CAPITOLO I

Crescere nella società dei consumi

Lo scopo della vita non è accumulare denaro, ma creare rapporti d’amore.
Giovanni Bollea
In larga misura il modo in cui amate il vostro bambino
gli permetterà in futuro di amare e di essere riamato a sua volta.
Daniel Stern

Quando si educa un figlio ci si trova di necessità a fare i conti con il contesto socio-culturale in cui quel bambino è nato e sta crescendo. Ogni società ha i suoi punti di forza, le sue potenzialità e le sue criticità. Noi genitori occidentali certo abbiamo la fortuna di crescere i nostri figli in un contesto ricco di opportunità, ma anche la società del benessere ha i suoi lati oscuri, che possono interferire con la salute psico-fisica e lo sviluppo equilibrato e armonioso delle nuove generazioni. Cosa significa per un bambino crescere nella società dei consumi? Quali sono i limiti di questa realtà e come possiamo noi genitori superarli per garantire ai nostri bambini una crescita serena? Partiamo da qui e riflettiamo insieme, cercando la risposta a questi interrogativi.

Nascere nell’era del consumismo

I bambini costano. Lo leggiamo sui giornali, lo sentiamo in televisione, tutti lo dicono e a furia di ripeterlo diventa vero. Carrozzine, sdraiette, palestrine, pappe pronte, pannolini, prodotti per l’igiene, biberon… I cataloghi delle aziende specializzate sono colmi di proposte. Ogni accessorio è definito indispensabile per il benessere del bebè e per facilitare il compito dei genitori. La pubblicità e il sentire comune ci spronano all’acquisto. Il mercato propone una mole così vasta di prodotti che tra i motivi della bassa natalità nel nostro Paese c’è anche la questione economica: sono tante le coppie che esitano a coronare il sogno di diventare genitori per il timore di non poterselo permettere. D’altronde le cifre sono considerevoli. I dati dell’Osservatorio nazionale di Federconsumatori parlano di una cifra minima pari a 6.500 euro e di una cifra massima superiore a 13.000 euro: questo l’investimento che i genitori italiani sono chiamati ad affrontare entro il primo compleanno del bebè. E la maggior parte degli acquisti e quindi delle spese viene fatta in gravidanza, perché sia tutto pronto quando il piccolo verrà alla luce.


E così ha inizio. I nostri bambini diventano piccoli consumatori ancora prima di nascere!


È talmente radicata la convinzione che per accogliere un bimbo sia necessario acquistare tanti accessori che persino di fronte all’evidenza, e cioè che i neonati vengono al mondo con pochi fondamentali bisogni – che sono gli stessi in ogni tempo e in ogni paese, bisogni che nella maggior parte dei casi non hanno il cartellino del prezzo e non si acquistano nei negozi specializzati per l’infanzia – nonostante dunque la risposta sia lì sotto gli occhi di tutti, la società dei consumi non accenna a rallentare o a fare un passo indietro. Aspetti un bimbo? Devi comprare. Gadget, accessori, prodotti. Non importa se poi quel bambino, una volta nato e guidato da un istinto atavico cerca insistentemente la sua mamma, il suo abbraccio, il suo conforto, e snobba sdraiette, cullette e carrozzine. La società dei consumi fila dritta per la sua strada: i bambini costano, punto. Dobbiamo comprare, consumare, cercare in “altro”, oggetti e accessori, la risposta ai bisogni del neonato. Anche se è contro natura. Anche se nei primi tempi successivi alla nascita c’è assolutamente bisogno di continuità: per stare bene il neonato deve ritrovare quelle sensazioni che lo hanno accompagnato nei lunghi mesi trascorsi nel grembo materno. Calore, contenimento, presenza continua. Di giorno e di notte. I genitori sono la risposta. È di loro che ha bisogno quel bambino che è nato.


Il resto, prodotti, accessori, gadget, possono fare da contorno. A volte utili, a volte meno, ogni famiglia si regola in base alle proprie abitudini ed esigenze. Ma il punto è un altro. Negli ultimi decenni, la società dei consumi si è impegnata a farci credere che per accogliere al meglio un bimbo sia indispensabile comprare e spendere molto. E questo non è vero. Svilisce il ruolo fondamentale di mamma e papà, sposta l’attenzione dalle persone – dai genitori che possono dare tanto, tantissimo al loro bambino, e che sono la chiave per il suo benessere psico-fisico – agli oggetti comprati e da comprare.

Ma le sirene del consumo non si fermano qui. Non solo spingono all’acquisto, ma fanno leva su paure e inesperienza che sono comuni quando si vive per la prima volta l’incredibile avventura della nascita di un figlio. Chi vorrebbe far mancare qualcosa al proprio bambino? Non scherziamo… Per i figli solo il meglio.


Ed eccolo, il grande inganno. Garantire il meglio al proprio bambino non significa fare acquisti. Non significa consumare. E questo vale anche negli anni successivi, quando quella minuscola creatura si trasformerà in un bambino e poi in un ragazzino.


L’investimento che spetta ai genitori è sicuramente enorme. Enorme. Ma non stiamo parlando di soldi. Il costo è molto più alto. L’impresa richiederà la vostra vita. Nel senso che una volta diventati genitori, la vostra vita non sarà mai più quella di prima. Ecco la nuova priorità dei vostri giorni, il primo pensiero, l’amore più grande. Qualcosa che il trascorrere degli anni non potrà cambiare. Voi siete suoi. Sua Madre. Suo Padre. Per sempre, senza un attimo di respiro, tra montagne di ricordi, lacrime e sorrisi, sogni e speranze, immenso orgoglio e brucianti delusioni, e ancora e sempre amore senza eguali…


Altro che acquisti.

Piccoli consumatori crescono

Non tutto quello che il mercato propone è legittimo e utile alla crescita dei nostri figli. Dobbiamo recuperare la nostra capacità di discernere cosa occorre per far crescere bambini sani, responsabili, capaci di stare al mondo, affrontare la realtà e far emergere le loro risorse creative nelle difficoltà.
Daniele Novara

Abbiamo detto che i bambini piccoli hanno pochi fondamentali bisogni. Nei primi mesi di vita non c’è bisogno di fare grandi acquisti1. Ma dopo? Mi è capitato spesso di confrontarmi con genitori che avevano letto Bebè a costo zero e ne condividevano il messaggio, ma erano preoccupati per il “dopo”. Perché se è vero (e lo è) che accogliere un bimbo a costo pressoché zero è possibile, arginare spese e consumi resistendo al pressing pubblicitario negli anni dell’infanzia sembra impresa non facile. Quando la società dei consumi reclama con forza il tributo dei piccoli consumatori in crescita, resistere è possibile? In palio non ci sono più sdraiette e carrozzine, ma zaini e astucci griffati, gadget con i personaggi dei cartoni animati, feste di compleanno e costose attività extrascolastiche, tablet e cellulari…


I meccanismi sociali e psicologici sono i medesimi: nessuno vorrebbe far mancare qualcosa al proprio bambino e il “contorno”, ovvero la società in cui siamo immersi, spinge verso l’acquisto e il consumo di beni materiali, servizi e prodotti. Anche il tranello di fondo è il medesimo, vogliono farci credere che per rendere felici i nostri bambini spendere sia indispensabile o, se non proprio indispensabile, fortemente raccomandato.


In realtà, quello che emergerà nel corso dei vari capitoli è che spesso la soluzione migliore per il benessere psicofisico dei bambini è quella che costa meno o non costa affatto. Il famoso slogan “fare meglio con meno” negli anni dell’infanzia è spesso assai calzante.


Certo, finché si trattava di bimbi minuscoli, neonati o nei primissimi anni di vita, non era necessario confrontarsi con loro per motivare o difendere le proprie scelte di consumo critico. Quando invece ci si relaziona con bambini più grandicelli, anche loro hanno voce in capitolo e le decisioni di mamma e papà possono, in qualche situazione, creare loro dubbi o perplessità.


Rispondere alle loro domande, chiarire le proprie motivazioni, confrontarsi con i bambini è una bella opportunità per tutta la famiglia, un momento arricchente che permette di affrontare argomenti importanti con parole semplici e spiegazioni “dosate” in base all’età dei figli.


