capitolo VII

Dobbiamo aver paura
degli stranieri?

Mi sento spesso dire dai genitori: “Sono confuso. Non so se vaccinare il bimbo. Ho delle perplessità, ma sa, con tutti questi extracomunitari che arrivano...” Queste preoccupazioni sono frutto delle informazioni distorte che confondono realtà con fantasie, del vento un po’ razzista che soffia da qualche tempo sul nostro Paese.

Nella memoria collettiva della nostra società sono riposti luoghi comuni e dicerie, leggende metropolitane, pregiudizi e paure che improvvisamente si risvegliano, spesso per effetto dei mezzi di comunicazione di massa, e pretendono di diventare verità sociali oggettive... Lo straniero come diverso, vagabondo incontrollabile, orco, ladro di bambini, stupratore di donne, e, naturalmente, untore di malattie spaventose. La storia si ripete. Durante l’epidemia di peste che falcidiò l’Europa intorno alla metà del quattordicesimo secolo si assistette alla persecuzione ed al primo sterminio di massa degli Ebrei, ritenuti colpevoli di diffondere il morbo. Le paure più profonde e irrazionali vedono sempre il diverso, lo straniero, il povero.
Dall’inizio dell’età moderna, nella mentalità collettiva è costantemente presente l’immagine del vagabondo, del forestiero che nessuno conosce e che arriva all’interno della comunità per portare le malattie o avvelenare le acque. Non a caso i primi provvedimenti adottati in occasione delle epidemie riguardano sempre le misure restrittive nei confronti dei vagabondi. Oggi gli extracomunitari sono visti come portatori di malattie da noi scomparse. Se in passato questo tipo di paura collettiva ha alimentato le forme estreme di razzismo, oggi rinasce come preoccupazione di senso comune nella richiesta di controlli medici degli stranieri e si esprime in una ‘patologizzazione’ degli stranieri in quanto tali.1
La migrazione delle persone si è spesso associata alla trasmissione di alcune malattie. La conquista delle Americhe ha esportato nel Nuovo Mondo il vaiolo, il morbillo, l’influenza, facendo strage delle popolazioni locali, prive delle difese immunitarie specifiche. In cambio i conquistatori importarono la sifilide, che si diffuse sopratutto in Francia, in Spagna e Italia. Le navi degli schiavisti permisero a una varietà di zanzara (Aedes aegypti) di “emigrare” in America, insieme agli Africani deportati, e diffondere così la febbre gialla. Gli Stati Uniti invece hanno esportato l’AIDS in tutto il mondo. I primi focolai di questa malattia furono identificati nelle grandi città americane, per diffondersi ovunque grazie al contagio per via sessuale e all’associazione con il consumo dell’eroina (con le siringhe infette che hanno svolto il ruolo di un moderno vettore). Eppure gli USA hanno messo in atto politiche di schedatura, di identificazione e persino il divieto di ingresso nel Paese ai soggetti positivi. Oggi questa malattia è in diminuizione in Occidente, mentre è sempre più drammatica la diffusione nei Paesi più poveri, da dove chi è malato, a differenza degli uomini d’affari americani di un decennio fa, non ha la forza per viaggiare e/o migrare2.

Aldo Morrone, primario dell’istituto San Gallicano di Roma, che ospita il primo ambulatorio pubblico in Italia di Medicina per Immigrati e senza dimora scrive:

Per gli extracomunitari che arrivano qui il principale fattore di mortalità è l’annegamento nel Mediterraneo, e non è vero che i loro bambini portano malattie nei nostri Paesi. Quei bambini si ammalano se restano nei loro Paesi: in Africa molti non raggiungono i 5 anni di vita.

La presenza degli stranieri non mette a rischio la salute dei cittadini italiani. Tutte le indagini clinico-scientifiche svolte in Europa sulla salute degli immigrati confermano che essi sono sostanzialmente sani perché rappresentano la parte più integra e più giovane della popolazione, in grado di affrontare i rischi di viaggi spesso drammatici, quasi sempre ai limiti dell’avventura, talora mortali3. L’immigrato, ce lo confermano statistiche molto ampie, è una persona generalmente forte, giovane, con spirito d’iniziativa. Il proprio corpo, insieme alla capacità lavorativa, è l’unico mezzo di scambio che ha, almeno inizialmente, con la nuova società. Una buona salute rappresenta l’unica certezza su cui investire il proprio futuro e quello della famiglia, spesso in attesa nel Paese d’origine. Chi si avventura in questi viaggi terribili è frutto di una auto-selezione di partenza che porta a scegliere i soggetti con maggiori possibilità di riuscita nel progetto migratorio.


