per sviluppare capacità e competenze (empatia, responsabilità, cooperazione) che gli saranno utili per la vita. Lui però questo ancora non lo sa o non può capirlo pienamente (anche se vale la pena dirglielo), quindi è importante valorizzare gli aspetti positivi e i vantaggi pratici che derivano dal suo nuovo ruolo di fratello maggiore.


Innanzitutto ci sono tante cose molto interessanti che solo i fratelli maggiori possono fare. E qui ogni genitore individuerà le attività giuste in base all’età e alle preferenze del bambino. Per un piccolino le cose da grandi possono essere giocare con la plastilina (il fratellino non può, è troppo piccolo!), fare bellissimi disegni da appendere alle pareti, andare sullo scivolo e sull’altalena. Può essere una buona idea permettere al primogenito di dedicarsi a qualche attività nuova, con cui non si era ancora cimentato: dipingere con i pennelli, realizzare un lavoretto con materiali di riciclo, inaugurare il triciclo o la bicicletta…


Anche insegnare al primogenito un gioco particolare può essere significativo. I genitori potranno coinvolgerlo in qualche gioco da tavolo, sottolineando sempre che si tratta di divertimenti da fratelli maggiori. Una bella partita a dama, a domino o a rubamazzetto possono diventare un appuntamento speciale cui dedicarsi quando il piccino dorme.


Per valorizzare il suo ruolo, i genitori possono inoltre coinvolgerlo in attività domestiche a misura di bimbo, come preparare insieme una torta, impastare la pizza, cucinare le polpette, apparecchiare la tavola. O ancora, dare una mano in giardino, seminando l’orto, rinvasando piantine, annaffiando i fiori.

Per un bimbo i momenti più felici della giornata (e dell’infanzia) sono quelli trascorsi con mamma e papà, facendo qualcosa insieme a loro.


Non ho mai messo l’accento sul fatto che Arianna fosse grande, anche perché decisamente non lo è. Non volevo metterli su due piani diversi, ma ho lasciato che fosse lei a fare le sue considerazioni sulle loro differenze, cosa che ha effettivamente fatto (anzi, ora che Ettore comincia a fare cose da grande, come stare a tavola e assaggiare, lei non vuole proprio perché sono cose da “grandi”, e lui è piccolino). È lei stessa che dice di essere grande e si sente orgogliosa di questo.

Ilaria, mamma di Arianna, 3 anni, Ettore, 6 mesi

Insieme al papà

Uno dei grandi vantaggi dell’essere diventati fratelli maggiori, riguarda… il papà e tutte le bellissime cose che il primogenito può fare con lui! Da una gita in bicicletta, a una partita di pallone, con il papà si possono vivere avventure emozionanti.


A questo proposito, Laura Santoro, psicologa e psicoterapeuta sottolinea: “Il papà può avere un ruolo fondamentale nel far sentire il bambino importante e amato. Per il padre questo può essere il momento giusto per costruire o arricchire il proprio rapporto con il bambino, supportandolo nell’accettazione e nel riconoscimento di nuove emozioni. Il papà inoltre è la figura genitoriale che spinge all’autonomia e alla scoperta del mondo”.

Nonni, zii, parenti e amici

Un bebè piccino piccino attira sguardi e complimenti, è normale! Quello che è importante è che parenti e amici, conquistati dal nuovo nato, non dimentichino il primogenito. Per non correre il rischio che il bambino venga trascurato, i genitori potranno avvisare preventivamente i famigliari, sensibilizzandoli verso le esigenze del fratello maggiore. Complimenti ed attenzioni possono essere distribuiti tra tutti i fratellini!

Quando serve qualche attenzione in più

Se il bambino è particolarmente legato a un nonno, a una nonna, a una zia, può essere necessaria qualche attenzione in più per evitare che nascano delle gelosie. In questo caso toccherà al parente cui il bimbo è affezionato riservargli un surplus di coccole per rassicurarlo del proprio affetto.


Le gemelle non sono state gelose delle mie attenzioni, poiché erano state preparate. La tenerezza nei confronti della sorellina era tanta, e il desiderio di tenerla in braccio era troppo! L’unica cosa a cui non le avevamo preparate era dover condividere la nonna! Dato che sono gemelle e la difficoltà nei primi anni era tanta, mia madre è stata un po’ come una vice-mamma. Le avevo preparate a dover fare a meno di me nei primi tempi, ma loro probabilmente pensavano che mia madre sarebbe stata tutta per loro, e quando, per farmi riposare, lei teneva la piccola, loro non lo accettavano e le dicevano chiaramente di lasciare la bambina…

Sara, mamma di Diana ed Hellen, 6 anni, Michelle, 10 mesi


Fratello maggiore: un ruolo importante

  • Permettergli di coccolare il fratellino se lo desidera, lasciando che lo accarezzi (è anche un modo per conoscerlo) e permettendogli di tenerlo in braccio (ovviamente con la mamma vicino).
  • Raccontargli aneddoti di quando lui era piccino e riceveva le cure di cui ora ha bisogno il fratellino. Sfogliare insieme il suo primo album di fotografie.
  • Affidargli dei semplici incarichi e ringraziarlo sempre per l’aiuto che ci dà, ad esempio, portandoci il pannolino, o controllando se il fratellino dorme, o ninnando la carrozzina.
  • Organizzare qualcosa di speciale solo per lui, valorizzando il suo nuovo ruolo di fratello grande, ad esempio portandolo a fare un giro in bicicletta con il papà.
  • Leggere con lui, prima e dopo la nascita, uno o più libretti in cui il protagonista diventa fratello maggiore.
  • Ricordare a parenti e amici che le buone notizie da festeggiare sono due, la nascita del fratellino e il fatto che il nostro primogenito è diventato un fratello maggiore: sarà un modo per non farlo sentire escluso dall’attenzione e l’interesse generale.


DIMMI CHE MI VUOI BENE: LA GELOSIA

I genitori possono aiutare il proprio bimbodimostrando gli il loro affetto incondizionato.
Lui deve sapere che non ha bisogno di mostrarsi geloso per ottenere la loro attenzione, ma deve anche sapere che loro continuano a volergli bene anche quando si mostra geloso
.5

Carlos Gonzáles

Si fa un gran parlare della gelosia. Tanto che ormai è diventata l’argomento principe quando c’è un bimbo in arrivo o quando si riflette sull’esperienza della nascita e dell’accoglienza di un fratellino. Ora, non si vuole negare il fatto che la gelosia abbia una sua parte in questa esperienza, ma forse è il caso di ridimensionarne l’importanza e di ricollocarla all’interno della normalità di un sano – e felice! – rapporto tra fratelli.

Cos’è la gelosia
La gelosia è normale e salutare.
La gelosia nasce dal fatto che i bambini amano
.

Donald W. Winnicott

La gelosia tra fratelli è assolutamente normale” scrive il pediatra spagnolo, Carlos González “ed è assurdo (e molte volte controproducente) pretendere di negarla, reprimerla o ‘sradicarla’6.


Detto ciò, è importante chiarire cosa si intende quando si parla di gelosia. Troppo spesso infatti quando si definisce un bambino geloso ci si riferisce al suo scontento per aver perso le attenzioni in esclusiva dei genitori e quindi i privilegi del figlio unico. C’è un’immagine che torna di frequente (e che a me personalmente fa una grande antipatia) ed è quella del “principe detronizzato”. Io credo che i bambini, anche se restano figli unici, non siano, o non dovrebbero essere, dei piccoli re all’interno della famiglia. E non credo che i primogeniti si sentano dei sovrani spodestati quando nasce il fratellino. Non è questo il problema. Non è dei privilegi che il bimbo sente la mancanza quando mette in atto quei comportamenti che vengono interpretati come espressione di gelosia. Con quei comportamenti il bimbo manifesta un bisogno molto più autentico e profondo: quello di sapere che la mamma e il papà gli vogliono ancora bene.


È nato un fratellino, ora in famiglia i bambini sono due. Il bebè è piccolo e ispira tenerezza, i genitori lo accudiscono con amore, è chiaro che gli vogliono bene. E il primogenito non mette in dubbio che sia giusto, lui stesso vuole bene al suo piccolo fratellino. Ma per stare bene, per continuare ad essere felice, il fratello maggiore ha assolutamente bisogno di un’unica, fondamentale conferma: deve sapere che i suoi genitori lo amano ancora e lo ameranno sempre. Chiarito questo, il tempo, le attenzioni, le coccole e i regali si possono dividere e condividere. Ma l’amore… non può venire a mancare, non può diminuire. Perdere l’amore dei genitori per un bambino piccolo significa perdere tutto.


Quando gli adulti riducono la questione gelosia agli aspetti materiali, non rendono onore alla profondità dei sentimenti dei bambini7.


Cosa può preoccupare un primogenito quando aspetta un fratellino? Cosa può turbarlo quando il fratellino è nato? La risposta possiamo trovarla in queste due testimonianze, decisamente significative.

Elena ha manifestato subito la sua paura di perdermi e una malcelata insofferenza per la novità che aveva cambiato il nostro ménage familiare. Ha iniziato a fare dei capricci che non erano mai appartenuti, fino a quel momento, al suo carattere. A un certo punto mi ha fatto una domanda che mi ha chiarito in maniera inequivocabile il suo stato d’animo: “Ma se tu sei la mamma di Aurora rimani sempre anche la mia mamma?”

Oriana, mamma di Elena, 3 anni, Aurora, 3 mesi


Margherita mi ha chiesto: “Mamma mi vorrai bene come prima o faremo a metà io e il fratellino?” Io spontaneamente le ho risposto: “No, Margi, nel mio cuore ci sono molte stanze una per ogni affetto e ora si apre una stanza nuova per il fratellino. Non ti preoccupare tesoro mio, perché l’amore non si divide come una torta ma si moltiplica”.

