Capitolo VI

Quali sono le cause
delle malattie?

Sono indicati con il termine di “determinanti sociali di salute”. Significano diseguaglianze, mancanza di risorse, istruzione carente, lavoro precario o poco sicuro: in una sola parola, povertà. Hanno un impatto diretto e immediato sulla salute.

La giustizia sociale sta diventando una questione di vita o di morte. Sta influenzando il modo di vivere della gente, la probabilità di ammalarsi e il rischio di morire prematuramente. La giustizia sociale sta finendo insieme alla vita di moltissime persone. Un mondo più giusto sarebbe anche un mondo più sano.

Sono affermazioni della Commissione sui determinanti sociali di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nella suo rapporto del 20081.

Le malattie più diffuse sono diverse a seconda delle condizioni economiche, ambientali e sanitarie in cui vivono le popolazioni.


Nelle regioni più sviluppate prevalgono le “malattie del benessere”, derivanti dall’eccessiva alimentazione, dall’inattività fisica, dall’uso di tabacco, alcool e droghe, dall’inquinamento dovuto al traffico e agli scarichi delle industrie. Molte morti premature sono provocate dalle malattie cardiovascolari, dal diabete e da alcuni tipi di tumore, e sono correlate al sovrappeso e all’obesità.

Nelle regioni meno sviluppate prevalgono le “malattie della povertà”, derivanti dalla sottoalimentazione e malnutrizione, dai rapporti sessuali non protetti, dalla mancanza di acqua potabile e servizi igienici, dal fumo dei combustibili solidi (legna, carbone, letame), usati in ambienti chiusi per cucinare e riscaldarsi.

Sono queste malattie a provocare il maggior numero di morti premature, in particolare tra i bambini di età inferiore ai cinque anni. In questa fascia di età un decesso su due si verifica perché il bambino è sottoalimentato. Si stima che in tutto il mondo muoiano in media ogni giorno oltre 26.000 bambini sotto i cinque anni, la maggior parte di loro per cause prevenibili. Più di un terzo di questi bambini muore durante il primo mese di vita, di solito a casa, senza avere accesso a servizi sanitari di base e a beni di prima necessità che potrebbero salvare loro la vita. Il numero annuale di decessi infantili è stato di 9,7 milioni nel 2006. Oltre l’80% di tutte le morti di bambini nel 2006 si è verificato nell’Africa Subsahariana e nell’Asia meridionale. Le regioni che non sembrano avviate a raggiungere il quarto Obiettivo di Sviluppo del Millennio (OSM 4, che prevede la riduzione di 2/3 della mortalità infantile entro il 2015) sono Medio Oriente e Nord Africa, Asia meridionale e Africa Subsahariana.

A partire dal 1970 l’Africa Subsahariana ha pesato sempre più, in percentuale, sul totale delle morti di bambini: nel 1970 vi si verificavano l’11% del totale mondiale delle nascite e il 19% delle morti infantili; nel 2006, la regione è arrivata a contare il 22% delle nascite e il 49% delle morti tra 0 e 5 anni. Un bambino nato nell’Africa Subsahariana nel 2006 ha 1 probabilità su 6 di morire prima di compiere 5 anni2.

Cause di morte e fattori che contribuiscono alla mortalità infantile

Le principali cause di morte per i bambini sotto i 5 anni sono: complicazioni neonatali (36%); polmonite (19%), diarrea (17%); malaria (8%); morbillo (4%); AIDS (3%).


1 persona su 5 non ha accesso a forniture di acqua potabile e circa la metà è priva di adeguati servizi igienico-sanitari.


Il numero di bambini che muore per malattie diarroiche provocate dall’acqua inquinata e dalla mancanza di servizi igienici è stimato a circa 2 milioni l’anno, circa il 17% di tutte le morti infantili da 0 a 5 anni.


La tubercolosi uccide ogni anno 1,6 milioni di persone: oltre i due terzi dei decessi avvengono in Africa e Asia sud-orientale. La malaria, trasmessa dalla zanzara anofele, uccide ogni anno nelle regioni meno sviluppate circa 1,3 milioni di persone: tra queste, 90% sono bambini di età inferiore ai cinque anni. La maggior parte dei decessi si verifica nell’Africa subsahariana.


L’istruzione e l’empowerment delle donne hanno benefici diretti sulla sopravvivenza, la salute e lo sviluppo dei loro bambini. Ma quasi 1 ogni 4 adulti (definiti qui come di età superiore a 15 anni) è analfabeta, con netta sproporzione a sfavore delle donne.


