le singole malattie

Il Papillomavirus Umano

Il papilloma virus umano (HPV: Human PapillomaVirus) è un virus specie-specifico a doppia elica circolare di DNA1. Costituisce la più comune infezione trasmessa per via sessuale. Negli Stati Uniti i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) stimano che circa 6 milioni di americani (2,4%) ogni anno si infettino con l’HPV genitale. L’infezione da Human Papillomavirus è molto comune fra le donne sessualmente attive2 (oltre l’80% si infetta nel corso della vita, con un picco nelle giovani sotto i 25 anni), ma il virus è stato riscontrato anche in bambini e bambine di qualsiasi età, neonati compresi3.


Secondo un documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità la quasi totalità (93-96%) dei casi di tumore della cervice uterina è associata all’infezione del tratto genitale con papillomavirus umano4. Ne sono stati descritti oltre 120 genotipi, e di questi, circa 40 possono infettare il tratto genitale degli uomini e delle donne. Sembra che siano 15 i tipi che, oltre all’infezione, entrano in campo nello sviluppo della neoplasia cervicale5.


Gli Hpv che infettano la cervice uterina sono stati suddivisi in siero-tipi:

  • a basso rischio, quasi mai associati a carcinomi invasivi della cervice;

  • a medio rischio, associati, ma non di frequente, con il carcinoma della cervice;

  • ad alto rischio, frequentemente associati al carcinoma della cervice.

I siero-tipi più spesso associati al tumore del collo dell’utero sono il 16 e il 18, con differenze importanti nella percentuali di incidenza, a secondo delle aree geografiche prese in esame.

La frequenza del tipo 16 varia dal 70% in Nord America ed Europa al 53% in Asia Meridionale; il tipo 18 è presente in Asia del Sud nel 26% dei casi, ma solo nel 13% nelle Regioni del Centro e Sud America6. Le differenze geografiche nella distribuzione dei tipi più frequentemente correlati alle lesioni cancerose sono quindi notevoli: in uno studio multicentrico condotto a Taiwan su 1246 donne si è riscontrato che, oltre all’HPV 16, i due tipi più frequentemente isolati nelle lesioni cervicali erano l’HPV 52 e l’HPV 587. Da un’analisi che ha coinvolto 3600 donne con carcinoma cervicale confermato istologicamente, provenienti da 25 Paesi8, i tipi identificati erano 30. Il genotipo HPV 16 è stato più frequente in Africa settentrionale, il 18 nel Sud dell’Asia, il 45 nell’Africa Sub Sahariana e il tipo 31 nell’America centrale e meridionale.


I dati sulla prevalenza dell’HPV e della incidenza del tumore della cervice uterina in Italia9 dimostrano che la presenza del papillomavirus umano è variabile da 6,6% a 15,9% nelle donne asintomatiche. Nelle donne con Pap-test negativo il tipo più frequentemente isolato è il 16 (frequenza variabile dal 2% al 9%), mentre il tipo 18 è poco frequente, in contrasto con quanto riportato in altri Paesi europei. Nelle donne con Pap-test anormale, la prevalenza dell’HPV ad alto rischio sale attorno a 35% e il tipo 16 si conferma il più frequente mentre l’HPV 18 è più raro. Non è tuttavia possibile fornire una stima complessiva della frequenza dei diversi genotipi nelle varie lesioni cervicali a causa della variabilità riferita negli studi esaminati.10


Il maggiore fattore di rischio per contrarre l’infezione da HPV è l’avere recentemente intrapreso una nuova relazione sessuale, come avviene di prassi per la gran parte delle infezioni sessualmente trasmesse11. L’abitudine al fumo di sigaretta12, una precedente infezione da Herpes Genitale, o da altre malattie a contagio sessuale (Clamydia)13, forse l’uso di contraccettivi orali14 sono responsabili di un maggior rischio di contrarre l’infezione.


Questa si sviluppa nelle cellule degli epiteli a multistrato della cute (essenzialmente di mani e piedi) e delle mucose (bocca, genitali e vie respiratorie).


L’infezione può:

  • essere asintomatica,

  • produrre verruche e condilomi,

  • essere associata a neoplasie benigne,

  • essere associata a neoplasie maligne.

I papillomavirus non sono di necessità cancerogeni, anzi la maggior parte delle infezioni da HPV si risolve spontaneamente, anche se in una bassa percentuale di casi si può assistere all’evoluzione in una displasia o in un cancro della cervice uterina. All’infezione da HPV può far séguito una lesione clinicamente rilevabile (LSIL low grade squamous intrepithelial lesion), definita anche come CIN 1 (cervical intraepithelial neoplasia) o displasia lieve. Nel caso di persistenza di infezione da genotipi ad alto rischio, la LSIL può progredire verso una lesione displasica (high grade squamous intraepithelial lesion- HSH, già definita come CIN 2-3) estesa ai due terzi o all’intero strato epiteliale squamoso (si può identificare anche come carcinoma in situ). L’HSH è il precursore del tumore della cervice.


