CAPITOLO XIV

Voci di esperti

Gravidanza e parto, eventi “naturali”?

L’eccessiva medicalizzazione che riguarda gravidanza e parto, purtroppo non è certo una novità. A cominciare dalle visite ostetriche durante l’attesa: troppo spesso si ignora quanto indicato anche dalle linee guida dell’OMS e cioè che l’esplorazione vaginale, digitale o con lo speculum vaginale, non è utile se non ci sono motivi specifici (come potrebbero essere delle perdite di sangue, contrazioni uterine o sensazioni dolorose segnalate dalla donna) che la rendano necessaria. Molto meglio controllare la pancia dall’esterno, misurare la pressione, ascoltare la futura mamma, raccogliere informazioni sul suo stile di vita e offrire una risposta attenta ed esauriente ai suoi dubbi, oltre che informazioni corrette sulla gravidanza e sul parto.


Gli eccessi riguardano spesso anche gli esami, a volte troppo numerosi e inutili, e naturalmente i controlli ecografici. Le ecografie consigliabili nell’attesa dovrebbero essere non superiori a tre, ma le donne italiane vengono sottoposte in media a sette controlli. Non solo. Le ecografie potrebbero essere anche solo due: la prima (quella che si esegue entro la dodicesima settimana di gestazione) è utile laddove la datazione sia un problema, perché riduce il rischio di induzioni inappropriate al termine della gravidanza e per controllare il numero di embrioni, ma non sarebbe, per esempio, indispensabile nei casi in cui la futura mamma abbia sempre avuto un ciclo regolare e sappia quando è avvenuto il concepimento. L’ecografia che si esegue verso la 22esima settimana, conosciuta come morfologica – ma tutte le ecografie lo sono! –, è la più importante e permette di osservare gli organi fetali in dettaglio per diagnosticare eventuali anomalie. Potrebbe, invece, non essere indispensabile – tranne in casi particolari in cui ci siano problemi di crescita o di salute –, la terza ecografia che valuta lo sviluppo del bebè in rapporto all’età gestazionale. Per controllare lo sviluppo fetale è infatti sufficiente misurare (con un centimetro flessibile posato sull’addome) la distanza tra il fondo dell’utero e la sinfisi pubica. Vale la pena, infine di ricordare, senza alcun allarmismo, che ad oggi non è ancora stata compiuta una verifica accurata delle possibili conseguenze degli ultrasuoni emessi da apparecchiature sempre più potenti, se utilizzati con eccessiva frequenza.


Per quanto riguarda il parto e l’alto tasso di cesarei, servono più formazione per gli operatori e più informazione per gli utenti. È necessario, in ogni gravidanza, separare la patologia dalla fisiologia: la prima è infatti competenza del medico, la seconda dell’ostetrica. All’ostetrica compete anche l’assistenza al travaglio-parto a basso rischio, mentre l’insorgenza di situazioni di rischio per la salute della madre o del bambino deve essere condivisa con il medico. Le evidenze scientifiche hanno dimostrato l’efficacia del sostegno e del supporto emotivo e la ricaduta positiva dei corsi di accompagnamento alla nascita. È necessario cambiare la mentalità: il cesareo presentato da certi professionisti come una soluzione ideale, rapida, programmabile, in realtà è – quando non appropriato – più rischioso di un parto spontaneo per via vaginale. Nonostante ciò e nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomandi di contenere entro il 10-15% il tasso di tagli cesarei, in Italia 4 bimbi su 10 nascono, oggi, con un intervento chirurgico. La distribuzione regionale italiana di tagli cesarei varia da regioni in cui raggiunge il 52,8% ad altre in cui è contenuta entro il 22% ed entrambi sono dati medi. “Lieto evento?”.

Enzo Espositoginecologo a Lugo

Avere o Essere?

