Capitolo I

Più vaccini, più salute?

L’invenzione delle malattie

La vaccinazione antinfluenzale continua a essere universalmente raccomandata nonostante le evidenze scientifiche contrarie1. Gli studi sponsorizzati dall’industria farmaceutica ne sostengono l’utilità. Questi sono più spesso favorevoli al vaccino rispetto agli studi sostenuti da fondi governativi o pubblici, e molte volte presentano conclusioni non coerenti con i risultati effettivamente ottenuti, vale a dire che le considerazioni finali degli autori sono in contraddizione con gli stessi dati risultanti dalle analisi. Sono pubblicati sulle riviste più importanti, a dispetto di una qualità mediamente scadente, e di conseguenza sono i più letti e citati. Influenzano le scelte operative dei singoli medici e della sanità pubblica. Governi, media e key opinion leader (quei personaggi che in televisione esprimono in continuazione il loro autorevole pensiero) continuano serenamente a raccomandare la vaccinazione antinfluenzale senza chiedersi come sia possibile farlo in assenza di prove scientifiche e di studi indipendenti.

Disease mongering” significa letteralmente “mercificazione, commercializzazione della malattia”.

Il termine indica la “messa in vendita di disturbi che allargano la linea di confine tra malattia e salute, allo scopo di ampliare il mercato per coloro che vendono o comunque distribuiscono il relativo trattamento”. È l’espressione estrema e più odiosa del marketing perché non è più sola promozione del farmaco, ma della malattia stessa. Nel 1992 Lynn Payer in “Disease mongers: how doctors, drug companies, and insurers are making you feel sick2 denunciò come venisse aumentata la richiesta di servizi, prestazioni, prodotti, attraverso la dilatazione dei criteri diagnostici di alcune malattie. In particolare, mediante tre meccanismi:

  1. trasformare banali e comuni disturbi in problemi medici significativi,

  2. farli apparire pericolosi,

  3. proporre terapie delle quali si esaltano i benefici e si sottostimano i rischi.

Per le malattie infettive il meccanismo ideato dal marketing industriale non è quello di creare nuove malattie – non ce n’è bisogno – ma trasformare la percezione e la considerazione di quelle esistenti nell’opinione dei medici e dei pazienti. Fino a qualche anno fa si diceva al paziente: Si tratta di una banale influenza, qualche giorno di riposo e passa tutto. Oggi al contrario l’influenza è vista come una grave patologia da curare necessariamente con antivirali e da prevenire con le vaccinazioni. Perché potrebbe, come la SARS, l’influenza aviaria, la pandemia suina, causare milioni di morti... La meningite spaventa i genitori? Ecco pronti i vaccini per evitarla, senza fornire informazioni sulla reale frequenza della patologia, sulla loro efficacia e durata. Il vaccino contro due sierotipi (di una famiglia di circa 120) di papillomavirus diventa nel messaggio pubblicitario il vaccino contro il tumore del collo dell’utero. In realtà non esistono prove scientifiche che la vaccinazione possa avere questo effetto (lo sapremo, forse, tra dieci anni), ma intanto si vaccinano le ragazze dodicenni, mentre qualcuno vorrebbe vaccinare anche i maschi.


Il bisogno di medicalizzare la nostra vita per aumentare i guadagni altrui è una pratica sempre più diffusa, e tante sono le strategie che vengono adottate. Le malattie non sono mai provocate da un’unica causa, ma dall’interazione di più fattori. Anche per le malattie infettive vale la stessa regola: uno stesso germe può provocare una grave condizione patologica in qualche persona, un’infezione lieve in altre, e nessun sintomo in altre ancora. Si fa, e non a caso, grande confusione attorno al termine “prevenzione” e ai suoi possibili effetti sulla sanità pubblica. La costruzione di un acquedotto e di sistemi di potabilizzazione dell’acqua sarebbero interventi di prevenzione molto più efficaci e convenienti della vaccinazione contro il rotavirus per prevenire le diarree e le gastroenteriti.