La maggior parte delle infezioni genitali (oltre il 90%) si risolvono senza cura alcuna nel giro di uno-due anni.


La probabilità di regressione spontanea è del:

  • 57% per i CIN1

  • 43% per i CIN2

  • 32% per i CIN3

Quindi, la maggior parte delle infezioni da HPV si risolvono spontaneamente in circa 12-18 mesi e anche le infezioni ad alto rischio tumorale guariscono da sole senza lasciare conseguenze per la salute della donna nel giro di pochi mesi.15 Non si sa cosa determini la regressione, ma è evidente che la storia naturale dell’infezione dipende solo dalla risposta immunitaria alla infezione virale ed è quindi condizionata dall’equilibrio che s’instaura tra ospite e virus HPV. Si tende ad attribuire grande importanza ai virus come causa del tumore, senza sottolineare mai che questa è una condizione necessaria ma non sufficiente. L’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro di Lione afferma che il tumore del collo dell’utero è “la conseguenza rare di una infezione comune.16

Il carcinoma del collo dell’utero

Secondo le stime dell’International Agency for Research on Cancer (IARC) riferite al 2002, ogni anno nel mondo 493.000 donne sviluppano il tumore della cervice uterina e 273.000 donne muoiono per questa patologia. Il carcinoma della cervice uterina è, per frequenza, il secondo tumore maligno nella popolazione femminile mondiale. L’incidenza e la mortalità di questo tumore sono correlate al livello di povertà dei Paesi, tanto che è letto come indicatore di disuguaglianza: l’80% dei casi e oltre l’85% delle morti avviene nei Paesi poveri17. Le differenze fra le macro-aree del mondo sono elevate: l’incidenza della neoplasia nell’Africa orientale è di 42,7 casi ogni 100.000 donne e la mortalità è di 34,6 ogni 100.000, mentre nell’Europa occidentale l’incidenza del tumore è di 10 casi ogni 100.000 (circa un quarto di quella Africana) e di 3,4 ogni 100.000 per la mortalità (pari a un decimo)18. Le differenze sono legate soprattutto alla disponibilità ed efficacia nei diversi paesi dei programmi di screening: prima della introduzione del Pap-test l’incidenza del tumore della cervice uterina nei Paesi ricchi era infatti pari a quella dei Paesi più poveri.


In Europa il tumore della cervice uterina è al settimo posto per incidenza fra i tumori che colpiscono le donne, dopo il tumore del seno, del colon-retto, polmone, corpo dell’utero, stomaco e ovaio e al settimo posto per mortalità dopo il tumore del seno, polmone, colon-retto, stomaco, pancreas e ovaio19. In Italia ogni anno 3.500 donne sviluppano il tumore, con un’incidenza standardizzata per età stimata di 10 casi ogni 100.000 donne. Si ritiene che circa 1.000 donne muoiano ogni anno in Italia per questa neoplasia, con un’incidenza standardizzata per età stimata di 2 casi ogni 100.000 donne20. L’incertezza della stima dipende dal fatto che oltre ai 415 decessi registrati in Italia per cervico-carcinoma, ci sono oltre 1.800 decessi legati a tumori dell’utero non meglio specificati, che includono sia quelli della cervice sia i più frequenti tumori del corpo dell’utero. Il tumore della cervice (2% dei tumori totali) è all’ottavo posto, dopo il tumore del seno (27%), quello della cute diverso dal melanoma (14%), del colon-retto (11%), del polmone (4.5%), dello stomaco (4%), corpo dell’utero (4%), ovaio (3%), pancreas (2,5%).


In pratica questo significa che in media rischia di sviluppare un tumore della cervice uterina 1 donna Italiana ogni 163, e rischia di morirne 1 ogni 1250. Nel caso di altri tumori femminili più frequenti (seno e polmone) i dati indicano che: 1 donna ogni 11 rischia di sviluppare un tumore al seno, 1 ogni 50 rischia di morirne e 1 donna ogni 71 rischia di sviluppare un tumore al polmone, 1 ogni 96 rischia di morirne. Rispetto ai dati del quinquennio 1988-92 sia l’incidenza sia la mortalità per tumore della cervice uterina appaiono in diminuzione21. Questa neoplasia non esiste in pratica nelle giovani con meno di 25 anni, e la sua incidenza aumenta progressivamente nelle fasce di età superiori, raggiungendo il picco intorno ai 45 anni e mantenendo poi la sua incidenza stabile nelle classi di età successive22.