Vi ricordate il libro “Avere o Essere” di Erich Fromm? Questo profondo conoscitore dell’anima umana nel suo scritto degli anni ’70 descrive due fondamentali modalità di esistenza, due diverse maniere di atteggiarsi verso se stessi e nei confronti del mondo. La modalità Avere ci spinge verso il possesso, verso l’avidità, verso il dominio, la proprietà acquisitiva. Ci fa diventare autoritari invece che autorevoli, irrigiditi nelle teorie invece che liberi nel pensiero. E sopratutto ci fa amare di un amore condizionato, possessivo, geloso. La modalità Essere ci spinge a rinnovarci, a crescere, ad espanderci. Ci fa amare di un amore incondizionato, misericordioso e compassionevole. Ci fa trascendere il carcere del nostro io isolato, ci fa provare interesse, essere generosi, ci stimola l’ attenzione.


Fromm ci indica una direzione: mentre tutto il nostro sistema socio-economico ci spinge verso l’Avere, egli ci invita ad rimanere nell’Essere.


Come possiamo estendere questi concetti all’accoglienza del neonato?


È indubbio che la modalità del bambino, sia durante la vita prenatale, sia alla nascita, è quella dell’Essere. Non si tratta di non avere relazioni con gli oggetti, perché già nella vita intrauterina il bambino si relaziona con l’utero materno, con la placenta, con il cordone ombelicale, i suoi primi giocattoli. Anche i suoni, gli odori, il movimento, il respiro e le emozioni materne entrano a fare parte del suo bagaglio vitale.


Dopo la nascita, da subito, è il corpo della madre con il suo odore, il suono della sua voce, il suo ambito vitale. Con il seno, che sostituisce la placenta. Con le braccia che sostituiscono l’utero. Con l’occupazione materna che sa soddisfare quasi tutti i bisogni, la stessa madre diventa il più desiderabile degli oggetti.


Ma non si tratta di possederli, questi oggetti. Si tratta di essere, anzi di rimanere continuamente in relazione, di essere con e nell’esperienza, un’esperienza di unione e di separazione, di continua reinterpretazione del mondo che dà adito a un gioco, base per la futura creatività.


La comunicazione non avviene tra ciò che madre e bambino hanno ma tra ciò che sono. Quando una madre prepara una bella camera per il suo bambino che sta per nascere, quando lava e mette in ordine i suoi vestitini, quando sistema il fasciatoio e il bagnetto, sembra che dia importanza a questi oggetti di per sé. Sembra che debbano loro, gli oggetti, essere belli, perfetti, costosi, i migliori. Ma non sono questi oggetti importanti, bensì i pensieri, le fantasie, i sogni e le azioni che stanno dietro il gesto. Il bambino non desidera Avere la cameretta, desidera Essere in essa. Desidera Essere nel cuore, nella mente e nelle azioni di sua madre e delle persone che si prenderanno cura di lui.


E forse anche noi lo desideriamo. La nascita di un bambino può, forse, essere anche per noi un occasione per abbandonare per un po’ il nostro mondo adulto di consumatori dell’Avere e spostarci, con il nostro bambino, in quello magico dell’Essere.

Polina Zlotnik, ostetrica, fondatrice de Le dieci Lune di Pisa

Di cosa ha bisogno un neonato?

Di che cosa ha bisogno un neonato quando viene al mondo ?


È una domanda che mi sono sempre fatta e che continuo a porre agli operatori e alle mamme che vengono ai miei corsi di formazione e di preparazione al parto. La risposta, in base alla mia esperienza, è la seguente: un bambino appena nato ha bisogno di contatto, contenimento, comunicazione e cibo. La fonte di appagamento di tutto ciò è una sola e si chiama “mamma”: l’habitat migliore per ogni bambino, fatto a sua misura.


A un neonato non servono oggetti ma attenzione, presenza consapevole, in una parola amore. Un tocco delicato, uno sguardo dolce, una parola gentile non costano nulla ma valgono oro…


In tutte le culture tradizionali del mondo i bebè sono “a costo zero”: non esistono negozi di articoli per lattanti, le mamme africane li attaccano al seno quando hanno fame e se li legano sulla schiena con un semplice pezzo di stoffa per portarseli appresso ovunque vanno. Le mamme inuit fanno altrettanto: li infilano nel cappuccio del loro giaccone rivestito di pelo per tenerli al caldo e avere nello stesso tempo le mani libere per lavorare. Pelle contro pelle, il loro è un rapporto fatto di carne. Niente bottiglie di vetro o ciucci in silicone: solo il caldo fiume di latte che esce dalla mammella gonfia.

