le singole malattie

L'Epatite B

L’epatite B è provocata da un virus appartenente alla famiglia degli Hepadnavirus. È formato da una parte interna, denominata “core”, contenente il genoma e strutture proteiche, e da un involucro esterno, denominato “envelope”. Nel core sono stati identificati due diversi antigeni (l’HBcAg e l’HBeAg), mentre l’antigene di superficie HBsAg fa parte dell’involucro esterno. Il significato di questi antigeni è illustrato in seguito. Il virus (HBV) è estremamente diffuso. Si stima che circa il 5% della popolazione mondiale (trecento milioni di individui) sia portatore di questo virus1. La diffusione è maggiore in Oriente, Medio Oriente e Africa (8-15%), meno negli Stati Uniti (circa un milione e mezzo di soggetti). La percentuale è bassa (intorno allo 0,2-1%) in Europa Occidentale2. In Italia la prevalenza dell’HBV è diminuita negli ultimi anni in maniera considerevole, anche in epoca pre-vaccinale. Attualmente il numero di portatori cronici dell’HBV in Italia è di circa un milione di persone. Tale numero è approssimativo giacché non vi sono studi estesi sulla popolazione; in ogni caso si ritiene che oggi la percentuale di positività per HBV non sia inferiore al 2% della popolazione totale, con una differenza significativa tra Nord e Sud, che va comunque riducendosi3.


La trasmissione del virus può avvenire per contatto sessuale, mediante scambio di sangue (trasfusioni con sangue non controllato, tossicodipendenti), attraverso l’uso di strumenti chirurgici non ben sterilizzati (compresi quelli del dentista e gli aghi dell’agopuntore), o l’attrezzatura non sterile dell’estetista, del barbiere, di chi effettua tatuaggi o piercing, ovvero oggetti da toilette taglienti o abrasivi (rasoi, lamette, spazzolini da denti), oppure per trasmissione verticale da madre a figlio durante la gravidanza e il parto. Anche nelle zone ad elevato rischio, come il Sud-Est Asiatico, l’epatite B si trasmette innanzitutto con le iniezioni o per contagio familiare4. In presenza di un caso infetto nell’ambito della famiglia, aumenta anche il rischio di contagio per tutti gli altri membri. In queste situazioni, è consigliabile la vaccinazione. Le vie di contagio sono, fra l’altro, gli spazzolini da denti usati da più persone o il passaggio da una persona all’altra di chewing gum o caramelle5. È accertato invece che il virus non può trasmettersi per contagio oro-fecale, quindi acqua e alimenti non sono causa di infezione, a differenza del virus dell’epatite A.

Il contagio al neonato può avvenire nel corso della gravidanza (5-10%) o, più spesso, durante il parto e il periodo post-partum, e dipende dal grado di infettività materna. Nei bambini più grandi l’infezione è più comune tra quelli che soffrono di malattie che richiedono l’uso di trasfusioni di sangue (ad esempio gli emofilici), o che devono sottoporsi a emodialisi, in quelli che convivono con portatori del virus (tossicodipendenti, ad esempio), o in caso di puntura accidentale con oggetti sporchi di sangue infetto. Al nido o alla scuola materna il rischio di trasmissione sembra del tutto trascurabile per un bambino sano6.


Il decorso dell’epatite B è determinato da numerosi fattori, fra cui l’età, il genere, le condizioni di salute e la funzionalità del sistema immunitario7. Il periodo di incubazione varia da 15 a 180 giorni (in media 2-3 mesi); il virus nel sangue è presente da alcune settimane ad alcuni mesi dopo l’infezione acuta. Il virus dell’epatite B si accompagna – nel lattante, nel bambino e nell’adulto – a quadri clinici così diversi l’uno dall’altro, da far quasi dubitare che ci si trovi di fronte allo stesso agente patogeno.