Secondo l’International Agency for Research on Cancer (IARC) fattori di rischio sarebbero: l’utilizzo prolungato di contraccettivi orali, la contemporanea infezione con Herpes Genitale (HSV2), un numero di figli uguale o superiore a 7, l’abitudine al fumo, la scarsa igiene, l’inizio precoce dell’attività sessuale23.

Il Pap-test

Il Pap-test, o esame citologico cervico-vaginale, è un prelievo di cellule dalla superficie del collo e dal canale cervicale dell’utero. Il suo nome deriva dal medico greco-americano Georgios Papanicolau che lo sviluppò come un test di screening, la cui funzione principale è quella di individuare le donne a rischio di sviluppare un cancro del collo uterino. Inoltre può dare utili indicazioni sull’equilibrio ormonale della donna e permettere il riconoscimento di infezioni batteriche, virali o micotiche. Per l’esecuzione del Pap-test viene prelevata una piccola quantità di cellule del collo dell’utero con una spatolina (spatola di Aire) o una spazzolina cervicale. Nel Pap-test convenzionale le cellule vengono quindi strisciate su un vetrino per l’esame di laboratorio. Nel Pap-test in fase liquida una macchina provvede ad allestire un preparato a “strato sottile”. Indipendentemente dal tipo di allestimento, le cellule vengono quindi colorate secondo il metodo di Papanicolau.


Il referto, sino a ieri numerico, viene oggi comunicato con una sintetica descrizione dello stato delle cellule. In Italia la classificazione consigliata e più spesso utilizzata è il Sistema Bethesda 2001 (TBS 2001). In caso di test “non negativo” è indicato un approfondimento diagnostico (colposcopia ed eventualmente biopsia) o una ripetizione a breve scadenza del test, associata a tecniche biomolecolari come la tipizzazione HPV. Il prelievo deve essere effettuato lontano da rapporti sessuali, dalle mestruazioni, dall’impiego di irrigatori vaginali, ovuli o candelette.


Il Pap-test rappresenta la strategia vincente da molti anni per la prevenzione del tumore della cervice uterina, essendo in grado di ridurre la mortalità specifica del 60-90% nei luoghi in cui è diffuso e praticato.


Il successo dello screening dipende dal fatto che:

  • la progressione da lesioni precancerose a tumore invasivo è lenta, mediamente oltre 20 anni;

  • è possibile identificare le alterazioni citologiche ancor prima che si sviluppi la malattia invasiva;

  • esistono interventi efficaci e non invalidanti per eliminare le lesioni precancerose;

  • la strategia di screening basata sulla ripetizione nel tempo del test (ogni 3 anni) aumenta la sensibilità dello stesso, quindi la probabilità di identificare la maggior parte delle donne portatrici di lesioni precancerose. Migliorare e diffondere più ampiamente lo screening con il Pap-test può ridurre la morbilità e la mortalità da cervicocarcinoma. Aumentare la consapevolezza dell’importanza dell’adesione allo screening soprattutto nelle zone dove questa è bassa (Sud Italia) e diffondere la cultura della prevenzione (soprattutto tra i ceti meno abbienti) così da raggiungere il 100% della popolazione target sono priorità che possono da sole sconfiggere il tumore del collo dell’utero24.

Il vaccino

I vaccini contro il virus Hpv attualmente disponibili sono due:

  • Gardasil, vaccino tetravalente, attivo contro i genotipi 16, 18, 6 e 11 autorizzato all’immissione in commercio dall’Agenzia Italiana del Farmaco con delibera del 28 febbraio 2007 (costo al pubblico 171, 64 euro), e

  • Cervarix, vaccino bivalente, attivo contro i genotipi 16 e 18, autorizzato dall’AIFA con delibera del 29/10/2007 (costo al pubblico 156,79 euro). I vaccini sono somministrati gratuitamente dalle ASL alle bambine tra gli undici e i dodici anni.

L’industria farmaceutica è molto abile e molto astuta. Sa sfruttare le paure più profonde che nutriamo nei confronti delle malattie. Cosa fa più paura del tumore? Cosa c’è di più rassicurante di uno strumento, un vaccino, che prevenga il cancro? Così il tumore della cervice, da killer oscuro circoscritto ai Paesi poveri, diventa la malattia del momento in Occidente. È il trionfo del marketing. È la vittoria delle pubblicità e dei messaggi utilizzati per promuovere il vaccino25. Medici ed esperti, lobbisti e organizzazioni interessate alla malattia, gruppi di pazienti e gruppi femminili esercitano, ognuno nel proprio ambito, pressioni per promuovere la vaccinazione di massa: finalmente un vaccino in grado di prevenire un tumore, quello del collo dell’utero. Il primo di una lunga serie prossima ventura. Apripista di chissà quali altri “successi”, contro qualsiasi evidenza scientifica sinora prodotta. In realtà gli studi sull’efficacia di questa vaccinazione dimostrano soltanto la possibilità di ridurre l’incidenza dei condilomi e delle lesioni precancerose associate ai tipi di HPV contenuti nel vaccino. L’efficacia si annulla nelle donne con precedente infezione da uno dei genotipi contenuti nel vaccino.