Perché spiegare il consumo critico ai bambini si può e si deve.


I bambini del duemila crescono immersi nella società dei consumi, prede ambite del marketing pubblicitario, bombardati e corteggiati dal continuo invito all’acquisto. È compito dei genitori tutelarli, educarli, custodire la loro libertà di pensiero, perché crescano sicuri di sé, consapevoli del fatto che il loro valore personale non risiede in quello che possiedono, ma in quello che sono.

Una società compra e fuggi

Ormai si buttano cose nuove per rimpiazzarle con cose nuovissime.
Marinella Correggia

È una società che va di corsa la nostra. Corre, corre e non si sa bene dove vuole arrivare. Fatto sta che anche la produzione corre. Il ritmo con cui vengono prodotti nuovi beni, accessori e gadget è serrato. E così è il ritmo dei nostri acquisti.


Accumuliamo oggetti, di qualsiasi tipo, a un ritmo senza precedenti. Produrre e consumare, lavorare e spendere quel che si è guadagnato lavorando, sono diventati il circolo vizioso nel quale è rimasta invischiata la moderna economia.2


E questo vale per i prodotti destinati agli adulti, ma anche e forse ancor di più per i prodotti destinati ai bambini. Il giocattolo appena ricevuto è destinato a diventare rapidamente vecchio, superato. Forse messo da parte, perché soppiantato da un altro giocattolo nuovo, destinato ad essere presto soppiantato a sua volta…


Francesco Tonucci, direttore scientifico del Laboratorio Città dei Bambini, scrive:


Il bambino da giocatore si trasforma rapidamente in proprietario di giocattoli. L’emozione del giocattolo nuovo dura pochi minuti e poi al bambino non resta che attendere annoiato l’arrivo del prossimo regalo.3


Fino alla metà del secolo scorso, Natale era quel giorno speciale in cui si poteva mangiare qualcosa di particolarmente buono e ricevere, magari, un piccolo dono. Qualche arancia, forse un dolcetto. E se eri fortunato, una palla o una bambola. Altro giorno atteso, quello del compleanno. I bambini avevano pochi giocattoli e gli erano molto affezionati. Mia nonna ricordava benissimo i giocattoli della sua infanzia. Una bambola di stoffa e una palla rossa. Per i nostri bambini sarà decisamente più complicato ricordare in età adulta i giocattoli posseduti. Innanzitutto perché sono tanti, spesso così tanti che fare un elenco sarebbe compito non banale; e poi perché in molti casi i giocattoli durano decisamente poco. Forse i bambini della società dei consumi non li trattano con la stessa cura dei bambini di un secolo fa. Ma non è solo questo: purtroppo i giocattoli di oggi, nella maggior parte dei casi, non sono costruiti per durare, tutt’altro. Giochini e giocattoli in plastica che ben presto perdono pezzi, ingranaggi che si rompono, oggetti che si deteriorano rapidamente. Il ricambio è pressoché continuo, un giochino si rompe, un altro lo sostituisce.

Di giocattoli in legno non ne esistono quasi più. (…) Il legno non si guasta, non si rompe, non si consuma, può durare a lungo, vivere con il bambino: tutte controindicazioni per l’allevatore che voglia plasmare un piccolo a immagine e somiglianza della civiltà dei consumi.4


Ho visto i miei nonni usare ogni oggetto con cura e parsimonia, pensando che quando qualcosa si “consumava” era un danno, significava doverlo ricomprare. Si consumava una scarpa, un abito, una lima, una ruota. Oggi invece è un vanto essere promossi “consumatori”! Usa e getta, usa e getta, sempre più in fretta!5


Oltre a non essere creati per durare, molti giocattoli sono poco adatti per… giocare! Perché quando tutto è già fatto, preconfezionato e quasi quasi si può solo guardare… come si fa a giocare? Premere un tasto non è giocare. Giocare è “fare”, cioè usare, provare, sperimentare, inventare…


Davanti a questo universo di oggetti il bambino può costituirsi esclusivamente in funzione di proprietario, di consumatore, mai di creatore. Il mondo non deve essere inventato, deve essere utilizzato.6


Secondo Marina D’Amato, docente ordinaria di Sociologia7 e coordinatrice di ricerche nazionali e internazionali relative all’infanzia, gli adulti propongono ai bambini “giochi che non consentono di inventarne di nuovi. Anzi, offrendo sempre più gadget che per la loro intrinseca natura durano poco: giusto il tempo di esaudire un instant pleasure, come lo chiamano gli americani, al fine di motivarne un altro, in una catena infinita proposta dal mercato, dalla civiltà, dalla cultura dominante”8.

Una società da buttare?

I rifiuti sono il simbolo più clamoroso di una società dello spreco.
Marino Ruzzenenti

Produciamo e consumiamo a ritmo serrato merci dalla vita tendenzialmente breve o brevissima. Alla velocità dei nostri consumi corrisponde la rapidità con cui generiamo rifiuti. Una mole immensa di rifiuti. Così grande che è diventata difficile da gestire. D’altronde siamo cresciuti nell’epoca dell’usa e getta, in un periodo storico in cui ancora non erano evidenti i limiti devastanti di prodotti nati per diventare rifiuti dopo un unico utilizzo.


Come ben sintetizza Elisa Artuso, esperta di tematiche ecologiche:


Abbiamo vissuto per qualche decennio al di sopra delle nostre possibilità, come individui e come pianeta, in termini di produzione di scarti e di rifiuti.9


Il problema è che i rifiuti non scompaiono magicamente, una volta gettati in pattumiera. Noi non li vediamo più, certo, ma dalle nostre case i rifiuti continuano il loro lungo, spesso lunghissimo viaggio per il mondo. Inquinando, oppure restando sul conto dell’ambiente per decine o centinaia di anni (basti pensare ai pannolini usa e getta che “sopravvivono” cinquecento anni!)


Tutti noi ormai siamo consapevoli dei problemi connessi allo smaltimento del rifiuto solido urbano, il cosiddetto secco o inorganico. Quando finisce negli inceneritori può avere effetti dannosi sulla salute: la combustione, in particolare dei materiali sintetici, produce emissioni chiamate PM, costituite da materiale particolato e metalli pesanti. Si tratta di una miscela di particelle potenzialmente dannose che ritroviamo nell’aria che respiriamo, con effetti cancerogeni e una stretta correlazione con molti disturbi e malattie.10


L’imperativo dei nostri giorni è quello di allungare il più possibile la vita degli oggetti e poi differenziare e riciclare i rifiuti. Ma per risolvere il problema alla radice la strada è quella di consumare meno, acquistare meno oggetti destinati a divenire rapidamente nuovi rifiuti. Certo, non potremo privarci del necessario, ma quando siamo indecisi sull’acquisto di un bene di cui non abbiamo effettivamente bisogno, oltre a valutare il rapporto qualità-prezzo, potremo prendere in considerazione anche il suo costo ambientale.

Il pressing pubblicitario

Il consumo è il rimedio a forme di infelicità indotte
dalla pubblicità e dai suoi modelli.
Paolo Landi

Anima e motore del consumismo, la pubblicità non si limita a offrirci informazioni a proposito di questo o quel prodotto, ma si adopera per convincerci che di quel prodotto noi abbiamo proprio bisogno. Il che è parecchio diverso, se ci pensate. Ebbene sì, ormai da anni la pubblicità è creatrice di bisogni sempre nuovi e differenti. Bisogni a cui, manco a dirlo, la risposta sono accessori e prodotti.


Il meccanismo non è più “mi sono accorto di avere questo bisogno, vediamo un po’ se sul mercato posso trovare un qualche accessorio che lo soddisfa”. No, ora il prodotto precede il bisogno e a creare il bisogno ci pensa la pubblicità. Più persone vengono convinte di avere proprio quel bisogno e più la pubblicità ha fatto bene il suo lavoro11. Così bene che, se non stiamo attenti, il rischio è di sperimentare un perenne stato di insoddisfazione, perché i bisogni indotti dalla pubblicità sono sempre di più e sempre nuovi… Il risultato è che c’è sempre qualcosa che ci manca12.