La maggior parte delle persone con epatite B non presenta segni o sintomi; in questi casi la malattia può essere identificata solo attraverso analisi del sangue e tale è la condizione più frequente nei bambini. L’80% degli adulti infettati acquisisce l’immunità senza ammalarsi o con una lieve sintomatologia di tipo influenzale. Rientrano in questo gruppo soprattutto gli operatori sanitari, forse per il contatto frequente con il virus attenuato dell’epatite B8. Alcune persone possono avere i sintomi tipici dell’epatite acuta: perdita di appetito, nausea e vomito, febbre, debolezza, stanchezza, dolore addominale, urine scure, feci chiare, occhi e pelle di colore giallo (ittero). La malattia acuta è di solito lieve anche se in un limitato numero di casi si possono avere quadri clinici a carico di tessuti e organi diversi.


Le maggior parte delle infezioni da HBV si risolvono spontaneamente, ma una parte delle persone infettate possono sviluppare un’infezione persistente, che si risolve lentamente; esiste anche il rischio di cronicizzazione che dipende dall’età e dalla condizione del sistema immunitario del paziente. L’infezione nei neonati comporta un rischio di cronicizzazione di circa il 90%. Quando l’infezione si verifica nell’infanzia tale probabilità si abbassa al 50%. Nell’adulto immuno-compromesso (cioè affetto da malattie o condizioni come la tossicodipendenza, oppure che fa uso di farmaci immunodepressivi, quali i cortisonici, etc.) il rischio di diventare portatore cronico è maggiore del 50%, mentre nell’adulto con normale sistema immunitario è minore del 5%. Nella maggior parte dei portatori cronici del virus l’aspettativa di vita è del tutto normale, anche se in un quarto circa di questi soggetti (meno dell’1,25% degli adulti infettati) si manifestano disturbi epatici cronici, di cui un quarto (meno dello 0,3% degli infettati) potenzialmente mortali, come insufficienza epatica cronica, cirrosi o tumore al fegato. A queste patologie contribuiscono anche altri fattori, ad esempio il danno da nicotina o da epatite C. In un caso su cento tra i portatori cronici del virus, il soggetto contagiato muore per le conseguenze dell’infiammazione epatica9.

La diagnosi di infezione da HBV viene posta mediante la ricerca nel sangue del paziente dei marcatori virali, costituiti da antigeni (Ag) e da anticorpi (Ab):

  • HBsAg: è l’antigene di superficie del virus. La sua presenza indica lo stato di infezione, e tutte le persone che risultano positive all’HbsAg sono da considerarsi potenzialmente infettanti.

  • HBsAB:è l’anticorpo contro l’antigene di superficie. La sua presenza indica protezione dall’infezione (immunizzazione). Si riscontra dopo guarigione da una infezione, oppure dopo la vaccinazione.

  • HBcAg:è un antigene della parte centrale del virus ed è l’unico marcatore che non si riscontra mai nel sangue, ma solo nelle cellule del fegato.

  • HBCAB-IGM: questo anticorpo si riscontra solo nelle fasi di attiva replicazione del virus, per cui risulta positivo nelle forme acute e nelle forme croniche riacutizzate.

  • HBCAB-IGG: dopo un contatto con il virus, indipendentemente dall’esito dell’infezione, questo anticorpo rimane positivo per tutta la vita, per cui la sua presenza indica l’avvenuto contatto con il virus.

  • HBEAG: è l’antigene del nucleocapside del virus (core), e la sua presenza indica attiva replicazione virale. Lo si riscontra nella fase iniziale delle epatiti acute e in alcune forme di epatite cronica.

  • HBEAB: è l’anticorpo diretto contro l’HBeAg; la sua presenza non impedisce tuttavia l’evoluzione verso la forma cronica.

  • HBV-DNA: è il genoma del virus, ed è l’indicatore più sensibile della replicazione virale. La sua presenza indica sempre attività dell’infezione. Per definizione il portatore sano sarà sempre HBV-DNA negativo.

In base all’assetto di tali marcatori, unitamente allo studio degli indici di infiammazione epatica (transaminasi), è quindi possibile stabilire con esattezza lo stato dell’infezione10.