La mortalità causata da colera, tifo, tubercolosi, morbillo, scarlattina, pertosse è iniziata a regredire con il miglioramento delle condizioni igieniche, sanitarie, alimentari, ben prima della stessa identificazione degli agenti patogeni delle varie epidemie, e dei loro vaccini3. La malattia non è causata da una “natura matrigna” ma dal modello di sviluppo della nostra società.


Prevenzione significa rimuovere le cause della malattia; oggi si usa come sinonimo di “diagnosi precoce”, il che è altra cosa. Pensiamo a un tumore: uno screening che evidenzia un problema appena sorto non è prevenzione, non interviene sulla rimozione della causa originale del problema. Permette solo di riconoscerlo prima, ma comunque quando c’è già. Mentre la rimozione delle cause di malattia ne determina una riduzione nei tassi d’incidenza, la diagnosi precoce non influisce sulla frequenza ma, se funziona, influisce solo sulla gravità della patologia in esame. Gli screening non costituiscono un intervento di prevenzione giacché la malattia si è già determinata. Quando funzionano, consentono di modificare la storia naturale della malattia diminuendone gli effetti negativi4. Ma servono molto a questa sanità per farle dire che “Prevenire è meglio che curare”: una mistificazione che riempie gli ospedali di gente sana che necessita di ulteriori accertamenti per gli esiti positivi di un esame di screening. Con un danno incalcolabile per la salute individuale e un bel valzer di euro per le tasche pubbliche.

Vendere malattie e vendere salute5 è diventata un’esigenza di mercato. Nel 1976 Henry Gadsen, direttore dell’industria farmaceutica Merck, dichiarò alla rivista Fortune: “Il nostro sogno è produrre farmaci per le persone sane. Ci permetterebbe di vendere a chiunque”. Oggi c’è una pillola per ogni malattia e una malattia per ogni pillola. E quando la malattia non c’è, s’inventa: gli esempi sono numerosi. Nel 2006 è stato condotto uno studio controllato randomizzato su soggetti “pre-ipertesi”, cioè paradossalmente a rischio di diventare a rischio. L’ipertensione infatti non è una malattia, come si vuol far credere, ma un fattore di rischio della malattia cardio-vascolare, che può causare infarto e ictus. Anche se non ufficialmente ipertesi, questi soggetti vennero trattati con un anti ipertensivo (candesartan), dimostrando che in uno su dieci, il farmaco ritardava l’evoluzione a valori pressori più elevati6. Esiste anche l’osteopenia, o pre-osteoporosi: condizione che riguarda le donne già in menopausa che hanno una densità minerale ossea ridotta e sono a rischio di diventare a rischio. Anche l’osteoporosi è solo un fattore di rischio: chi ne è affetto può andare più facilmente incontro a fratture ossee. È questa la patologia vera, ed è inutile una terapia prima che si oltrepassi la soglia del rischio effettivo. Analogo ragionamento può valere anche per la colesterolemia, la glicemia, per i quali basta abbassare la soglia di normalità e ci si può improvvisamente ritrovare nella schiera dei malati, bisognosi di farmaci.


Oggi è di gran moda il diabete gravidico, cioè l’aumento della glicemia nelle donne gravide. Una revisione della definizione effettuata nel 2010 da una commissione internazionale ha abbassato i valori per la diagnosi provocando più del raddoppio delle donne classificate in questa condizione: quasi il 20% di tutte le gravide. Il rapporto della commissione sostiene che la definizione allargata ridurrà i problemi di salute, compresa la nascita di bambini “grandi per l’età gestazionale”, ma ammette che alcune raccomandazioni sono basate su opinioni perché non sono ancora disponibili buone evidenze e che la loro nuova definizione allargata “aumenterà in modo sostanziale la frequenza di disordini iperglicemici in gravidanza”. Insomma, si sta costruendo un altro caso di iper-medicalizzazione con il rischio che milioni di donne vengano etichettate inutilmente e si sprechino grandi risorse7.