E veniamo ai bambini. Sono proprio loro i destinatari della pubblicità a cui aziende e pubblicitari tengono di più: i bambini sono clienti due volte, in quanto consumatori nell’immediato (di beni e prodotti destinati ai piccoli) e futuri consumatori a vita. Come ben sintetizza Paolo Landi, docente a contratto di Comunicazione e Mercato al Politecnico di Milano:


Il condizionamento dei riflessi infantili può far guadagnare molti soldi: milioni di bambini, nell’odierno mercato globale, diventeranno adulti addestrati a consumare…13

Una riflessione inquietante: sin dall’infanzia, i desideri vengono orientati dal mercato e dalla pubblicità che ne è portavoce:


Dalla prima infanzia ogni bambino sarà pilotato verso ben determinati desideri e la pubblicità finirà per essere una giustificazione ai suoi bisogni. Bisogni che sembreranno suoi (del bambino) ma che, in realtà, non saranno altro che il conformarsi del desiderio infantile a ciò che il mercato ha già deciso per lui.14


Un po’ triste, non trovate? D’altronde i bambini sono utenti “perfetti”: non hanno né la conoscenza, né l’esperienza necessaria per difendersi dai miraggi della pubblicità:


Un bambino fisso davanti al video offre molte garanzie: oltre a non farsi male giocando, può essere completamente plagiato da immagini, linguaggi, schemi di comportamento, stili di vita, stereotipi…15


Immagini, messaggi e atmosfere sono studiati ad hoc per ogni età:


In molti messaggi viene usato un tipo di manipolazione che tende a far sentire il potenziale consumatore in difetto, out rispetto ai suoi coetanei. È il caso in particolare dei prodotti rivolti agli adolescenti che, spesso, insicuri del loro aspetto fisico, della loro capacità di farsi degli amici, di fare bella figura o di piacere, sono alla ricerca di conferme e suggerimenti su come comportarsi. (…) Con i bambini funziona l’amalgama affettivo. Si rende desiderabile un prodotto creandogli un clima tenero e affettuoso intorno.16


Tra l’altro negli ultimi decenni la pubblicità ha affilato notevolmente le sue armi:


Paragonare la pubblicità di venti o trent’anni fa ai mezzi di comunicazione che permeano il mondo dei nostri figli equivale a paragonare una pistola ad aria compressa a una bomba intelligente. Oggi il marketing indirizzato ai bambini è ben mirato, perfezionato con metodo scientifico e affinato da esperti di psicologia infantile…17

E questo senza che i genitori o gli esperti di salute o le autorità sollevino particolari obiezioni:

La manipolazione dei bambini nel campo della religione o della politica solleverebbe una tempesta di proteste da parte dei genitori e, probabilmente, parecchie inchieste parlamentari. Ma, nel mondo del commercio, i bambini sembrano selvaggina lecita da cacciare, prede legittime per la pubblicità.18


Gli effetti immediati del martellamento pubblicitario destinato ai bambini, i genitori lo vivono quotidianamente poiché molte richieste dei piccoli riguardano prodotti visti alla televisione, sui giornalini, sui manifesti pubblicitari. Se le richieste vengono accolte, la casa si riempie di giocattoli e gadget di cui al bimbo importa ben poco. D’altronde è difficile affezionarsi a un giocattolo quando se ne possiedono scaffali colmi e quando sappiamo che presto ne arriverà uno nuovo, più nuovo di quello appena ricevuto.


Il motivo per cui i pubblicitari investono moltissimo sui bambini è che si ritiene che essi siano in grado di far spendere molti soldi.19


Se le richieste non vengono accolte i genitori possono trovarsi a fronteggiare proteste e malcontento, come spiega Paolo Roccato, psicoterapeuta e psicoanalista:


La pubblicità televisiva, nella quale sono quotidianamente immersi i nostri bambini (come del resto noi genitori), favorisce gli equivoci fra oggettino posseduto e realizzazione di sé, fra oggettino donato e relazione di amore. Essa è, quindi, un potente terreno preparatorio per l’instaurarsi della relazionalità “capriccio”, che, per l’appunto, è strutturata sulla sostituzione di un piano profondo con un effimero piano superficiale concreto.20


Quali potranno essere gli effetti a lungo termine… non è dato sapere. Se siete preoccupati, bene, non sembra trattarsi di una preoccupazione mal riposta.

Molti incominciano a preoccuparsi delle possibili conseguenze sulle menti infantili del cosiddetto saturation marketing, un tipo di attività promozionale “sinergica” sempre più diffusa nell’industria dei giocattoli. Si tratta di una promozione incrociata tra due o più marchi (una bambola e una merendina; pupazzi e hamburger; un film e una serie di gadget…).21


L’unica certezza, al momento, è che la pubblicità lavora per “allevare” i consumatori di domani.


La pubblicità oltre ad agire nel breve termine nel favorire e orientare le richieste di acquisto, cerca anche di produrre una fedeltà al marchio, una goodwill che si estenda a tutti i molteplici e differenziati prodotti che sono a esso riconducibili. I bambini vengono spesso indicati dagli operatori di marketing come “consumatori in fase di addestramento”, nella convinzione che la conoscenza dei marchi che si genera durante l’infanzia possa condizionare la preferenza per i diversi prodotti nei periodi successivi della vita.22


Evitare del tutto che la pubblicità raggiunga i nostri bambini non è ovviamente possibile. Però è possibile e forse anche doveroso cercare di proteggere i più piccoli, ponendo dei limiti al bombardamento mediatico. Come? Innanzitutto intervenendo sull’uso della televisione, che con i suoi spot raggiunge i bimbi sin dalla prima infanzia, ma di questo argomento parleremo più avanti, nel capitolo dedicato al rapporto tra bambini e Tv.

Pubblicità online

La crescente confidenza dei bambini con gli strumenti tecnologici fa sì che la pubblicità raggiunga i più piccoli anche tramite il web.


Nel 1999, i dati ottenuti in una ricerca basata su interviste condotte su bambini e adolescenti hanno mostrato che il 52% dei rispondenti, la cui età variava da 5 a 17 anni, aveva chiesto ai propri genitori di acquistare qualcosa che aveva visto su un sito web.23


La ricerca è datata e visto l’esponenziale aumento di bambini che hanno accesso al web, è plausibile che le percentuali ad oggi siano molto più alte. Non solo. I dati di una ricerca tedesca, resi noti nel 2014, segnalano che i bambini non sono neppure in grado di “identificare” la pubblicità, vale a dire distinguendola dai contenuti dei siti visitati24.

La gioia perduta dell’attesa

Se a un bambino si regala tutto, gli si sottrae ciò che è fondamentale:
il desiderio, ovvero il sentimento fondamentale per costruire una passione.
Paolo Crepet
Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia…
Giacomo Leopardi

Che meraviglia l’attesa. Quando attendiamo qualcosa di bello, qualcosa che ci farà felici. Che sia un dono, un incontro, un progetto che si realizza. Quei giorni che precedono la gioia, e sono già gioia. È un’emozione unica quella che si sperimenta nell’attendere di realizzare un desiderio.


Quel giocattolo, quel viaggio o quella festa, sembrano ancora più speciali e preziosi se abbiamo il tempo di sognarli per un po’ prima che arrivino ad essere nostri. E se non abbiamo la certezza che questo possa accadere, quale sorpresa e quale emozione proveremo il giorno in cui il sogno diventerà realtà?


Il giocattolo ammirato nella vetrina ha tutto un altro sapore se lo troviamo, magari dopo qualche settimana, sotto l’albero di Natale. Ha il sapore di qualcosa di atteso, di immaginato, di desiderato. Se invece, appena visto, lo avessimo portato a casa, l’impatto emotivo e il piacere sarebbero stati assai inferiori.