Non è ancora nota invece la capacità di prevenire la neoplasia cervicale26. La pubblicità che afferma che il vaccino è in grado di prevenire il tumore del collo dell’utero dovrebbe essere sanzionata come pubblicità ingannevole: in realtà il vaccino può solo prevenire le lesioni precancerose causate da due sierotipi fra i 15 associati alla neoplasia, e queste lesioni nel 90% dei casi si risolvono spontaneamente. Ma chi si sottoporrebbe alla vaccinazione se il messaggio pubblicitario fosse questo, quello reale? L’inefficacia del vaccino nel ridurre l’incidenza del tumore della cervice uterina provocato da tutti i tipi virali27 è ovvia ed è stata comunque affermata anche dalla Food and Drug Administration americana28.

Non si può affermare che si tratti di un vaccino che prevenga il tumore del collo dell’utero per un motivo molto semplice. Occorrono in media 20 anni perché insorga il tumore dopo il contatto con il virus. Gli studi sull’efficacia del vaccino hanno al momento una durata di poco più di cinque anni. Di conseguenza o c’è qualcuno dotato di una sfera di cristallo in grado di fare previsioni accurate e, con questi mezzi, prevedere il futuro, stabilendo che il vaccino funzionerà nel prevenire il tumore, oppure, se vogliamo rimanere nell’ambito del ragionamento scientifico, dobbiamo affermare che si tratta di una colossale montatura. In Finlandia si è deciso di attuare uno studio di popolazione prima di commercializzare il vaccino. L’efficacia del vaccino sarà valutata con un follow-up a lungo termine che esaminerà circa 22.000 adolescenti: un gruppo riceverà il vaccino tetravalente Gardasil, un gruppo il vaccino anti-epatite A e un gruppo di volontarie non vaccinate costituirà il gruppo-controllo29.

La stima dell’efficacia del vaccino, la prevalenza dell’infezione HPV e gli effetti indesiderati del farmaco saranno disponibili nel 2020. Fino ad allora, come dicono i responsabili della ricerca, è “meglio tacere che tirare ad indovinare”. Mai, prima d’ora, l’industria farmaceutica era stata così aggressiva e così vorace. Per il Gardasil, uno dei vaccini in questione, dalla richiesta di autorizzazione alla approvazione da parte della FDA americana sono trascorsi appena sei mesi, e dopo qualche settimana ne è stato raccomandato l’uso da parte del CDC di Atlanta. Per la maggior parte dei vaccini occorrono almeno tre anni per percorrere questo iter e dai cinque ai dieci anni per l’uso generalizzato. Il marketing ha aiutato il Gardasil a diventare il prodotto best-seller della Merck, con previsioni di vendita – per il 2008 – di più di 1,6 miliardi di dollari fuori dall’Europa, e ancor più dalle vendite in Europa. Una procedura così veloce ha trascurato naturalmente lo studio degli effetti collaterali. Nel 2006 centinaia di medici e di operatori sanitari sono stati scelti come portavoce non ufficiali per il Gardasil, formati dalla Merck. A loro è stata fornita una presentazione multimediale e un contributo economico di $ 4.500 a testa per ogni conferenza di 50 minuti. Molti erano pagati per frequentare riunioni di discussione sul vaccino. Abbiamo assistito a un proliferare di conferenze e di campagne per la messa in guardia del cancro alla cervice sponsorizzate da nuovi e attivissimi gruppi di pazienti finanziati o aiutati dalla Merk e dalla Glaxo. In alcuni casi il supporto economico è stato indiretto, così la popolazione non era in grado di sapere che gli esperti che davano consigli erano stati in gran parte pagati dai produttori del vaccino.

Ad esempio Gregory Poland, membro della commissione dei CDC che ha raccomandato il Gardasil, ha ricevuto almeno 27.420 dollari come rimborsi spese per consulenze dalla Merck tra il 1997 e il 2007. La Merck ha anche garantito alla American College Health Association una sovvenzione ingente per formare i propri dirigenti in modo che poi potessero parlare in pubblico del nuovo vaccino, creare gruppi di discussione sul cancro alla cervice e promuovere il vaccino come offerta sanitaria nei college universitari. L’associazione raccomanda oggi il prodotto a tutte le studentesse. Quattro dei sette relatori della seconda conferenza annuale dei Pazienti della National Cervical Cancer Coalition, svoltasi a Los Angeles nell’ottobre scorso, hanno ricevuto denaro per ricerche o consulenze dall’industria farmaceutica30.