Per i parametri biologici non esiste un valore normale. Per convenzione si considerano nella norma i valori entro due deviazioni standard dalla media, che comprendono cioè circa il 95% della popolazione. Oltre questo limite si è non-normali, non-sani; in poche parole: se non malati, comunque ad alto rischio di diventarlo. Ogni misurazione di un parametro biologico rende automaticamente malato il 5% della popolazione.

Sottoponendoci a tanti esami diagnostici sarà probabile imbatterci in un valore che si discosta dalla media: è un dato matematico. Bastano una trentina di esami ematochimici e magari una TAC total body; con un paio di asterischi e una anomalia descrittiva ci ritroviamo malati8. Le definizioni di malattia sono oggi così ampie che quasi tutta la popolazione più anziana è affetta da almeno una malattia cronica. Ampliare così i limiti per definire una persona malata, e abbassare di pari passo le soglie per i valori di normalità, finisce per esporre persone con problemi lievi o rischi modesti, ai danni e ai costi di trattamenti di poco o nessun beneficio.


Molti membri delle commissioni che deliberano sulla normalità dei valori biologici hanno legami finanziari diretti con le aziende che traggono benefici dalle nuove formulazioni di questi criteri. Vediamo qualche esempio. Dei dodici membri della commissione che nel 2003 ha creato la “preipertensione”, undici ricevevano denaro dalle compagnie farmaceutiche, e sei hanno dichiarato ampi legami con più di dieci ditte a testa9. La pre-ipertensione farebbe classificare come malati quasi il 60% della popolazione adulta degli USA.

Anche nel caso dei dodici autori del documento del 2009 sul diabete di tipo due, undici avevano pesanti conflitti d’interesse. Erano impiegati come consulenti, relatori o ricercatori, ciascuno per una media di nove compagnie farmaceutiche. Questa commissione ha deliberato l’abbassamento dei limiti di normalità della glicemia. Su altre patologie, come la disfunzione sessuale, i conflitti d’interesse hanno raggiunto livelli assurdi: i dipendenti della compagnia farmaceutica hanno progettato, insieme a consulenti pagati, gli strumenti diagnostici per identificare e poi medicalizzare milioni di donne con un disturbo di “basso desiderio sessuale” che non esiste neppure10. Il 56% dei membri della commissione che ha prodotto la quarta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM, Manuale di diagnostica e statistica delle malattie mentali) aveva legami economici con le industrie farmaceutiche, e per alcune sottocommissioni – come quelle sui disturbi dell’umore – la percentuale saliva al 100%. Questo ha contribuito a un’esplosione di diagnosi non necessarie nel campo del deficit di attenzione, dell’autismo e del disturbo bipolare11.


La scienza si fonda sull’obiettività della conoscenza. Le strategie di marketing delle ditte farmaceutiche hanno un altro presupposto: “Una persona sana è un malato che non sa di esserlo12. Il fenomeno dell’invenzione delle malattie, la creazione di bisogni da parte dell’industria, le strategie di screening puntano ormai alle persone sane in modo aggressivo. Perché convincere i sani che sono malati produce lauti guadagni.

Oggi chi vive nei “Paesi sviluppati” ha una speranza di vita più lunga e più sana di qualche generazione fa, ma mai come ora sono diffuse capillarmente campagne pubblicitarie o di sensibilizzazione che hanno trasformato il concetto di malattia. Sembra che la salute sia diventata una condizione che nessuno riesce più a raggiungere, uno stato transitorio che non prevede nulla di buono. Normali momenti della vita, come la nascita, l’allattamento, l’adolescenza, la menopausa, l’invecchiamento sono presentati come stati patologici. Parti con taglio cesareo inutili, allattamento artificiale, cerotto di ormoni per le donne in menopausa, preparati anti-età stanno trasformando il nostro modo di vivere.