La prevenzione fa affidamento a misure che possono limitare la trasmissione del virus: un ruolo molto importante è rivestito dalla educazione sanitaria, rivolta sia ai portatori del virus (consapevolezza delle modalità di trasmissione), sia alle persone che sono a rischio per l’acquisizione dell’infezione, per motivi professionali (operatori sanitari) o per fattori comportamentali (tossicodipendenza, promiscuità sessuale). Notevole importanza assume anche l’adeguato controllo dei donatori di sangue, per la prevenzione della diffusione del virus mediante trasfusioni di sangue o di emoderivati.

Il vaccino

La vaccinazione non è diffusa in tutti i Paesi: è obbligatoria soltanto in Italia. Alcuni Stati, come Francia e Germania, l’hanno inserita nei calendari di vaccinazione infantile (senza obbligo), mentre ad esempio in Olanda o in Gran Bretagna non ne è prevista l’offerta nei programmi di vaccinazione universale.

I primi vaccini furono ricavati dal sangue di portatori cronici della malattia. Vennero largamente utilizzati nei Paesi occidentali, Italia compresa, e nel 1983 si scoprì che per la produzione di alcuni lotti era stato usato sangue di donatori affetti da AIDS.


L’attuale vaccino è costituito da una proteina della superficie del virus (HBsAg) sintetizzata utilizzando la tecnica del DNA ricombinante (viene inserito in un microrganismo ospite il gene per la sintesi della proteina che costituisce il vaccino).


Per l’immunizzazione dei nuovi nati oggi di norma viene utilizzato il vaccino esavalente. Nei neonati da madre infetta (HBsAg positiva) si somministrano quattro dosi: alla nascita, al 1°, 2° e 11-12° mese di vita; assieme alla prima dose di vaccino si somministrano anche le immunoglobuline.