Niente passeggini o carrozzine, seggiolini e sdraiette: la mamma è anche mezzo di trasporto…


E quando è il momento di dormire, perché gli occhi si chiudono da soli, non servono lettini su misura: stretti a fianco della madre, i cuccioli d’uomo cadono nel sonno…


Ben diversa la situazione in Occidente, dove i prodotti per neonati sono diventati un business: i bambini costano cari, fin dai primi vagiti…


Ma quanto di tutto ciò che viene messo nella lista della spesa in gravidanza è veramente indispensabile, quanto utile e necessario ?


Io vorrei approfittare dell’occasione offertami da Giorgia Cozza di contribuire a questa nuova edizione del suo bellissimo ed efficacissimo volume, per lanciare una proposta: un “kit” di benvenuto al neonato, da offrire in dono al nuovo nato, con ciò che è veramente essenziale.


Ecco, in qualità di pediatra, i miei suggerimenti:

Qualche buon libro per la neomamma che ne valorizzi le capacità e la faccia sentire sostenuta

Una boccetta di Walnut (fiore di Bach che aiuta il neonato e anche la mamma ad adattarsi ai cambiamenti della nuova vita)

Una pelle d’agnello, come base morbida e sicura

Una fascia per sentirsi contenuti e andare a spasso

Una copertina morbida e calda

Una boccetta di olio di mandorle o un vasetto di burro di karitè per un buon massaggio (ma ricordiamo che va benissimo anche il semplice olio di oliva).


E naturalmente un corredino: camicino di seta, qualche maglietta e qualche coprifasce con apertura sul davanti per evitare di toccare la delicata testa del neonato (e se ci sono etichette meglio mettere tutto alla rovescia), qualche pantaloncino che lasci liberi i piedi, delle morbide scarpine in lana. E i pannolini. Per i primi tempi almeno, sarebbe meglio sceglierli in tessuto, ad esempio i classici, morbidi ciripà.


Ecco, non serve altro. Qualche buona musica che sa di cielo, o ancora meglio il canto della mamma e del papà…


Il costo ? Poco più che zero…

Elena Balsamo, pediatra a Bologna

Quanti accessori inutili e dannosi!

Qualche anno fa sono stato invitato a discutere dell’accudimento del neonato con i bambini di una quarta elementare. Ho pensato come prima cosa di chiedere ai bambini di disegnare quello che loro pensavano fosse indispensabile a un neonato per crescere e stare in salute sin da subito.


Questo è il disegno di uno di loro:

Come questo tanti altri.


Avevo chiesto di disegnare per capire quali erano le esperienze che quei bambini di 9-10 anni avevano vissuto, cosa avevano “fotografato” intorno ai neonati che loro avevano visto. Solo due bambini hanno disegnato il neonato in braccio al papà e alla mamma; che era dove volevo condurli io nella discussione successiva: ad un neonato per crescere serve avere due genitori e soprattutto, per soddisfare anche le esigenze nutritive di sopravvivenza, una mamma. Non c’era disegno (tranne due, appunto) in cui non vi fosse un biberon o un ciuccio, ritenuti “indispensabili” per la sopravvivenza del cucciolo dell’uomo.


Hanno disegnato ciò che vedono.


Del resto se pensiamo alla preparazione della valigia da portare in ospedale per la nascita, non so quante mamme riescono a non mettere dentro “accessori” ampiamente pubblicizzati per il neonato: ciucci, biberon, sterilizzatore (non si sa mai!), fazzolettini imbevuti per la pulizia del seno e chi più ne ha più ne metta.


Ecco che anche l’evento nascita si trasforma in un “salasso”, un acquisto di materiali assolutamente inutili e spesso dannosi.