Aspettare dunque, ma non solo. Spesso il tempo dell’attesa, oltre a darci l’opportunità di pregustare il piacere sognato, è anche l’occasione per darsi da fare per conquistare quanto desiderato. E questo vale per tutti, piccoli e grandi. Nel caso dei piccoli, il fatto di non ottenere tutto subito è anche garanzia di una miglior crescita emotiva, come spiega la psicologa Oliverio Ferraris:


L’attesa ha aspetti educativi. Mentre si attende si fantastica su ciò che si desidera e per i bambini ciò rappresenta anche un modo per vagare con l’immaginazione, fare ipotesi, prefigurare soluzioni, anticipare scenari possibili. Insomma, un sano esercizio della mente. (…)

Il bambino che desidera qualcosa fa lo sforzo di esprimersi e cercare di trovare la via per ottenere ciò che vuole. Il desiderio è una tensione che lo spinge in avanti e lo obbliga a superarsi, a dare il meglio di sé. Ma quando i suoi desideri vengono sistematicamente anticipati dagli adulti, egli non deve fare alcuno sforzo.25


Già, oggi il rischio è di non avere più spazio per i desideri. I nostri bambini ricevono talmente tanto e talmente presto che diventa difficile per loro trovare qualcosa da sognare. Quando, per farli felici, gli adulti anticipano ogni desiderio dei bambini, fanno loro un torto enorme. Che vita è quella in cui non si ha più nulla da desiderare?


Spesso il valore di un bene (o di un “posto”, di un “titolo”, di un successo) sta più nel cammino fatto per conquistarlo che nella sua fruizione. L’avere molto con facilità o troppo presto può lasciare un senso di vuoto e favorire la noia.26

Certo, per lasciare ai bambini il tempo di desiderare e la gioia della conquista e dell’attesa, i genitori sono chiamati a dire alcuni “no”. E dire “no” ai propri bimbi non è piacevole. Però i bambini, che sono intelligenti, sono perfettamente in grado di capire che non si può avere – sempre e/o subito – tutto quello che piace o che si desidera. A volte il desiderio è proprio irrealizzabile. E allora, forse, si può trovare un’altra soluzione, qualcosa che piaccia comunque e sia raggiungibile. Più spesso il desiderio non può essere realizzato in un tempo breve. E qui scatta il tempo prezioso dell’attesa. Che ne diresti di chiederlo come regalo di Natale? Oppure: potremmo regalartelo per il compleanno… il conto alla rovescia ha inizio. E il bambino ha sempre un pensiero felice, lì pronto, da recuperare al bisogno per sentirsi contento, per sognare un poco.


La giornalista Nessia Laniado ha scritto:


Se concediamo tutto rischiamo di annullare i loro tentativi per raggiungere una meta, superando gli ostacoli che inevitabilmente incontreranno sulla loro strada. Per questo è importante inculcare nei bambini ogni giorno il senso della conquista. Non sminuendo il valore dell’oggetto desiderato, ma ragionando con loro del perché sia bene rimandare o rinunciare all’acquisto.27

Già, perché a volte, realizzare un desiderio semplicemente non si può. Ma è normale, e fa parte della vita. Accade nell’infanzia e accade, forse più spesso, nella vita adulta; e questo non è necessariamente un male. Infatti, quando nel cuore si affaccia un nuovo desiderio e questa volta si realizza… la gioia è ancor più grande, proprio perché si nutre della consapevolezza che si tratta di un traguardo per nulla scontato.


Se gliene diamo la possibilità, i bambini più grandicelli potranno sperimentare anche la soddisfazione della conquista, impegnandosi per raggiungere i loro obiettivi. Il pediatra Tommaso Montini scrive:


Non tutto è dovuto, e non tutto si può avere senza sforzo e sacrificio. Troppo spesso i nostri figli hanno troppi soldi, telefonino, motorino, vestiti griffati all’ultima moda. Non gli vogliamo far mancare niente e, riempiendoli di cose, facciamo mancare loro la percezione del loro valore. Tutto quello che si ha troppo facilmente, soddisfa solo per un attimo e fa venire subito la voglia di qualche altra cosa in una spirale perversa.


Non abbiate paura di far sentire che non sempre ci sono le possibilità e non temete di far desiderare a lungo qualcosa. Bisogna imparare a guadagnarsi con la fatica dell’impegno, anche piccolo, qualcosa che si desidera. Fatevi dunque aiutare in casa, fate fare loro la spesa, fateli studiare, responsabilizzateli verso i fratelli più piccoli.28


Lasciamo ai nostri bambini la possibilità di desiderare. È un loro diritto. Poi diamo loro la possibilità di aspettare. Devono poter conoscere il tempo magico dell’attesa che fa crescere il desiderio stesso. Da ultimo, che possano anche darsi da fare per realizzare i loro sogni. Perché la soddisfazione e l’orgoglio di un traguardo conquistato aiutano i bambini a crescere più sicuri di sé e più fiduciosi nelle proprie capacità di riuscita.

Troppo di tutto

Dategli meno.
Hanno troppo, non c’è dubbio.
Il consumismo fa scomparire il desiderio e apre le porte alla noia.
Giovanni Bollea

Amiamo i nostri figli con tutto il cuore e vogliamo per loro tutto il meglio. Probabilmente non c’è nulla che ci renda felici come vedere la loro felicità. Ecco perché la voglia di sorprenderli con un regalo e di accontentare ogni loro richiesta è grande. Fino a qualche decennio fa, in effetti, un desiderio che si realizzava rendeva i bambini molto, molto felici.


Oggi il dono ha perso molto del suo “potere”, perché sono cambiate le condizioni in cui i bambini crescono. Possedere tantissimi giocattoli e non dover quasi mai attendere per realizzare un desiderio smorzano molto l’entusiasmo del bambino che riceve l’ennesimo regalo. Un vero peccato. Desiderosi di dare molta gioia ai piccoli, abbiamo privato quella gioia della sua intensità.


Il giocattolo che va a finire nella cesta insieme ad altri venti, ricevuto senza essere stato desiderato a lungo, fa quel che può… ma difficilmente riesce a regalare al piccolo una felicità intensa e duratura.


Abbiamo spento il desiderio dei bambini? Abbiamo ridotto inesorabilmente il piacere che possono trarre da un dono ricevuto?


Secondo gli esperti è andata proprio così: un’ingiustizia enorme nei confronti dei piccoli!


C’erano una volta i regali. C’era l’attesa del dono, c’era la gioia di donare, c’era la mano che afferrava il regalo, gli occhi che brillavano per l’emozione. Ma oggi viviamo in un mondo in cui c’è troppo di tutto: troppo cibo, troppo commercio, troppa civiltà.29

Non è una critica ai genitori, sia chiaro. Tutti noi ci siamo trovati in questo contesto e abbiamo agito di conseguenza. I prodotti destinati ai bimbi si sono decuplicati e la nostra situazione economica, complici anche i prezzi bassi di alcuni gadget, ha reso possibile acquistare di più. E quanto è bello fare un regalo al proprio bambino? Solo che, un regalino dopo l’altro, ci siamo ritrovati la casa piena di giochini, giocattoli, gadget e dal tanto al troppo il passo è breve. Anche le famiglie attente a non eccedere sovente devono fare i conti con nonni, parenti e amici che non hanno alcuna intenzione di trattenersi. Il risultato è una mole di oggetti che in molti casi non sono neppure la risposta a bisogni del bambino, poiché come abbiamo visto molti doni precedono il desiderio.


Il problema è che a più regali non corrisponde più soddisfazione. Anzi.


Nella nostra società la gioia è spesso soffocata dall’eccesso. Se il banchetto della vita offre troppo, non c’è solo il pericolo della sazietà e della pinguedine, ma anche quello ben più grave, dell’attenuazione e perfino della perdita del gusto.30


A questo proposito Andrea Saroldi, promotore della Campagna Bilanci di Giustizia e animatore dei Gruppi di Acquisto Solidali, scrive:


Sospesi in un mondo “da vivere tutto” e “da vivere in fretta”, i nostri figli dove troveranno le ragioni della loro esistenza, dove i loro valori, dove un benessere disteso, una pace, una sicurezza di futuro, una profondità di relazioni soddisfacenti? Le famiglie, che danno loro “tutto e subito”, facendosi cinghie di trasmissione del “sistema”, non mancano forse di dare quei punti di riferimento, dei quali soprattutto avrebbero bisogno?31


Chiudiamo questa riflessione con una piccola storia. Una citazione dal racconto “I giocattoli buttati”32 dello scrittore per bambini Roberto Piumini:


Un bambino ricco si stancava subito dei suoi giocattoli, perché gliene davano sempre di nuovi: così buttava quelli di prima dalla finestra. Un bambino che abitava lì vicino, e giocattoli non ne aveva, raccoglieva i giocattoli e li teneva, chiamava altri bambini a giocare con lui, ed erano contenti.