Le piccole difficoltà della vita di tutti i giorni sono diventate patologie gravi, e così la timidezza diventa un “disturbo di ansietà sociale” e la tensione premestruale una malattia mentale definita “disturbo disforico premestruale”. Si può trasformare uno stato di salute poco conosciuto in una patologia frequente, si può imporre un nuovo nome a una malattia già nota (ma un po’ “fuori moda”), si può creare dal nulla una nuova disfunzione e un nuovo mercato.

La disfunzione erettile, la disfunzione sessuale femminile, il disturbo del deficit di attenzione nei bambini e negli adulti, la menopausa maschile, l’insonnia da turno di notte, la fobia nei confronti degli altri, il jet lag, la dipendenza da internet, la dipendenza da videogiochi, la sindrome dello shopping convulsivo, la malattie delle gambe irrequiete, la sindrome della vescica iperattiva, la fibromialgia, il disturbo da difetto motivazionale13, ...; la fantasia degli inventori di malattie è irrefrenabile. “La medicina ha fatto così tanti progressi che ormai più nessuno è sano”

(Aldous Huxley).

In pediatria per “creare una malattia”, a volte si è fatto a meno di pubblicazioni scientifiche e della stessa dimostrazione dell’utilità di un certo intervento, o della nocività del non intervento: milioni di bambini hanno portato (e portano?) scarpette ortopediche per il problema del piede lasso, che potrebbe diventare piatto (ma non lo diventerà mai). Ogni episodio di rigurgito, di dolore, o di asma del lattante sono diventati segni clinici di reflusso gastro-esofageo: negli ultimi quindici anni diagnosi (ecografie, phmetrie) e trattamenti farmacologici sono diventati una routine14.
Il vaccino antipapillomavirus è stato lanciato in Italia dal progetto ONDA (Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna). Partners del progetto sono le Istituzioni: il Parlamento italiano ed Europeo, il Ministero della Salute, l’Assessorato alla Salute del Comune di Milano. I sostenitori sono le maggiori multinazionali di Big Pharma: Glaxo SmithKline, Sanofi Pasteur MSD, Roche, Pfizer, ScheringPlough, Istituto Ganassini, BASF, AstraZeneca, Rathiopharm, Wyeth, e altre. L’intreccio tra gli interessi di chi vende i vaccini e le scelte dei responsabili della Sanità pubblica dovrebbero essere regolati da un’etica diversa, molto difficile da perseguire, se il 76% della sperimentazione clinica italiana, secondo i dati del Ministero della Salute, viene condotta avendo come sponsor le aziende farmaceutiche, che concentrano la loro ricerca per il 12,4% nel gruppo dei farmaci di cui fanno parte i vaccini.

I risultati sono gli studi clinici che vengono pubblicati sulle riviste scientifiche. Che vanno letti con attenzione, poiché:

•  il 34% dei principali autori di articoli in giornali scientifici sono compromessi con i loro fornitori di finanziamenti;

•  solo il 16% dei giornali scientifici hanno una linea di condotta sui conflitti d’interessi, e solo lo 0,5% degli articoli pubblicati hanno autori che abbiano svelato tali conflitti;

•  gli scienziati inglesi e statunitensi stanno firmando articoli di cui non sono autori, ma che sono invece scritti da consulenti che lavorano per diverse aziende;

•  l’87% degli scienziati che scrivono linee guida cliniche hanno legami finanziari con aziende farmaceutiche15.


Ogni anno vengono pubblicati, sulle 25.000 riviste scientifiche mondiali, più di 2 milioni di articoli.

Una grossa percentuale (tra il 50 e il 70%) delle ricerche non viene resa nota: sono i risultati negativi o poco favorevoli. Viene operata una “selezione dei dati”. Nel 2003, confrontando i risultati di numerosi studi finanziati dall’Industria Farmaceutica con quelli di altri studi finanziati da altre fonti, si è trovato che il primo gruppo aveva quattro volte più probabilità di avere risultati favorevoli alla ditta farmaceutica che lo aveva finanziato rispetto gli studi indipendenti16.

