CAPITOLO II

È nato!

Talvolta i genitori dimenticano che i bambini nascono con pochi, ma fondamentali, bisogni: essere nutriti, essere accuditi, avere intorno a sé un ambiente sereno. Diamo a loro tanto, molto più del necessario, trascurando ciò che è veramente dovuto.
Dal progetto Genitori Neo…nati del Comune di Vercelli1

Di cosa ha bisogno il neonato? L’impressione, entrando in un negozio di articoli per bebè, è che la lista degli acquisti sia davvero infinita. I cataloghi pubblicitari riecheggiano di “utilissimo”, “praticissimo”, “irrinunciabile”: i vari accessori vengono definiti indispensabili per il bimbo – per il suo benessere, per una nanna serena, per una crescita ottimale, per il suo divertimento – e per la mamma, cui facilitano la vita, alleviano le fatiche, risolvono problemi altrimenti insormontabili…


Ma basta osservare un cucciolo d’uomo per comprendere che ciò che gli serve non si trova in un negozio. Quello di cui ha bisogno è una cosa soltanto: la sua mamma.


Sin dal primo istante di vita, la madre rappresenta la risposta a ogni sua esigenza, il porto sicuro dove ritrovare se stesso e tutto quanto ha conosciuto nella vita prenatale. Al seno il bimbo riceve nutrimento, ma anche rassicurazione e conforto; accolto e contenuto nell’abbraccio materno, riconosce il battito di quel cuore che gli ha tenuto compagnia per nove mesi, il profumo e il calore della madre. Non solo non ha bisogno d’altro, ma la separazione da lei gli causa una profonda inquietudine. Gli studi lo dimostrano, una ricerca ha evidenziato che nella prima ora dopo la nascita i neonati che sono nella culla piangono dieci volte di più di quelli tenuti in braccio dalla madre2.


Sia che il piccolo sia venuto alla luce con parto naturale, sia che la nascita sia avvenuta con un cesareo, il primo, fondamentale suggerimento è quindi quello (se le condizioni di mamma e bebè lo permettono) di tenerlo sempre con sé. Non separatevi dal vostro piccino, siete stata tutto il suo mondo per nove mesi! Non lasciatelo solo perché, senza di voi, si sentirà perso!


La pratica, ormai molto diffusa, del rooming-in permette a ogni madre di tenere accanto a sé il proprio bimbo. Se l’ospedale dove è avvenuto il parto non prevede questa consuetudine, non è detto che ci si debba rassegnare alla separazione3, forse la mamma potrà accoglierlo nel proprio letto (adottando tutte le accortezze necessarie per evitare che il piccolo possa cadere se lei si addormenta) e restare con lui il più possibile. Ricordiamoci che il figlio è nostro, non dell’ospedale: è nostro diritto stare con lui!


La separazione di madre e neonato è qualcosa che va contro la “fisiologia” stessa, entrambi hanno bisogno di stare insieme!

Di cosa ha bisogno il neonato?

Non risulterà dunque facile decidere cos’è meglio per i nostri figli, qual è la maniera normale di crescere un essere umano. Dovremo osservare cosa fanno gli altri mammiferi, soprattutto i nostri parenti primati. Dovremo confrontare i comportamenti di diverse società umane e scegliere quelle che sembrano funzionare meglio. Ma soprattutto dovremo usare il nostro cuore, guardare i nostri figli e pensare al modo in cui farli felici.
Carlos González
Costruire la fiducia del bambino è uno dei privilegi e delle responsabilità più grandi di un genitore. Quando lo stringete amorevolmente tra le braccia o lo tranquillizzate con il vostro latte caldo è come se gli diceste: “Non ti preoccupare ti sarò sempre vicina ogni volta che avrai bisogno di me”. Questo suscita la fiducia del bambino in voi e diventa la fonte della sua fiducia in coloro che gli sono più vicini.
Harvey Karp