I conflitti spesso portano a emergenze complesse, con scontri armati, popolazioni sfollate e insicurezza di cibo, con conseguenze particolarmente letali per i bambini. Attualmente oltre 40 Paesi, il 90% dei quali a basso reddito, sono coinvolti in conflitti.


I tassi più alti di mortalità tra le popolazioni rifugiate tendono a verificarsi nella popolazione infantile, in particolare tra i bambini al di sotto dei cinque anni. Degli 11 paesi in cui il 20% o più di bambini muore prima di raggiungere i cinque anni (Afghanistan, Angola, Burkina Faso, Ciad, Repubblica democratica del Congo, Guinea equatoriale, Guinea Bissau, Liberia, Mali, Niger e Sierra Leone) oltre la metà hanno sofferto a causa di gravi conflitti armati sin dal 1989.


Tassi più alti e più bassi di mortalità infantile 0/5 anni
(per i soli Paesi in via di sviluppo)
  • Tassi più alti di mortalità infantile 0/5 anni:

    • Sierra Leone, con il tasso più alto: 270 morti su 1.000 nati vivi

    • Angola, al secondo posto con 260 morti ogni 1.000 nati vivi

    • Afghanistan, al terzo posto con 257 morti ogni 1.000 nati vivi

  • Tassi più bassi di mortalità infantile 0/5 anni:

    • Cuba, al 157° posto con 7 morti ogni 1.000 nati vivi

    • Sri Lanka, al 135° posto con 13 morti ogni 1.000 nati viviSiria, al 130° posto con 14 morti ogni 1.000 nati vivi3


Queste malattie provocano nelle regioni meno sviluppate non solo milioni di morti premature, ma gravi conseguenze sociali. Ad esempio, quando in una famiglia contadina dell’Africa subsahariana la madre o il padre si ammala di AIDS, diminuisce la capacità di sopravvivenza dell’intera famiglia. La situazione precipita quando i figli restano orfani, spesso senza assistenza. Il loro numero, nell’Africa subsahariana, si avvicina ai 20 milioni. Lo stesso avviene per effetto della malaria e della tubercolosi: queste malattie debilitanti riducono la capacità lavorativa delle popolazioni che ne sono colpite, facendo aumentare la sottoalimentazione e quindi il rischio di ammalarsi.

La deleteria combinazione di politiche sbagliate e condizioni economiche negative è in gran parte responsabile del fatto che molte persone nel mondo non godono della buona salute che sarebbe biologicamente possibile. Sono le condizioni di vita quelle che determinano la salute delle persone4.

In conclusione è “l’ingiustizia sociale che uccide le persone”.

Nel 1980 il 10% della popolazione delle nazioni più ricche deteneva il 60% delle entrate rispetto ai Paesi più poveri. Venticinque anni dopo, le differenza è aumentata sino al 122% . Questo spiega le differenze abissali che si registrano: una ragazza che nasce nel Paese africano del Lesotho vivrà in media 42 anni meno di una ragazza che nasce in Giappone. Il tasso di mortalità infantile è pari al 2/1.000 in Islanda, mentre è del 120/1.000 in Mozambico. Se in Svezia il rischio di una donna di morire per complicazioni della gravidanza o del parto è di un caso ogni 17.400, in Afghanistan è di uno su 8.

L’Italia si colloca a metà strada, sicuramente, tra i Paesi ricchi. Le aspettative di vita nel nostro Paese sono pari a quelle riscontrate in Canada o in Svezia; al di sotto, però della Francia e della Germania.


Negli Stati Uniti si registrano enormi disparità, e – secondo l’OMS – “sono ancora grandi le distanze tra la popolazione bianca e quella di colore”. Diciottomila americani muoiono ogni anno per mancanza di assistenza sanitaria. Centocinquemila bambini, soltanto in Texas, sono stati esclusi nel 2008 dall’assistenza sanitaria pubblica, per risparmiare spese (sprechi, nel gergo elettorale). L’assistenza sanitaria non è una garanzia riconosciuta e la salute non è considerata un diritto di ogni cittadino. Chi ha soldi si cura privatamente e chi non li ha soccombe, perde il lavoro, la casa, tutto. Il servizio sanitario viene concepito più come merce di consumo che come bene pubblico. Sono suggestive le immagini dei telefilm che fanno dei medici negli ospedali americani degli eroi, sempre in prima linea contro le malattie e gli incidenti, ma la realtà è ben diversa: negli USA chi non possiede efficienti polizze assicurative non può accedere a servizi adeguati alla gravità della malattie. Quello che conta è sempre il denaro, la disponibliltà a spendere, ad acquistare quello che dovrebbe essere un diritto: quello di essere curati. Il diritto alla salute è una formula vuota, una “insensata bufala ideologica. Tutt’altra questione è il diritto alla cura, all’assistenza, a un ambiente sano5