Valentina, mamma di Margherita, 4 anni, Iago, 2 mesi



Se la richiesta che si esprime con la gelosia è più profonda e più importante, la soluzione è però decisamente più semplice. Perché, diciamo la verità, quando i bambini sono due, il tempo che la mamma può dedicare al primogenito non è più quello di prima. Semplicemente non è possibile. E neppure le sue attenzioni potranno più essere tutte solo per lui. Ma la buona notizia è che non era questo il bisogno del nostro bambino. Il suo bisogno era di poter contare su tutto l’amore che la mamma provava per lui quando era un figlio unico. E questo bisogno la mamma lo può soddisfare pienamente e completamente! Infatti la mamma conserva tutto il suo amore per lui, addirittura ne prova ancor di più.


A questo punto la gelosia, comunque si manifesti – se in forma più lieve o in forma più acuta –, non deve più far paura. Ci potrà volere un po’ di tempo per rassicurare il bambino, ma la situazione è destinata a risolversi.


Se il vostro bambino si mostrerà geloso, accogliete il suo bisogno di conferme, rassicuratelo con le parole e con i gesti d’affetto del fatto che lo amate. Non avrà bisogno di altro.

Una spiegazione antropologica

Da dove nasce la gelosia? Perché il rapporto tra fratelli contempla anche questo aspetto? Il pediatra Carlos González analizza la questione in chiave antropologica e giunge a delle conclusioni interessanti:


“Se i genitori si prendessero cura solo di un figlio e dimenticassero l’altro, quest’ultimo se la passerebbe molto male. Pertanto, quando nasce un fratellino, la reazione logica e normale del bambino è fare il necessario per ricordare ai genitori ‘Ehi, guarda che sono qui!’. Cioè richiamare l’attenzione. La motivazione non è cosciente: il bambino non pensa: ‘Devo ricominciare a farmi la pipì addosso, a fare i capricci e a balbettare, perché così i miei genitori mi presteranno più attenzione’. No, il bambino fa queste cose perché, nel corso di migliaia di anni, i bambini che richiamavano l’attenzione facendo cose del genere, hanno avuto maggiori possibilità di sopravvivere e i loro geni si sono diffusi sulla Terra”8.

Una spiegazione “del cuore”

La gelosia è una questione d’amore. Abbiamo sottolineato che i bambini gelosi non sono piccoli tiranni che vogliono conservare ogni attenzione genitoriale per sé e vivono il fratellino come un intruso che può privarli di qualche privilegio. Il pediatra spagnolo Carlo González osserva: “(…) la causa della gelosia non è il ricordo dei privilegi perduti. Anche i fratelli piccoli che non sono mai stati figli unici e che non hanno potuto, pertanto, abituarsi a essere ‘i re della casa’, sono gelosi dei fratelli maggiori9.


Il timore del bambino è quello di perdere l’amore di mamma e papà. Una considerazione su cui val la pena fermarsi a riflettere, perché ci dà l’idea di quanto noi siamo importanti per i nostri figli. Di quanto loro ci amino! Spesso si dice che accudire un bambino piccolo, bisognoso di contatto, di vicinanza, di rassicurazione, sia impegnativo. E sicuramente lo è. Ma quanto è grande quello che riceve il genitore? Chi mai ci ha amato così tanto? E chi ci riserverà un amore così intenso, unico e totalizzante, quando i nostri figli saranno cresciuti? A questo proposito, c’è una bellissima riflessione di Maria Montessori, grande pedagogista italiana:


“L’adulto passa accanto a questo mistico amore senza riconoscerlo: ma badate, quel piccino che vi ama crescerà e scomparirà. Chi vi amerà come lui? Chi vi chiamerà andando a letto, dicendo affettuosamente ‘Stai qui con me’, anziché con indifferenza ‘Buonanotte’? Chi desidererà altrettanto ardentemente starci vicino mentre mangiamo, soltanto per guardarci? Noi ci difendiamo da quell’amore e non ne troveremo mai un altro uguale!”10


Se il nostro bambino si mostrerà geloso, non rattristiamoci. E non stanchiamoci di rassicurarlo, anche se a volte i suoi atteggiamenti ci sembreranno particolarmente pesanti da gestire. Teniamo sempre a mente che si tratta di una fase passeggera e soprattutto… che è tutta una questione d’amore. Offerto, ricevuto, desiderato. Intensamente.

Che la nostra risposta sia… una promessa di amore!

Emozioni e atteggiamenti contrastanti
Il bambino pensa con il sentimento, non con l’intelletto.

Janus Korczak

Abbiamo detto che la gelosia è la manifestazione di un forte bisogno di rassicurazione. Ma come si esprime questo bisogno? Ogni bambino è diverso e differenti possono essere gli atteggiamenti che esprimono disagio, inquietudine, malessere.


Ci sono bambini che hanno un comportamento ambivalente nei riguardi della mamma, alternando slanci di affetto e desiderio di super vicinanza (fino a diventare quasi “soffocanti”) con ostilità. L’ostilità, a sua volta, può manifestarsi con silenzi cocciuti o accessi di collera. Insomma, una bella confusione. Dentro e fuori. Il turbinio di emozioni che agita il bambino si manifesta all’esterno con queste reazioni spesso imprevedibili e non facili da gestire. Il comune denominatore è però sempre lo stesso, il bisogno di conferme, il timore di perdere l’affetto dei genitori. Se teniamo a mente questo, può essere più facile affrontare la situazione.


Anche quando il bambino mette in atto dei comportamenti particolarmente irritanti o fastidiosi (soprattutto per una mamma che parte già stanca, impegnata com’è ad accudire un bebè e un bambino più grande), è importante tenere a mente il monito del pediatra Marcello Bernardi: “Ricordate che in queste circostanze il bambino soffre davvero. Egli non è ‘cattivo’; ha soltanto paura di perdere la mamma11.

Mettersi nei suoi panni

Per comprendere meglio i timori che, a livello più o meno inconscio, possono cogliere un bimbo alla nascita del fratellino, possono essere utili gli esempi che Adele Faber e Elaine Mazlish, esperte in tecniche di comunicazione, propongono nel libro di successo americano Bambini smettetela di litigare12. Le autrici invitano i genitori a partecipare a un gioco di immedesimazione un po’ particolare in cui la moglie (o il marito) deve accettare la decisione del consorte di prendere una seconda moglie (“Immaginate che vostro marito vi abbracci e vi dica: cara ti amo così tanto e sei così meravigliosa che ho deciso di avere un’altra moglie come te”).


Il genitore è quindi chiamato a rileggere in questa nuova chiave varie situazioni della vita quotidiana, dalla richiesta di condividere gli oggetti personali con la nuova arrivata (“Cosa c’è di male a fare a turno con la nuova moglie?” e “Perché non vuoi condividere?”), alle reazioni della gente incontrata per strada che si lancia in esclamazioni di rapita ammirazione nei confronti della seconda consorte e chiede alla prima: “Ti piace la nuova moglie?”


Non è difficile immaginare le nostre reazioni che, probabilmente, non sarebbero troppo dissimili da quelle del bambino a cui nasce un fratellino. Anzi…


L’esempio usato da Faber e Mazlish è significativo e può essere utile per i genitori che stanno vivendo con fatica e magari un po’ di scoraggiamento il comportamento del loro bambino. Capire cosa sta provando, mettersi nei suoi panni, può aiutarli ad accettarlo e a tenere a mente che non si comporta male, perché è cattivo (i bambini non sono cattivi!) o perché vuole farli innervosire (vederli in collera lo spaventa ancora di più, poiché aumenta il suo timore di perdere il loro affetto). Semplicemente il primogenito non è ancora in grado di razionalizzare ciò che prova e di gestire al meglio le proprie e reazioni.


D’altra parte, non credo sia utile neppure interpretare i suoi atteggiamenti come espressione di una sofferenza insopportabile o insuperabile: il bambino è confuso, un po’ smarrito, bisognoso di conferme. Ma anche il bimbo più geloso, è anche “un po’ contento” per la nascita del fratellino. Ed è contento perché con quel fratellino che è nato ha già un legame: ha imparato a conoscerlo e a comunicare con lui mentre era ancora nel pancione. È suo fratello e lui sa che questa è una cosa bella. Molto bella.


Ha solo bisogno di un po’ di tempo per far sedimentare novità, cambiamenti ed emozioni.

Se ad essere geloso è il secondogenito

Nel corso dell’infanzia anche il fratellino più piccolo può manifestare della gelosia. A volte constatare quante cose può e sa fare il fratello maggiore, può causare un po’ di insicurezza nel minore che ancora non sa o non può eguagliarne capacità e competenze.


Il rimedio è sempre lo stesso: accogliere dubbi e timori, mettersi nei panni del bambino, offrire conferme del proprio amore, apprezzare ogni figlio per quello che è, valorizzando l’unicità di ciascuno.

Non solo gelosia
Non si deve temere che la gelosia impedisca lo sviluppo di un legame profondo tra i fratelli. Tutt’altro. Si è intensamente gelosi perché si ama intensamente. Lentamente, contraddittoriamente, nasce, fino a prendere il sopravvento, un rapporto tenace con il fratello che, per il resto della vita, rimarrà il riferimento più stabile e affidabile.

Nessia Laniado

Ricordiamo che anche quando il bimbo è chiaramente insofferente, quello che prova non è mai solo ostilità. Può essere geloso ma allo stesso tempo è affezionato al fratellino, ed è contento del suo arrivo. E soprattutto, la gelosia non è per sempre. Nella maggior parte dei casi viene elaborata e risolta, per poi magari ripresentarsi in altri momenti della crescita, per essere nuovamente superata.


Se mamma e papà sono guidati dalla consapevolezza che quella che stanno vivendo è una fase normale e passeggera, possono affrontare la situazione con più serenità. E la loro serenità aiuta anche il primogenito.


