CAPITOLO XIII

Voci di esperti

Salute: fare meglio con meno si può

La scienza medica progredisce e si hanno a disposizione farmaci innovativi, tecniche diagnostiche sofisticate, migliori possibilità di curarsi. D’altro canto sempre di più la spinta dell’industria farmaceutica e il diffondersi di pratiche non basate sull’evidenza scientifica e sostenute da timori infondati, rendono le cure mediche un settore in cui lo spreco è all’ordine del giorno. Questo problema è ancor più pressante in ambito pediatrico dove le mamme e i papà, che non sono più sostenuti dalle competenze genitoriali offerte dalla famiglia allargata (per crescere un bambino ci vuole un villaggio, si dice in Africa), si rivolgono a figure professionali come quella del pediatra in modo pressante e con alte aspettative, spingendo all’utilizzo improprio di farmaci.


I bambini si ammalano. Si ammalano perché il loro sistema immunitario è ancora “vergine” e deve imparare a rispondere e a difendersi dai comuni germi presenti nell’ambiente. Inoltre i bambini spesso vivono in comunità (come gli asili) dove la presenza di molti bambini in ambienti chiusi (e spesso poco areati per la paura degli spifferi) rendono ancora più facile l’esposizione a germi che possono causare banali infezioni.


I bambini sani guariscono dalle infezioni nella maggior parte dei casi spontaneamente. I bambini sani che conducono una vita salubre, che si muovono, giocano, stanno all’aria aperta, consumano cibi salutari hanno le potenzialità per combattere le banali infezioni. Compito del bravo medico sarà sorvegliare e monitorare, non far calare l’attenzione, individuare le infezioni più gravi o quei pochi bambini che sani non sono e che hanno bisogno di più. Compito del genitore sarà affidarsi, senza ansia, non aspettarsi la pillola magica che guarisce il raffreddore, attendere.


Dati presentati nel 2011 all’istituto Mario Negri evidenziavano come la maggioranza dei bambini italiani, nonostante sia sana, assume in media 3 farmaci ogni anno per le comuni malattie dell’infanzia. Il 52% dei bambini italiani assume almeno un antibiotico durante l’anno, contro il 14% dei bambini inglesi. Questo nonostante la gran parte delle infezioni stagionali che affliggono i piccoli sia virale e non necessiti quindi di terapie antibiotiche.


Altro abuso, tipicamente italiano, è quello dell’aerosol. L’apparecchio nebulizzatore, meglio noto come aerosol, presente nella maggioranza delle famiglie con bambini, è nato per trasportare i farmaci nei polmoni. Con questo apparecchio vengono, infatti, prodotte particelle molto piccole che arrivano direttamente alle diramazioni terminali dei bronchi. Questo significa che l’aerosol è utile solo in rari casi di patologie che interessano i bronchi e non serve mai quando l’infiammazione coinvolge il naso e le prime vie respiratorie.


Altro spauracchio è la febbre, mostro per il quale vengono utilizzati fiumi di farmaci antipiretici. La febbre è un sintomo, una risposta dell’organismo all’infezione, e di per sé non provoca danni né conseguenze. I farmaci che tengono bassa la temperatura corporea sono tutti potenzialmente tossici e vanno utilizzati solo ai dosaggi e con le tempistiche adeguate e solo nell’ottica di far star meglio il piccolo malato, non di certo per farlo guarire prima.


Se a ciò aggiungiamo l’abuso di integratori, sciroppi e prodotti, peraltro spesso costosi, prescritti e utilizzati senza che vi sia un’evidenza scientifica, ma solo per tranquillizzare i genitori si capisce come la prospettiva di una medicina più sobria ricada in primis sulla salute ma poi anche sui portafogli delle famiglie.


Come affrontare il problema? Innanzitutto aumentando le competenze e la fiducia dei genitori, parlando e ascoltando, insegnando loro quali sono i segni di vero pericolo e visitando i bambini una volta in più piuttosto che prescrivendo un farmaco in più.