Gli argomenti più controversi e dibattuti su questo vaccino riguardano la durata dell’immunità conferita, le varianti virali, il problema dei nonresponder. Sulla durata della protezione non vi è certezza: nessuno studio precedente la commercializzazione ha fornito questo dato. Ancora poco note sono la qualità e la durata della copertura in età pediatrica. La durata dell’immunità è di regola correlata alla presenza di anticorpi (anche se è possibile una efficace risposta immunitaria dopo la somministrazione di un richiamo anche quando non si ritrovano anticorpi in circolo). Comunque la determinazione del tasso anticorpale è il mezzo a disposizione più semplice per valutare l’entità dell’immunità umorale11. I livelli di anti-HBs diminuiscono nel tempo come per ogni risposta anticorpale indotta da una vaccinazione e la velocità di questa diminuzione è correlata con l’entità iniziale della risposta vaccinale, nel senso che una risposta anti-HBs quantitativamente importante si associa con la persistenza nel tempo di un livello elevato di questi anticorpi12. Nel corso del primo anno dalla fine del ciclo vaccinale si ha una rapida diminuzione del loro livello. Successivamente questa riduzione si fa più lenta e prolungata nel tempo. Dal 30 al 60% delle persone che avevano sviluppato adeguata protezione anticorpale dopo tre dosi di vaccino, non presenta più livelli dimostrabili di anticorpi a distanza di 9-11 anni13. Un altro studio14 ha dimostrato che dopo 60 mesi la percentuale di individui anti-HBs positivi si riduce dal 99 all’87%. Si ritiene oggi che la riduzione e anche la scomparsa degli anticorpi anti-HBs (cioè la riduzione del titolo al di sotto di 10 mUI/ml, considerata la soglia minima protettiva) non si associano generalmente a una perdita della protezione nei riguardi dell’infezione. Sono infatti descritte, in caso di contatto con il virus selvaggio, risposte “secondarie” con marcato incremento del titolo anti-HBs, anche in individui con valori indosabili di anti-HBs, ma senza evidenza di infezione, come documentato dall’assenza di risposta anti-HBc. Però, estendendo il periodo di sorveglianza, è possibile documentare, in una popolazione di vaccinati, la sieroconversione sporadica ad anti-HBc (testimone di un contatto infettante con il virus HBV “selvaggio”). Ad esempio, in Alaska, su un periodo di sorveglianza di 5 anni, ne sono stati documentati 4 casi su un totale di 1630 individui15. Altre esperienze sono meno ottimistiche. Secondo uno studio dei CDC di Atlanta16, la protezione degli adolescenti è insufficiente quando la vaccinazione è stata eseguita alla nascita. Dei 105 ragazzi di 15 anni di età interessati dallo studio, otto (7,6%) avevano comunque contratto l’infezione (si evidenza in quanto positivi per l’anti-HBc). Tra i 97 ragazzi (92,4%) che non avevano contratto l’infezione, solo 7 (7,3%) al controllo dei 15 anni di follow-up avevano una concentrazione di anti-HBs di almeno 10 mlU/ml e solo 2 presentavano concentrazioni oltre 99 mlU/ml. In altro studio su bambini americani in età compresa fra cinque e sette anni, vaccinati alla nascita, non vi era più traccia di protezione anticorpale; in molti di questi soggetti, anche dopo il richiamo, gli anticorpi non aumentavano17. Su 37 ragazzi, vaccinati da bambini, è stato rilevato segno immunologico di epatite B soltanto in 18 soggetti18. Nel 36% dei bambini italiani vaccinati, dopo dieci anni o più non vi era traccia di protezione anticorpale19. Anche in Gambia, la protezione anticorpale era completamente scomparsa in oltre un terzo dei ragazzi vaccinati da piccoli. Alcuni autori hanno riscontrato l’esistenza della protezione a lungo termine soltanto nel 60-70% dei casi20. Nei Paesi a basso rischio, la strategia di vaccinare i bambini molti piccoli in modo che siano coperti in età adulta giovane sembra inadeguata, visti i dubbi esistenti. Soltanto nelle zone a elevato rischio di malattia è importante la vaccinazione da molto piccoli e può contribuire a una diminuzione delle infezioni croniche in età pediatrica21. Nelle zone a basso rischio è sufficiente monitorare, sensibilizzare e vaccinare i soggetti a rischio, in quanto la vaccinazione a tappeto di tutti i bambini è discutibile, visti anche i gravi effetti collaterali del vaccino.
Negli ultimi anni sono state evidenziate una grande varietà di mutazioni delle proteine virali di HBV, tanto da porre dei dubbi sul fatto che i vaccini attualmente disponibili saranno in grado di mantenere la propria efficacia anche nel futuro. La comparsa di queste varianti virali fa sì che una epatite provocata da virus mutante non risente dell’azione del vaccino22. Infatti il cambio di alcuni nucleotidi permette al virus di sfuggire agli effetti della vaccinazione. Questo fenomeno è stato osservato in varie parti del mondo, dal Giappone alla Germania, dagli USA al Brunei, dall’Inghilterra a Singapore23 e ha riguardato sia infezioni neonatali sia infezioni in bambini più grandi regolarmente vaccinati. Sono numerosi i casi di neonati, figli di madri HBeAg positive, che hanno sviluppato infezioni nonostante avessero ricevuto sia l’immunoprofilassi attiva (vaccino) sia quella passiva (IgG specifiche anti-HBV) alla nascita24. Così, sono registrati casi di infezioni in bambini di varie fasce di età regolarmente vaccinati, a causa dell’azione dei virus mutanti25. Queste mutazioni potrebbero con il tempo sostituirsi al virus selvaggio, causare infezioni persistenti ed essere associate a epatite cronica. Il problema non è trascurabile, e sembra essere in aumento, se anche l’OMS raccomanda la creazione di una rete mondiale indipendente per il monitoraggio di tali mutanti. La prevalenza e l’importanza di questo fenomeno suscita nuovi interrogativi. La diffusione della vaccinazione porterà a un aumentato numero e varietà di mutanti ? Quali strategie adottare contro un eventuale aumento dei mutanti? È necessario studiare e valutare la trasmissibilità, l’infettività e le conseguenze della malattia data da tali virus. Quanto è successo di recente (allontanamento dal mercato del vaccino combinato Hexavac) conferma la necessità di monitorare di continuo la risposta immunitaria dei soggetti vaccinati, soprattutto a distanza di tempo dalla vaccinazione26.
Effettuando il dosaggio degli anticorpi a un mese di distanza della conclusione del ciclo vaccinale, si constata che circa il 14% di soggetti vaccinati non rispondono alla vaccinazione, e possono quindi contrarre l’infezione. Sono classificati come soggetti non-responder.