A volte poi è proprio il caso di prendere le distanze dalle difficoltà che al momento ci sembrano insormontabili e imparare a… sdrammatizzare! No, il nostro bambino non sarà geloso per sempre. No, non dovremo gestire musi lunghi e malumori per tutta l’infanzia. Tutto questo sarà presto un lontano ricordo, decisamente sbiadito rispetto ai ricordi felici dei primi abbracci, delle risate, delle birichinate che uniranno i nostri bambini.

Un bimbo ancora più forte e sicuro di sé

Quando un genitore vede il suo bambino inquieto, nervoso o triste, ovviamente si sente triste a sua volta. In qualche caso può addirittura sentirsi in colpa, ritenendosi responsabile del disagio del piccolo.


In realtà, la gelosia non è qualcosa di negativo e non è da considerare esclusivamente come una manifestazione di disagio o sofferenza. La gelosia è a un tempo espressione di un amore intenso e richiesta di un amore altrettanto intenso. E per il bambino può essere addirittura un’esperienza preziosa! Abbiamo detto che il bimbo ha bisogno dell’amore di mamma e papà per essere felice, ma anche per costruire la sua fiducia in se stesso e la sua autostima. Ebbene, il bambino cui nasce un fratellino vive il timore di perdere questo amore, manifesta questo timore in forma più o meno intensa a secondo del suo temperamento e della situazione, e… vince questa paura! Ha, infatti, l’opportunità di constatare che, nonostante le sue paure, le sue manifestazioni di gelosia, i suoi dubbi, non ha perso l’amore dei genitori. Questo amore per lui vitale è stato messo alla prova e la prova è stata superata.


E da questa prova il bambino esce più forte, più sicuro dell’affetto dei genitori, ma anche più sicuro di se stesso.


I benefici per la costruzione della personalità sono, secondo gli esperti di psicologia infantile, molteplici. La psicologa Raffaella Scalisi sottolinea il fatto che il bambino alle prese con la gelosia deve “trovare soluzioni per attenuarla e superarla. Le strategie e i processi mentali che egli attiva a questo scopo rappresentano un ulteriore arricchimento nella sua vita affettiva e cognitiva13.


Secondo il famoso pediatra e psicoanalista inglese Donald Winnicott, il bambino che ha avuto modo di sperimentare, affrontare e superare la gelosia nell’infanzia, saprà gestire meglio questo sentimento anche in età adulta: “Le persone molto gelose spesso hanno avuto da piccole la sfortuna di non aver potuto esprimere la propria gelosia e la propria aggressività. Se avessero avuto questa possibilità, sarebbero riuscite a superare la gelosia e se ne sarebbero liberate, come succede alla maggior parte dei bambini14.

Rassicurare il bambino
Nella misura in cui ci sentiamo importanti agli occhi delle persone significative della nostra vita, ci sentiamo sicuri di noi stessi, e le pressioni della gelosia diminuiscono.

Bruno Bettelheim

La mamma e il papà possono aiutare il loro bambino ad affrontare e superare ogni timore, ansia o incertezza. Vediamo come.

  • Sono qui. Ti voglio bene. Dato che la gelosia altro non è che l’espressione di un forte bisogno di rassicurazione, il primo passo per aiutare il fratello maggiore è quello di… volergli tanto bene! E ovviamente dimostrare il nostro amore con i gesti di affetto – quindi via libera a coccole, baci, abbracci, massaggio, vicinanza, solletico, tenerezza – e con le parole. Ogni momento è quello giusto per guardare il nostro bimbo e dirgli che gli vogliamo bene. Le parole gentili non sono mai troppe, anzi… Semmai rischiano di essere troppo poche. Ricordiamo al bambino che lo amiamo, ma anche che ci piace molto, che ci è simpatico, che è intelligente e gentile.
  • Ti ascolto. Ti accetto. Ti voglio sempre bene. Quando un bimbo non è sereno, deve assolutamente poter esprimere quello che prova. Se sente di essere in collera con i genitori, deve poterlo dire a parole. Lo stesso vale se l’oggetto del suo risentimento è il fratellino. O se si sente triste, o infelice. Ma perché il bambino possa tirare fuori quello che prova è fondamentale l’atteggiamento dei genitori. Mamma e papà dovranno accogliere i suoi sentimenti, dovranno mettersi in ascolto senza giudicare, commentare e soprattutto senza banalizzare o rimproverare il bambino15. Non ha molto senso dire a un bimbo geloso che non ha motivo di esserlo (i sentimenti spesso – sempre? – sfuggono alla logica della ragione) o che “deve” essere contento.
    Facciamo capire al nostro bambino che lo abbiamo ascoltato, lo abbiamo compreso (“Vedo che ti senti triste, mi spiace”, “Capisco che sei molto arrabbiato”) e teniamo in considerazione quello che prova (mai minimizzare le ansie e le preoccupazioni altrui, è decisamente fastidioso ad ogni età!). Riconoscere i suoi sentimenti, dimostrare di comprenderli, è il modo più efficace per dare sollievo al bambino. E infine, dopo aver ascoltato, compreso e accolto, siamo pronti a rassicurarlo nuovamente. Ribadiamo che gli vogliamo bene. Che lo accettiamo esattamente così com’è: con la sua collera, la sua tristezza, le sue paure. È il nostro bambino e lo amiamo tanto.
  • Quello che provi è normale. Va tutto bene. Quando il bimbo esprime il suo disagio comportandosi male, la sua ansia e il suo malessere aumentano, peggiorati dai sensi di colpa. Il primogenito che prova antipatia per il fratellino o collera nei confronti dei genitori è dispiaciuto o addirittura spaventato dai suoi sentimenti. Tocca ai genitori rassicurarlo, spiegandogli che le sue emozioni sono normali, che la rabbia passerà da sola, che lui è un bravissimo e normalissimo fratello maggiore, che va tutto bene.
Quello che non funziona

Accogliere il bambino con le sue emozioni è il modo più efficace per aiutarlo a tollerare meglio quello che prova e, pian piano, recuperare serenità e buon umore. E in ogni caso sono proprio la serenità e il buon umore di mamma e papà il primo segreto per migliorare la situazione.

Citiamo a questo proposito Marcello Bernardi:


“La gelosia dei fratellini maggiori non si evita né proclamando che il neonato è buonissimo, bellissimo, piacevolissimo, degnissimo di stima e di affetto, né gettando il discredito su di lui presentandolo come un piccolo incapace e rompiscatole. La cosa migliore è la naturalezza, la spontaneità e una serena benevolenza nei confronti dei bambini tormentati dalla gelosia e dal rancore”16.

Mi sembra molto utile il suggerimento di comportarsi con spontaneità, ed è bella la definizione “serena benevolenza”.


Un atteggiamento che invece non aiuta il bambino e che sovente gli adulti tendono a mettere in atto è quello di “sminuire” la figura del bebè, utilizzando appellativi (come “rompiscatole”, “frignone”, ecc.) o facendolo uscire sconfitto dai confronti con il fratello maggiore17. E ancora, può capitare che i genitori per timore di suscitare gelosie evitino di parlare del nuovo nato o dichiarino di preferirgli il primogenito. Gli psicologi Élisabeth e Jean-Patrick Darchis mettono in guardia da questo comportamento: “Per il primogenito è una notizia terrificante sapersi messo a confronto con il fratellino e scoprire che c’è rivalità tra loro nell’amore dei genitori!18


Per un bambino è ben strano sentire che un parente (o addirittura un genitore) parla con sufficienza del nuovo nato; lungi dal fargli piacere, un atteggiamento del genere lo disturba due volte: da una parte non vuole che si parli male del suo fratellino (insomma… è suo fratello!) e gli dispiace per lui, dall’altra si preoccupa che in futuro le critiche possano toccare a lui.


Peggio ancora sarebbe ventilare l’ipotesi che lui sia il preferito: se i genitori hanno un figlio preferito, domani potrebbe essere il fratellino… che ansia!


Così come non ha senso tessere le lodi del fratellino dicendo al primogenito che deve volergli bene (i sentimenti non si comandano, l’affetto nasce e cresce nel cuore di ognuno con i suoi tempi), non ha senso (ed è anche un brutto esempio) evitare di parlare del nuovo nato con amore. I bambini, per sentirsi rassicurati, non ci chiedono di parlare male del loro fratellino!


Se qualcuno per non farla ingelosire dice che lei è più bella o che vuole più bene a lei, Margherita si acciglia e ribatte che anche suo fratello è bellissimo e che anche a lui si deve voler bene. Sembra che si identifichi con lui, come fosse una parte di lei che vale altrettanto e che va difesa e protetta.

Valentina, mamma di Margherita, 4 anni, e Iago, 2 mesi

Amore: ce n’è per tutti

E qui torniamo al punto di partenza. L’amore. Per essere felice il bambino non ha bisogno che mamma e papà non vogliano bene al fratellino o gliene vogliano poco o meno che a lui (credo sia un pensiero che non sfiora proprio i bambini). Per essere felice ogni figlio ha solo bisogno che mamma e papà gli vogliano bene (e dato che questo già accade, diciamo che ha bisogno di conferme di questo amore). La scrittrice Nessia Laniado scrive:


“Limitare le manifestazioni di affetto per il nuovo venuto, o nascondersi quando ci si prende cura di lui, non serve a porre un freno alla gelosia del fratello. La sete di affetto dei nostri piccoli non si acquieta razionando attenzioni o distribuendole equamente tra i due con la pignoleria di un farmacista. Può essere soddisfatta solo se saremo spontanei e contagiosamente entusiasti nel manifestare il nostro amore per entrambi i bambini. Più dimostreremo il nostro affetto in modo esplicito, meno dovranno combattere con le loro gelosie”19.