Elena Uga, pediatra della Struttura Complessa di Pediatria dell’Ospedale S. Andrea di Vercelli

e membro del Gruppo Pediatri “Per Un Mondo Possibile”


Per approfondire l’argomento

Letture

Bambini e (troppe) medicine di Franco De Luca (Il leone verde, 2009). L’autore è un pediatra che offre tanti suggerimenti per prendersi cura del benessere dei bambini evitando di ricorrere a farmaci quando non servono. “Le prescrizioni di farmaci non necessari” scrive, infatti, De Luca, “determinano danni immediati e futuri alla salute dei bambini e anche danni alla collettività, perché rafforzano quella cultura di ‘medicalizzazione’ che tende a dare sempre una risposta farmacologica a problemi che potrebbero essere risolti diversamente e favoriscono l’inclinazione dei genitori a delegare al medico e al farmaco ogni problema che riguardi la salute dei propri figli. Esistono certo delle malattie infantili che richiedono un trattamento medico adeguato e addirittura l’ospedalizzazione, ma la maggior parte dei disturbi dell’infanzia può essere gestita da genitori fiduciosi del loro buon senso e delle loro capacità di accompagnare con semplici rimedi, privi di effetti collaterali, il processo di autoguarigione del bambino”.


Sotto il camice niente? di Lucio Piermarini (Bonomi, 2011). Facendo il punto sulla situazione della pediatria in Italia, il pediatra Piermarini svela al lettore cattive abitudini e lacune del Sistema Sanitario Nazionale. Ma castigando i cattivi costumi, si vuole far tesoro delle esperienze, imparare dagli errori per capire cosa ognuno di noi può fare per la salute propria e per quella dei propri figli, insieme alla parte buona del Servizio Sanitario, che per fortuna è ancora prevalente.


Siti web

www.acp.it - Sito dell’Associazione Culturale Pediatri, con una sezione dedicata ai genitori che contiene articoli legati alla crescita e alla salute del bambino.


www.nograziepagoio.it - Sito di un gruppo di operatori della salute che “vigilano” sul rapporto tra operatori sanitari e industria del farmaco, segnalando eventuali conflitti di interesse. Con articoli e informazioni utili per i futuri e neogenitori.


www.slowmedicine.it - L’idea che i fondatori di Slow Medicine condividono è che cure appropriate e di buona qualità e un’adeguata comunicazione fra le persone riducano i costi dell’organizzazione sanitaria e gli sprechi, promuovano l’appropriatezza d’uso delle risorse disponibili, la sostenibilità e l’equità dei sistemi sanitari, migliorino la qualità della vita dei cittadini.


Nuove soluzioni per una scuola sostenibile

Zaini griffati, diari omologati, astucci multipiano con infinite cerniere ed elastici, pastelli, pennarelli, colle, gomme, forbici e matite dalla brevissima aspettativa di vita per smarrimenti e rotture, che costringono i genitori ad acquisti seriali nel corso di tutto l’anno scolastico. Prima o poi arriviamo tutti alla soglia del turbinio da acquisti scolastici e alle domande che pone.

Quali alternative abbiamo per rendere sostenibili e sensati l’esperienza scolastica e i consumi ad essa connessi?


Alcune scelte sono spendibili in autonomia dai genitori, quella di farsi o meno condizionare dall’oggettistica ispirata ai personaggi in voga in quella stagione (che non durano molto più di un giro di calendario) o di marcare in modo riconoscibile gli attrezzi scolastici in modo da rintracciarne almeno una parte prima che vengano risucchiati dal grande buco nero che è un pavimento di classe di scuola primaria o l’acquisto di libri usati nella scuola secondaria (case editrici e buon senso degli insegnanti permettendo). Altre scelte però devono essere almeno concordate con gli insegnanti della classe, che ci auguriamo siano disponibili ad accogliere qualche proposta fatta con spirito costruttivo di partecipazione alla vita extracasalinga dei nostri figli.


Il più semplice degli stratagemmi per gestire al meglio il materiale scolastico con un’attenzione anche all’aspetto educativo è quello di condividere tutto ciò che si presta a questa pratica: pennarelli, pastelli, forbici, colle che all’inizio dell’anno vengono consegnati agli insegnanti, ritirati in armadio e messi di volta in volta in contenitori da cui tutti possono attingere in uno o due angoli della classe. Con questa soluzione il materiale scolastico non è più proprietà privata ma collettiva, si può stabilire che a turno i bambini ne abbiano cura temperando le punte di matite e pastelli, verificando che tutti i pennarelli abbiano il loro tappo o segnalando alle insegnanti la necessità di ripristinare ciò che è esaurito; una scelta semplice con grandi benefici per le tasche dei genitori e per il senso di condivisione e responsabilità dei bambini.