L’abbraccio materno

Nei mesi successivi alla nascita madre e figlio sono un tutt’uno proprio come durante la gravidanza, per questo si parla di endogestazione ed esogestazione, due periodi – quello prenatale e quello post natale – che hanno in comune la profonda simbiosi di mamma e bebè. Perduto il caldo conforto dell’utero e catapultato in uno strano mondo dove tutto è assolutamente nuovo, in quale altro luogo il bambino troverà rifugio se non tra le braccia materne? Spingendo il suo sguardo fin dove la vista lo asseconda, il neonato scorge il viso della madre che lo osserva con dolcezza e non appena lei gli rivolge qualche parola affettuosa, ecco la voce amata, quella che più di ogni altra è rimasta impressa nella sua memoria. Il bisogno di contatto fisico che caratterizza il cucciolo d’uomo fa sì che la sola reale esigenza del neonato sia, appunto, quella di stare con la madre: accolto, cullato, contenuto nel suo abbraccio.


La pediatra Elena Balsamo, nel suo libro Sono qui con te4, individua quattro bisogni sostanziali del neonato: contatto, contenimento, comunicazione, cibo. Caso vuole – o meglio… natura vuole! – che la madre sia la risposta a ognuna di queste esigenze. Laura Gutman, psicoterapeuta argentina, spiega: l’essere umano nasce prematuramente rispetto agli altri mammiferi. (…) Durante i nove mesi di vita extrauterina i bisogni primari dei neonati sono essenzialmente simili a quelli che venivano soddisfatti nel ventre della mamma: comunicazione, contatto e alimentazione permanente (in questo ordine)5.

Risulta evidente quindi, che molti accessori in commercio destinati a contenere, intrattenere, consolare il bebè, non solo non sono indispensabili, ma rischiano di rappresentare un ostacolo nella relazione madre-figlio. Tutti i gadget proposti quali validi “sostituti” della figura materna (il biberon con tettarella che imita il seno, l’orsetto morbido come la mamma, la sdraietta che avvolge come in un abbraccio, il ciuccio che “imita il movimento naturale del capezzolo durante la poppata”), in realtà rappresentano un ben misero scambio per il piccolo che potrebbe avere lei, la propria mamma…


Perché dovremmo offrire al bambino una serie di accessori che nascono e vengono pubblicizzati come tentativi di imitazione della madre, quando può avere l’originale? Nessuno di noi preferisce le imitazioni agli originali, giusto?


Il mercato dei prodotti per l’infanzia offre una vasta gamma di accessori che sono propri di uno stile di maternage all’insegna della separazione6, tipico delle società occidentali (ma soltanto a partire dalla metà del Novecento) e tuttora sconosciuto, ad esempio, in molti Paesi in via di sviluppo. La maggior parte delle madri del mondo, ad oggi, non utilizza sdraiette, carrozzine, lettini, ciucci e biberon, ma tiene il proprio bimbo addosso, lo allatta, e va avanti con la sua vita di tutti i giorni. Ci sono studi molto interessanti che dimostrano che i bimbi che possono stare a contatto con la madre piangono meno e non sembrano soffrire di coliche, ovvero quei mal di pancia serali che si manifestano con inconsolabili pianti.


Come regolarsi quindi per l’acquisto di accessori per il bebè nei primi mesi di vita? Innanzitutto, niente fretta. Il suggerimento è quello di prendersi tutto il tempo necessario nelle prime settimane dopo la nascita, per conoscere il proprio piccino e imparare a comprenderne ritmi ed esigenze.


Prendere tempo anche per scoprire quale stile di maternage fa per noi. Se la mamma ama il contatto con il proprio piccino, trascorre molto tempo allattandolo e cullandolo, difficilmente potranno esserle utili sdraiette, ovetti, palestrine, ecc.


Molti bambini, inoltre, non accettano di buon grado di essere deposti in questi contenitori e non mancano di manifestare a gran voce il proprio scontento quando la madre si separa da loro anche per pochi minuti.