Quindi la stragrande maggioranza degli immigrati non presenta malattie degne di nota, almeno al suo ingresso in Italia; oltre il 70% ha meno di 30 anni e rappresenta la parte economicamente e culturalmente medio-alta del proprio Paese d’origine. È statisticamente irrilevante l’incidenza delle principali malattie tropicali d’importazione di cui spesso si teme il contagio. Proprio i migranti invece possono cominciare ad ammalarsi dopo circa un anno dal loro arrivo. Le migrazioni infatti sono fonte di stress e di pericoli per la salute, perché comportano una nuova organizzazione della vita con un conseguente totale sradicamento dall’ambiente di origine e dalle proprie sicurezze. Il loro patrimonio di salute può essere messo alla prova da una serie di fattori di rischio: il malessere psicologico legato alla condizione d’immigrato, la mancanza di lavoro e reddito, la sottoccupazione in lavori rischiosi e non tutelati, il degrado abitativo in un contesto diverso dai territori di provenienza, l’assenza del supporto familiare, il clima e le abitudini alimentari diverse, che spesso si aggiungono a una condizione di status nutrizionale compromesso, la difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari. Sono gli immigrati che devono aver paura delle nostre malattie, ma non possono permettersi di coltivare questo sentimento, né di esprimere i propri bisogni di salute.

I problemi principali che caratterizzano la condizione di salute delle popolazioni migranti sono i seguenti:

  • Maggiore frequenza, in confronto alla popolazione italiana, dei ricoveri causati da traumatismi: 5,7% negli stranieri contro il 4,8% negli italiani.

  • Il tasso di incidenza degli infortuni tra gli stranieri sul lavoro è sensibilmente più elevato rispetto agli italiani: 60 contro 40 ogni 1.000 lavoratori; anche gli incidenti mortali sono più frequenti tra gli immigrati.

  • La percentuale dei casi di tubercolosi in persone straniere è in costante aumento: dal 21,7% nel 1999 al 39,4% nel 2004.

  • Per quanto riguarda l’infezione da HIV/AIDS, i dati dell’Istituto Superiore di Sanità evidenziano un costante e rapido aumento nel tempo della proporzione dei casi AIDS notificati in stranieri: (dal 3,0% nel 1982-’93 al 17,9% nel 2005). Si stima che siano circa 50.000 le donne che si prostituiscono.

  • Per quanto riguarda la salute della donna immigrata, si ricordano: l’alto tasso di abortività, che nel 2005 ha raggiunto in alcune regioni il 36% del totale, la scarsa informazione sanitaria, la presenza di mutilazioni genitali femminili.

Queste sono le patologie di cui soffrono gli immigrati: è evidente che non esiste pericolo per le malattie per cui esistono i vaccini pediatrici. Non c’è rischio di diffusione di “strane” patologie infettive, ma sono presenti le stesse patologie che colpiscono tutti gli indigenti, di qualsiasi colore sia la pelle. Si dice che i virus non conoscono frontiere, ma i viaggi per motivi di emigrazione hanno un’importanza quantitativa molto inferiore rispetto ai viaggi internazionali e intercontinentali per turismo o affari. Dobbiamo aver paura solo dei viaggi dei poveri e non temere nulla da chi va in Kenya per un safari, in India per un viaggio spirituale, nelle Filippine per fare il bagno in mare?


Oggi abbiamo le conoscenze, l’organizzazione, i mezzi preventivi e di sorveglianza necessari ad affrontare eventuali situazioni critiche. È doveroso tutelare queste nuove collettività, assicurare il diritto alle cure, nella stessa misura in cui è garantito a chi nasce in Italia. Oggi, con le norme inserite nel cosiddetto Pacchetto Sicurezza approvate – mentre scriviamo – dal Senato, si vuole introdurre uno stretto giro di vite per gli immigrati irregolari, prevedendo, tra le altre cose, la segnalazione alle Autorità dello straniero non in regola, da parte dei medici che prestano assistenza. Non si può andare contro i princìpi di solidarietà che sono le fondamenta del nostro Paese e della professione medica; prevedere la segnalazione – da parte delle Autorità Sanitarie – agli Organi di Polizia degli immigrati clandestini malati è una misura in evidente contrasto con l’articolo 32 della nostra Costituzione, che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. L’approvazione di tali modifiche può dare origine a una fuga di massa degli stranieri irregolari dalla sanità pubblica rendendoli “invisibili”. Invisibili come tanti bambini nel mondo.

In Asia, Africa e America Latina, la condizione dei bambini e ragazzi degli strati sociali più poveri è peggiore di quanto appaia dalle statistiche ufficiali. Secondo le stime dell’Unicef (Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia), sono circa un miliardo i bambini e ragazzi che non solo sono esclusi dal soddisfacimento dei bisogni vitali, ma sono spesso “invisibili”, ossia ignorati anche nelle statistiche. Tale condizione inizia per molti al momento stesso della nascita: oltre la metà dei bambini che nascono nelle regioni meno sviluppate non viene registrata all’anagrafe. Non esistono, quindi, come cittadini e la percentuale di bambini non registrati all’anagrafe è più alta nelle zone rurali (dove la povertà è maggiore) che in quelle urbane.