Un piccolo astuccio che contenga ciò che conviene rimanga a gestione individuale (una matita, due biro e un temperino) e potrà essere oggetto di scelte più originali, magari anche di autoproduzione casalinga.

Un’altra questione è quella degli zaini iperdimensionati… qui il tema, al di là della facile riflessione su mode e griffe stagionali, è molto più didattico e coinvolge ancora di più le scelte degli insegnanti. Non sarà un caso che la sperimentazione di scuola pubblica che gode di maggiore salute negli ultimi anni vada sotto il nome di Scuole Senza Zaino (www.senzazaino.it), esperienze didattiche con una forte riduzione dei compiti a casa grazie a modalità di insegnamento e apprendimento che permettono di imparare moltissimo a scuola senza dover sommare al tempo in aula anche lunghi e pesanti (per le spalle e non solo) compiti a casa. Nelle scuole Senza Zaino si va con borse molto più leggere ed informali trovando a scuola ciò che occorre, sia dal punto di vista materiale che cognitivo. Le sezioni montessoriane, presenti e attivabili anche nella scuola pubblica, non prevedono compiti grazie a un approccio all’apprendimento centrato sui materiali e sulle esperienze proposte in classe.


Sono percorsi possibili, per una comunità educante in cui i genitori sono i protagonisti insieme agli insegnanti.


Una scuola che riflette e sceglie, insieme ai genitori, sulle “cose”, è inevitabilmente una scuola che coglie l’occasione per andare più a fondo sulle ragioni delle pratiche secolari che vengono anno per anno riproposte, ripensandole anche con i bambini e trovando soluzioni buone per le nostre tasche e per il loro futuro.

Sonia Coluccelli, maestra di scuola primaria

a indirizzo montessoriano1

Tecnologia? Pensa!

Ebbene sì, la tecnologia avanza e sovrasta!


Sembra ormai raro vedere una persona beatamente seduta in una panchina a guardarsi attorno; oppure che gira fra i giochi accanto al proprio figlio o che chiacchiera aspettando una pizza al ristorante. Non esistono più i sani tempi vuoti!


A questo proposito, fino a non molto tempo fa, avendo la porta del mio studio proprio davanti alla sala d’attesa, mi accorgevo dell’arrivo dei miei piccoli pazienti per il fragoroso rumoreggiare dei bambini che svuotavano la scatola giochi a disposizione e per il chiacchierio di sottofondo degli adulti.


Ora invece regna il silenzio! I miei giochi per i piccoli sono per lo più ignorati e sostituiti da eleganti e lineari tablet, smartphone con videogiochi, cartoni e quant’altro possa far stare in silenzio/assenza il bambino. Bambini che, fin da piccoli, gestiscono cellulari con una “preoccupante” naturalezza.


I dati di alcune ricerche rilevano che se nel 2005 gli adolescenti venivano in possesso di un telefono cellulare mediamente a 12 anni, nel 2010, l’età si è abbassata drasticamente e i ragazzi più piccoli hanno avuto quasi tutti il cellulare già a partire delle scuole primarie. Il cambiamento riguarda anche il tipo di telefonino utilizzato, infatti rispetto al decennio scorso, perfino la generazione dei più giovani, è entrata in possesso degli smartphone più tecnologici. Una tale disponibilità di svaghi tecnologici ha avuto come conseguenza un drastico aumento di ore che gli adolescenti (e non solo) trascorrono “in compagnia” del proprio cellulare, estraniandosi dal mondo reale. I genitori sono ormai sempre più alle prese con castighi e premi che riguardano il togliere o dare smartphone o play. L’effetto sulle relazioni interpersonali è davanti ai nostri occhi ogni giorno.

Ma cosa sta accadendo? Cosa hanno di tanto appetibile queste tecnologie da agganciare la nostra vita fino a questo punto?


Il telefonino, e tutta la tecnologia correlata, viaggia sulla linea d’onda dell’immediatezza. Più sono veloci e più sono validi e tecnologici. Non è contemplata l’attesa, la pausa, ma il tutto e subito. La vita con la tecnologia appare quindi semplificata, veloce e i bisogni soddisfatti all’istante. Nella vita reale, però, il risultato diretto del “tutto e subito” si traduce nella difficoltà di tollerare il non immediato soddisfacimento del bisogno. Se cerco una persona al telefono la voglio trovare subito, se ho bisogno di conoscere un’informazione pretendo di trovarla immediatamente. La tecnologia permette questo, e ci allena ad avere tutto facilmente. Quando ciò non avviene, il nostro sistema va in tilt, siamo sempre più intolleranti alle frustrazioni, anche minime.