Una società “a rovescio”

Il dato singolare, almeno secondo noi, è che tutto questo accade senza che alcuno abbia nulla da ridire. In una società dove tutti (parenti, amici, conoscenti, sconosciuti) sono sempre pronti a intervenire per commentare e non di rado criticare le scelte educative dei genitori, puntando il dito contro un abbraccio “di troppo”33, le poppate frequenti, la scelta di accogliere il proprio piccino nel lettone… quando si tratta di giochi, giocattoli, dolciumi, gadget, telefonini, tutto tace. Nessuno più che si erga a consigliere (non richiesto) per dire “eh, no, così lo viziate!”: tutta quella partecipazione, quell’irrefrenabile desiderio di elargire consigli e opinioni personali, sembrano essersi esauriti.


Una società che accetta di buon grado, come fosse normale, manuali che insegnano ai genitori come lasciar piangere i loro bimbi piccoli e come addestrare quegli stessi bambini molto piccoli a non chiamare i genitori di notte, ma che resta perplessa (o addirittura reagisce con ostilità) di fronte a un manuale che suggerisce di comprar loro meno oggetti…


Pazienza. Noi il manuale lo abbiamo scritto lo stesso. Speriamo che per qualche famiglia possa rivelarsi utile!

Amo dunque regalo?

Voi date poca cosa dando ciò che possedete.
È quando donate voi stessi che donate veramente.
Khalil Gibran

È l’equivoco imperante della società dei consumi. L’attenzione si è spostata dai sentimenti, dalle relazioni, agli oggetti posseduti. Anche il dono ha perso il suo connotato originale di messaggio e manifestazione di affetto, e si è trasformato da mezzo a fine, inseguendo il falso mito di un benessere che è figlio del possesso. Possedere molto dovrebbe corrispondere a una maggior felicità. Ma ormai l’inganno è svelato e tutti sappiamo che non è così. Oggi sappiamo, di nuovo, che la felicità, quella vera, è legata prima di tutto alla qualità delle relazioni interpersonali. E se questo è vero per gli adulti, lo è ancor di più per i bambini che di relazioni umane positive hanno bisogno per crescere felici, per diventare adulti sereni e sicuri di sé.


A volte il dono diventa anche surrogato, surrogato di un tempo che non possiamo donare perché non c’è, e da dedicare ai figli non ci restano che piccoli “brandelli” della nostra impegnativa giornata; e quando si ha la sensazione di non dare abbastanza, in termini di presenza, di vicinanza, di disponibilità, la tentazione di supplire a questa mancanza con un regalo in più, è forte. E anche comprensibile. In quel regalo in più, spesso ci sono tutta la frustrazione e il senso di inadeguatezza di un genitore che vorrebbe tanto fare di più (esserci di più, giocare di più, offrire più attenzione), ma non può…


Altre volte, invece, c’è un equivoco di base: l’adulto è davvero convinto che effettivamente i beni materiali siano la risposta ai bisogni dei figli, come scrive Ilaria Caprioglio, esperta di problematiche adolescenziali:

I beni materiali sono diventati un surrogato dell’amore e questo gli strateghi del marketing lo hanno compreso da molto tempo sostenendo l’“adultizzazione” di bambini che ormai orientano i consumi dell’intera famiglia.34


Che l’eccessiva attenzione ai beni materiali sia una scelta ben precisa o che sia il risultato di una situazione contingente, la conseguenza è la medesima: adulti e bambini rischiano di focalizzarsi troppo sugli oggetti, perdendo di vista la priorità, vale a dire le relazioni.


Nella nostra cultura il linguaggio del dono rischia dunque di ridursi a scambio, a baratto tra oggetti e rassicurazioni. Gli oggetti sostituiscono il sentire, l’intuire…35


Un’altra grave carenza è quella degli affetti, di relazioni profonde. I nostri figli chiedono sempre più la possibilità di rapporti personali, di poter realizzare qualcosa di bello e di utile, di poter contemplare un paesaggio, gustare un sapore, respirare a pieni polmoni…36

Per chi vorrebbe ma non può

La crisi finanziaria ha impoverito molte famiglie nel nostro Paese. Se chi vive un momento di grande difficoltà economica sta leggendo queste pagine, probabilmente non si ritroverà in queste descrizioni di eccessiva abbondanza. Anzi, forse queste riflessioni possono essere fonte di disagio o fastidio. So bene che voler comprare qualcosa e non poterlo fare può causare una frustrazione profonda. Se poi quel qualcosa era un regalo per il nostro bambino… Be’, la frustrazione diventa una sensazione molto dolorosa. Però, forse può essere di consolazione, almeno un poco, sapere che possedere molti giocattoli non è la via per la felicità. E soprattutto forse potrà essere di conforto la consapevolezza che quello che conta realmente per la crescita serena del nostro bambino – l’amore e la disponibilità dei genitori – è qualcosa che nella nostra famiglia non manca e che nessuna crisi economica potrà portarci via.

Meno oggetti… più affetti

Le cose che il bambino ama
rimangono nel regno del cuore
fino alla vecchiaia.
Khalil Gibran

Ed eccolo qui, quello che è diventato una sorta di slogan per sintetizzare il messaggio di Bebè a costo zero. Meno oggetti… più affetti! ben si adatta anche a queste pagine dedicate ai bambini che crescono. Perché i bisogni fondamentali del neonato, quelle esigenze con cui ogni bimbo viene al mondo – le stesse in ogni paese e in ogni tempo – non sono molto diverse dalle esigenze che accompagnano quel bambino negli anni dell’infanzia. Affetto, rassicurazione, presenza… non si comprano e non costano, ma sono beni fondamentali. Senza prezzo!


Si può essere ricchissimi di beni materiali, ma avere il vuoto nel cuore se non si ha accanto un genitore che ci ama e sa dimostrarci il suo amore mettendosi in gioco in prima persona. Perché è vero che i bambini costano. Certo che costano. Ma non in termini economici. In termini di mente, cuore, passione. Quello che ci chiedono è un investimento personale senza precedenti e senza eguali. Quando vengono alla luce, e per tutti i giorni a venire.


Ecco che allora appare evidente come comprare meno senza rischiare di crescere bambini “meno felici” si può, perché la felicità, quella vera, ai nostri bambini non la daranno gli oggetti, né i gadget, né i giocattoli.


Non è regalando loro molti beni materiali che cresceremo figli contenti e soddisfatti, come ben spiega Paolo Crepet:


Se un genitore, con un po’ di coraggio, invece di comperare un oggetto costruisse alternative che implicano la propria diretta disponibilità, si accorgerebbe che molte volte la richiesta di un dono altro non è che la richiesta di una presenza affettiva. Il regalo è dunque spesso la forma più semplice ed efficace per tacitare questa richiesta. I doni spesso si fanno proprio perché non richiedono molto a chi li fa, solo i soldi37.


Anche quando è il figlio stesso che chiede molte cose, spesso dietro a queste richieste c’è qualcos’altro, qualcosa che magari non ha il coraggio di esprimere, perché una risposta negativa potrebbe fare troppo male. Negli anni dell’infanzia, ciò di cui hanno veramente bisogno i bambini e che quindi cercano in modo più o meno consapevole, sono il tempo, la presenza, la disponibilità, l’attenzione, l’amore dei genitori. E se di amore, lo sappiamo, ce n’è sempre in abbondanza, tempo, presenza, disponibilità a volte possono scarseggiare.