Dobbiamo davvero nascondere la testa sotto la sabbia per non vedere come stanno realmente le cose.


  • Non c’è alcuna epidemia di tumore della cervice uterina nei Paesi ricchi, compresa l’Italia. Per questo non c’è giustificazione alcuna per un intervento di massa senza comprovati risultati di efficacia.

  • Il tumore invasivo della cervice segue un decorso lentamente progressivo, e questo permette la possibilità di intervento nei vari stadi. Di conseguenza, le morti associate al carcinoma della cervice, nei Paesi in cui esistono efficienti programmi di screening, possono essere evitate mediante condizioni di vita sane e periodici esami (Pap-test)31.

  • La maggior parte delle infezioni da HPV si risolvono spontaneamente. La risoluzione avviene entro 1 anno in circa il 70% delle infezioni, nel 90% entro 2 anni. Da questo emerge che la maggior parte delle donne che presentano un’infezione da HPV, anche con ceppi ad alto rischio, non svilupperà il tumore della cervice.

  • La natura di un programma di immunizzazione dipende dalla definizione di obiettivi chiari e tangibili. Lo scopo del programma di vaccinazione è eradicare i sierotipi di HPV ad alto rischio nella popolazione? Oppure l’obiettivo è quello di ridurre la mortalità da tumore della cervice? Questi diversi obiettivi richiedono strategie differenti32. Un vaccino antiHPV per essere considerato veramente efficace deve avere la capacità di ridurre il numero totale dei tumori HPV-dipendenti della cervice uterina e non solo quelli associati ai sierotipi 16 e 18 (per quanto questi siano i più frequenti).

  • Riguardo all’efficacia di Gardasil, un’analisi approfondita ha evidenziato che il vaccino anti-HPV sembra essere significativamente efficace solo nella neoplasia intraepiteliale cervicale di grado 2 (CIN 2 lesioni precancerose potenzialmente rimovibili; di queste il 40% regredisce spontaneamente, e non necessita di trattamento); i dati di efficacia riguardo alla neoplasia intraepiteliale cervicale di grado 3 (CIN 3) o adenocarcinoma in situ sono insufficienti per trarre conclusioni33.

  • L’efficacia del vaccino sembra essere legata alla non esposizione precedente al virus. Su questo dato si basa la decisione di proporre il vaccino alle dodicenni nelle campagne di prevenzione. Il problema è che le ragazze di questa età coinvolte negli studi sono una piccola minoranza e cioè meno di 1.200 (di età tra i 9 e i 15 anni per il tetravalente, su più di 20.000 donne vaccinate). D’altra parte, va detto che le ragazze più giovani non potevano essere incluse negli studi FUTURE, perché questi studi prevedevano il controllo colpocitologico, il test per l’HPV, la biopsia (più volte) e non sarebbe stato possibile eseguire questi esami in bambine o piccole adolescenti. Si è pertanto pensato di confrontare in questo gruppo di giovani solo il loro tasso anticorpale, paragonandolo con quello delle più grandi (15-26 anni) ed è stato in questo modo che ci si è accorti che le più giovani acquisiscono una immunità più elevata. Ma un conto è sviluppare anticorpi, un altro è verificare nel tempo cosa succede davvero alla salute della persona, come abbiamo visto esaminando l’efficacia reale delle varie vaccinazioni. Quindi, nel gruppo di 9-15 anni l’efficacia del vaccino non è stata né testata né dimostrata ma, dato che è stato documentato un discreto aumento del titolo anticorpale (che è risultato addirittura superiore a quello registrato nel gruppo delle donne di 16-26 anni), si è solo ipotizzato che la vaccinazione dovrebbe essere anche efficace. Inoltre, pure la sicurezza a medio e lungo termine in questa fascia di età non è ancora nota.