Ecco quindi che stiamo perdendo l’allenamento sano alla vita reale e intossichiamo la nostra psiche di strutture pericolosamente fragili, che ci fanno credere che tutto si può ottenere con facilità, che il tempo è sempre pieno, che comunicare è digitare con una tastiera, che condividere significa mettere in vetrina la propria vita.


Suggerisco delle vere e proprie “norme igieniche” nell’uso delle tecnologie, da condividere a livello familiare, ricordandoci che il nostro modello vale più di molte parole. Sono certa che ognuno di noi, se si ferma a riflettere, saprà cosa è meglio per sé e la propria famiglia. L’importante è riuscire a fermarsi e pensare!

Lara Catanese, psicologa e psicoterapeuta a Loano2

Giocare con poco: un’arte da riscoprire

Nativi digitali: così possono essere etichettati i bimbi d’oggi, circondati come sono da tecnologie di ogni genere, con le quali interagiscono sin dai primi momenti di vita. Il gioco, durante la crescita, diviene così facilmente informatico e sperimentato sotto forma di video-gioco. Il tema è molto discusso, specialmente in ambito psicologico e sociologico. Di fondamentale importanza è un’educazione a un uso consapevole e intelligente del mezzo tecnologico, affiancato però a una riscoperta del gioco “reale”. Questo va scelto e proposto con coscienza e responsabilità nei confronti dell’ambiente e dei bambini, per permettere loro una crescita serena e positiva. Il gioco, infatti, permette di sviluppare creatività, autoconsapevolezza, autostima, favorendo l’apprendimento di diverse competenze che il bambino utilizzerà nel corso di tutta la vita. Il cervello stesso, che durante il primo anno di vita ha uno sviluppo neuronale molto significativo, si modella e si forma grazie agli stimoli ambientali e sociali che ha la possibilità di esperire.


L’uso di giochi non strutturati e non preconfezionati porta a un aumento della capacità di esplorazione e alla possibilità di provare l’emozione della scoperta. Il medesimo oggetto può essere sfruttato in più modi, si può trasformare e, come per magia, divenire un gioco nuovo. In casa si possono individuare numerosi oggetti utili allo scopo, che possono stimolare il bambino a mettere in campo la sua fantasia e contribuire allo sviluppo di una mente capace di trovare soluzioni diverse e di affrontare situazioni e problemi con creatività e ingegno.


È importante che il genitore, senza paura, si educhi ed educhi al riciclo e al riuso, sfruttando materiali di scarto come possibile mezzo di gioco e relazione. La creazione e la costruzione di giochi può rappresentare un ponte, un canale che nutre e rafforza la conoscenza e il legame tra genitore e figlio. Prendersi del tempo e dello spazio per inventare un nuovo gioco promuove l’empatia e la comprensione reciproca: è un gesto d’amore.


In base alle diverse fasce di età e al livello dello sviluppo raggiunto da un bimbo, si propongono differenti oggetti e materiali. Il bambino dai tre ai cinque anni può utilizzare i più semplici e immediati, come stoffe, scatole, bottiglie di plastica, tappi, vasetti di vetro, di plastica, carta di giornale e molti altri. Anche gli oggetti di uso quotidiano in cucina sono davvero interessanti! Pentole sonanti, bicchieri, cucchiai, sbattiuovo, carta stagnola possono far sentire un bimbo un vero musicista o un direttore d’orchestra! Spugne, spazzolini, spazzole da cucina divengono utili per dipingere e utilizzare i colori, attraverso tecniche differenti. Scatole e scatoloni si trasformano in tunnel o percorsi che sollecitano lo sviluppo motorio o l’apprendimento di concetti essenziali come il “dentro-fuori” o il sopra-sotto”. Vecchie tende o lenzuola divengono un mare, un cielo, una nuvola in cui potersi tuffare.