Se i ragazzi crescono vedendo elusa ogni richiesta attraverso il dono di un oggetto, saranno portati ad idolatrare gli oggetti a scapito delle relazioni. Anzi, le temeranno al punto da volerle evitare. Si potrebbe dunque regalare qualcos’altro, la disponibilità del nostro tempo, ad esempio: un piccolo regalo capace di produrre un’enorme emozione.38


Ma attenzione, quando si parla di disponibilità e di presenza non ci si riferisce solo alla quantità di tempo trascorso insieme. Il fatto di lavorare fuori casa non priva il genitore della possibilità di “esserci” al cento per cento per il proprio bambino. Le ore a disposizione non saranno tantissime ma se quando sono insieme i genitori offrono al loro piccolo – e poi al loro ragazzino – disponibilità, ascolto (interessato e partecipe, insomma un ascolto “vero”), attenzione, rispetto, empatia… Il bisogno di amore è comunque saziato. Però saper ascoltare con sincero interesse, offrire un’attenzione profonda, farsi guidare dal rispetto e dall’empatia nell’educare un figlio… non è affatto scontato e neppure facile.


Da qui l’investimento personale, la necessità di impegnarsi e il desiderio di migliorare sempre più. Sì, perché non sono soltanto i figli a crescere; anche i genitori crescono. Ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, ogni anno diventano genitori un po’ più esperti, un po’ più capaci. Noi aiutiamo i nostri figli a crescere e loro aiutano noi. Ci insegnano ogni giorno ad essere i genitori “giusti” per loro.


E se troppi giocattoli, troppi regali, troppo di tutto fanno male, nel senso che non favoriscono una crescita equilibrata, dosi abbondanti di rassicurazione, presenza, affetto, sono garanzia di benessere, nell’immediato e a lungo termine. Lo confermano numerose ricerche scientifiche, che hanno evidenziato uno stretto legame tra le coccole ricevute nei primissimi anni di vita e lo sviluppo di una personalità più serena ed equilibrata in età adulta.

Le coccole non sono vizi

Il nostro bimbo ci cerca, vuole stare con noi, si illumina ed è felice se noi siamo accanto a lui. Ci dicono: così lo vizi, troppe coccole, ormai è grande… Ma questi anni volano in un soffio. Poi non ci cercherà più per addormentarsi, non chiederà il nostro abbraccio e la nostra vicinanza. La nostra presenza non sarà più così importante. Anzi, forse saremo noi a desiderare tanto qualche suo gesto d’affetto… Non lasciamoci rubare questi momenti. Perché non torneranno.

Comprare meno quando ci sono figli, si può?

Mio padre non mi ha insegnato a vivere.
Semplicemente viveva e mi permetteva di osservarlo.
Clarance B. Kellaud

Comprare meno, consumare in modo critico, scegliere la sobrietà…. è possibile. Tanti lo hanno fatto e, abbracciando la filosofia della decrescita felice, hanno davvero trovato la felicità. Ma si può comprare meno se in famiglia ci sono dei bambini? Non si rischia di far mancare loro qualcosa? E gli altri (parenti, amici, conoscenti, sconosciuti) cosa diranno? Non ci accuseranno di imporre ai figli delle rinunce ingiustificate? E i nostri stessi figli, che non sono più dei minuscoli bebè, come reagiranno?


È inutile negarlo, la scelta di non comprare o di comprare meno, ovvero di non riempire la casa di giocattoli, di non trasformare Natale e i compleanni in una baraonda informe di pacchi e pacchetti, di non uscire dal supermercato ad ogni spesa con giocattolini e dolciumi, di non rincorrere l’ultimo gadget tecnologico uscito sul mercato, non mancherà di attirare qualche critica. Lo abbiamo detto prima, l’amica che ci raccomanda senza esitazioni di lasciar piangere nostro figlio per insegnargli a dormire da solo, probabilmente giudicherà crudele il “no” detto davanti a una vetrina.


Be’, non per niente la nostra si chiama “società dei consumi”.


Quando saremo riusciti a trasformarla nella “società degli affetti”, cambieranno le priorità generali. Ma torniamo a noi. Come reagiranno i nostri bambini di fronte alla scelta di comprare e consumare meno? Finché sono piccoli, in età prescolare, è probabile che non avranno alcuna reazione particolare: i bambini piccoli riservano ai genitori un amore e un’ammirazione sconfinati e quello che va bene per mamma e papà va bene anche per loro.

Quando poi saranno più inseriti nel mondo, frequentando la scuola e confrontandosi tutti i giorni con compagni e amici che vivono realtà diverse, potranno porsi – e porvi – delle domande. Ma non abbiate paura di questo momento perché vi fornisce la preziosa opportunità di spiegare loro che ognuno di noi è unico e speciale e che le famiglie sono tutte diverse. Ciò significa che in ogni casa ci sono regole e consuetudini differenti. E sarà anche l’occasione per insegnare ai nostri figli che la diversità non deve spaventare, perché è preziosa, è una fonte di arricchimento reciproco.


Una spiegazione che torneremo a ripetere in vari momenti della crescita (con una frequenza e un’intensità che dipenderanno dal carattere del bambino e dal contesto in cui è inserito), ma soprattutto che testimonieremo con l’esempio, che vale più di tante spiegazioni teoriche.

Qualche volta non sarà facile, è inutile negarlo, soprattutto se nella cerchia di amicizie dei nostri figli le nostre scelte di consumo risultano molto controcorrente. Però considerate questo: capiterà più volte che le vostre scelte educative non coincidano con quelle di altre famiglie. Bene, voi saprete già come rispondere ai dubbi o alle proteste dei figli e loro conosceranno già le vostre motivazioni. Poi, quando arriverà l’adolescenza, sarete tutti (grandi e piccoli) già rodati…


Ricordiamoci che dire “no” a volte è indispensabile. Per il bene dei nostri figli. I genitori che in nome del quieto vivere dicono sempre “sì” hanno ceduto alla tentazione di abdicare al loro ruolo educativo. Il problema è che si tratta di un ruolo fondamentale per la crescita di un figlio.


Dire di no è difficile soprattutto quando ci si deve mettere contro l’arreso senso comune di tanti genitori, quando si intuisce che occorre affrontare battaglie campali, reazioni isteriche, interminabili silenzi. Eppure fa tutto parte del magnifico mestiere di educare39.

Essere diversi è un problema?

Come se crescerli tutti uguali come criceti fosse un bene condivisibile.
Paolo Crepet

I nostri figli saranno diversi dagli altri? Meno male. Ci mancherebbe di crescere ragazzi tutti in serie.


Non stiamo allevando pecore, stiamo educando esseri umani.

Ce l’hanno tutti!

“Deve avere tutto quello che hanno gli altri” senza eventualmente porsi il problema se tutto quello che hanno gli altri abbia una sua legittimità educativa o sia piuttosto semplicemente il cavalcare un’ondata consumistica di portata colossale.
Daniele Novara

Non abbiamo paura di questa frase. È un’affermazione usata spesso dai bambini/ragazzini per rafforzare le proprie richieste. Ma se i genitori hanno stabilito che un determinato gioco/accessorio non serve o non è adatto al proprio bambino, non potranno certo cambiare linea educativa perché altri genitori hanno deciso altrimenti. Lo abbiamo detto, con i bambini si può e si deve parlare. I genitori accolgono e rispettano i sentimenti del loro bambino, senza sminuire lo scontento e la frustrazione che può provare per il rifiuto ricevuto (“Capisco che quel gioco ti piaceva molto, mi spiace che tu sia triste”), e poi ribadiscono le motivazioni che sono alla base di quel rifiuto.


Se siamo convinti che un “no” sia giusto, che sia la risposta migliore per garantire una buona crescita del nostro bambino, quel “no” deve restare tale. Se non siamo convinti… allora evitiamo di dirlo, meglio dichiarare che ci prendiamo del tempo per riflettere e valutare se accettare o meno la sua richiesta.