Reazioni avverse ed effetti collaterali

Il rischio di reazioni avverse al vaccino contro l’epatite B è elevato. Dai dati del VAERS americano, solo da gennaio 1996 fino a maggio 1997 sono stati registrati 18.000 casi di effetti collaterali, fra cui 54 decessi di morte improvvisa infantile.27


Non esistono studi sulla sicurezza del vaccino contro l’epatite B che non siano quelli forniti dalle Ditte farmaceutiche produttrici. Due studiosi americani indipendenti hanno affermato:

Il nostro studio arriva alla conclusione che negli adulti la vaccinazione anti-epatite B è statisticamente correlata non solo all’insorgenza di neuropatia acuta, neurite, mielite, vasculite, trombocitopenia, malattie gastrointestinali, sclerosi multipla e artrite, ma anche che in alcuni di questi pazienti i sintomi si cronicizzano anche per oltre un anno dopo la vaccinazione. Questo tipo di effetti collaterali cronici nell’adulto deve essere presentata al paziente che intende sottoporsi alla vaccinazione28.

In Francia la campagna di vaccinazione contro l’epatite B ha evidenziato il maggior numero di effetti indesiderati dall’inizio della farmacovigilanza29.

Fra il 1995 e il 2000 sono stati registrati dall’istituto tedesco Paul Ehrlich oltre mille effetti collaterali successivi all’inoculazione del vaccino contro l’epatite B, con un rapporto di 1 caso su 6.000 vaccinazioni. Sono state registrate gravi reazioni allergiche, disturbi dell’ematopoiesi, dolori e/o infiammazioni muscolari e articolari, reazioni neurologiche e reazioni agli occhi e al nervo ottico. Il servizio sanitario ha riconosciuto un caso di cecità attribuibile al vaccino. Vi sono inoltre sedici casi di morte, di cui quattro a distanza plausibilmente correlata con l’inoculazione del vaccino30.


Il vaccino anti-HBV tende, più degli altri vaccini con germi uccisi, a provocare malattie autoimmuni31.


La vaccinazione di tutti i bambini e i ragazzi in un Paese a basso rischio di epatite B espone al pericolo di effetti collaterali gravi o addirittura mortali, superiori al rischio di ammalarsi di epatite B in assenza di vaccinazione32.


Esaminando nel dettaglio le reazioni avverse, notiamo che nel 10-15% dei vaccinati, nei primi 4-5 giorni dopo il vaccino, si manifestano dolore nel punto di iniezione, febbre, dolore alle articolazioni, mal di testa, astenia33. A causa di questi sintomi provocati dal vaccino, i neonati sono maggiormente esposti ad accertamenti diagnostici o anche a terapie non necessarie34. Una reazione locale più forte può essere sintomo di miofascite macrofagica, un’infiammazione cronica scatenata forse dall’alluminio presente nel vaccino. La sintomatologia continua per mesi, con dolori persistenti ai muscoli e alle giunture e con astenia cronica. In un adulto su tre possono subentrare patologie autoimmuni, come disturbi neurologici simili alla sclerosi multipla35. Nei bambini questa malattia può determinare ritardi di crescita e motori36. La reale frequenza e significatività di questa malattia non è ancora chiara, anche se è preoccupante il numero di 200 casi rilevati soltanto in Francia.

Le segnalazioni del VAERS americano riportano – fra il 1991 e il 1998 negli Stati Uniti – 1.771 effetti collaterali del vaccino contro l’epatite B nei neonati, fra cui diciotto casi di morte improvvisa37.


Le reazioni allergiche acute ad alcuni componenti del vaccino sono un effetto collaterale accertato38 del vaccino stesso. La sintomatologia varia dall’orticaria alle crisi d’asma, fino allo shock anafilattico, potenzialmente mortale, che si presenta in più di 1 vaccinato su 100.000 e che è riconosciuto, negli USA, come un effetto avverso del vaccino39. I bambini vaccinati fino al sesto anno di vita soffrono di asma bronchiale, con un’incidenza del 10% maggiore rispetto agli altri bambini non vaccinati40.