  • Inoltre, con la vaccinazione proposta alle dodicenni si vaccineranno moltissime ragazze che non hanno ancora avuto il menarca e che probabilmente avranno qualche difficoltà a capire il significato di un vaccino contro un virus che si trasmette per contatto sessuale. Forse avrebbe avuto più senso offrirlo non al raggiungimento di una determinata età, ma a un determinato livello di sviluppo psico-fisico e in ogni caso a persone che si trovano in particolari condizioni familiari, socio-culturali e psicologiche che potrebbero far ipotizzare un possibile rischio futuro. Non dimentichiamo infatti che l’infezione HPV è direttamente e altamente correlata al numero di partner sessuali, alla coesistenza di altre malattie sessualmente trasmesse, all’abitudine al fumo di sigaretta e all’uso della pillola contraccettiva ... tutte condizioni che implicano una certa personalità con a monte un percorso di vita molto particolare che si spera non sia comunissimo nelle adolescenti di 9-15 anni. Con alcune attenzioni come queste si potrebbe ottenere un trattamento adeguatamente personalizzato e per questo sicuramente più efficace nei risultati che potrebbe conseguire, ma si avrebbero anche meno rischi per la singola persona e per la collettività.

    Invece, un’offerta vaccinale di massa come quella che si vuole imporre non costituirà certo una consulenza sulla salute sessuale delle ragazze; sarà l’ennesima occasione persa per manifestare capacità di ascolto e di comunicazione con le stesse.

  • La definizione che Gardasil sia il vaccino contro il tumore della cervice, cioè che sia in grado di impedire lo sviluppo di tutti i carcinomi della cervice, non è corretta. La pressante attività di marketing esercitata dalla società produttrice, già prima dell’approvazione del vaccino, ha reso difficile una valutazione serena del problema34.

  • L’alto costo del vaccino impone un’approfondita analisi costo-efficacia, anche perché non è chiaro il valore aggiunto del vaccino35; le donne vaccinate, inoltre, non solo devono praticare sesso sicuro, ma anche sottoporsi a Pap-test, come le donne non vaccinate36. Il vaccino HPV non è un vaccino contro il cancro della cervice uterina, non ha capacità terapeutiche, ma si tratta di un vaccino che può avere una azione preventiva verso alcuni sierotipi di un virus che può causare il cancro. La stessa Merck ha dichiarato che la efficacia nella cura del cancro è pari a zero.

  • Non c’è dimostrazione di efficacia al 100% contro tutti i virus HPV, ma solo contro i 2 tipi che causano il 70% delle neoplasie cervicali.

  • Il vaccino è efficace solo se la ragazza non ha già avuto un’infezione correlata al sierotipo presente nel vaccino, in altre parole è efficace solo se la ragazza non ha contratto il tipo 6, 11, 16, 18 (presenti nel tetravalente).

  • Il vaccino non è efficace se la ragazza ha iniziato l’attività sessuale. L’HPV è trasmesso anche per contatto epidermico. Sebbene sia dimostrata l’associazione tra displasia cervicale e HPV, va ricordato che l’HPV non si trasmette soltanto con l’atto sessuale. Esistono documentazioni che bambine di 3, di 5 o 10 anni, o donne che non hanno mai avuto rapporti sessuali, sono risultate positive per i tipi di HPV che possono causare il tumore. Pertanto, ad esempio, se una bambina è positiva per il 16 HPV, quando verrà vaccinata non sarà protetta dall’infezione.

  • La sensazione di protezione che la vaccinazione può provocare è molto pericolosa: il falso senso di sicurezza può indurre le donne a credere di essere immuni dal tumore e quindi può portare a evitare i programmi di screening, l’unico strumento efficace nella prevenzione del tumore37.

  • La persistenza dello stato di immunità indotto dalla vaccinazione non è nota con certezza. Il follow-up di maggiore durata è stato di 60 mesi, valutando soltanto 241 donne38. Esiste una previsione di 5 anni di copertura, e non è stabilito il tempo per eventuali dosi di richiamo39. Non sappiamo quindi se un’eventuale vaccinazione si renda necessaria in una età in cui la vita sessuale può essere già attiva. Tra la scomparsa dell’immunità e la rivaccinazione ci sarà un “periodo finestra” con rischio di infezione da HPV. Dal momento che il vaccino non è efficace in caso di precedente infezione, anche la rivaccinazione eseguita dopo il contagio è di fatto inutile. Sulla base dell’esperienza accumulata con altri vaccini (es. vaccino contro la varicella) alcuni esperti ritengono che sarà necessario un richiamo dopo 10 anni, ma questa asserzione è ancora solo un’ipotesi. Solo di recente è stato dimostrato che l’immunità nei confronti della varicella può essere di durata minore rispetto a quanto i modelli avevano previsto, e che l’immunità di breve durata indotta dalla vaccinazione ha modificato la storia naturale dell’infezione virale. È stato infatti osservato che i bambini di 8-12 anni, vaccinati contro la varicella almeno 5 anni prima, avevano una maggiore probabilità di sviluppare una forma moderatagrave della malattia, rispetto a coloro la cui vaccinazione era più recente40. Si ignora se l’immunità indotta dal vaccino anti-HPV sarà simile a quella indotta dal vaccino contro la varicella. L’attività del vaccino è profilattica, e non terapeutica: la sua azione in caso di preesistente infezione è nulla41.