Gli studi possono essere manipolati in varie maniere: si possono rimaneggiare, abbellire, cambiare secondo i desideri dei committenti. E le riviste scientifiche, dal canto loro, preferiscono pubblicare gli studi che presentano risultati positivi. Una ricerca ha rivelato che tra gli studi presentati alla Food and Drug Administration americana sull’efficacia degli antidepressivi quasi tutti quelli con risultati positivi erano stati pubblicati, mentre quelli con risultati negativi no. Questi ultimi, però, sono interessanti quanto quelli positivi, anche se non altrettanto entusiasmanti. Secondo i ricercatori non si tratta di una truffa, ma del fatto che i criteri di scelta dell’editoria scientifica rendono semplicemente più probabile la pubblicazione di risultati sbagliati.


“È evidente che le Compagnie Farmaceutiche stanno raggiungendo i risultati che vogliono e questo è particolarmente inquietante perché il 65-75% delle sperimentazioni pubblicate sulle riviste specialistiche sono finanziate dall’Industria Farmaceutica”17.

È grande la quantità di studi che si contendono le pagine delle riviste più prestigiose, e i vincitori sono quelli che si sopravvalutano e strombazzano risultati sensazionali, che poi si rivelano falsi. Il dottor Ioannidis sulla rivista online “Public Library of Scienze (Plos) Medicine” ha affermato che la maggior parte degli studi pubblicati sono sbagliati; Neal Young dei National Institutes of Health del Maryland e Omar Al-Ubaydli, economista della George Mason University di Fairfax in Virginia, ne spiegano la ragione. Tutto comincia con gli aspetti pratici dell’editoria scientifica. Centinaia di migliaia di ricercatori sono assunti, incoraggiati e finanziati non solo in base alla lavoro che fanno, ma anche in base alle loro pubblicazioni. L’analisi di quarantanove articoli pubblicati da riviste importanti e citati da oltre 1.000 scienziati ha scoperto che, pochi anni dopo la pubblicazione, quasi un terzo degli articoli era stato confutato da studi successivi. “Occorre rassegnarsi all’idea che gli studi scientifici è più probabile che siano falsi piuttosto che veri18. Oltre a scorrette modalità metodologiche, possono incidere anche i grossi interessi economici in gioco, con la conseguente non imparzialità dei ricercatori19.


Forse le riviste scientifiche non sono nient’altro che strumenti di marketing utilizzati dalle industrie farmaceutiche per i propri interessi, e i medici e i ricercatori sono i loro agenti

ha scritto Richard Smith, a conclusione di una ricerca sui conflitti di interesse esistenti tra aziende farmaceutiche, medici e giornalisti scientifici, durata quasi 20 anni.


“Oltre a finanziare più dei 2/3 di tutti i progetti di ricerca realizzati in Italia, le industrie farmaceutiche alimentano con le loro donazioni il 50 per cento del budget complessivo delle società scientifiche. Queste, pur di avere i finanziamenti, sono disposte ad accettare le condizioni, i protocolli, i contratti forniti dalle industrie. Con questo sistema scompare la ricerca indipendente e libera da condizionamenti: molto spesso, prima di pubblicare uno studio, c’è l’obbligo per contratto di presentare preventivamente i risultati allo sponsor. Che in alcuni casi ha perfino il potere di bloccare la pubblicazione”20.

L’assenza di malattie e l’eterna giovinezza sono i miti che l’industria propaganda. E così la spesa farmaceutica aumenta in tutto il mondo occidentale, e pure in Italia. Se la medicina ha fatto negli ultimi decenni grandi progressi, la salute è nel frattempo diventata una merce e come tale soggiace ai meccanismi economici della domanda e dell’offerta. La domanda è spesso condizionata da un’industria che investe un terzo del bilancio complessivo in marketing, il doppio di quello che spende nella ricerca21. Solo negli Stati Uniti i colossi farmaceutici destinano ogni anno decine di miliardi di dollari per promuovere medicinali (la pressione si esercita con viaggi, inviti a congressi, regali, finanziamenti a società scientifiche, pubblicità mascherata da campagne di informazione). Big Pharma (le prime dieci multinazionali del farmaco) spende in marketing più del doppio di quanto investe in ricerca e sviluppo di nuove molecole terapeutiche, in innovazione tecnologica.