Subito dopo l’introduzione del vaccino anti-epatite B negli Stati Uniti sono stati registrati centinaia di casi di effetti collaterali gravi a carico del sistema nervoso e immunitario: in particolare è emersa un’alta probabilità di correlazione fra immunizzazione e sclerosi multipla, oltre ad altre patologie neurologiche e autoimmuni41.


Alcuni case report descrivono le malattie demielinizzanti, cioè le malattie nervose che danneggiano la guaina nervosa, in rapporto alla vaccinazione. Rientrano in questo gruppo la sindrome di Guillain-Barré42 e la mielite trasversa43. Fra il 1995 e il 2000 sono stati registrati in Germania quattordici casi di malattie demielinizzanti acute subito dopo la vaccinazione, di cui nove fra bambini o ragazzi44. Fra il 2001 e il 2006 si ritiene che, ancora in Germania, l’immunizzazione abbia provocato 28 casi di sclerosi multipla sui 57 registrati. Authier45 descrive sei pazienti in cui, dopo il vaccino, si sono manifestati prima miofascite macrofagica e alcuni mesi più tardi i sintomi della sclerosi multipla.


Un altro effetto collaterale frequente del vaccino anti-HBV sono le infiammazioni del nervo ottico (neurite ottica)46. In cinque anni le autorità sanitarie americane ne hanno registrati diciassette casi e quelle tedesche undici, dal 1995 al 199947. In un bambino di undici anni e una bambina di due sono stati descritti disturbi della vista, fino alla cecità. In Francia la vaccinazione di oltre venti milioni di persone negli anni 1991-1999 è stata accompagnata da una vera e propria epidemia di patologie neurologiche: sono stati rilevati oltre 600 casi di quadri patologici simili alla sclerosi multipla, con incidenza della malattia raddoppiata, fino al 2001. Di conseguenza, nell’ottobre 1998 il Ministero della Salute ha temporaneamente sospeso la campagna di vaccinazione nelle scuole. Numerose case farmaceutiche hanno dovuto corrispondere risarcimenti per danni neurologici da vaccino. La Lega Francese Sclerosi Multipla sconsiglia di continuare a usare il vaccino contro l’epatite B.
L’epidemiologo francese Marc Girard ha così commentato:

 
Secondo la tradizione ippocratica, il livello di sicurezza di un farmaco usato nella profilassi deve essere molto alto, perché dovrà proteggere le persone da malattie che forse non le colpiranno mai. Questo studio chiarisce che i risultati sulla sicurezza del vaccino anti-epatite B sono tendenziosi e non rispecchiano i criteri classici della medicina basata sull’evidenza; la presentazione e pubblicazione dei dati clinici ed epidemiologici disponibili è selettiva... È opportuno quindi approfondire maggiormente l’insolito quadro di tossicità, al fine di rendere disponibili ulteriori dati48.

Accanto ad alcuni studi che non hanno valutato statisticamente significativa la correlazione fra il vaccino e la sclerosi multipla, altri autori49, in studi indipendenti dall’industria farmaceutica, riscontrano invece un rapporto significativo. Membri del Dipartimento di Epidemiologia dell’Università di Boston hanno analizzato il database del Regno Unito prendendo in considerazione i pazienti affetti da sclerosi multipla, cui la malattia era stata diagnosticata tra l’1 gennaio 1993 e il 31 dicembre 2000. Il 6,7% dei pazienti avevano ricevuto il vaccino entro i 3 anni precedenti l’insorgenza della malattia, con una differenza statisticamente significativa rispetto ai controlli.

I nostri risultati confermano l’ipotesi che l’inoculazione di un vaccino ricombinante per l’epatite B è correlata ad un maggior rischio di sclerosi multipla, un rischio di oltre tre volte più elevato rispetto ai soggetti non vaccinati, e legato soprattutto all’età pediatrica.