Per i bambini in età scolare il principio è il medesimo. Essi affinano competenze già acquisite e ne conquistano altre. I materiali e gli oggetti sono gli stessi, ma il bambino è capace di inventare giochi più complessi e strutturati. Particolarmente indicati per questa fascia d’età sono il legno, la pasta di sale da modellare, le stoffe e altro ancora con cui creare opere d’arte. Foglie, fiori, pigne, sassi da ricalcare, decorare, da trasformare in timbri e pennelli. La creazione di un tavolo luminoso può essere utile per studiare gli oggetti e conoscerli meglio. Divertirsi con luci e ombre è facile, attraverso il semplice gesto di creare l’atmosfera nel buio e con l’ausilio di una pila e una parete bianca.


Questi sono solo alcuni esempi di ciò che si può proporre, ed è importante che sia il bambino stesso a poter esplorare lo spazio e scegliere liberamente ciò che in quel momento è di suo interesse. Non che l’appartamento debba essere a sua completa disposizione; è importante che sin da piccolo comprenda il significato degli spazi e l’esistenza di confini e limiti. Piuttosto occorre creare, all’interno della casa, spazi non pericolosi, nei quali il bambino si senta a suo agio nel curiosare e abbia libero accesso a cassetti, armadi e contenitori vari. Per quanto riguarda i bambini più grandi può essere utile mettere a loro disposizione una tavola di legno appesa ad una parete o posta sul pavimento, una tavola “da lavoro”, dove potersi sbizzarrire con colori e creazioni senza creare eccessivo scompiglio.


Educare al riuso e al riciclo è una scelta che richiede impegno al genitore, che per primo si deve mettere in gioco per prestare attenzione a conservare materiali, a recuperarli in natura, a creare spazi adeguati, a dedicare del tempo nel costruire oggetti. È una scelta, però, che permette un risparmio economico, anche non trascurabile, e garantisce al bimbo la possibilità di mantenere la mente attiva e viva, evitando di accumulare giochi il cui destino è finire presto nell’armadio, dimenticati, soli e tristi.


Chi educa al riciclo insegna a non sprecare, a dare valore a ciò di cui si dispone, ad accontentarsi di ciò che serve. Le nuove generazioni possano crescere, così, in una prospettiva contraria al consumismo sfrenato e a alla filosofia dell’usa e getta, oggi imperanti, che impediscono, in definitiva, di godere realmente delle cose e crescono adulti fragili, insoddisfatti e poveri dentro.

Francesca Gusmeroli, psicoterapeuta sistemica e coordinatrice del Nido Mimì&Cocò di Sondrio

Il gioco al tempo dei dinosauri…

Vivo in un condominio di villini, la mia stradina è a fondo cieco e i miei figli sono cresciuti lì. Era bellissimo vederli giocare insieme, un gruppetto di bambini e bambine di tutte le età, dai primi passi alla preadolescenza, del tutto autogestito. Giocavano un po’ per strada un po’ nei giardini dell’uno o dell’altro, decidendo loro ogni cosa. Chi era più vicino a dove stavano si affacciava e li sorvegliava senza troppe ansie, perché avevano presto imparato ad autocontenersi nelle loro attività. C’era un triciclo di plastica che veniva usato esclusivamente come rialzo per arrivare a suonare i campanelli degli amici, ed era sempre parcheggiato davanti a casa dell’uno o dell’altro. Stiamo parlando di bande di bambini dai 3 ai 5-6 anni. Raramente avevamo bisogno di intervenire, decidevano loro quando giocare, dove giocare, a cosa, per quanto tempo e con chi; litigavano e facevano pace, contrattavano, i grandi badavano ai piccoli. Gli smartphone e i tablet erano oltre l’orizzonte… ben pochi giocattoli venivano usati, si giocava col fango, le foglie, l’acqua, i rami secchi. Si giocava anche con nulla, puro movimento e drammatizzazione di storie create sul momento. “Noi eravamo esploratori”… una dimensione molto naturale che purtroppo abbiamo perso oggigiorno, specie nelle città. Io bambina negli anni ’50 e ’60, ma cittadina, vivevo in casa, e mia madre “mi portava a giocare” dagli amichetti o ai giardinetti due, tre volte a settimana. La decisione di chi, dove e quando nasceva per forza di cose da loro, i genitori, e non da noi, i bambini diretti interessati… inevitabile ma triste!