A questo proposito, ricordiamo che il piccolo che “vuole stare sempre in braccio” non sta facendo “capricci”7 e non ha “vizi” (bruttissimo termine che con i neonati non ha proprio nulla a che fare!), ma sta semplicemente comportandosi come la sua stessa natura gli impone: l’istinto del cucciolo è, infatti, quello di stare con la madre e la separazione viene vissuta come situazione di pericolo. Il noto pediatra spagnolo, Carlos González8 spiega questo bisogno di contatto rifacendosi all’istinto di sopravvivenza proprio di ogni essere umano: centomila anni fa, – scrive nel suo libro Bésame Mucho9 – probabilmente, i bambini di pochi mesi non si separavano mai dalla madre, perché questo significava rimanere stesi al suolo, nudi. Ovviamente, l’ambiente in cui crescono i nostri figli è molto diverso da quello in cui si è evoluta la nostra specie. Ma tuo figlio non lo sa. Non può saperlo. Reagirà esattamente come avrebbe reagito, nella stessa situazione, un bebè del paleolitico. Il suo pianto non corrisponde a un pericolo reale ma a una situazione, la separazione, che per millenni ha significato invariabilmente pericolo.


Decenni di studi e ricerche sui primissimi anni di vita del bambino confermano l’importanza di un accudimento affettuoso e sollecito: la risposta dei genitori ai bisogni del bebè pone le basi per la sua sicurezza in se stesso e facilita il suo cammino verso l’indipendenza10.


La psicoanalista Sue Gerhardt ha scritto: si è scoperto che coloro che hanno avuto un costante contatto fisico, sono stati spesso tenuti in braccio e hanno ricevuto molta attenzione durante la prima infanzia, da adulti hanno un’abbondanza di recettori del cortisolo. Ciò significa che possono facilmente gestire lo stress11.

Sostituti dell’abbraccio materno

Sembra diventato un accessorio indispensabile. La sdraietta o infant-seat oggi si può trovare in decine di modelli diversi, morbide, colorate, semplici o hi-tech, basculanti e multiattività (dal gioco alla nanna)12, che riproducono i suoni della natura o del mare, provviste di giochini, luci, sonagli e addirittura altoparlanti per la diffusione del sonoro; la loro principale utilità consiste nel permettere alla madre di ritagliare qualche minuto per sé, posando il bimbo in un luogo sicuro (a questo proposito abbiamo notato il nome molto azzeccato che una nota azienda ha scelto per il suo modello di sdraietta: baby sitter).


Più recente l’arrivo sul mercato di uno speciale sedile utilizzabile (a detta della pubblicità) già a otto settimane e studiato (sempre secondo la pubblicità) per aiutare il bambino ad apprendere le abilità che lo porteranno a stare seduto.


Premesso il fatto che, come già accennato in precedenza, molti bambini non apprezzano la separazione, seppur breve, dalla madre, per cui la sdraietta potrebbe rivelarsi inutilizzabile, nel caso in cui accettino di buon grado di restare un po’ sdraiati a guardarsi in giro, questo accessorio non è certamente indispensabile13. Il bimbo potrà, infatti, essere collocato nella culla o nella carrozzina (se la famiglia ne possiede una) o, ancora, in una cesta di vimini utilizzata come culla durante la notte e come “ricovero” per il bebè durante il giorno. Non solo. Un bambino può essere appoggiato anche sul lettone e adeguatamente circondato di cuscini, in modo da evitare cadute accidentali, e quando sarà un pochino più grande direttamente a terra in un “angolo” appositamente allestito per lui (con tappeti, cuscini, ecc.).

Infine, nel valutare l’opportunità di tale acquisto, teniamo conto anche del fatto che, nel caso in cui il bimbo dovesse gradire la permanenza in questo accessorio, il suo utilizzo dovrà comunque essere limitato nel tempo. A proposito dell’infant-seat, il pediatra Paolo Sarti mette in guardia i genitori, nel suo articolo Girelli e seggiolini, non è roba da bambini14, pubblicato sulla rivista “Un pediatra per amico”15.