Le differenze sono evidenti anche nella nostra Europa: nel civilissimo Regno Unito la mortalità di un adulto, per esempio, è 2,5 volte superiore nei quartieri più sfavoriti rispetto a quella dei quartieri più ricchi. Un ragazzo che vive nella povera periferia di Calton a Glasgow vivrà in media 28 anni in meno di un ragazzo nato nel vicino (13 kilometri di distanza) ma ricco quartiere di Lenzie. Allo stesso modo l’aspettativa di vita media nella ricca Hampstead a Londra è di 11 anni maggiore del vicino ma degradato St. Pancras. Le differenze sono così marcate da non potersi spiegare con fattori genetici o biologici, ma conta “come si lavora, che mansioni si svolgono, le condizioni socio-economiche”. Una volta di più si ha la conferma che la salute è legata alle appartenenze sociali (negli anni ’70 si sarebbe detto che la salute è di classe).


L’Organizzazione Mondiale della Sanità nel definire il concetto di salute – uno stato di benessere fisico, psichico e sociale, e non semplicemente l’assenza di malattie – indica che la “causa delle cause” della salute malata è la povertà e l’esclusione sociale. Tutte le statistiche, realizzate con le più disparate metodologie, affermano che le iniquità sociali sono l’effetto e la causa dell’erosione del più elementare dei diritti: quello alla vita. È dimostrato che la durata della vita di ognuno è fortemente connessa alla classe sociale di appartenenza. Nella popolazione maschile adulta gli operai hanno una probabilità di morte quasi doppia rispetto agli impiegati. Negli ultimi decenni le differenze tra classi sociali rispetto alla durata della vita sono addirittura aumentate. Il premio Nobel per l’economia A. Sen6 evidenzia che le vecchie forme di iniquità sociali non sono state superate e che altre, in forme del tutto nuove e imprevedibili nei loro effetti, se ne presentano. Si pensi anche solo a quelle tra generazioni, a quelle che discendono da un diverso rapporto con l’ambiente, a quelle dovute all’incalcolabile controllo delle conoscenze e del sapere. L’allungamento della speranza di vita per noi che viviamo nelle zone più ricche del mondo ha un corrispettivo nel fallimento del raggiungimento dello stesso obiettivo per gli uomini, le donne, i bambini del Sud del mondo. Non siamo riusciti a collocare il nostro diritto alla vita a fianco di quelli di altre persone. Non esiste salute individuale se non esiste salute sociale, se non esiste armonia nei rapporti con gli altri uomini, con la natura, i differenti saperi, le credenze e le ideologie. La salute va vista come “la realizzazione per tutte le donne e gli uomini di tutte le proprie potenzialità fisiche, psichiche e culturali”. Solo quando le persone si realizzano completamente si può parlare di persone sane. La salute di una persona, e quindi di un popolo, dipende dal modo in cui la cultura, la politica e la società condizionano l’ambiente e creano quelle circostanze che favoriscono in tutti, e specialmente nei più deboli, la fiducia in sé stessi, l’autonomia, la dignità di esseri umani. Di conseguenza, la salute tocca i suoi livelli ottimali là dove l’ambiente genera nelle persone la capacità di far fronte alla vita in modo autonomo e responsabile. La salute in questo senso equivale al grado di cultura e di libertà vissuta7.

Conclusioni

La salute è imprescindibilmente legata all’ambiente sociale e in tutti gli studi prodotti a livello nazionale e internazionale si possono evidenziare quattro elementi peculiari8.

  1. Lo stato di salute non dipende solo da fattori genetici, biologici, chimici e fisici ma anche dai contesti socio-economici.

  2. La condizione socio-culturale delle persone influenza il rischio di ammalarsi, il decorso e spesso l’esito della malattia.

  3. Un modello valido di welfare state deve integrare un servizio sanitario nazionale, solidale, pubblico e universale. È inevitabile che disuguaglianze economiche, sociali e culturali determinino iniquità nell’accesso ai servizi sanitari. Nell’indagine condotta dall’Istat sui consumi delle famiglie, relativa all’anno 2006, emerge che la difficoltà nell’accesso al pronto soccorso e ai servizi sanitari della ASL è significativamente superiore per le famiglie povere: viene dichiarata nel 13,5% dei casi per il pronto soccorso (contro l’8,4% delle famiglie non povere) e nel 10% dei casi (contro il 6,1% delle famiglie non povere).