Di rado le abitazioni di oggi hanno la struttura adatta per il gioco di cortile, con la possibilità per gli adulti di affacciarsi e controllare dall’alto… Ma si è anche persa un po’ la cultura di questa dimensione. Io credo invece che il patrimonio di competenza sociale che può acquisire un bambino con questo tipo di esperienza sia inestimabile, e lo porti ad essere già molto capace di relazionarsi in modo autonomo, sociale, assertivo ancor prima di cominciare la materna. Di fatto, la possibilità per i bambini di scegliersi i compagni di gioco, il momento, il luogo, di proporre e rifiutare, di iniziare e interrompere a volontà, crea i presupposti per un’esperienza su misura che permette loro di sviluppare le competenze sociali nel modo ottimale. Il gioco non strutturato, autodiretto, stimola la creatività e l’abilità di generare regole funzionali all’interno del gruppo di pari, valorizzando le risorse di tutti.


Per chi non ha la possibilità di usufruire del cortile sotto casa sarebbe bello trovare insieme spazi e modi per ricreare il più possibile queste situazioni di gioco libero, piuttosto che spendere per riempire le giornate di attività predefinite, che richiedono al bambino ulteriori prestazioni piuttosto che dare via libera alla creatività. In poche parole, si divertono di più creando da soli la magia del gioco, tutti insieme…


Ora i miei figli hanno 32 e 25 anni e ancora si ricordano dei tempi in cui salivano e scendevano dai muretti e scavalcavano cancelli giocando giochi avventurosi e di fantasia o facendo corse avanti e indietro sulle bici nella loro “stradina”.

Antonella Sagone, psicologa

e consulente professionale in allattamento a Roma3

Leggendo… si cresce!

Mi piace pensare che leggere sia una tra le attività umane che più di altre chiami in causa il tema dell’educazione. E a ben guardare su più livelli. All’inizio, nei primi anni, la lettura è condivisa, la mediazione con l’adulto è fondamentale e il libro può diventare una cassa di risonanza della relazione tra grandi e piccoli. La componente fisica è essenziale: la vicinanza, il tenere in braccio, la mamma, il papà, la nonna… diventano poltrone comode; compiti dell’adulto sono reggere il libro, sfogliare, indicare con le dita, osservare le reazioni e attendere.


E ancora l’adulto usa la voce che si esprime nel tono, nel suono e nel ritmo. Con il passare del tempo alcune azioni si modificano perché le autonomie del bambino crescono. Vogliono essere loro a tenere il libro e magari scegliere cosa leggere, sfogliano le pagine, indicano le figure, emettono suoni che piano piano diventano parole… leggono. E poi un giorno prendono il libro e lo sfogliano da soli. Questo è un altro livello nel quale accade educazione. Il bambino vive in autonomia l’esperienza del libro, un oggetto che ha qualcosa di interessante da raccontare. Un libro è un punto di vista sul mondo e quindi è un modo di entrare in relazione con esso e apprenderne i contenuti. E il cerchio si chiude quando sento il desiderio di condividere con gli altri quello che ho appreso… Naturalmente questo passaggio è graduale e la presenza costante e attenta dell’adulto fa la differenza.


Il libro dà punti di vista sulla realtà attraverso racconti e immagini, e l’adulto media. E tutto questo a quale costo? Certamente un grande guadagno in termini di benessere della relazione educativa. Per sostenere e accompagnare i figli nel percorso di crescita i genitori mostrano loro punti di vista sul mondo che siano la materia prima per la costruzione dei loro originali, unici e irripetibili punti di vista, per diventare adulti consapevoli domani.


I libri hanno potere come ci ha insegnato la storia di ieri e di oggi. Pensate ai tempi in cui i libri venivano scritti in lingue non conosciute dai più per evitare la lettura in autonomia, o ancora ai roghi di libri, così detti “proibiti”, perpetrati in tutte le epoche.


E in termini economici? È vero, lo so, che gli albi illustrati (di qualità) hanno un costo impegnativo, ma quando li acquistate riflettete sul fatto che state diventando proprietari di un’opera d’arte! Per il resto esistono le biblioteche, ma anche molti mercatini dell’usato! E a volte delle splendide svendite!