E allora, via libera alle coccole, alla tenerezza, alle parole e ai gesti d’affetto!

Come gestire i “capricci”

Molti genitori hanno notato che dopo la nascita del fratellino sono comparsi (o sono diventati più frequenti), i cosiddetti “capricci”, ovvero quei momenti in cui il bimbo perde il controllo e reagisce urlando, piangendo, disperandosi quando non può portare a termine un suo progetto o deve fare qualcosa controvoglia.


Un bimbo piccolo non è ancora capace di gestire le emozioni forti e i sentimenti negativi. Quando il ribollire delle emozioni diventa incontrollabile ecco che la tensione può sfociare in una vera e propria crisi. Come comportarsi in questa situazione?

  • Verbalizzare quello che il bimbo sta cercando di comunicare. Le parole del genitore possono aiutarlo a dare un senso ai suoi pensieri e alla sue sensazioni, e a mettere ordine nelle emozioni che sono sfuggite al suo controllo. Facciamo un esempio molto pratico: il bimbo si dispera, urla e protesta perché voleva suonare il tamburo ma il fratellino dorme. La mamma potrà verbalizzare i sentimenti del bambino: “Volevi suonare il tamburo, ma dobbiamo aspettare che il fratellino si svegli. Volevi suonare adesso, non dopo, e così sei molto arrabbiato”.
  • Accogliere, riconoscere e rispettare i sentimenti del bambino. Negare, banalizzare o minimizzare il suo disagio lo farà solo sentire peggio.
  • Non chiediamo di non piangere a un bimbo che sta provando delle emozioni forti. Lasciamo che si sfoghi!
  • Mostriamo empatia: il genitore può affermare che capisce ciò che prova e che è dispiaciuto a sua volta. “Mi spiace che tu sia arrabbiato, lo capisco. Ora non puoi suonare, ma dopo ti ascolterò molto volentieri”.
  • Offrire una spiegazione semplice e chiara dei motivi per cui è necessario fare (o non fare) una determinata cosa. “Se il fratellino si sveglia ora, piangerà perché non ha riposato abbastanza. Io dovrò cercare di riaddormentarlo e non potrò ascoltare il tuo concerto stando seduta vicino a te”.
  • Trovare un compromesso che soddisfi a un tempo il bisogno del piccolo e le esigenze del genitore. In alcune situazioni è risolutivo deviare il desiderio del bambino in un contesto accettabile. Nel caso del tamburo negato, la mamma potrà proporgli un’attività alternativa cui dedicarsi insieme. Se rinunciare al tamburo sembra impossibile, il bimbo potrà magari andare a suonarlo in un’altra camera tenendo la porta chiusa? Oppure lui e la mamma potranno organizzare un “concerto” che inizierà quando il fratellino si sveglia, preparando un bel cartello colorato con il disegno di un tamburo, ritagliando i biglietti per il pubblico, scegliendo la maglietta del musicista in erba, ecc.
  • Manteniamo la calma. Per recuperare la calma, il bambino ha bisogno di sentire che il genitore ha la situazione sotto controllo e che è in grado di accogliere e sostenere le sue emozioni negative. Se l’adulto si spazientisce o urla a sua volta, la crisi diventa più intensa e dura più a lungo.
  • Ogni volta che il bimbo vive un momento critico e supera la crisi, diventa un po’ più capace di gestire le sue emozioni. Osservando la reazione dei genitori, il bambino ha inoltre la possibilità di comprendere e interiorizzare le strategie che gli vengono proposte per superare i momenti di crisi, arrivando con il tempo a non avere più bisogno di un intervento esterno per affrontare e gestire la rabbia e la frustrazione.

Come gestire l’ostilità

Può accadere, e non deve destare eccessive preoccupazioni, che il primogenito si lamenti del fratellino. In questo caso, il ruolo del genitore è ancora una volta quello di accogliere i sentimenti del proprio bambino e accettarli, senza giudicarlo, senza farlo sentire in colpa per quello che prova. Il bambino deve sapere che con voi può parlare di tutto, che può aprirvi il suo cuore senza rischiare di perdere la vostra stima e il vostro amore. E anche che essere in collera è normale. Nella vita può capitare, succede anche ai grandi!

E se il bambino diventa aggressivo?


Il genitore spiegherà in modo molto chiaro che picchiare non è un modo accettabile di esprimere la rabbia. Se necessario ribadite più volte che essere in collera si può, ma fare del male agli altri no. Chiarire il confine è fondamentale, per l’incolumità del piccolino, ma anche per il primogenito (se dovesse realmente far male al fratellino poi dovrebbe affrontare un pesantissimo senso di colpa)20.


Si può invitare il bambino a sfogarsi con un cuscino, con una bambola, con un pupazzo. E ancora, per scaricare l’aggressività si può scarabocchiare, disegnare mostri, strappare un foglio di carta in tanti piccoli pezzi, battere forte su un tamburo (anche uno improvvisato, ad esempio un cucchiaio di legno che picchia sul coperchio di una pentola). E sempre aiutarlo a verbalizzare, ovvero esprimere a parole tutte le proprie sensazioni.


Steve Biddulph, psicologo e terapista familiare, pone l’accento sull’importanza dell’esempio per insegnare ai bambini a gestire collera e aggressività:


“Insegnate loro attraverso il vostro esempio personale. Alla fine, è molto più probabile che imitino quello che fate, anziché eseguire ciò che dite. Quando voi siete arrabbiati, ditelo, e risolutamente. Manifestate subito la rabbia, prima di rischiare di perdere il controllo. Poi rilassatevi, in maniera che i bambini imparino che la rabbia, una volta espressa, si dissolve. Esprimetevi in maniera semplice e decisa: ‘Sono arrabbiato!’”21


Può capitare che la collera del bimbo sia rivolta verso i genitori. Anche in questo caso il ruolo dell’adulto è di accogliere il suo sfogo senza perdere la calma.

Penneu Hames, psicologa dell’età evolutiva, rivolgendosi ai genitori, spiega che quando il bambino supera un momento di crisi diventa


“un po’ più certo sia della propria capacità di resistere alle emozioni violente sia della vostra capacità di amarlo nonostante lui abbia urlato: ‘Ti odio!’ Ai bambini serve sapere che volete loro tanto bene da riuscire ad ascoltarli anche quando esprimono emozioni aggressive; serve sapere che siete grandi abbastanza da sopportarle senza crollare né urlare. Dalla vostra accettazione, nascerà la sua”22.

Se il maggiore fa male al piccolo

Una spinta. Un abbraccio troppo forte, un pizzicotto, o una tirata di capelli. Può capitare che il fratello maggiore faccia male al piccolo. Si tratta di una situazione non facile a livello emotivo per il genitore che vorrebbe che i propri bimbi andassero d’accordo e si trova in grande difficoltà nel vedere il primogenito vestire quelli che sembrano i panni del “cattivo”.


Quando il piccolo piange perché il fratello gli ha fatto male il suggerimento è di concentrarsi su di lui. Quindi subito consolare e abbracciare. In questo modo oltre a dare la giusta attenzione a chi si è fatto male, il genitore ha il tempo e il modo di calmarsi e di gestire le proprie emozioni. Sono minuti preziosi quelli in cui si lasciano sedimentare la collera e la delusione per evitare di rivolgere al primogenito accuse e rimproveri mal formulati (“Sei veramente un bambino cattivo!” “Non ti sopporto!” “Tu odi il tuo fratellino!”), di cui poi ci si pentirebbe. Senza dubbio dovremo parlare con lui, ma è importante non lasciarsi guidare dalla rabbia.


Ricordiamo di prendere in considerazione la possibilità che il gesto non sia stato intenzionale (sbagliare si può e anche non dosare bene la forza), soprattutto se il primogenito è a sua volta un bambino piccolo. In questo caso dovremo sottolineare quanto è importante fare attenzione, quali gesti si possono fare e come, quali no.


Se il fratello maggiore ha un’età che gli permette di valutare e comprendere le conseguenze delle proprie azioni e/o se sappiamo che la sua intenzione era effettivamente quella di far del male al piccolo, teniamo bene in mente che questo non fa di lui “un bambino cattivo” (lui è sempre il nostro amatissimo bambino); questi episodi sono il segnale di un momento di difficoltà, della sua insofferenza, della sua confusione.


Quando sentiamo di aver recuperato la calma, quando abbiamo analizzato la situazione e abbiamo deciso cosa dire al nostro bambino, sediamoci con lui e affrontiamo l’argomento. Dichiariamo che non si può fare del male al fratellino. Questo dev’essere un punto fermo, da ripetere e sottolineare con costanza. Senza alzare la voce (non è necessario) o minacciare chissà quali punizioni, senza farlo sentire giudicato (condanniamo il gesto, mai il bambino) ma con estrema chiarezza. In famiglia non ci si picchia, non ci si fa del male. Detto questo, ricordiamo al nostro bambino che potrà sempre esprimere la propria rabbia e il proprio scontento con le parole. Noi siamo disposti ad ascoltarlo, possiamo “reggere” e contenere la sua collera, senza pensare che lui sia cattivo, senza farlo sentire sbagliato o non accettato. Quest’ultimo punto è fondamentale: il primogenito deve sapere che noi lo accettiamo così com’è, con le sue emozioni, tutte le sue emozioni, anche quelle negative che è normale provare in certi momenti della vita. L’esperta di genitorialità Naomi Aldort ha scritto: “Se un bambino è libero di esprimersi, sarà autentico, manterrà il proprio benessere emotivo sfogando la sofferenza con le lacrime, le parole, il gioco, l’arte”23.