  • Sarà fondamentale nella valutazione dell’efficacia del vaccino monitorarne l’impatto rispetto all’epidemiologia dei tipi virali circolanti42. Come già documentato nel caso della vaccinazione eptavalente antipneumococcica l’eliminazione dei tipi virali contro cui il vaccino è attivo potrebbe infatti accompagnarsi all’aumento di tipi virali non inclusi nel vaccino e oggi scarsamente circolanti (type replacement). Uno studio sull’uso del vaccino coniugato antipneumococcico eptavalente nei bambini nativi dell’Alaska43, ha mostrato che l’incidenza di malattia pneumococcica invasiva causata dai sierotipi non contenuti nel vaccino è aumentata del 140%, rispetto al periodo pre-vaccino. Esiste la concreta possibilità che, ad una riduzione o scomparsa dei quattro tipi di HPV contenuti nel vaccino, si associ un concomitante incremento degli altri tipi virali attualmente meno frequenti o un potenziamento dell’oncogenicità di altri ceppi.

  • È necessaria una raccolta e un’analisi scrupolosa dei rapporti concernenti gli eventi avversi, allo scopo di chiarire il vero rapporto rischio/ beneficio e permettere un vero consenso informato da parte dei soggetti a cui viene offerta la vaccinazione. L’FDA organizza la raccolta degli eventi avversi raccogliendoli nel data-base VAERS, ma dal momento che i rapporti raccolti sono incompleti e difficili da interpretare, a tutt’oggi rimane la necessità di una rigorosa e corretta analisi del danno.

La pressione della lobby del farmaco ha ottenuto la commercializzazione del farmaco prima di avere conclusioni definitive. Non è ancora noto il profilo di sicurezza del vaccino sul lungo periodo, gli effetti indesiderati locali sono molto frequenti, e quelli gravi non sono affatto trascurabili. È proprio sulla sicurezza che le conoscenze sono particolarmente scarse: basta riguardare i dati numerici degli studi presi in esame per rendersene conto.


Gli effetti indesiderati sono stati registrati nei soli 14 giorni successivi a ogni iniezione di vaccino o di placebo. Gli studi esistenti sono tutti sponsorizzati dalla ditta produttrice del vaccino, che ha pubblicato soltanto quegli effetti indesiderati che considera correlati al vaccino stesso e che si limitano essenzialmente ad alcuni effetti locali comparsi nel punto di inoculazione (Fonte EMEA e FDA 2006).


La decisione di sottoporre comunque le ragazze alla vaccinazione, prima di conoscere dati più ampi, di sicurezza ed efficacia, non è altro che la realizzazione di una fase 3 di sperimentazione attuata sul campo, effettuata però con soldi pubblici44.


Tra i possibili effetti indesiderati del vaccino anti-HPV, la ditta produttrice e la FDA riportano le seguenti:

  • EFFETTI LOCALI, tra cui eritema, dolore, gonfiore, sanguinamento e/o prurito nel sito di iniezione. La scheda tecnica (pubblicata dalla ditta produttrice e dall’EMEA) dice che questi sintomi compaiono con frequenza superiore al 10%, mentre i dati pubblicati parlano della comparsa di uno o più di questi sintomi nel quasi 90% delle donne trattate con il vaccino e nell’83% di quelle trattate con la fiala di “placebo” contenente sali di alluminio45; in particolare, il dolore e il gonfiore nella sede di inoculazione sono stati accusati in media dall’83% delle pazienti che hanno ricevuto il vaccino e dal 73% di quelle che hanno assunto il placebo.

  • EFFETTI SISTEMICI ASPECIFICI, tra cui cefalea, febbre, nausea, vertigini, vomito, diarrea, dolori muscolari: sono comparsi in circa il 60% delle donne che hanno ricevuto il vaccino46.

  • EFFETTI SISTEMICI INFIAMMATORI/IMMUNITARI: broncospasmo, asma, orticaria, gastroenteriti (con casi di intervento chirurgico urgente per appendicite pochissimi giorni dopo la vaccinazione), mialgie, trombosi o patologie pelviche infiammatorie in circa l’1% dei casi trattati.

  • EFFETTI ARTRITICI: artrite giovanile, artrite reumatoide e artriti aspecifiche (casi rari).

  • EFFETTI NEUROLOGICI: svenimento, intorpidimento prolungato agli arti, paralisi periferica, paralisi di Bell (paralisi facciale), sindrome di GuillainBarré, convulsioni, encefalopatia47.