Ma è proprio vero che questo oggetto è senza costi per il neonato? – considera Sarti – I costi possono essere anche alti, e sono proporzionati al numero di ore passate immobilizzati in questo contenitore: i muscoli del collo e della schiena non lavorano, non fanno quell’esperienza che è proprio alla base del superamento delle fisiologiche incapacità motorie del neonato. Quando il bambino nasce, pur avendo tutte le strutture pronte e più o meno finite, deve necessariamente passare attraverso un graduale progressivo tirocinio per apprenderne l’uso: imparerà a camminare solo se avrà prima imparato a controllare la testa, poi i muscoli della colonna, gli arti superiori e così via, passando attraverso tappe evolutive che non possono essere saltate, né invertite. Passare giorni, o addirittura mesi, senza far lavorare la colonna e i suoi muscoli è una perdita di esperienze insostituibili che il bambino rischia di pagare nelle sue abilità motorie future. Perciò, meno si usa il seggiolino meglio è; anche se un uso limitato nel tempo non espone a rischi, certamente non è una perdita il non usarlo affatto, come qualche ditta che lo produce vorrebbe far credere.


~ A conti fatti

Sdraietta16: da 40 a 189 euro

Altalena (per bebè): da 79 a 159 euro

Poltroncina per il bebé: 125 euro

Accoglienza e comprensione

Un dialogo di sguardi

Tra madre e figlio la comunicazione inizia molto prima della nascita, quando la futura mamma si rivolge al suo piccino con tenerezza e sfiora delicatamente la pancia che cresce, quando il bimbo nel suo grembo risponde agitandosi alla voce e alle carezze materne. Dopo il parto finalmente mamma e bebè possono guardarsi negli occhi e l’intesa che si crea diventa sorprendente. Il neonato fissa il volto dei genitori che gli rivolgono parole affettuose, sgambetta, si sforza di inarcare la schiena quando vuole essere sollevato e preso in braccio. Alcuni studi condotti dall’Università di Padova, nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dall’Unione Europea, hanno dimostrato che la mente del neonato è, in un certo senso, programmata per riconoscere i propri simili e creare con loro un legame speciale. Ad attirare la sua attenzione su una sagoma che riproduce i tratti essenziali di un volto, facendogliela preferire a qualsiasi altra immagine, a fargli gradire la voce umana mentre i rumori lo disturbano, sarebbe una sorta di istinto di sopravvivenza. Una dote innata che lo porta istintivamente a volgersi verso i suoi simili e, così facendo, a creare con loro un legame fatto di sguardi e attenzioni reciproche.


Anche durante la poppata mamma e bimbo comunicano: se il piccolo rallenta il ritmo della suzione, lei lo incita a proseguire e lui riprende a poppare. L’alternanza che caratterizza questi primi dialoghi basati sul contatto visivo, i gesti, le espressioni del viso ha in sé i germi di quella che sarà la comunicazione futura, ovvero il linguaggio.

Un pianto da interpretare

Alcuni anni fa era apparso sul mercato un accessorio che aveva dell’incredibile, un apparecchio tecnologico destinato a interpretare il pianto del neonato, segnalando ai genitori i motivi delle sue proteste (fame, sete, coliche, ecc.). Nel giro di poche settimane tale oggetto è stato ritirato dal mercato.


Per fortuna, viene da pensare. Era davvero triste l’idea che un genitore si affidasse a un apparecchio per comprendere i bisogni e gli stati d’animo del figlio. Una tentazione, forse comprensibile, se si considera che restare tranquilli di fronte a un pianto che non si riesce a consolare, è senz’altro un’ardua impresa, ma che rischia di svilire le potenzialità del genitore stesso. Ogni madre, infatti, si allena velocemente a riconoscere e comprendere il messaggio che le sta lanciando il suo piccino e, con il trascorrere delle settimane e l’approfondirsi della loro intesa, interpretarne le necessità diventa per lei qualcosa di spontaneo, naturale.


Nessun manuale che “insegna” a interpretare il pianto dei bambini e nessun apparecchio potrà mai competere con una madre: lei e soltanto lei capisce e conosce il suo piccino. E non c’è alcun bisogno di spiegarle che quando un bambino chiama, è fondamentale che ci sia una risposta; infatti, ogni mamma è geneticamente predisposta per rispondere al pianto del suo cucciolo17.