Ed ecco che accanto al neonato c’è posto per l’infermiera e per la Plasmon (nel caso del nostro disegno), non certo per la mamma. Figurarsi del latte della mamma! E quante mamme del resto dichiarano che non hanno potuto allattare per non avere avuto latte a sufficienza. E quanti operatori sanitari che vengono ogni giorno a contatto con queste mamme avallano routine che allontanano mamma e neonato, contribuendo a frapporre ostacoli a un percorso nascita che nella stragrande maggioranza dei casi avrebbe bisogno solo di un “accompagnamento dolce”.

Sergio Conti Nibali, pediatra di famiglia, Messina

Allattamento: storia di una riscoperta

Nella seconda metà del secolo scorso l’emancipazione della donna e il suo inserimento nel mondo del lavoro hanno stimolato la ricerca di formule artificiali qualitativamente valide per i lattanti. La donna lavoratrice, che non poteva contare su alcuna tutela per il periodo dell’allattamento ed era impossibilitata a dedicarsi completamente al suo bambino, si è trovata spesso nella necessità di trovare un sostituto del latte materno: il latte “artificiale”, se adeguatamente conservato e ricostituito, forniva eccellenti risultati rispetto al latte vaccino (ovvero di mucca). In pochi anni si è assistito al progressivo abbandono dell’allattamento, soprattutto nei paesi industrializzati. Per qualche tempo anche i pediatri, usciti dalle scuole di specializzazione, istruiti più nelle modalità dell’alimentazione artificiale che nei princìpi fondamentali dell’allattamento naturale, hanno forse trascurato di incoraggiare il desiderio di allattare fornendo le basi perché ciò avvenisse nella maniera più serena. Nel frattempo però, la ricerca – nell’intento di evidenziare caratteristiche del latte umano che fossero riproducibili nel latte artificiale – ha contribuito nello stesso tempo a scoprirne le peculiarità.


Senza dubbio le caratteristiche del latte materno sono assai complesse e tali da determinare la sua “unicità”. Pertanto possiamo affermare che l’alimentazione artificiale deve essere considerata una alternativa valida in situazioni di reale esigenza e che il latte materno è l’alimento completo e ideale per la crescita del bebè, sufficiente da solo fino al sesto mese di vita e oltre.


Anche il pediatra ha quindi dovuto ricominciare da capo per infondere fiducia alla mamma rispetto alle sue capacità di nutrire al seno. A partire dagli anni ’60 sono nati parecchi movimenti a sostegno dell’allattamento (tra le prime associazioni internazionali di volontariato ricordiamo La Leche League), mentre all’inizio degli anni novanta si è costituito il WABA (Word Alliance for Breastfeeding), della quale fa parte il Movimento italiano per l’allattamento materno (MAMI). Nell’81 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha preso posizione a favore dell’allattamento materno con una serie di raccomandazioni rivolte a vari Paesi e nel 1988 OMS e Unicef hanno emanato un decalogo con le norme che devono essere seguite nei punti nascita, per garantire la promozione dell’allattamento al seno e ottenere il riconoscimento di Ospedale Amico dei Bambini.


E oggi… Oggi l’allattamento materno è in netta ripresa, seppur con le solite ambiguità, per cui nello stesso reparto abbiamo chi consiglia, ahimè, subito un’integrazione e chi fa dimezzare il peso del bambino in attesa del latte materno… Ambiguità per cui in alcune regioni, ove si parla molto d’allattamento, non c’è neppure un Ospedale Amico dei Bambini secondo i parametri Unicef. Si può fare di più? Sì, sempre, soprattutto si deve avere più rispetto dei diritti della mamma e della famiglia e l’allattamento deve essere considerato come un forte indicatore di benessere, anche se non isolato ed assoluto (ovvero non svincolato dal suo contesto generale e dal rapporto tra bambino/a, mamma, papà e famiglia).

Alberto Ferrando, pediatra di famiglia

dell’Associazione Pediatri Extraospedalieri Liguri (APEL) e Presidente della Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi

e Odontoiatri della Liguria

Alimenti speciali per l’infanzia: facciamo chiarezza

A evitare equivoci e usurpazioni di merito, chiariamo subito di cosa parliamo. Gli alimenti speciali, cioè profondamente modificati a fini medici, sono rivolti, grossolanamente, a due gruppi di bambini: quelli nei quali è presente un difetto specifico che ne minaccia gravemente la salute (“malattie del metabolismo”), e quelli troppo giovani per tollerare gli alimenti normali. I primi, i malati, vivono bene solo con gli alimenti speciali, i secondi, i sani, vivono meglio senza.