Lorenza Comi, pedagogista (ANPE)4

Il tempo è denaro: il valore della condivisione

Quando mi è stato chiesto di aggiungere a questo libro una mia riflessione mi sono fatta un po’ di domande, e ne ho fatte anche a mia figlia. La mia riflessione è nata proprio da una conversazione con Ludovica, che ha da poco compiuto 7 anni. Giorni fa mi ha chiesto quanto mancasse all’arrivo del Natale, momento tanto atteso dai bambini proprio perché portatore di tanti, anzi troppi – aggiungerei – doni, che molto spesso finiscono con l’occupare spazio nelle già piccole camerette dei nostri figli. Mettendo da parte il discorso relativo al Natale, ritengo che molti genitori compensino la scarsità di tempo che possono regalare ai loro figli, proprio con l’acquisto di doni, anche senza un’occasione speciale da festeggiare. In questo modo i bambini perdono la gioia che si prova ricevendo un regalo quando è il giusto momento, e tutto diventa quasi dovuto e scontato.


Ma il vero dono è proprio davanti a noi: “Tempo per loro”.


Basterebbe ritagliare nelle proprie giornate dei momenti unici, speciali, che diventino per i nostri figli rituali di coccole e affetto, che senz’altro riempirebbero i vuoti che nella nostra frenetica e moderna società tendiamo a lasciare in loro e che sono alla base della ricerca costante di novità: il giocattolo nuovo o qualsiasi sostituto “virtuale” del calore del genitore.


La lettura di un libro, un picnic inaspettato al parco, una torta fatta insieme, creare oggetti con la carta, via libera alla fantasia assecondando il loro bisogno di attenzione e di contatto.


Comprendo come mamma l’affanno che noi genitori tutti i giorni abbiamo: lavoro, scuola, casa, spesa; anche la mia vita è una corsa, e talvolta faccio anche io molta fatica a ritagliare spazi che diano a mia figlia il suo personale e unico momento. Ma quando questo avviene, anche se l’attività proposta è una semplice passeggiata in cui condividere le gioie della natura, è un tempo di arricchimento reciproco. E il tempo è uno dei doni più preziosi che possiamo donare, e insegnare loro a donare.


Se pensiamo al famoso detto “Il tempo è denaro” capiamo che è qualcosa di prezioso quanto l’oro, ed oggi ancora di più; ecco perché credo che sia il dono più bello da fare ai figli. Spiegando loro quanto sia complessa la nostra giornata, fatta da scadenze e incastri, apprezzeranno il tempo come dono. Un tempo di qualità, non solo di quantità: anche se poco deve essere buono.

Non arrovelliamoci alla ricerca del regalo perfetto. I doni più apprezzati da un figlio sono e resteranno sempre i momenti di condivisione con noi genitori.

Laura Santoro, psicologa e psicoterapeuta a Milano

Piccoli consumatori crescono... davanti a uno schermo?

Piccoli consumatori crescono. Se quando stringi per la prima volta il tuo bambino fra le braccia ti si apre un mondo inesplorato fatto di affetto e di tante domande, man mano che cresce sarà proprio lui a chiederti oggetti presenti sul mercato che gli sembrano indispensabili per la sua vita e per la sua crescita. Intendo proprio parlare di crescita sia da un punto di vista fisico – pensiamo a tutte le pubblicità esistenti che fanno leva sulla sana alimentazione dei bambini promuovendo invece cibo spazzatura – che mentale, pensiamo per esempio ai cosiddetti giochi educativi che stimolerebbero la mente dei bambini fin dai primi mesi. Esistono tablet, cellulari, giochi elettronici pensati apposta per bambini molto al di sotto dei sei anni di vita, quando ancora non sanno leggere né scrivere. Ecco che allora i piccoli consumatori si ritrovano a trascorrere tantissimo tempo davanti a uno o più schermi in contemporanea. E più vanno avanti con l’età e più diventa difficile limitare la loro esposizione a tali dispositivi. Ad un certo punto succederà che ragazzini intorno agli 8/10 anni comincino ad avere relazioni sociali attraverso le applicazioni dei cellulari che servono a fissare incontri fra compagni di classe (che quindi si vedono al mattino a scuola) o a scambiarsi i compiti, magari già fatti da altri. I ragazzi mettono anche le password ai cellulari cosicchè la loro privacy sia tutelata dai malcapitati genitori, che se da una parte vorrebbero venire incontro ai propri figli dall’altra hanno anche il dovere e il diritto di sorvegliare sulla quantità e sulla qualità dell’utilizzo di tali dispositivi.