Affrontare l’argomento una volta potrebbe non essere sufficiente. Potrà capitare di trovarsi ancora (e ancora) seduti con il nostro bambino a ribadire che non si può picchiare il fratellino. Non scoraggiamoci, può servire un po’ di tempo per trovare i giusti equilibri, è normale. Oggi il problema è questo, in altre fasi della crescita avremo altri argomenti “caldi” di cui discutere. Serve davvero tanta pazienza per aiutare i figli a crescere…

Quando capita una giornata “no”

Il primogenito che protesta e richiede attenzioni, il piccolino che piange e si lamenta, la mamma che ha dormito poco, è stanca e nervosa. Possono capitare quelle giornate no, in cui è difficile essere pazienti e comprensive e i bambini sembrano proprio ingestibili24. La mamma si sente in colpa, magari alza la voce, i piccoli piangono, così lei si sente ancora più in colpa, si innesca un circolo vizioso di scontento e nervosismo. Cosa fare quando sembra andare tutto storto? Prima mossa: fermarsi e respirare. Sì, proprio così, facciamo un bel respiro, profondo, per rilassare mente e corpo.


Poi, appena possibile, prepariamoci e usciamo di casa. All’aria aperta la situazione si ridimensiona, i bambini si tranquillizzano, la mamma “stacca”, cambia pensiero, si rilassa anche lei. Il piccolino in fascia o nel passeggino si svaga o si addormenta, il primogenito magari si sfoga con qualche corsa al parco, la mamma incontra un’altra mamma o una nonna con cui fare due chiacchiere. Possiamo provare con un bel gelato, una passeggiata, una sosta sulla panchina. In genere funziona: quando si torna a casa il momento critico è superato e tutti sono un po’ più sereni.


Se non è possibile uscire, perché un bimbo è malato o perché il tempo è davvero terribile (non lasciamoci scoraggiare da un po’ di freddo), allora conviene fermarsi, respirare profondamente, interrompere le faccende a cui ci stiamo dedicando (o a cui stiamo cercando di dedicarci invano, perché i bambini continuano a richiamare la nostra attenzione) e invitare i bambini ad occuparsi di un’attività particolarmente piacevole: fare una torta insieme, giocare con la plastilina, fare il bagno, leggere una bella storia, costruire una spada di cartone o un cartellone colorato… Ogni bambino ha le sue preferenze e i suoi giochi preferiti.


Un’altra possibilità è quella di farsi una bella risata… Impossibile? No, se date il via a una gara di solletico. Insomma, quando avete voglia di scappare o di urlare, prendete i bimbi, abbracciateli forte, dite che gli volete bene (anche se nei momenti “no” vi sembrano insopportabili), fate le coccole, giocate al solletico.


Può essere utile anche ritagliare cinque minuti (se si riesce) per fare una telefonata a un’amica, al marito, a una zia, a una persona con cui si è in confidenza. Sentire una voce amica, sfogarsi, aiuta a ridimensionare la situazione. Infine, ricordiamoci che è una fase, che non sarà sempre così. Che quando i bimbi inizieranno a giocare insieme la situazione sarà meno impegnativa (anzi, avremo addirittura dei momenti liberi tutti per noi mentre loro giocano). Riporto qui una riflessione di Maria Montessori, la pedagogista italiana nota in tutto il mondo per le sue intuizioni sulla mente e sull’educazione del bambino, che forse potrà regalarvi un sorriso:


“La mamma con sei bambini di età diversa sta molto meglio di quella che ne ha uno solo. Il figlio unico è sempre difficile, e non tanto perché sarà spesso viziato, ma perché manca di compagnia e soffre più degli altri. Le famiglie hanno spesso difficoltà col primogenito, non coi figli che seguono, e i genitori credono che sia dovuto alla loro maggior esperienza, ma la vera ragione è che i bambini hanno compagnia”.25

Quando il fratellino non c’entra

Un bimbo che intensifica la richiesta di attenzioni, che diventa più irritabile e nervoso, che non vuole più andare all’asilo, che protesta per compiere gesti quotidiani che prima faceva senza problemi. Se c’è un fratellino in arrivo o nato da poco, ecco che scatta quasi in automatico il collegamento con la gelosia. Certo, in alcuni casi all’origine degli atteggiamenti del primogenito c’è proprio la nascita del fratellino, ma a volte il fratellino non c’entra; molto semplicemente, il bambino sta attraversando delle fasi della crescita che sono comuni a tutti i suoi coetanei che abbiano fratelli o meno. In questo caso confrontarsi con altre mamme e scoprire che anche i figli unici hanno i loro momenti “no”, possono mettere a dura prova la pazienza dei genitori, non sono sempre sereni, può offrire un piccolo conforto alle bis-mamme.

Quando si ha paura di “sbagliare tutto”

Può capitare, quando i momenti “no” sono frequenti, quando la stanchezza si fa sentire, quando abbiamo paura che il nostro primogenito non sia felice, di avere l’impressione di sbagliare tutto. È normale, può succedere. Ricordiamo però che il fatto stesso di interrogarci, metterci in discussione, osservare le reazioni e gli stati d’animo dei nostri bambini è la prova che siamo sulla strada giusta. Forse, passando in rassegna i nostri atteggiamenti, qualcosa di sbagliato lo troveremo. Nessuno è perfetto e stiamo gestendo una situazione nuova, a volte non facile. Bene, sarà l’occasione per aggiustare il tiro e migliorare ulteriormente. Ma ricordiamo che il nostro amore è così grande che può ben compensare eventuali errori di percorso. Stiamo crescendo insieme ai nostri figli, nelle giornate luminose e in quelle di tempesta, tra lacrime e sorrisi, perdonando e chiedendo perdono. Laddove c’è l’amore come guida, ci si può perdere, ma si ritrova sempre la strada.

Le mamme raccontano

Ecco il racconto di alcune mamme che si sono trovate a dover gestire la gelosia del primogenito e l’hanno aiutato a superare pian piano ansie e preoccupazioni e recuperare la serenità.


Federico non voleva più andare al nido, mangiare e dormire lì, allora giocavamo con gli animali e rivivevamo tutto quello che succedeva al nido e a casa in modo da portare fuori le sue paure. Gli ho spiegato che quello di Elena non era pianto ma parola, il suo personale linguaggio, che all’inizio bisogna avere pazienza e conoscersi, e che non per forza bisogna trovarsi subito simpatici. A volte gli raccontavo che il pianto di Elena dava fastidio anche a me, però gli facevo notare come ci sorrideva quando le eravamo vicino. Ho parlato tanto dicendogli che lo capivo, che era normale reagire così, che io sarò per sempre la sua mamma, che il mio cuore è come un elastico che si sarebbe allargato secondo le necessità e che il suo spazio ci sarà sempre. Con Elena cercavo di ritagliarmi i nostri spazi: se durante il giorno magari ci coccolavamo un po’ poco, la sera la lasciavo attaccata al mio seno anche per un paio d’ore, per rilassarci insieme, senza fretta e addormentarci abbracciate! Dopo un mesetto la burrasca è passata, io e miei cuccioli stiamo imparando a non avere paura di perdere il posto che ci siamo regalati!

Valentina, mamma di Federico, 3 anni, Elena, 10 mesi


Greta è sempre stata molto affettuosa con la sorellina, ma la gelosia che ha manifestato è stata tutta contro di me. Ho risolto legittimando i suoi vissuti e dicendole che era normale sentirsi così: essendoci un’altra persona piccola e indifesa da accudire, lei poteva pensare che le venissero dedicati meno tempo e attenzioni, ma io e il papà avremmo moltiplicato il nostro amore.

Bianca, mamma di Greta, 5 anni, Viola, 10 mesi


In ospedale Elia ha iniziato subito a darle bacini e carezze, e con Eva ha sempre manifestato i comportamenti più gioiosi e cari. Nei miei confronti la storia è stata diversa: Elia mi si è letteralmente rivolto contro, manifestando attivamente il suo disappunto per la nuova situazione, piangendo spesso e cercando strenuamente la mia presenza e la mia vicinanza. Durante i primi due mesi, mentre allattavo, lui aveva atteggiamenti contrastanti: a volte prendeva il suo ciuccio e si appoggiava a me abbracciandomi strettamente, altre volte mi lanciava addosso giocattoli e cuscini.


Adesso Eva ha quasi cinque mesi ed Elia ha smesso gradualmente questi comportamenti, così pesanti da vivere per me, che avevo tanti sensi di colpa nel vedere il mio primogenito soffrire così. Ci ho messo tanta tanta pazienza e anche qualche lacrima, ma soprattutto ho cercato di accettare Elia così com’era, senza opprimerlo con giudizi o castighi e cercando sempre di dimostrargli quanto gli volevo bene. Sì, qualche sgridata c’è stata, ma sempre seguita dalle dovute scuse e spiegazioni. Non sto neanche qui a raccontare la gioia che provo adesso nel vedere che io ed Elia stiamo ritornando a capirci e in un certo senso ci siamo ritrovati.


E poi… abbiamo guadagnato una nuova compagna di giochi!

Francesca, mamma di Elia, 2 anni e mezzo, Eva, 5 mesi


Tanti no, tanti momenti offesi. Ho cercato di porre il meno possibile l’attenzione su queste cose, dicendo ad Arianna che capivo quanto potesse essere difficile per lei. Ho cercato di utilizzare il “rinforzo positivo”, mostrandomi particolarmente interessata alle cose belle che faceva e ignorando i “disastri”. Chiaro che non sono “supermom”, quindi ci sono stati anche momenti di urli, porte sbattute, pianti in stereo… ma sono stati limitati. Per fortuna non ha mai mostrato gelosia direttamente nei confronti di suo fratello, anzi, lo ignorava il più possibile. Più che altro mostrava insofferenza nei miei confronti. Mi aspettavo che su certe cose “regredisse” ma non l’ha fatto. Anzi, dopo i primi due mesi un po’ più difficili, è tornata ad essere la solita Arianna allegra e a crescere moltissimo (per esempio nel linguaggio). Tanto che ha deciso lei, senza che io insistessi, di togliere il pannolino e ha ridotto l’uso del ciuccio.