Esiste un lungo elenco di malattie autoimmuni manifestatesi dopo la vaccinazione: eritema nodoso50, vasculiti51, lupus eritematoso sistemico52. Nei soggetti vaccinati contro l’epatite B sono stati riscontrati sovente vari anticorpi contro i tessuti propri dell’organismo:

Nelle persone con malattie genetiche o in presenza di altri fattori scatenanti, questa combinazione può contribuire al rischio di sviluppo di reazioni autoimmuni permanenti.53

La correlazione fra epatite B e malattie autoimmuni risulta in letteratura da numerose pubblicazioni. Dopo un’analisi dei dati del sistema americano VAERS sugli effetti collaterali autoimmuni dei vaccini, Geier e Geier affermano54:

Il nostro studio indica che negli adulti il vaccino anti-HBV è statisticamente correlato a neuropatia acuta, mielite, vasculite, trombocitopenia, malattie gastrointestinali, sclerosi multipla e artrite.
Le infiammazioni articolari (artrite) sono un effetto collaterale non raro del vaccino, sino all’1% dei vaccinati55. Durante un congresso di reumatologia del 1996 è stato redatto un importante documento intitolato: An epidemic of rheumatoid arthritis caused by the hepatitis B vaccine (Un’epidemia di artrite reumatoide provocata dal vaccino contro l’epatite B)56.

Il rischio statistico di insorgenza di un’artrite cronica dopo il vaccino anti-HBV è da cinque a nove volte superiore rispetto al vaccino antitetanico57. I disturbi si manifestano entro un paio di settimane dall’inoculazione e possono essere acuti e di breve durata, ma anche cronici. Nel periodo fra il 1990 e il 1992 sono stati documentati negli Stati Uniti 57 casi di artrite cronica58. Numerosi sono i casi di malattie reumatiche insorte dopo la vaccinazione: in Francia ne sono stati segnalati 2259, ma molti altri sono presenti in letteratura60.


Sono stati riferiti inoltre casi di cecità per occlusione della vena centrale dell’occhio61 o per infiammazione dell’iride62.


In Nuova Zelanda, fra il 1989 e il 1991, parallelamente all’introduzione della vaccinazione di massa, si è osservato nei bambini di sei settimane un aumento del diabete insulino-dipendente del 60% dei casi: da 11,2 a 18,2 su 100.000 bambini63. Anche i Centers for Disease Control64 negli Stati Uniti hanno pubblicato alcuni dati che confermano la correlazione fra vaccinazione anti-epatite B e insorgenza del diabete giovanile: dopo due mesi dal vaccino, il rischio di diabete dei soggetti vaccinati diventava quasi doppio65.

Conclusioni

A partire dalla fine degli anni ’80, l’incidenza dell’epatite B è andata diminuendo, con un trend che è stato più marcato nelle fasce di età tra i 15 ed i 24 anni e per i residenti al Sud d’Italia. La vaccinazione nei neonati e negli adolescenti, resa obbligatoria per legge nel 1991, non ha modificato sostanzialmente questo andamento, ha tuttalpiù contribuito a consolidarlo... Complessivamente si sono verificati negli anni dal 1992 al 2001, 180 casi di epatite B in soggetti vaccinati. Nello stesso periodo sono stati segnalati 96 casi tra soggetti per i quali la vaccinazione è consigliata: gli operatori sanitari.

Queste considerazioni non provengono da fonti di organizzazioni antivaccinali, ma sono pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità (Sistema Epidemiologico Integrato dell’Epatite Virale Acuta Seieva: Rapporto 2000-2001).


L’epatite B non è una malattia che si prende a tutti gli angoli della strada. Ha modalità di trasmissione particolari, per cui il rischio di contagio di un neonato sano, che vive in una famiglia sana, è bassissimo, quasi nullo. La diminuzione della sua incidenza è iniziata ben prima dell’introduzione del vaccino, e dipende dalla disponibilità di siringhe monouso, sia in ambiente domestico che ospedaliero, dalla diminuzione del numero dei componenti familiari, dallo screening approfondito del sangue da trasfondere o da utilizzare per la preparazione degli emoderivati, dall’effetto AIDS (attenzione sui pericoli dello scambio di siringhe tra tossicodipendenti e dei rapporti sessuali).