Ma è bene che il bambino impari che se gli altri (che poi non sono mai tutti) hanno o fanno qualcosa, non significa che debba averla o farla anche lui. Anche perché oggi è l’accessorio griffato, domani probabilmente “tutti” andranno in discoteca o si divertiranno bevendo alcolici a quattordici o quindici anni… Chi ha trasmesso sin dall’infanzia il messaggio che ogni famiglia ha le sue regole si è portato avanti con il lavoro educativo.


E ogni bambino/ragazzino potrà essere invitato a riflettere sui propri obiettivi: meglio essere uguale a tutti gli altri, uno dei tanti, o essere se stessi, unici e speciali?



Fare meglio con meno si può

Fare meglio con meno negli anni dell’infanzia si può e fa bene a tutti, piccoli e grandi. Comprare meno, inquinare meno, spendere meno. E allo stesso tempo: esserci di più, giocare di più, amare di più.


Investiamo nelle relazioni personali, spendiamo non soldi, ma noi stessi!


I bambini ringraziano!


Il potere dei consumatori

Diciamo piuttosto che non riformeremo forse il mondo, ma almeno noi stessi che, dopo tutto, siamo una piccola parte del mondo; e che ciascuno di noi ha sul mondo più potere di quanto non immagini…
Marguerite Yourcenar

Abbiamo preso in considerazione gli aspetti negativi della società dei consumi. Ora concentriamoci su un dato positivo: non siamo costretti ad essere vittime impotenti del sistema. In una società dove ciò che conta è consumare e far consumare almeno un potere lo abbiamo:


Nella legge del mercato la domanda crea l’offerta, e i consumatori hanno il massimo potere di influenza sulle scelte delle imprese.40


E allora… premiamo le aziende che lavorano bene (rispettando i lavoratori e l’ambiente, offrendo ai consumatori un buon prodotto, sicuro e sano), scegliendo i loro prodotti. Usando il nostro potere di acquisto possiamo indirizzare la produzione verso percorsi ecosostenibili. Come spiega Deborah Lucchetti, esperta di lavoro, diritti umani, globalizzazione e commercio equo:


Oltre a cercare di consumare in maniera critica e consapevole, è altrettanto importante aumentare la nostra capacità di influenzare il mercato e di presentarci come una “massa critica qualificata” che non si accontenta delle comunicazioni e del marketing di chi produce. Cercate, analizzate, domandate e valutate. Poi scegliete.41


Insomma, nel nostro piccolo possiamo fare la differenza. O almeno, possiamo provarci. L’importante è non rinunciare a fare la nostra parte.

Sobrietà, una questione di stile

“Potreste dirmi, per favore, da che parte dovrei andare?” chiese lei.
“Dipende molto da dove vuoi arrivare” disse il gatto.
L.Carroll, Alice nel paese delle meraviglie

Sobrietà è una parola seria, ha un’aria distinta, elegante. Il suo significato nella pratica è ancor più bello. Scegliere la sobrietà vuol dire muoversi nel mondo con misura, con intelligenza, evitando gli eccessi. Sobrietà fa anche pensare a semplicità, all’arte di essere soddisfatti e felici non tanto o non solo di ciò che si possiede, quanto fondamentalmente di ciò che si è.


Quindi non la sobrietà come un ripiego, una strada obbligata in tempi di crisi, che fa sentire limitato o meno fortunato chi la percorre. Al contrario, la sobrietà come scelta, ragionata e consapevole. Eleggere la sobrietà come stile di vita, perché sentiamo che ci rappresenta meglio che il continuo inseguimento dei beni materiali, del lusso, dell’eccesso che ben di rado regalano la felicità.


Quando è uscita la prima edizione di Bebè a costo zero, è capitato che qualcuno chiedesse se era un libro “per i poveri”. Una domanda che la prima volta mi ha colta di sorpresa, anche se in effetti non è strano che nella società dei consumi si fatichi a interpretare la decisione di non consumare (o di consumare meno o di consumare in modo critico) come una libera scelta42. Eppure è proprio qui il segreto: la sobrietà, il consumo critico, sono scelte. La disponibilità economica di chi le compie non è determinante: ci sono famiglie abbienti che hanno deciso di crescere bimbi a costo pressoché zero e ci sono famiglie in difficoltà che si sono indebitate per acquistare ricchi corredi di accessori griffati. Per qualcuno la crisi economica di questi anni ha rappresentato l’occasione per riflettere sul proprio stile di vita e di consumo. Ma sarebbe veramente riduttivo riportare tutto al discorso economico, qui stiamo parlando di ben altro… di scelte di vita che possono fare la differenza in termini di felicità e soddisfazione personale. Come si legge nel volume Invito alla sobrietà felice:


la minor disponibilità di certi beni, il “vivere nei limiti”, l’accettare anche un rallentamento nello sviluppo delle proprie condizioni di vita, produce spesso frutti belli e saporiti: quando si può, camminare è meglio che correre, non solo perché stanca meno, ma perché permette di vedere, osservare, gustare il terreno che si attraversa. L’esempio ci aiuta a capire che la “sobrietà felice” è il recupero di spazi di vita che il mito moderno del “più, più in fretta, più lontano”, ci aveva sottratto.43

Il conseguimento della felicità non passa dal catalogo di consigli per gli acquisti: svincolarsi dalla continua rincorsa del soddisfacimento di desideri imposti dall’esterno permette un miglior equilibrio e anche un miglior utilizzo delle proprie risorse economiche ed emotive.44


Insomma, in discussione non è tanto come e cosa acquistare, ma come e di cosa essere felici.


C’è bisogno di un’autentica “rivoluzione culturale” che nasca dal cuore, che parta dalla convinzione profonda che l’abbondanza non è sinonimo di felicità.45

Una scelta giusta
Occorre vivere più semplicemente
per permettere agli altri semplicemente di vivere.
Ernst F. Schumacher
Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate,
ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla.
Martin Luther King

Si può scegliere di consumare meno per molti motivi. Perché ci si accorge di essere più felici se si rallenta un po’, perché si è affascinati dall’ideale della sobrietà, perché si ritiene che il consumo critico sia l’unica forma di consumo intelligente, perché ci sono meno soldi da spendere, e perché… ci si accorge che è la cosa giusta da fare. E qui con giusta intendiamo eticamente giusta. Giusta nei confronti del resto dell’umanità e del pianeta.

Come ben riassume padre Zanotelli, missionario in Kenia:


Solo se il 20% del mondo consumerà di meno, l’altro 80% potrà tornare a sperare.


Diventare consapevoli del fatto che le proprie azioni si ripercuotono anche al di fuori delle mura domestiche ci permette di scoprirci parte integrante di qualcosa di più grande.


Avere a cuore le sorti dell’umanità e del pianeta e scoprire la connessione tra le nostre piccole azioni quotidiane e i grandi problemi ambientali e sociali porta gradualmente a cambiare la nostra vita di tutti i giorni, il nostro modo di vestire, di abitare, di mangiare, di fare la spesa, di consumare e di risparmiare.46

Salviamo il pianeta… dei nostri bambini!

L’umanità sta vivendo a spese della sua carta di credito ecologica.
Il superamento dei limiti, alla fine, estinguerà il patrimonio del pianeta.
Mathis Wackernagel
L’educazione è il momento che decide che noi amiamo abbastanza il mondo
da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina.
Hannah Arendt

Se ne sente parlare così spesso che non fa più notizia. Risorse in via di esaurimento, inquinamento… Quasi non ci facciamo più caso. Ma la situazione del pianeta non può lasciare indifferenti. È l’unico mondo che abbiamo! E il punto della situazione, espresso in parole povere, è che lo abbiamo quasi finito. Passi per noi, ma… i nostri figli?

Fred Pearce, consulente ambientale di New Scientist, spiega:


La Terra costituisce un sistema naturale che rigenera molte risorse. Allo stato attuale essa ha però bisogno di quasi 15 mesi per rigenerare quello che noi usiamo in 12. Tagliamo gli alberi più velocemente di quanto ricrescano; preleviamo nutrienti dal suolo più rapidamente di quanto si ricostituiscano; deprediamo gli stock ittici più velocemente di quanto si rigenerino ed emettiamo anidride carbonica più velocemente di quanto la natura riesca ad assorbirla.47


L’ingiustizia è eclatante, anche perché siamo in pochi a decidere le sorti di molti:


I paesi “spreconi” devono finora ringraziare il fatto che l’80% povero – o relativamente povero – dell’umanità usa solo il 20% delle risorse. Se tutti consumassero come i Paesi ricchi del pianeta, di pianeti ce ne vorrebbero molti48.