Ilaria, mamma di Arianna, 3 anni, Ettore, 6 mesi


Un po’ gelosa lo è ovviamente, o lo è stata all’inizio. Le è stato di grande aiuto parlarne. Soprattutto sapere che la gelosia è normale, che tutti i fratelli sono un po’ gelosi perché si tolgono a vicenda un po’ di mamma. Poi le è stato e le è utile sapere che anche lei ha ricevuto tutto quello che ora riceve il fratello e anche di più. Le piace che le racconti di quando era piccolissima lei. Ma la gelosia non è il sentimento dominante. Anzi, Margherita già immagina di difenderlo quando lo brontolerò e di farmi i dispetti insieme a lui. Un’altra cosa che le è stata utile è che io (già dalla gravidanza) faccio parlare il fratellino e nel dargli voce le faccio capire cosa prova e di cosa ha bisogno (“Ho paura sorellina, non mi schiacciare”; “Chi sono io? Di chi è questa mano che mi passa davanti? Ah, è la mia. Chissà come si muove…”; “Non ti vedo sei troppo vicina”).


Lei gli parla a sua volta e gli spiega le cose del mondo, sulla vita e cosa lo aspetta in futuro. È interessante sentire che cosa ha da dirgli. Se mi scordo di farlo rispondere mi dice: “Mamma lo fai parlare?” Ormai ha iniziato a farlo parlare anche mio marito. Imparo da lei, e non lo dico per fare idealizzazioni fasulle. L’altro giorno mi ha chiesto attenzioni in un momento in cui non potevo dargliene. Mi ha risposto: “Ma uffa stai sempre con lui”. Io mi sono subito difesa sentendomi in colpa: “Ma siamo state insieme un po’ stamattina!” Lei mi ha guardato adombrata e mi ha detto “Ma mamma, si può dire uffa”. Ha ragione, si può dire uffa. I miei sensi di colpa me li posso gestire da sola e rispettarla se ha da lamentarsi. Anzi, ho poi scoperto che se la faccio sentire capìta e le dico “Eh, sì, uffa; che peccato non avere altro tempo per noi” lei regge molto meglio la mia impossibilità ad essere disponibile.

Valentina, mamma di Margherita, 4 anni, Iago, 2 mesi


È normale che un bambino diventi geloso del fratellino, prima o dopo, ma è meno normale che un genitore cerchi di nascondere queste reazioni, facendo sentire il bimbo (che sia il primo, il secondo o il terzo o…) dalla parte del torto. Viviamo con più serenità anche eventuali manifestazioni di gelosia!

Sabrina, mamma di Michael, 17 anni, Martina, 15, Simone, 11,Ginevra, 6, Sarah 3, Gabriele, 14 mesi

Se il bambino “torna indietro”

Il fratello maggiore26 non usava più il pannolino da mesi, ma dopo la nascita del bebè, ecco che torna a farsi la pipì addosso. Oppure comincia a balbettare e parlare come un bimbo piccolo, storpiando parole che sapeva già pronunciare correttamente. Cosa è accaduto? Quando un bimbo di due, tre, quattro o più anni, torna indietro, ovvero sembra all’improvviso incapace di fare azioni in cui era già diventato abile, si dice che è regredito, cioè ritornato allo stadio evolutivo precedente. Il riemergere di comportamenti tipici di una fascia d’età precedente non è un avvenimento insolito: si tratta infatti di un normale meccanismo di difesa a cui il bimbo ricorre, inconsapevolmente, quando si trova a vivere una situazione nuova o difficile.


Se i genitori si mostrano comprensivi e gli regalano un surplus di coccole il fratello maggiore riesce a superare le sue incertezze più rapidamente e a muoversi con rinnovata sicurezza in se stesso verso nuovi entusiasmanti traguardi.

Se il problema è il linguaggio

Quando il bimbo inizia a balbettare o all’improvviso ha difficoltà ad esprimersi in modo corretto si può segnalare la situazione al pediatra di famiglia, che molto probabilmente rassicurerà i genitori.


In genere, infatti, questo tipo di reazioni sono destinate a risolversi in tempi brevi e in modo del tutto spontaneo.


Camilla ha un vocabolario meraviglioso, ricco di termini e di tempi verbali corretti (usa il congiuntivo). Dopo circa uno o due mesi dalla nascita della piccolina ha iniziato a balbettare (ma tanto, tanto!). La mia personalissima impressione di mamma – non so se sia davvero così – è stata un po’ questa: era come se volesse parlare il più veloce possibile per riuscire a comunicare il concetto prima che la sorellina con un pianto o con un semplice ‘ghe’ la interrompesse; così si inceppava. Questo, nonostante io le dedicassi molta attenzione (andavo sempre a prenderla all’asilo a volte con la sorellina, a volte senza, e stavamo in giro a giocare). Ne ho parlato con le maestre dell’asilo che mi hanno tranquillizzata dicendomi che probabilmente era tensione-gelosia-adattamento per la nuova situazione. Il disturbo è durato mesi, mio marito era preoccupatissimo, io invece, non so perché, non lo ero, forse sentivo che sarebbe passato. E così è stato: ad agosto quando siamo stati in vacanza tutti e quattro insieme la cosa è scemata fino a sparire!

Valeria, mamma di Camilla, 4 anni, Agata, 15 mesi

Se il bambino torna a farsi la pipì addosso

Dopo la nascita del bebè, può capitare che il fratello maggiore, pur essendo già capace di usare il vasino, voglia di nuovo il pannolino. O che gli incidenti di percorso che erano ormai un lontano ricordo tornino ad essere la norma. Di giorno oppure nelle ore notturne. Cosa fare in questa situazione? Ecco i suggerimenti di Elena Dal Prà, pedagogista e autrice del libro Via il pannolino!27.

Come reagire di fronte agli “incidenti”?


Il passaggio dal pannolino al vasino è una pietra miliare nel percorso verso l’autonomia, si tratta di un momento molto delicato e le regressioni sono normalissime e frequenti in quasi tutti i bambini. Quando diventa fratello maggiore tutte le energie psicologiche del bambino sono impegnate nel riaccomodamento per fare spazio fisico ed emotivo al fratellino o sorellina appena nati. Quindi c’è poco tempo per occuparsi di altre questioni più pratiche: è facile che si dimentichi di usare il vasino o non abbia tempo di andare in bagno se troppo occupato con i suoi giochi.


Dopo un incidente il bambino non va sgridato: stategli semplicemente accanto e cercate di comprendere il suo momento difficile. Bastano alcune parole per rassicurarlo, vedrete che questa fase non durerà troppo.


Come gestire la situazione a livello pratico? È opportuno rimettere il pannolino al piccolo o potrebbe essere controproducente?


La scelta se rimettere o meno il pannolino è difficile poiché ci sono vantaggi e svantaggi in entrambi i casi. Rimettere il pannolino a seguito degli incidenti frequenti rischia di confondere il bambino o di fargli percepire una mancanza di fiducia nei suoi confronti. Non rimetterlo significa rendere la giornata un continuo asciugare pozzette, impresa non facile considerando che i genitori sono già impegnati con il nuovo arrivato.


Bisogna considerare da quanto tempo è iniziata l’educazione al vasino: se il fratellino nasce quando il bimbo ha appena cominciato a togliere il pannolino, rimetterlo non sembrerà una cosa così disturbante. Se invece i traguardi raggiunti sono già scontati e il pannolino un vecchio ricordo, ecco che allora dovrete valutare bene se sia vantaggioso rimetterlo. Lasciate passare qualche giorno portando un po’ di pazienza e vedrete che le cose si aggiusteranno da sole.


Se invece decidete di rimettere il pannolino si può innanzitutto parlare tranquillamente con il bambino: anche se piccolissimo capirà la sfumatura delle vostre parole e la comprensione che dimostrate nei suoi confronti, e questo già lo rincuorerà. Non è certo per farvi dispetto che bagna le mutandine, semplicemente le sue energie emotive sono impegnate altrove, evitate quindi di fargli percepire la pesantezza della situazione (anche se la vostra stanchezza è comprensibile!). Comunicategli che rimetterà il pannolino per alcuni giorni per evitare che si bagni i vestiti, ma si tratterà solo di poco tempo. Ripetetegli che gli volete bene e che quando arriva un fratellino è normale per tutti essere stanchi e distratti e così qualche pipì per terra può scappare.


C’è qualche accorgimento per aiutare il bimbo a superare questa fase?


Per superare questa fase bisognerà regredire anche con le nostre richieste di genitori. Se per esempio in precedenza il piccolo ci segnalava quando doveva andare in bagno e ora non lo fa più, occorrerà tornare a chiedergli, ogni due ore circa, se gli scappa la pipì e portarlo in bagno. Magari non facevate così da tempo, ma portate pazienza, vedrete che anche questa fase passerà presto. Servirà forse tornare a scandire una routine con lui: pipì appena svegli, prima e dopo la merenda, prima e dopo la passeggiata, prima e dopo i pasti, il riposino, la nanna.


Aiutatelo a superare questa fase rendendolo partecipe della vita del fratellino, descrivendogli come e perché vi occupate di lui, facendolo collaborare. Mentre allattate potete raccontare fantastiche favole o storie vere di quando eravate piccoli, magari proprio del periodo in cui anche voi avevate un fratellino minore… di solito i bambini amano sentire i racconti di quando i loro genitori erano piccoli. Ci sono poi molte pubblicazioni sulla nascita del fratellino, anche queste sono molto utili per far aprire emotivamente il bambino ed aiutarlo.