Ovviamente parliamo anche di due diversi tipi di alimenti speciali, quelli veri per i malati, e quelli finti per i sani. È importante evitare che la bontà dei primi nobiliti i secondi perché, stesso il nome, ma diversa la sostanza. Nel primo caso c’è veramente un grande impegno scientifico e una volontà filantropica, in quanto, da un lato, le modificazioni portate agli alimenti di base sono molto sofisticate e estremamente costose, dall’altro, il consumo che se ne fa, data la rarità delle malattie cui sono rivolti, è talmente modesto da impedire che la loro commercializzazione possa essere remunerativa. Nell’altro caso, quello che effettivamente più ci riguarda qui, ovvero gli alimenti per i bambini sani, il livello scientifico è poco più di quello necessario per la produzione di piatti pronti surgelati, le modificazioni solo grossolane e, fatto tanto fondamentale quanto misconosciuto, ragioni reali per farne uso… nessuna!


Per convincerci a prescriverli, a noi pediatri hanno sempre venduto la scusa che i bambini di due-tre mesi non erano in grado di digerire gli alimenti normali. Verità sacrosanta, ma è un po’ come affermare che, data l’assodata incapacità di camminare di un bambino all’età di cinque-sei mesi, siamo costretti ad attaccargli due ruote alle gambe, e magari pure un motorino, perché diventi in grado di spostarsi da solo più precocemente. Riconosciamo tutti che sarebbe una forzatura di una situazione assolutamente normale, per di più pericolosa per l’impossibilità, da parte di un bambino immaturo, di gestire correttamente una improvvisa mobilità (vedi girello). Fortunatamente ci siamo ravveduti, sempre noi pediatri, alla luce della innegabile evidenza del pacchiano e colpevole errore perpetrato per decenni, per pigrizia mentale, ignoranza, interesse. Facciamo ammenda e vi preghiamo di non toglierci la vostra fiducia.


Secondo gli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Unicef, e non solo, la crescita dei bambini è garantita, al meglio, dal solo latte fino a oltre i sei mesi. E, inoltre, anche successivamente allo svezzamento, il latte umano resta, singolarmente, l’alimento migliore disponibile. A che pro, allora, imbarcarsi nell’impresa di forzare una situazione assolutamente normale? Anche perché è bene si sappia che introdurre, “mangiare” alimenti così profondamente diversi dal latte, per struttura e composizione, comporta un coinvolgimento incredibilmente complesso di più funzioni dell’organismo (digestive, nervose, immunitarie, ormonali). Non si tratta solo di ingozzare un indifeso passerotto con qualche intruglio, aggiustato alla meno peggio, con la speranza che gli faccia poco male! Il fatto di liofilizzare, omogeneizzare e integrare con qualche vitamina non basta a rendere innocui alimenti che madre natura ha programmato arrivassero nel nostro intestino solo mesi più tardi. Senza contare che, se si è proprio decisi a farsi del male, un moderno frullatore ottiene risultati praticamente sovrapponibili ai procedimenti industriali. Le materie prime usate, inoltre, che chiunque può leggere sull’etichetta, sono esattamente le stesse che troviamo nei nostri negozi di fiducia. La sicurezza della loro provenienza è, e deve essere, garantita per tutti, piccoli e grandi. Non credo che possiamo tollerare di avere a disposizione prodotti sani per i lattanti e contaminati per i genitori. Anche perché, stiamo attenti, se accettiamo questa eventualità, anche i bambini, prima o poi, non potendo tenerli a pappine a vita, subiranno la nostra stessa sorte e mangeranno le nostre stesse schifezze.