Piangendo il neonato segnala di avere un bisogno, fisico18 o emotivo. Può aver bisogno di rassicurazione, può essersi improvvisamente e dolorosamente accorto di essere solo. Un neonato che ha appena abbandonato il caldo rifugio del grembo materno non è abituato alla separazione, non può concepire la lontananza dalla madre. I genitori consolano il proprio piccino cullandolo, sussurrandogli parole affettuose, cantando per lui una ninna nanna. Nella maggior parte delle situazioni, una risposta vincente che esaudisce un’ampia gamma di esigenze è quella del seno, che soddisfa a un tempo fame, sete, bisogno di contatto, mal di pancia, ecc. E non si tema, intervenendo prontamente, di dare dei “vizi” al bambino. Lo ribadiamo nuovamente: il neonato non conosce il “vizio”, ma ha solo dei bisogni e soddisfarli è l’unico modo per aiutarlo ad aver fiducia nel mondo che lo circonda. La consapevolezza che al suo richiamo segue sempre una risposta lo rende sicuro, sicuro dell’amore dei famigliari e, crescendo, sicuro di sé.


Ha preso il vizio… di essere amato!

Attenzione! Non troppe coccole. Così lo viziamo. Bisogna stare attenti a non eccedere con i gesti d’amore. Dosarli, centellinarli. Altrimenti…


Altrimenti? Ma di cosa ha paura la nostra società? Che mettiamo in circolazione troppo amore, gentilezza e disponibilità?


Quando si dice che le coccole, il latte della mamma, la vicinanza non sono vizi, oggi si va molto controcorrente. Parenti, amici, conoscenti non sono convinti. “Se lo tieni sempre in braccio poi si abitua” è l’idea diffusa. Come se quella di ricevere e dare molto amore fosse una cattiva abitudine.


E ancora. “Poi non vorrà più stare giù”. Come se i bimbi, una volta imparato a gattonare, camminare, correre, volessero ancora stare in braccio tutto il giorno. Una coccola, certo. Un po’ di latte di mamma. Ma le nuove conquiste (la stazione eretta, i primi passi) e la realtà circostante chiamano…


Anzi, chi fa “il pieno di mamma” da piccolo, poi si muove alla scoperta del mondo con maggior sicurezza in se stesso e in quanti lo circondano.


Ma tutto questo le mamme lo sanno già. Sono “programmate” da secoli per rispondere al pianto del loro bambino. Quando un’amica, una zia, una vicina di casa, dicono a una mamma di lasciar piangere il suo bambino, alla mamma questo monito suona stonato dentro. In fondo al cuore. Quando il suo piccino piange tutto in lei risponde; chiamiamolo istinto, chiamiamolo come vogliamo, ma le mamma sono “fatte” per dare conforto ai loro cuccioli.


E quello che le mamme già sapevano, oggi lo conferma anche la scienza. Non che ne avessero bisogno, le madri. Ma una conferma autorevole magari può essere utile per gli altri, quei parenti, amici, conoscenti che si ostinano a interferire con le competenze materne, offrendo consigli, commenti e spesso critiche, ovviamente non richiesti.


Citiamo un paio di studi recenti. Quello realizzato dalla Duke University del North Carolina mette in relazione la stabilità emotiva in età adulta con le cure affettuose ricevute nella primissima infanzia e dimostra che il contatto, la tenerezza, la risposta sollecita ai bisogni del bambino hanno effetti positivi nell’immediato, ma anche a lungo termine.


Lo studio americano ha coinvolto un campione di quasi cinquecento bambini di otto mesi, classificati in base al livello di affetto (basso, normale, molto elevato) dimostrato dalle rispettive mamme. Trentaquattro anni dopo, si è visto che i bimbi che avevano ricevuto livelli di affetto molto elevati, mostravano valori significativamente più bassi di ansia, angoscia e ostilità. In poche parole: erano adulti più sereni e sicuri di sé grazie alle coccole della mamma.


Risultati analoghi sono quelli di uno studio recentissimo condotto dalla Washington University School of Medicine di St. Louis, che ha coinvolto 92 bambini - sani o con sintomi depressivi - dei quali era stata precedentemente valutata l’interazione quotidiana con i genitori. Secondo la ricerca, una relazione affettuosa, nutrita di contatto e vicinanza, è associata a un miglior sviluppo dell’ippocampo, una regione cerebrale che ha un ruolo essenziale per la gestione dello stress. In pratica, nei bimbi più coccolati, l’ippocampo risulta più sviluppato del 10% circa. Un accudimento affettuoso in età prescolare si è dunque rivelato il primo e miglior antidoto contro lo stress.