Ma il torto più grave è forse quello nei riguardi di chi verrà dopo di noi.


In questo momento storico la preoccupazione per le future generazioni è quanto mai giustificata. Ogni volta che consumiamo irrimediabilmente una quota di natura dobbiamo pensare che si tratta di una quota sottratta ai nostri figli. Ogni volta che inquiniamo, dobbiamo pensare che stiamo avvelenando il loro futuro. In un regime di abbondanza di risorse e di spazi, questa non sarebbe una preoccupazione. Il problema è che noi abbiamo la sensazione di trovarci in una situazione di abbondanza, mentre in realtà viviamo ad un livello di consumi e di emissioni che va oltre la capacità di carico della Terra; lo stesso livello, quindi, non può essere garantito ai nostri figli.


Cancellando dalla nostra visione del mondo il concetto di limite, lo abbiamo oltrepassato senza accorgercene. Ma così abbiamo invaso il terreno che spettava alle future generazioni, oltre che agli altri popoli.49


Ecologia: e se non ci interessa?

Ci sono persone dotate di una profonda sensibilità ecologica. Persone che sin da giovani si preoccupano delle sorti dell’ambiente e fanno attenzione all’impatto ambientale del loro stile di vita. E poi ci sono persone che a questi argomenti non hanno mai badato molto. È normale, non siamo tutti uguali. Però quando diventiamo genitori qualcosa cambia. Perché questo fantomatico pianeta, di cui magari non ci siamo mai preoccupati più di tanto, all’improvviso diventa il pianeta del nostro bambino. È la casa dei nostri figli e dei nostri nipoti quella che stiamo inquinando. Le risorse consumate mancheranno a loro. Smaltire i nostri rifiuti sarà un problema loro. A questo punto non possiamo più “chiamarci fuori”, urge una riflessione collettiva sulle sorti di quel mondo che, come recita il proverbio dei nativi americani, “non abbiamo ereditato dai nostri padri, ma abbiamo preso in prestito dai nostri figli”.


Crescere bambini felici

Il materialismo è correlato alla bassa autostima
con livelli più elevati di depressione e ansia.
Juliet B. Schor
La felicità non nasce dal denaro e dal successo materiale,
bensì dall’amore per le cose semplici,
dal calore di una famiglia, dalla serenità interiore.
Sergio Bambarén

Viviamo in una società dove l’ideale della felicità è quasi sempre accostato al benessere materiale, al possesso, al denaro. Certo, i soldi servono, sono necessari, ma la felicità è altro. Questo vale in qualunque periodo della vita e di sicuro vale nell’infanzia, quando possedere molto non c’entra proprio nulla con la felicità. I bambini, che sono saggi, lo sanno. Molti adulti lo hanno dimenticato.


Aiutiamo i nostri bambini a conservare la loro saggezza. Non lasciamo che la società dei consumi si impadronisca dei loro sogni e dei loro desideri. Qui non si tratta di risparmiare; in gioco c’è molto di più del nostro bilancio famigliare. Il nostro dovere è quello di proteggere il più possibile i primi anni dell’infanzia dal condizionamento della società dei consumi, per permettere ai nostri figli di crescere liberi.


Educare i bambini a ciò che è essenziale e necessario li rende contenti di ciò che hanno e permette alle famiglie non solo di risparmiare denaro ma anche di liberarsi dalla schiavitù dell’iperconsumo.50


Quando si diventa genitori, dal momento in cui un figlio entra nella nostra vita, noi diventiamo un esempio. Insegniamo ai nostri bambini in ogni momento, non tanto con le parole, che servono ma sono solo una piccola parte di quello che trasmettiamo loro. Insegniamo con i gesti, le azioni, le scelte, piccole e grandi, di ogni giorno. I figli non imparano quello che raccontiamo loro, ma quello che siamo.


Sta a noi, dunque, indicare al nostro bambino quella che riteniamo sia la strada per la felicità. Poi toccherà a lui percorrerla, con il suo passo, negli anni della giovinezza e dell’età adulta. Con il trascorrere degli anni scoprirà percorsi e valuterà alternative, si perderà e ritroverà la strada, si farà guidare dalla mente e dal cuore. Ma la prima indicazione saremo noi ad offrirla. A noi l’onore e la responsabilità di mostrare quello che riteniamo possa essere il traguardo. Possiamo trasmettergli un desiderio. Quello di possedere molto. O… quello di amare molto.

Per una società dell’amore

Non ho bisogno che sia facile, ho bisogno che ne valga la pena.
Lil Wayne
Tutti pensano a cambiare l’umanità ma nessuno pensa a cambiare se stesso.
Lev Tolstoj
I bambini sono i messaggi viventi che inviamo a un tempo che non vedremo.
Neil Postman

I nostri bambini sono venuti alla luce nella società dei consumi. È vero. Però noi possiamo provare a farli crescere nella società degli affetti, dell’amore. Possiamo iniziare noi, nel nostro piccolo, a costruirla, questa società dell’amore.


Dovremo camminare controcorrente. Qualcuno non capirà. Qualcuno criticherà. È normale, e non sarà questo a fermarci, giusto?


L’amore è un fenomeno marginale nella società occidentale moderna. E questo non tanto per le molte occupazioni che impediscono l’attitudine ad amare ma soprattutto perché lo spirito della società moderna si basa sulla produzione. Pertanto occorre un anticonformismo difficile per uscire da tale spirale. Coloro che credono nell’amore sono pochi. La nostra società è regolata da una burocrazia direzionale, che ha un’idea fissa: produrre di più, consumare di più. Il fine della vita è diventato questo. Le attività sociali, familiari, individuali sono subordinate a scopi economici. I “mezzi” sono diventati “fini”. (…)


Se è vero che l’unica soluzione valida al problema dell’esistenza umana è l’amore, è anche vero che ogni società che escluda la crescita dell’amore, pagherà pesantemente le proprie contraddizioni. In realtà parlare d’amore significa parlare dell’unico vero bisogno dell’essere umano51.


E se anche fosse difficilissimo invertire la tendenza e costruire pian piano una società degli affetti, i genitori sono, tra tutti, quelli che hanno più probabilità di riuscirci, perché la loro motivazione è potente: agiscono per il benessere e per la felicità dei loro bambini!

Bebè a costo zero crescono
Bebè a costo zero crescono
Giorgia Cozza
Meno oggetti e più affetti per crescere felici dalla prima infanzia alle soglie dell’adolescenza.Una guida al consumo critico, con consigli pratici per crescere bambini sereni, imparando a distinguere tra vere esigenze e bisogni indotti dal consumismo. Per un figlio, solo il meglio. Ma cos’è il meglio per un bambino?Giorgia Cozza risponde alla domanda che era stata il punto di partenza di Bebè a costo zero, la guida al consumo critico per futuri e neogenitori.Ora, in Bebè a costo zero crescono l’attenzione si sposta sui bambini più grandi, a partire dai 2 anni di età, fino alle soglie dell’adolescenza, perché se accogliere un bimbo a costo pressoché zero è possibile, è possibile anche crescerlo serenamente senza affrontare continue spese. L’ebook di questo libro è certificato dalla Fondazione Libri Italiani Accessibili (LIA) come accessibili da parte di persone cieche e ipovedenti. Conosci l’autore Giorgia Cozza è una mamma-giornalista, specializzata nel settore materno-infantile, autrice di libri per bambini e numerosi manuali per genitori, divenuti un importante punto di riferimento per tante famiglie in Italia e all’estero.È stata relatrice in numerosi congressi per genitori e operatori del settore e ospite di trasmissioni televisive per rispondere a quesiti legati all’accudimento dei bimbi e a uno stile genitoriale ecocompatibile.