  • ALTRI EFFETTI: importante ingrossamento linfonodale loco-regionale (con exeresi ghiandolare), gonfiore al volto prolungata, insufficienza respiratoria (che ha richiesto la tracheostomia), visione offuscata prolungata.

Il sistema VAERS (Vaccine Adverse Event Report System), che raccoglie le segnalazioni di effetti indesiderati durante e dopo una vaccinazione, ha raccolto fino alla fine di febbraio 2008 più di 5.300 reazioni avverse dopo vaccinazione con il vaccino tetravalente Gardasil48.


Secondo la ditta produttrice, il 2-4% di tutti gli effetti indesiderati del vaccino erano effetti gravi, mentre secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) questi effetti ammontavano a circa il 5%49.


Finora sono stati riportati 10 casi ad esito fatale tra le ragazze/donne vaccinate50, ma la ditta produttrice rassicura dicendo che “gli eventi riportati erano in linea con gli eventi attesi nella popolazione sana”.


L’EMEA (European Medicines Agency) ha comunicato che due ragazze sono morte improvvisamente poche ore dopo aver ricevuto il vaccino Gardasil: una delle morti è avvenuta in Austria e l’altra in Germania. Due ragazze di 12 e 19 anni, prima ritenute sane, sono morte per embolia polmonare poco dopo la vaccinazione e altre 2 sono morte di miocardite51.

Tra le altre cause di morte denunciate sono state riportate: anafilassi, sepsi, tachicardia ventricolare e suicidio.


La FDA (Food and Drug Administration) ha ricevuto anche 28 segnalazioni di aborto dopo somministrazione di Gardasil a 77 donne in stato di gravidanza (28 su 77= 36%); altre 5 donne hanno registrato danni fetali gravi a carico dei loro feti.


Uno studio australiano del 2007 pubblicato sul “Canadian Medical Association Journal” ha evidenziato che su 269.680 dosi di vaccino ci sono stati 155 reazioni avverse importanti (1 ogni 1.742 dosi) e l’incidenza di anafilassi dopo la prima dose del vaccino (5 casi) è stata pari a 5,3 ogni 100.000 persone vaccinate52.


Pare che la somministrazione del vaccino anti-HPV insieme al vaccino antiepatite B aumenti il rischio di causare artriti, patologie autoimmunitarie e patologie neurologiche sia nelle giovani che nelle donne adulte.

Bambini super-vaccinati - Seconda edizione
Bambini super-vaccinati - Seconda edizione
Eugenio Serravalle
Saperne di più per una scelta responsabile.Un’attenta disamina sulla questione dei vaccini, che mette a confronto dati e ricerche aggiornate, per aiutare i genitori a scegliere con consapevolezza. Eugenio Serravalle, medico specializzato in Pediatria Preventiva, Puericultura e Patologia Neonatale, ha approfondito il fenomeno delle invenzioni delle malattie e lo studio delle composizioni dei vaccini, con gli additivi, i conservanti e le sostanze chimiche che possono avere effetti dannosi sulla salute dei bambini.Fermamente convinto dell’utilità dell’immunizzazione di massa, per anni ha vaccinato i suoi pazienti con ogni vaccino disponibile sul mercato, finché si è reso conto di aver accettato senza riserve il concetto abituale secondo cui i vaccini siano sempre efficaci e sicuri.Libero da ogni pregiudizio, l’autore ha cominciato a porsi domande diverse, quelle che soprattutto i genitori si pongono: i vaccini provocano malattie irreversibili? I bambini sono troppo piccoli per le vaccinazioni? I vaccini causano reazioni pericolose per l’organismo? Somministrare troppi vaccini insieme sovraccarica il sistema immunitario?In Bambini super-vaccinati da pediatra infantile si cala nel ruolo di genitore, cercando di chiarire ogni dubbio sulla pratica vaccinale: il libro vuole quindi garantire il diritto a un’informazione obiettiva e consapevole sui rischi derivanti dalle vaccinazioni, sulla libertà di scelta e di cura, fornire quindi ai genitori, e non solo, tutte le informazioni utili per scegliere in piena autonomia.In questa seconda edizione viene approfondito ancor di più tutto quello che la letteratura scientifica internazionale mette a disposizione, confrontando dati e ricerche cliniche. Conosci l’autore Eugenio Serravalle è medico specialista in Pediatria Preventiva, Puericultura e Patologia Neonatale.Da anni è consulente e responsabile di progetti di educazione alimentare di scuole d’infanzia di Pisa e comuni limitrofi.Già membro della Commissione Provinciale Vaccini della Provincia Autonoma di Trento e relatore in convegni e conferenze sul tema delle vaccinazioni, della salute dei bambini e dell’alimentazione pediatrica in tutta Italia.