I grafici della pagina seguente illustrano la situazione italiana:

La diminuzione dell’incidenza dell’epatite è simile a quella dell’epatite non A non B, malattia per cui non esiste vaccinazione.


È utile quindi fare una riflessione sul rapporto rischio-beneficio. Se la vaccinazione può avere un senso nei neonati da madre portatrice, (sopratutto se con elevato indice di infettività, o se la malattia è contratta in gravidanza), o nei bambini a rischio (perché affetti da patologie croniche che richiedono dialisi o trasfusioni, o conviventi con soggetti infetti) non appare utile l’introduzione dell’obbligo vaccinale per tutti i neonati. Il vaccino non ha modificato l’andamento, già in diminuzione, della malattia nell’età pediatrica che riceve la vaccinazione. Abbiamo poi visto che le complicanze di questo vaccino sono importanti e numerose. Secondo i dati della VAERS, i tassi di complicanze gravi indotte dalle vaccinazioni sono di 4 ogni 1.000 vaccinati, cioè 4.000 su un milione di vaccinati. Se teniamo conto che i danni da vaccino sono sotto stimati del 90% (secondo la Food and Drug Administration americana) si può concludere che i rischi di questa vaccinazione sono davvero molto alti. Le cronicizzazioni post-epatite B (quindi i soggetti di che possono sviluppare cirrosi e cancro) sono nell’ordine di 0,1-0,6/100.000 soggetti che contraggono la malattia. Ciò significa 1-6 casi di cirrosi o cancro epatico ogni milione di malati di epatite: tutti gli altri non hanno queste gravi conseguenze. I rischi di questa vaccinazione sarebbero quindi da 600 a 4.000 volte superiori a quelli della malattia.

Bambini super-vaccinati - 2a edizione
Bambini super-vaccinati - 2a edizione
Eugenio Serravalle
Saperne di più per una scelta responsabile.Un’attenta disamina sulla questione dei vaccini, che mette a confronto dati e ricerche aggiornate, per aiutare i genitori a scegliere con consapevolezza. Eugenio Serravalle, medico specializzato in Pediatria Preventiva, Puericultura e Patologia Neonatale, ha approfondito il fenomeno delle invenzioni delle malattie e lo studio delle composizioni dei vaccini, con gli additivi, i conservanti e le sostanze chimiche che possono avere effetti dannosi sulla salute dei bambini.Fermamente convinto dell’utilità dell’immunizzazione di massa, per anni ha vaccinato i suoi pazienti con ogni vaccino disponibile sul mercato, finché si è reso conto di aver accettato senza riserve il concetto abituale secondo cui i vaccini siano sempre efficaci e sicuri.Libero da ogni pregiudizio, l’autore ha cominciato a porsi domande diverse, quelle che soprattutto i genitori si pongono: i vaccini provocano malattie irreversibili? I bambini sono troppo piccoli per le vaccinazioni? I vaccini causano reazioni pericolose per l’organismo? Somministrare troppi vaccini insieme sovraccarica il sistema immunitario?In Bambini super-vaccinati da pediatra infantile si cala nel ruolo di genitore, cercando di chiarire ogni dubbio sulla pratica vaccinale: il libro vuole quindi garantire il diritto a un’informazione obiettiva e consapevole sui rischi derivanti dalle vaccinazioni, sulla libertà di scelta e di cura, fornire quindi ai genitori, e non solo, tutte le informazioni utili per scegliere in piena autonomia.In questa seconda edizione viene approfondito ancor di più tutto quello che la letteratura scientifica internazionale mette a disposizione, confrontando dati e ricerche cliniche. Conosci l’autore Eugenio Serravalle è medico specialista in Pediatria Preventiva, Puericultura e Patologia Neonatale.Da anni è consulente e responsabile di progetti di educazione alimentare di scuole d’infanzia di Pisa e comuni limitrofi.Già membro della Commissione Provinciale Vaccini della Provincia Autonoma di Trento e relatore in convegni e conferenze sul tema delle vaccinazioni, della salute dei bambini e dell’alimentazione pediatrica in tutta Italia.