Dagli anni ’80 l’industria farmaceutica è il business più redditizio del mondo. I profitti costituiscono in media il 15,5 per cento del fatturato, mentre per gli altri settori la media è del 3,5 per cento. Non si tratta naturalmente di negare la validità della medicina moderna. I medicinali che si utilizzano durante e dopo un intervento chirurgico, quelli che consentono di respirare nonostante una crisi asmatica e quelli che correggono i deficit ormonali, come il diabete, tanto per citare alcuni esempi, sono strumenti indispensabili per assicurarci la vita. Quello che è in discussione sono gli interessi economici dell’industria, che finiscono nel determinare le politiche sanitarie; una trasparenza che i governi non sono in grado di esigere; un conflitto di interessi che coinvolge operatori sanitari, classi politiche e associazioni degli utenti, facile preda dei finanziamenti industriali22.


Questa medicina che investe più nel marketing che nella ricerca, che “corre veloce e non è più in grado di valutare con onestà i propri successi e insuccessi; che sa quale sia la cura per un gruppo di soggetti, ma non per quel singolo individuo che deve essere curato; che utilizza strumenti diagnostici e terapeutici senza una completa conoscenza dei rischi e dei benefici... sta perdendo di vista il significato della peculiarità dell’incontro tra un medico e un paziente”23.

Bambini super-vaccinati - 2a edizione
Bambini super-vaccinati - 2a edizione
Eugenio Serravalle
Saperne di più per una scelta responsabile.Un’attenta disamina sulla questione dei vaccini, che mette a confronto dati e ricerche aggiornate, per aiutare i genitori a scegliere con consapevolezza. Eugenio Serravalle, medico specializzato in Pediatria Preventiva, Puericultura e Patologia Neonatale, ha approfondito il fenomeno delle invenzioni delle malattie e lo studio delle composizioni dei vaccini, con gli additivi, i conservanti e le sostanze chimiche che possono avere effetti dannosi sulla salute dei bambini.Fermamente convinto dell’utilità dell’immunizzazione di massa, per anni ha vaccinato i suoi pazienti con ogni vaccino disponibile sul mercato, finché si è reso conto di aver accettato senza riserve il concetto abituale secondo cui i vaccini siano sempre efficaci e sicuri.Libero da ogni pregiudizio, l’autore ha cominciato a porsi domande diverse, quelle che soprattutto i genitori si pongono: i vaccini provocano malattie irreversibili? I bambini sono troppo piccoli per le vaccinazioni? I vaccini causano reazioni pericolose per l’organismo? Somministrare troppi vaccini insieme sovraccarica il sistema immunitario?In Bambini super-vaccinati da pediatra infantile si cala nel ruolo di genitore, cercando di chiarire ogni dubbio sulla pratica vaccinale: il libro vuole quindi garantire il diritto a un’informazione obiettiva e consapevole sui rischi derivanti dalle vaccinazioni, sulla libertà di scelta e di cura, fornire quindi ai genitori, e non solo, tutte le informazioni utili per scegliere in piena autonomia.In questa seconda edizione viene approfondito ancor di più tutto quello che la letteratura scientifica internazionale mette a disposizione, confrontando dati e ricerche cliniche. Conosci l’autore Eugenio Serravalle è medico specialista in Pediatria Preventiva, Puericultura e Patologia Neonatale.Da anni è consulente e responsabile di progetti di educazione alimentare di scuole d’infanzia di Pisa e comuni limitrofi.Già membro della Commissione Provinciale Vaccini della Provincia Autonoma di Trento e relatore in convegni e conferenze sul tema delle vaccinazioni, della salute dei bambini e dell’alimentazione pediatrica in tutta Italia.