E poi rassicuratelo: il primo ad essere mortificato a causa degli incidenti è proprio il nostro piccolo e quindi servirà spiegargli che bagnare le mutandine può capitare, che si possono asciugare insieme le pozzette, ma non capiterà sempre e, anche se l’accaduto dovesse ripetersi, si cercherà ogni volta di cambiare i vestiti e di asciugare pazientemente… tutti possono sbagliare. È normale!


E se invece il problema è l’enuresi notturna? Se il bimbo di giorno non si sporca, ma di notte torna a bagnare il letto?


Se il vostro bambino torna a bagnare il letto, potete decidere di rimettere il pannolino, per non dover cambiare le lenzuola in piena notte. In questo caso dovrete spiegargli i motivi per evitare che la sua autostima subisca un contraccolpo proprio in questo periodo già delicato. Potete consolarlo dicendogli di non preoccuparsi, che può capitare, ma che non sarà sempre così.


Un suggerimento da seguire, se non ritenete utile rimettere il pannolino o se il bambino lo rifiuta categoricamente, può essere quello di mettere un vasino vicino al letto, preparare due cambi di pigiamino a portata di mano e foderare doppiamente il lettino. Ecco come procedere: proteggete il materasso con una cerata grande che copra la maggior parte della superficie del letto (il bambino si muove e se la cerata è di dimensione ridotte servirà a poco o nulla) e sopra mettete un lenzuolo. Ripetete poi questa operazione in modo da avere due strati di cerata e due lenzuola. In caso di incidente dovrete solo eliminare il primo strato bagnato, cambiare il pupetto senza arrabbiature e tornare tutti quanti a nanna.


Ricordate anche che non serve eliminare le bevande durante la giornata per scongiurare la pipì a letto, anzi… Invitate il vostro bambino a bere abbastanza durante il giorno e a andare in bagno abbastanza spesso, così la sua vescica rimarrà elastica per contenere la pipì di tutta la notte.


Illuminate con una lucina notturna la stanza, perché il bambino possa raggiungere il vasino o il bagno in autonomia. Vedrete che in poco tempo, man mano che gli equilibri famigliari vengono ristabiliti, questi incidenti scompariranno.


Per Lorenzo l’arrivo di Riccardo è stato un evento molto naturale: l’abbiamo preparato con vari libri e gli abbiamo raccontato cosa sarebbe successo. Quando è nato, Lorenzo gli ha subito dimostrato tanto affetto: lo voleva sempre toccare e non lo lasciava toccare agli altri (“È mio Riccardo!”). Però un po’ di disagio si è visto comunque: non aveva più il pannolino ed è regredito sul controllo della pipì, ma solo in casa. Dopo vari tentativi abbiamo provato con i cartelli sulla porta del bagno e della cameretta: li abbiamo preparati insieme (scrivendo “La pipì e la cacca si fanno nel water”) e ha funzionato. Inoltre l’abbiamo trasferito nel letto grande, basta lettino. E anche questo ha funzionato. Ora abbiamo solo qualche incidente.

Roberta, mamma di Lorenzo, 2 anni e mezzo, e Riccardo, 3 mesi


Sofia è entusiasta della sorellina. La accarezza, cerca di coinvolgerla nei giochi, la vuole mostrare tutti i giorni agli amichetti. Tutto bene, se non fosse che… ha ricominciato a fare la pipì a letto di notte. Nessuno glielo fa pesare, cambiamo le lenzuola insieme, ma guai, guai se a farle il letto è la zia o la nonna! Solo io e il papà possiamo!

Giada, mamma di Sofia Luna, 3 anni, Morgana Maia, 3 mesi

Se compaiono disturbi psicosomatici

Quando un bambino si trova a vivere un momento emotivamente forte, che destabilizza il suo equilibrio, può capitare che si presenti un disturbo psico-somatico.


Ci sono bambini che, alle prese con un disagio emotivo, si ammalano più spesso, altri che devono affrontare la comparsa di tic o balbuzie.


In questi casi è necessario confrontarsi con il pediatra di famiglia che valuterà la salute e il benessere generale del bambino ed eventualmente indicherà quali accertamenti o ulteriori indagini potrebbero essere utili. Esclusa la presenza di cause organiche, a seconda dell’entità e della durata del disturbo, i genitori valuteranno se consultare una figura esperta in psicologia infantile.


Nella maggior parte dei casi, però, i disturbi psicosomatici che compaiono in occasione della nascita di un fratellino sono transitori e si risolvono in modo del tutto spontaneo!


All’arrivo del terzo bimbo la situazione è stata un po’ più stancante anche per Gaia, perché ora ha maggiore consapevolezza del suo essere “la grande”. Ha manifestato qualche piccolo tic, ma so che comunque rientra nella normalità e in quel graduale percorso che la porterà ad acquisire la certezza di avere un ruolo importante nella famiglia e che nessuno glielo toglierà…

Mary, mamma di Gaia, 6 anni, Peppe, 3 anni, Flavio, un anno


Quando è nata Costanza, Bernardo è sembrato subito innamorato di lei, diceva a tutti quanto era bella e profumata e dolce e noi eravamo tutti tranquilli… Dieci mesi dopo gli sono venuti dei tic motori molto forti, siamo stati una settimana in ospedale per escludere cause neurologiche, alla fine abbiamo avuto un consulto psicologico, la dottoressa lo ha fatto giocare con la casina di legno, all’interno della quale c’erano tutti i personaggi, lui ha preso subito il personaggio del bebè e… lo ha chiuso dentro il forno! A quel punto abbiamo aperto gli occhi sulla sua gelosia repressa!


Abbiamo consultato un bravissimo neuropsichiatra infantile che ci ha spiegato che Bernardo aveva problemi a esprimere i suoi sentimenti di rabbia, così mi sono inventata di fargli dare cazzotti al cuscino del divano e gli facevo tante scenette con i pupazzi. In quel periodo sono nate anche delle storie che avevano per protagonista un castorino che a volte provava sentimenti contrastanti per i suoi famigliari o amichetti, che sono tutt’ora le sue storie preferite. Poi ha iniziato a giocare a rugby, sport bellissimo che lo ha aiutato molto sia nello sfogare la rabbia che nell’autostima. I tic all’epoca scomparvero del tutto, ma a volte in momenti di stress (per esempio in questi giorni con la fine della scuola, la stanchezza, ecc.) tornano, sia muscolari che vocali. Non ci sono soluzioni precise per questo problema, solo tanta pazienza fantasia e amore. Un po’ come per tutto il resto per quanto riguarda i bambini!

Giovanna, mamma di Bernardo, 8 anni, Costanza, 3 anni

Gelosia: una tappa obbligata?

Tanti genitori raccontano che il loro bambino non è stato affatto geloso del fratellino. Può essere? Certamente sì. Tutti i bimbi sono diversi e reagiscono in modo differente alle varie situazioni. Ci sono bambini che hanno un bisogno intenso di rassicurazione e lo manifestano modificando il proprio atteggiamento, e bambini cui bastano le normali conferme che già ricevono quotidianamente e non mostrano alcun disagio particolare. Le reazioni del bambino sono influenzate anche dall’età, dal contesto, dalla situazione famigliare.

A questo proposito, la psicologa Raffaella Scalisi spiega:


“Occorre stare molto attenti a non anticipare il bambino, suggerendo atteggiamenti che magari non manifesterà mai. (…) è sempre meglio aspettare e vedere quali reazioni avrà il bambino, lasciandosi guidare da lui; spesso si rimarrà stupiti nel constatare le sue risorse e le sue capacità di trovare soluzioni inaspettate per superare il momento difficile”28.


Ad essere differente è anche il modo in cui le mamme e i papà percepiscono e affrontano l’eventuale disagio del bambino: alcuni genitori vivono le sue difficoltà con grande fatica (magari sentendosi in colpa), altri con maggior serenità e leggerezza (intensa in senso buono). Per tutti può essere d’aiuto accettare eventuali gelosie come un evento naturale, passeggero, fisiologico.

I vantaggi di un maternage ad alto contatto
Per essere sicuri dell’amore dei genitori, hanno bisogno del contatto fisico.
Vogliono stare in braccio, essere coccolati, andare a letto vicino alla mamma o al papà. La vicinanza li calma, dando loro la certezza che non hanno perso l’amore dei genitori

Nessia Laniado

Con la definizione “maternage ad alto contatto” ci si riferisce a una modalità di accudimento che prevede appunto molto contatto: bimbi tenuti in braccio, cullati, aiutati a prendere sonno (e a riprendere sonno quando si svegliano durante la notte), coccolati, allattati, portati in fascia. Sono bimbi che fanno il pieno di coccole da piccoli per poi partire più sicuri alla scoperta del mondo.


Oggi, nella nostra società, questo stile di accudimento (che è la norma in molte altre culture e lo è stato anche in Italia fino alla metà del secolo scorso) è guardato con un po’ di sospetto: quando una mamma tiene in braccio volentieri il suo piccino è probabile si senta suggerire di “metterlo giù, perché se no si abitua” o ancora, che facendo così “lo vizia”29.


In realtà, il bimbo che cerca il conforto e la vicinanza dei genitori non sta facendo “capricci” e non ha “vizi” (bruttissimo termine che con i neonati non ha proprio nulla a che fare!), ma sta semplicemente comportandosi come la sua stessa natura gli impone: l’istinto del cucciolo è, infatti, quello di stare con la madre e la separazione viene vissuta come situazione di pericolo. E quella di ricevere e dare tanto amore non è di sicuro una cattiva abitudine!30


Quando nasce un fratellino, il primogenito ha un forte bisogno di essere rassicurato. Ricordargli a parole che mamma e papà gli vogliono tanto bene è importante, ma con i bimbi conta molto anche il linguaggio dei gesti, della tenerezza, delle emozioni. Ecco perché uno stile di accudimento ad alto contatto può essere di grande aiuto. Un abbraccio, una coccola, la presenza di mamma e papà se il bimbo fatica a dormire e ha bisogno di loro per scacciare i fantasmi della notte… Sono un antidoto potente alla gelosia!