I bambini maturano compiutamente tutte le abilità necessarie all’assunzione, senza rischi, dei cibi solidi solo intorno ai sei mesi, proprio quando inizia a rendersi utile una progressiva integrazione dell’alimentazione esclusivamente a base di latte. Rispettare i ritmi naturali dei bambini significa quindi risparmiarsi tutta quella serie di problemi riguardanti l’alimentazione che angustiano le famiglie di questi tempi. All’età giusta i bambini accettano volentieri nuovi cibi, tanto più se sono quelli dei genitori, li ingoiano senza rischi, e li digeriscono perfettamente.


Mettiamo in fila i fatti: non esiste alcun bisogno di modificare un ritmo di crescita già ottimale con il solo latte fino a sei mesi circa; l’introduzione di altri alimenti prima di questa età aumenta i rischi di diarrea, allergie, inalazione di pezzetti di cibo; se forzati, i bambini possono sviluppare resistenze e ostilità durature nei confronti dei nuovi alimenti; è stato dimostrato ampiamente che, già dai quattro mesi di vita, la qualità nutrizionale dei prodotti industriali non è affatto superiore alle preparazioni domestiche; dopo i sei mesi, se anche i prodotti industriali avessero una reale superiorità nei confronti delle preparazioni domestiche, questa sarebbe ormai superflua in bambini ormai più che maturi sotto tutti gli aspetti legati all’alimentazione; preparare le “pappe” significa cucinare due volte e mortificare i bambini; i costi dei prodotti speciali sono incredibilmente più alti di quelli delle preparazioni domestiche; la pubblicità degli alimenti speciali è falsa quanto quella dei prodotti miracolosi contro la caduta dei capelli. Se ci pensate bene, si tratta dei dubbi che voi stessi avete sempre nutrito e che ritenevate infondati di fronte all’autorità del pediatra. Be’, avevate ragione voi e torto noi. Quindi, mollate tutto e liberate la fantasia. Questo non vuol dire che l’alimentazione può essere anarchica. Le regole ci sono, ma sono uguali per tutti, grandi e piccoli, e valgono per tutta la vita, non dimenticatelo.

Lucio Piermarini, pediatra a Terni

Igiene: acqua, amido, olio e rispetto per l’ambiente

La pelle è un vero e proprio organo, come il cuore e i polmoni, ed è il punto di contatto tra l’interno del nostro corpo e il mondo esterno: funge da barriera proteggendoci da freddo, caldo, infezioni, agenti irritanti, e allo stesso tempo impedisce la dispersione dell’acqua (l’organismo è composto per il 60% di acqua e alla nascita la percentuale è ancora maggiore). Dato che la pelle trattiene l’acqua, ma assorbe le sostanze con cui viene a contatto, è molto importante stare attenti ai prodotti usati per la pulizia e la cura del corpo. Gli scaffali dei supermercati e delle farmacie sono colmi di liquidi detergenti, lozioni, bagnoschiuma, shampoo, salviettine, oli per massaggi… tutti contengono sostanze chimiche e profumi che, oltre a essere irritanti, confondono l’olfatto del bambino. In realtà per preservare la salute della pelle del bebè è necessario rispettarne la fisiologia: deve essere mantenuto il film lipidico e non devono essere usati prodotti aggressivi che lo distruggono.

Per l’igiene del corpo è sufficiente il bagno con acqua e amido di riso (anche l’acqua di cottura del riso ne contiene molto).


Per la pulizia dei genitali e della zona ricoperta dal pannolino è necessaria la sola acqua ed è importante, nelle femminucce, procedere dal davanti verso il dietro (ovvero, lavando prima i genitali e poi il sederino), per evitare di trasportare i germi delle feci verso la vulva, e nei maschietti pulire accuratamente tra le pieghe dello scroto e del pene, avendo cura di non tirare il prepuzio (che può essere un po’ stretto e si allenterà con la crescita).


A scopo protettivo può essere usato il comune olio extravergine d’oliva (sì, quello usato per condire l’insalata!), che ha anche potere detergente e idratante. L’olio d’oliva è consigliabile, inoltre, per la crosta lattea. È sufficiente passare sulla testa del bambino una pezzuola di cotone imbevuta d’olio e lasciar agire, poi l’olio può essere lavato con acqua e con una spazzola morbida si eliminano le cuticole restanti. Usato per massaggiare il bebè, infine, l’olio idrata la pelle di tutto il corpo.