Di conseguenza la condizione drammatica di questi bambini non emerge alla luce del giorno, in quanto nelle statistiche ufficiali viene ignorata la loro stessa esistenza. Ciò significa che, a causa dell’estrema povertà, muoiono molti più bambini di quanto appaia dai dati forniti dai governi e che molti dati sulla salute dei bambini sono falsati in origine, proprio a causa dell’incertezza sul numero reale; questo ci porta a credere, tra l’altro, che le politiche di sorveglianza delle reazioni avversi ai farmaci e ai vaccini tra i bambini dei Paesi più svantaggiati siano carenti, o assenti del tutto. In molti Paesi poveri vengono celebrati e praticati i “Vaccination Days”: in queste occasioni, volontari e medici vaccinano tutti i bambini che riescono a intercettare, al di là di quanto stabilito dai programmi governativi, o delle immunizzazioni già eseguite. Meglio abbondare! Meglio un vaccino in più che uno in meno! Così può succedere che un bambino sia vaccinato molte volte in più di quanto raccomandato, senza certezze sulla sicurezza di questa pratica.

Talvolta studi sui bimbi africani – che non siano le bieche sperimentazioni delle multinazionali del farmaco (“i moderni cacciatori di corpi”, secondo Sonia Shah4) – vengono effettuati, ma non riescono a produrre cambiamenti concreti nelle strategie di intervento. Uno studio condotto in Guinea-Bissau ha dimostrato che la contemporanea somministrazione delle vaccinazioni contro difterite, tetano, pertosse associate a quella contro la poliomielite, ha provocato in quel Paese un netto aumento della mortalità infantile.5 Già altre ricerche, condotte in Senegal e in Benin, avevano riscontrato l’aumento della mortalità nei bambini vaccinati con il trivalente DTP. Secondo gli autori dello studio, l’aumento della mortalità è causato dalla debolezza del sistema immunitario dei bambini, provocata dalla sottoalimentazione e dalle precarie condizioni igienico-sanitarie. Nei Paesi industrializzati le reazioni così gravi come la morte da vaccino sono più rare, perché il sistema immunitario dei bambini, che sono in buona salute, risponde al meglio delle sue potenzialità. Ovviamente polemiche e discussioni accese, sia pro che contro, hanno fatto séguito ad affermazioni così forti, lanciate da una autorevole rivista scientifica. Non sono mancati interventi che hanno sottolineato l’importanza di strategie vaccinale più prudenti, in considerazione proprio degli effetti dei vaccini sulla risposta immune. Presto l’interesse sull’argomento è sfumato, e non è stato apportato alcun cambiamento alle politiche sanitarie dei Paesi oggetti degli studi.

Bambini super-vaccinati - 2a edizione
Bambini super-vaccinati - 2a edizione
Eugenio Serravalle
Saperne di più per una scelta responsabile.Un’attenta disamina sulla questione dei vaccini, che mette a confronto dati e ricerche aggiornate, per aiutare i genitori a scegliere con consapevolezza. Eugenio Serravalle, medico specializzato in Pediatria Preventiva, Puericultura e Patologia Neonatale, ha approfondito il fenomeno delle invenzioni delle malattie e lo studio delle composizioni dei vaccini, con gli additivi, i conservanti e le sostanze chimiche che possono avere effetti dannosi sulla salute dei bambini.Fermamente convinto dell’utilità dell’immunizzazione di massa, per anni ha vaccinato i suoi pazienti con ogni vaccino disponibile sul mercato, finché si è reso conto di aver accettato senza riserve il concetto abituale secondo cui i vaccini siano sempre efficaci e sicuri.Libero da ogni pregiudizio, l’autore ha cominciato a porsi domande diverse, quelle che soprattutto i genitori si pongono: i vaccini provocano malattie irreversibili? I bambini sono troppo piccoli per le vaccinazioni? I vaccini causano reazioni pericolose per l’organismo? Somministrare troppi vaccini insieme sovraccarica il sistema immunitario?In Bambini super-vaccinati da pediatra infantile si cala nel ruolo di genitore, cercando di chiarire ogni dubbio sulla pratica vaccinale: il libro vuole quindi garantire il diritto a un’informazione obiettiva e consapevole sui rischi derivanti dalle vaccinazioni, sulla libertà di scelta e di cura, fornire quindi ai genitori, e non solo, tutte le informazioni utili per scegliere in piena autonomia.In questa seconda edizione viene approfondito ancor di più tutto quello che la letteratura scientifica internazionale mette a disposizione, confrontando dati e ricerche cliniche. Conosci l’autore Eugenio Serravalle è medico specialista in Pediatria Preventiva, Puericultura e Patologia Neonatale.Da anni è consulente e responsabile di progetti di educazione alimentare di scuole d’infanzia di Pisa e comuni limitrofi.Già membro della Commissione Provinciale Vaccini della Provincia Autonoma di Trento e relatore in convegni e conferenze sul tema delle vaccinazioni, della salute dei bambini e dell’alimentazione pediatrica in tutta Italia.