Ma ripeto. Le mamme lo sapevano già. Non hanno bisogno degli studi scientifici. La nostra società però ne ha ancora bisogno. Per dire addio a tanti pregiudizi, per incamminarsi senza più timori, sulla strada della tenerezza e dell’amore. Con risultati garantiti a breve e lungo termine.


Coccole e massaggi

A proposito delle reali esigenze del neonato e di ciò che serve per la sua soddisfazione, oltre alla vicinanza della mamma (e del papà), c’è davvero poco da aggiungere.


Una consuetudine che può favorire il suo benessere psico-fisico e allo stesso tempo agevolare l’intesa con i genitori è quella del massaggio. Come il latte è il nutrimento per il corpo del bebè così le coccole, il contatto, le carezze sono il nutrimento per l’anima. Il massaggio è, prima di tutto, un’importante forma di comunicazione, un’occasione per approfondire la relazione e lo scambio affettivo tra genitori e figli, ma non mancano gli effetti positivi anche per lo sviluppo fisico del bambino. Vediamoli insieme.

  • Questa consuetudine assicura uno stato di benessere e rilassamento e aiuta il bambino a scaricare e dare sollievo alla tensione provocata da situazioni nuove, stress o piccoli malesseri;
  • stimola, fortifica e regolarizza il sistema circolatorio, respiratorio, muscolare e gastro-intestinale;
  • esercita un’influenza benefica sul sistema immunitario;
  • favorisce la conoscenza del corpo e la formazione dell’immagine di sé da parte del bambino;
  • può essere d’aiuto per regolarizzare il ritmo sonno-veglia.
  • Alcune mamme associano il rituale del massaggio al bagnetto, coccolando il piccolo appena uscito dall’acqua, o in occasione del cambio.
  • Anche in questo caso notiamo che ciò che piace e serve al bebè non si acquista e non ha un costo.

Per saperne di più


Per i genitori che sono interessati ad apprendere i rudimenti del massaggio infantile, sono ormai sempre più diffusi in tutte le città italiane i corsi organizzati (spesso gratuitamente) presso consultori, associazioni o realtà che si occupano dell’infanzia. Questi incontri offrono l’occasione per prendere confidenza con le tecniche e i benefìci del massaggio, in compagnia di altre madri e con la guida di insegnanti abilitati AIMI (Associazione Italiana Massaggio Infantile)19.

Bebè a costo zero - Terza edizione
Bebè a costo zero - Terza edizione
Giorgia Cozza
Guida al consumo critico per accogliere e accudire al meglio il nostro bambino.Una guida al consumo consapevole per scoprire cosa è davvero indispensabile o utile acquistare durante la gravidanza e la prima infanzia. Carrozzine, vestitini, omogeneizzati: quanto costa avere un bambino oggi?Le statistiche parlano di un investimento di migliaia di euro solo nel primo anno di vita. Bebè a costo zero di Giorgia Cozza, è la guida al consumo critico e consapevole nell’affollato mondo dei prodotti per l’infanzia per scoprire cosa sia davvero indispensabile o utile durante la gravidanza e la prima infanzia, distinguendo tra reali esigenze e bisogni indotti dalla pubblicità. Il libro offre proposte e suggerimenti pratici per evitare spese inutili, con un occhio di riguardo all’ambiente e, soprattutto, per circondare il bambino solo di quanto può favorirne lo sviluppo psico-fisico, facendone una persona serena e armoniosa. Conosci l’autore Giorgia Cozza è una mamma-giornalista, specializzata nel settore materno-infantile, autrice di libri per bambini e numerosi manuali per genitori, divenuti un importante punto di riferimento per tante famiglie in Italia e all’estero.È stata relatrice in numerosi congressi per genitori e operatori del settore e ospite di trasmissioni televisive per rispondere a quesiti legati all’accudimento dei bimbi e a uno stile genitoriale ecocompatibile.