  4. La povertà, il grado di deprivazione relativa dei processi di esclusione sociale in ogni Paese hanno un impatto considerevole sulla salute della sua popolazione. Anche nazioni come l’Italia in cui il benessere economico sembra essere molto elevato, il fenomeno dell’esclusione sociale e della marginalità presenta un’incidenza crescente.

Solo gli interventi per migliorare le condizioni di vita costituiscono l’antidodo, il vaccino efficace davvero per ridurre l’insorgenza delle malattie e per contrastare la riduzione della speranza di vita. Occorre anzitutto eliminare la sottoalimentazione e malnutrizione che, indebolendo l’organismo dei bambini, lo rendono più vulnerabile alle malattie, dotare di acqua potabile le popolazioni che ne sono prive; migliorare le loro condizioni abitative, igieniche e sanitarie. Occorre ridurre le disparità sociali, permettere l’accesso a cure a tutti, indipendentemente dalla loro capacità economica. Non basta vaccinare tutti i bambini del mondo per vincere le battaglie contro i virus e i batteri. Occorre rilanciare una politica della salute sui determinanti sociali, il contesto ambientale e le iniquità presenti nella popolazione.

A partire dagli anni Ottanta l’obiettivo salute è scomparso dall’agenda politica. Non solo non è più considerato un moltiplicatore di sviluppo ma addirittura viene visto com un ostacolo finanziario nelle economie nazionali

Giovanni Berlinguer.

Occorre una rilettura dei bisogni di salute percepiti dalla popolazione per poter demedicalizzare una domanda di salute che spesso è artificiosamente e irresponsabilmente rivolta verso uno sfrenato consumismo farmacologico e di prestazioni sanitarie molto costose, assolutamente inappropriate, inefficaci, spesso inutili e talvolta dannose.


Per combattere le malattie infettive occorre ridurre ed eliminare la povertà: è questa “la malattia” che provoca più vittime nel mondo.

Bambini super-vaccinati - Seconda edizione
Bambini super-vaccinati - Seconda edizione
Eugenio Serravalle
Saperne di più per una scelta responsabile.Un’attenta disamina sulla questione dei vaccini, che mette a confronto dati e ricerche aggiornate, per aiutare i genitori a scegliere con consapevolezza. Eugenio Serravalle, medico specializzato in Pediatria Preventiva, Puericultura e Patologia Neonatale, ha approfondito il fenomeno delle invenzioni delle malattie e lo studio delle composizioni dei vaccini, con gli additivi, i conservanti e le sostanze chimiche che possono avere effetti dannosi sulla salute dei bambini.Fermamente convinto dell’utilità dell’immunizzazione di massa, per anni ha vaccinato i suoi pazienti con ogni vaccino disponibile sul mercato, finché si è reso conto di aver accettato senza riserve il concetto abituale secondo cui i vaccini siano sempre efficaci e sicuri.Libero da ogni pregiudizio, l’autore ha cominciato a porsi domande diverse, quelle che soprattutto i genitori si pongono: i vaccini provocano malattie irreversibili? I bambini sono troppo piccoli per le vaccinazioni? I vaccini causano reazioni pericolose per l’organismo? Somministrare troppi vaccini insieme sovraccarica il sistema immunitario?In Bambini super-vaccinati da pediatra infantile si cala nel ruolo di genitore, cercando di chiarire ogni dubbio sulla pratica vaccinale: il libro vuole quindi garantire il diritto a un’informazione obiettiva e consapevole sui rischi derivanti dalle vaccinazioni, sulla libertà di scelta e di cura, fornire quindi ai genitori, e non solo, tutte le informazioni utili per scegliere in piena autonomia.In questa seconda edizione viene approfondito ancor di più tutto quello che la letteratura scientifica internazionale mette a disposizione, confrontando dati e ricerche cliniche. Conosci l’autore Eugenio Serravalle è medico specialista in Pediatria Preventiva, Puericultura e Patologia Neonatale.Da anni è consulente e responsabile di progetti di educazione alimentare di scuole d’infanzia di Pisa e comuni limitrofi.Già membro della Commissione Provinciale Vaccini della Provincia Autonoma di Trento e relatore in convegni e conferenze sul tema delle vaccinazioni, della salute dei bambini e dell’alimentazione pediatrica in tutta Italia.