Un discorso a parte meritano i pannolini. Nei supermercati ne troviamo vari tipi. La cosa più importante è cambiarli spesso in modo che la pipì e la mancanza di ossigeno non irritino la pelle.


Una riflessione: il vostro bambino o la vostra bambina in tre anni consumerà circa 4.500 pannolini usa e getta, corrispondenti a una ventina di alberi di grandi dimensioni, producendo circa una tonnellata di rifiuti che impiegheranno 500 anni a decomporsi. Un notevole colpo all’ambiente già tanto in pericolo. Una soluzione sono i pannolini ecologici: pannolini del tutto simili agli “usa e getta” ma che si lavano in lavatrice. Sono pannolini di cotone al 100% provenienti da coltivazioni biologiche e non sbiancati, con la stessa forma di quelli usa e getta e con chiusura a strappo. Sopra il pannolino si infila una mutandina in microfibra, composta da poliestere e poliuretano che, grazie alla sua natura, permette all’aria di passare, ma non all’acqua di fuoriuscire, e tra sedere e pannolino viene messo un velo sottilissimo di cellulosa sbiancato all’ossigeno che consente di asportare le feci e gettarle nel water e di venire lavato e comodamente riutilizzato nel caso sia sporco di pipì.


I pannolini lavabili si adattano alla taglia del bambino. Sono più economici: basterà acquistarli una sola volta e potrete usarli dalle prime settimane di vita fino all’uso del vasino (4-15 Kg circa). Poi li potrete tenere per un secondo figlio o per il bimbo di un’amica.


A chi non volesse proprio rinunciare agli usa e getta, si può ricordare che in commercio si trovano pannolini non sbiancati con il cloro, oppure realizzati con materiale a base di amido di mais, biodegradabile e compostabile o con amido di grano, meno inquinanti grazie alla confezione riciclabile. Ricordiamo, infine, che il controllo degli sfinteri sta avvenendo ad età sempre maggiori e forse la responsabilità è da attribuire all’uso dei pannolini, che non danno più la sensazione del bagnato ai bambini.


In sintesi la ricetta magica per avere cura della pelle del vostro bambino e della vostra bambina è fatta di acqua, amido di mais (o acqua di cottura del riso), olio extravergine di oliva, pannolini ecologici e rispetto per l’ambiente.

Maria Edoarda Trillò, pediatra ASL Roma 5

Bebè a costo zero - Terza edizione
Bebè a costo zero - Terza edizione
Giorgia Cozza
Guida al consumo critico per accogliere e accudire al meglio il nostro bambino.Una guida al consumo consapevole per scoprire cosa è davvero indispensabile o utile acquistare durante la gravidanza e la prima infanzia. Carrozzine, vestitini, omogeneizzati: quanto costa avere un bambino oggi?Le statistiche parlano di un investimento di migliaia di euro solo nel primo anno di vita. Bebè a costo zero di Giorgia Cozza, è la guida al consumo critico e consapevole nell’affollato mondo dei prodotti per l’infanzia per scoprire cosa sia davvero indispensabile o utile durante la gravidanza e la prima infanzia, distinguendo tra reali esigenze e bisogni indotti dalla pubblicità. Il libro offre proposte e suggerimenti pratici per evitare spese inutili, con un occhio di riguardo all’ambiente e, soprattutto, per circondare il bambino solo di quanto può favorirne lo sviluppo psico-fisico, facendone una persona serena e armoniosa. Conosci l’autore Giorgia Cozza è una mamma-giornalista, specializzata nel settore materno-infantile, autrice di libri per bambini e numerosi manuali per genitori, divenuti un importante punto di riferimento per tante famiglie in Italia e all’estero.È stata relatrice in numerosi congressi per genitori e operatori del settore e ospite di trasmissioni televisive per rispondere a quesiti legati all’accudimento dei bimbi e a uno stile genitoriale ecocompatibile.