Secondo il pediatra Carlos González anche le coccole ricevute prima della nascita del fratellino sono utili per affrontare con maggior serenità il cambiamento: “L’essere stato sommerso di coccole durante i primi anni probabilmente non accresce la gelosia, ma la riduce, o meglio dà al maggiore la fiducia sufficiente per sopportarla31.


Una modalità di accudimento che prevede tanta vicinanza, oltre a favorire la sicurezza in se stessi dei bimbi, può rivelarsi molto piacevole anche per i genitori: le coccole sono belle ad ogni età!

Vicinanza… notturna!
Fate la nanna bambini d’amore la vostra mamma vi ha fatto col cuore la vostra mamma vi ha fatto col cuore fate la nanna bambini d’amore.

Ninnananna della tradizione

Ci sono famiglie che si sono trovate bene nella gestione dei risvegli notturni dei loro bambini, dormendo vicini. Quando il bebè dorme nella camera dei genitori32 – nella sua cullina di fianco al lettone, in un lettino attaccato al lettone (side-bed) o nel lettone33 –, si è visto che tutti riposano meglio: la vicinanza favorisce la sincronizzazione dei ritmi sonno-veglia di mamma e bambino (sincronia già presente negli ultimi mesi della gravidanza), il bimbo non arriva a destarsi del tutto, la mamma lo può allattare senza doversi alzare per raggiungerlo in un’altra stanza.


A questo proposito il pediatra inglese William Sears scrive: “Per sopravvivere ai frequenti risvegli notturni, siate pronte ad accettare qualsiasi sistemazione notturna che consenta a tutti e tre (padre, madre e figlio) di dormire il più possibile34. Ora si tratta di trovare… una sistemazione per quattro.


Dormire nella stessa camera solitamente piace molto anche ai bimbi un po’ più grandi, e gestire la nanna con flessibilità, eventualmente accogliendo la richiesta del fratello maggiore di addormentarsi con il resto della famiglia o di avere un genitore accanto quando va a dormire nel suo lettino, può essere di grande aiuto per tutti: il primogenito non si sente escluso, i genitori riposano meglio, la vicinanza favorisce il legame tra fratellini.


Gianluca è sempre stato molto protettivo verso Raffaele, pochi giorni fa si sono svegliati nel lettone da soli (dormiamo in quattro) e li ho scoperti mentre gli stava facendo le “cocche” (coccole, come le chiama lui): non avrei mai immaginato una tenerezza così spontanea, ho sempre temuto la gelosia, e ho fatto male, che gioia ricredermi!

Beatrice, mamma di Gianluca, 22 mesi, Raffaele, 3 mesi


Mentre avevo la piccola attaccata alla puppa tenevo la mano a Martina e il babbo le leggeva una storia. Poi verso le tre, lei veniva nel nostro letto e dormivamo tutti e quattro insieme… Che bello! Martina non ha mai dato segni di una grande gelosia, adesso dopo tre mesi è sempre più dolce con la sorellina, la riempie di baci e la fa giocare anche quando io sono occupata.

Marianna, mamma di Martina, 3 anni, Linda 3 mesi


Eleonora ha sempre dormito da sola, ma a un certo punto ho messo in camera loro un letto matrimoniale per poterle addormentare insieme e non farla sentire esclusa.

Gemma, mamma di Eleonora, 6 anni, Manuela, 4 anni, Gabriele 6 mesi


Coccole notturne

Quando si sveglia, il bimbo ha bisogno dell’aiuto di un genitore per riprendere sonno: c’è chi succhia al seno per qualche minuto, chi si rassicura sentendo che non è solo, chi ascoltando la voce della mamma (o del papà) che sussurra qualche strofa di una ninna nanna.


La risposta amorevole e sollecita con cui i genitori accolgono i bisogni anche notturni del bambino pone le basi della sicurezza e dell’autonomia dell’individuo.


Fratelli nella notte
Vanno in cerca di quello che non hanno avuto, ma non sanno trovarlo, perché non hanno imparato a far fronte alle difficoltà che spesso vivere a contatto di gomito comporta. Non avendo sperimentato la vera intimità da piccoli, non la sanno gestire da adulti.

Bruno Bettelheim

Anche quando il bimbo è più grandicello e ha acquisito la capacità di riaddormentarsi in modo autonomo durante la notte, quello dell’addormentamento serale può essere un momento delicato. La notte, con il buio, il silenzio e le sue ombre, può fare un po’ paura. A volte è così anche per gli adulti: di notte, dubbi, malesseri, preoccupazioni si ripresentano con un’intensità maggiore. Inoltre, per il bambino addormentarsi significa interrompere attività divertenti e, soprattutto, lasciare le persone amate.


Ecco perché, da sempre, la voce di un genitore che sussurra una ninna nanna, racconta una fiaba, legge una storia, aiuta i bimbi ad abbandonarsi al sonno senza paura. Quella voce è infatti promessa di presenza, vicinanza, amore.


Se i fratellini sono molto vicini per età, potrebbe essere una buona soluzione dormire in quattro nella camera di mamma e papà per un periodo e poi spostare entrambi i bimbi nella loro cameretta.


Se invece il primogenito era abituato a dormire da solo, potrà continuare la sua routine e aspettare che il fratellino cresca e lo raggiunga in camera sua.


Anche in questo caso la flessibilità è d’aiuto: se il primogenito manifesta il desiderio di un po’ di vicinanza notturna, accoglierlo nel lettone o sistemare un materassino per lui accanto al letto dei genitori per qualche notte potrà farlo sentire più sicuro.


E quando entrambi i bimbi dormiranno in cameretta, il primogenito potrà apprezzare ulteriormente i vantaggi di avere un fratellino: dormire senza mamma e papà quando si ha un fratello accanto è molto più facile e divertente!


Giada rivolta a Luigi: “Adesso ti racconto una storia e facciamo nanna”.

Daria, mamma di Giada, 3 anni, Luigi, 18 mesi

E il nuovo nato?

Fin qui abbiamo parlato del fratello maggiore e dei suoi sentimenti verso il piccino che è nato, ma anche il fratellino minore merita uno spazio in questo capitolo! Il neonato, e poi il lattante, cosa prova per il fratello? La risposta è facile e immediata. Per il piccolo, il primogenito rappresenta una figura fondamentale, al pari dei genitori. Il bebè osserva il fratellino che si muove, lo segue con lo sguardo, lo ascolta attento. I suoi primi sorrisi sono per lui. Per quel fratello che fa parte della sua vita sin dagli albori, da quando nel grembo materno, ha iniziato a percepire i suoni che giungevano dall’esterno e ha imparato a riconoscere la sua voce.


Scrive Horst Petri: “Il bebè non si rispecchia soltanto ‘nello sguardo della madre’, ma anche nel sorriso del fratello, nel suo abbraccio, nella sua tenerezza e nelle sue premure35.

Sorriso di bimbi

Elia, 2 anni e mezzo, cerca la sorellina Eva che ha 5 mesi. Gliela faccio vedere: è nel passeggino che dorme. Lui, a voce alta: “Mamma, Eva dorme, allora non si può fare rumore! No, no perché Eva dorme!”

Ovviamente la piccola apre gli occhi un secondo ed Elia: “Mamma guarda, Eva è sveglia! Si può fare rumoreeee!”

Francesca


Nicola, 3 anni e mezzo, dopo la nascita della sorellina: “Signore grazie che ci hai dato le sedie se no mangiavamo per terra come cinque matti. Grazie che ci hai dato i vestiti se no saremmo poveri. E grazie che hai mandato giù dal Cielo una bambina piccola!”

Giorgia


Michelle, 3 anni, ogni cosa che fa, soprattutto se entusiasmante, va da Mattia, 6 mesi, e dice: “Hai visto Mattia? Guarda! Tu sei piccolo, per te è pericoloso, quando sei grande come me facciamo insieme”.

Gioia


Luca a quaranta giorni fa il suo primo sorrisino, a chi? Ma alla sua sorellona Gioia che ha 4 anni.

Io mi commuovo per l’emozione, lei mi guarda: “Mamma non piangere, a te lo farà un’altra volta!”

Tamara


Mattia, 2 anni e 4 mesi, dopo qualche settimana in cui vedeva la sorellina Alice in casa con lui, mamma e papà, le si rivolge chiedendo: “Ma tu abiti in questa casa?”

Elena

Benvenuto fratellino, benvenuta sorellina - 2a edizione
Benvenuto fratellino, benvenuta sorellina - 2a edizione
Giorgia Cozza
Favorire l’accoglienza del nuovo nato e la relazione tra fratelli.Tante informazioni utili, suggerimenti pratici e spunti di riflessione per coinvolgere i fratelli maggiori nell’attesa e nell’accoglienza del nuovo nato. La nascita di un bambino è un evento di grande gioia per tutta la famiglia, un evento che può essere vissuto con partecipazione ed entusiasmo anche dal primogenito, se accompagnato dall’affetto e dalla comprensione di mamma e papà.Il libro Benvenuto fratellino, benvenuta sorellina di Giorgia Cozza risponde ai dubbi e agli interrogativi dei genitori, offrendo utili informazioni e suggerimenti pratici per coinvolgere i fratelli maggiori nell’attesa e nell’accoglienza del nuovo nato. Conosci l’autore Giorgia Cozza è una mamma-giornalista, specializzata nel settore materno-infantile, autrice di libri per bambini e numerosi manuali per genitori, divenuti un importante punto di riferimento per tante famiglie in Italia e all’estero.È stata relatrice in numerosi congressi per genitori e operatori del settore e ospite di trasmissioni televisive per rispondere a quesiti legati all’accudimento dei bimbi e a uno stile genitoriale ecocompatibile.