Sono sempre più diffuse le camerette di bambini che hanno al loro interno Tv e pc personali, e i genitori che non concedono tali oggetti devono davvero tribolare per mantenere la loro decisione. Il punto è che siamo tutti connessi, grandi e piccini, e che puntualmente il mercato tende a far crescere non le persone, ma i consumi e le applicazioni. Sta a noi genitori scegliere quali valori vogliamo dare ai nostri figli e a decidere cosa fare innanzi tutto dei nostri cellulari e dei nostri telecomandi. È ovvio che la società è cambiata e che non si discute sull’utilità di un loro uso consapevole ma sull’abuso di tali mezzi di comunicazione; quel che mi preme sottolineare è che molte volte si tende a delegare agli schermi momenti che non torneranno più. I nostri bambini sono piccoli per un tempo breve e i momenti senza connessione virtuale sono sempre meno. Ce li ritroviamo grandi e ci domandiamo come ha fatto il tempo a passare così velocemente. Credo che il valore delle relazioni, dell’ascolto, dello scambio affettivo che c’è in famiglia e fra genitori e figli debba essere preservato dall’azione di un mercato che invece spinge a delegare questi aspetti affettivi agli oggetti. Tutti concorderanno che non si misura il bene che si vuole ad un bambino in base al modello di cellulare che gli si regala, o alla griffe presente sulla sua felpa, ma non è così scontato che poi siano proprio i bambini a chiederci: se mi vuoi bene mi regali il cellulare che fanno vedere in Tv? Telefoni, televisori, computer, internet in origine sono stati creati come mezzi per accorciare le distanze, ma di fatto oggi le aumentano. Il valore del denaro ha più a che vedere con ciò che si crede di dover comprare più che con ciò che effettivamente serve e con i bisogni reali delle persone di ogni età. Credo che in un’epoca dove il tempo sfugge e le distanze sembrano diminuire si debba ricordare proprio ai nostri ragazzi che i valori umani e affettivi non passano dagli oggetti né dal denaro e che l’identità di ognuno di loro non è determinata dall’ultimo modello di cellulare e di abito griffato. Non è facile perché le pressioni sono tante, ma credo che ci sia proprio bisogno di una svolta educativa rispetto al consumo critico e alla valorizzazione dell’affettività e delle relazioni. Ben vengano dispositivi elettronici e oggetti, sempre che però si utilizzino in maniera consapevole e non omologante. Credo che anche le scuole potrebbero riservare alcune ore della loro programmazione all’utilizzo consapevole di cellulari, tablet e computer al fine di aiutare le famiglie in una rete informativa che sia utile ai ragazzi per mantenere la propria salute al riparo da effetti indesiderati. Si consideri che in alcune città d’Italia sono sorti centri di “disintossicazione” da schermi. Credo che la responsabilità di tutti circa questo argomento sia molto sottovalutata e che siamo di fronte ad una vera e propria emergenza da cui i nostri ragazzi devono essere protetti.

Alessandra Bortolotti, psicologa perinatale,

autrice di E se poi prende il vizio5

Bebè a costo zero crescono
Bebè a costo zero crescono
Giorgia Cozza
Meno oggetti e più affetti per crescere felici dalla prima infanzia alle soglie dell’adolescenza.Una guida al consumo critico, con consigli pratici per crescere bambini sereni, imparando a distinguere tra vere esigenze e bisogni indotti dal consumismo. Per un figlio, solo il meglio. Ma cos’è il meglio per un bambino?Giorgia Cozza risponde alla domanda che era stata il punto di partenza di Bebè a costo zero, la guida al consumo critico per futuri e neogenitori.Ora, in Bebè a costo zero crescono l’attenzione si sposta sui bambini più grandi, a partire dai 2 anni di età, fino alle soglie dell’adolescenza, perché se accogliere un bimbo a costo pressoché zero è possibile, è possibile anche crescerlo serenamente senza affrontare continue spese. L’ebook di questo libro è certificato dalla Fondazione Libri Italiani Accessibili (LIA) come accessibili da parte di persone cieche e ipovedenti. Conosci l’autore Giorgia Cozza è una mamma-giornalista, specializzata nel settore materno-infantile, autrice di libri per bambini e numerosi manuali per genitori, divenuti un importante punto di riferimento per tante famiglie in Italia e all’estero.È stata relatrice in numerosi congressi per genitori e operatori del settore e ospite di trasmissioni televisive per rispondere a quesiti legati all’accudimento dei bimbi e a uno stile genitoriale ecocompatibile.