capitolo xi

Le vaccinazioni

Le vaccinazioni sono tutte necessarie?

Molti genitori al momento di recarsi nei centri vaccinali per somministrare i vaccini ai loro bambini sono in grande apprensione. L’idea di introdurre nell’organismo dei loro figli virus, batteri o loro frazioni, spesso ottenute con tecniche di ingegneria genetica – anche se trattati al fine non di provocare le malattie, ma solo anticorpi per difendersene – li preoccupa e vorrebbero essere rassicurati dai loro pediatri o dai medici dei centri vaccinali dell’assoluta innocuità di ciò che verrà inoculato.


È una ansia legittima, motivata dal desiderio di essere adeguatamente informati per decidere in condizione di libertà e piena consapevolezza sui vantaggi, ma anche sui rischi derivanti dalle vaccinazioni, come d’altra parte raccomanda la Convenzione di Oviedo per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti della biologia e della medicina, ratificata in Italia con la legge 145 del 2001.


A molti genitori che chiedono indicazioni e rassicurazioni capita invece, sempre più sovente, di ricevere risposte sommarie che enfatizzano i vantaggi delle vaccinazioni e minimizzano o negano del tutto i loro effetti collaterali limitandosi nel migliore dei casi a elencare piccoli disturbi di scarso valore come la febbre o la tumefazione nei punti di inoculazione a rapida risoluzione spontanea.


Gli operatori sanitari, come afferma Luisella Grandori dell’Associazione Culturale Pediatri, dovrebbero essere maggiormente consapevoli

delle basi etiche della loro opera, del diritto delle persone di essere informate in modo trasparente e completo, di esprimere la propria volontà (scegliere) e di dar forma alla propria esistenza.

Anche gli operatori sanitari dovrebbero essere informati e dovrebbero informarsi in maniera completa e continua sull’andamento epidemiologico delle malattie infettive, sul rapporto costi/benefici delle singole vaccinazioni e sulle possibili reazione avverse dei vaccini. Questo ruolo di informazione, aggiornamento continuo e consulenza tecnica dovrebbe spettare ad agenzie pubbliche (Istituto Superiore di Sanità, Osservatori epidemiologici regionali) le quali dovrebbero garantire innanzitutto un’informazione indipendente dagli interessi delle Case produttrici di vaccini – capaci spesso, grazie alle loro enormi risorse finanziarie, di condizionare le autorità politiche nelle scelte di carattere sanitario – e di recepire, senza pregiudizi, anche gli stimoli provenienti da ambienti e associazioni critiche nei confronti delle vaccinazioni.

Molte decisioni riguardanti la salute di adulti e bambini infatti sono state prese dagli organi competenti tenendo in scarsa considerazioni il rapporto costi/benefici per la collettività, e/o senza attendere il completamento degli studi attestanti l’assenza di gravi effetti collaterali. A dimostrazione di quanto affermato ecco tre esempi significativi.

Il vaccino contro l’epatite B

Il primo esempio si riferisce all’introduzione dell’obbligo della vaccinazione contro l’epatite B negli anni ’90. Molti esperti in Italia e all’estero non ritenevano utile e particolarmente vantaggioso rendere obbligatorio, per tutti i bambini nel primo anno di vita, un vaccino contro una malattia che si contrae attraverso rapporti sessuali, trasfusioni o uso di siringhe infette.


Negli anni ’90 il rischio di ammalarsi di quella malattia era molto basso, pari a 5 casi su 100.000 e riguardava categorie a rischio ben definite e facilmente identificabili, come i figli di madri tossicodipendenti, affette da epatite B in fase attiva, verso le quali avrebbe potuto essere indirizzata una campagna di educazione sanitaria con offerta attiva del vaccino.


La diffusione di siringhe monouso in ambiente domestico e ospedaliero, campagne di educazione sanitaria tese a evitare lo scambio di siringhe tra i tossicodipendenti e a diffondere l’uso del preservativo nei rapporti sessuali a rischio, oltre a un maggior controllo sulle trasfusioni di sangue, stavano già dando ottimi risultati.


Ma in quegli anni era Ministro della Sanità in Italia l’On. De Lorenzo, poi condannato per vari reati tra cui l’aver ricevuto tangenti dalle case farmaceutiche, e la procedura che rendeva obbligatoria la vaccinazione contro l’Epatite B a tutti i bambini italiani nel primo anno di vita subì una rapida accelerazione.


A tutt’oggi Inghilterra, Svezia, Svizzera raccomandano una sola dose di vaccino, alla nascita, ai bambini figli di madri a rischio. In Italia invece dal 1991 tutti i nati ricevono 3 dosi di vaccino nel primo anno di vita. L’Inghilterra e la Svezia sono paesi dotati di un servizio Sanitario Nazionale assai efficiente basato su una logica di rapporto tra costi e benefici in qualunque progetto sanitario.


Ma il vaccino è veramente innocuo?

A sentire le rassicurazioni della maggior parte dei pediatri e medici vaccinatori, sì.

Nel 1994 in Francia, che aveva esteso la vaccinazione agli adolescenti e ai giovani adulti, per la prima volta era stata ipotizzata un’associazione tra vaccinazione anti epatite B e sclerosi multipla. Nel 1998 il Ministero della sanità francese sospende la vaccinazione per gli adolescenti.


Nel 2001 un lavoro pubblicato sul “New England Medical Journal” da Ascherid e altri esclude questa relazione tra Epatite B e sclerosi multipla, ma nel 2004 la prestigiosa rivista “Neurology” organo ufficiale dell’American Academy of Neurology pubblica un articolo dal titolo Recombinant hepatitis B vaccine and the risk of multiple sclerosis: a prospective study. Il team di ricercatori, Miguel A. Hernán, MD, DrPH, Susan S. Jick, DSc, Michael J. Olek, DO and Hershel Jick, MD, epidemiologi dell’Harvard University di Boston, che ha pubblicato i suoi risultati sulla rivista, si è servito dei dati del General Practice Research Database (GPRD) che comprendono informazioni su 3 milioni di persone con dati a partire dal 1987.


I ricercatori hanno confrontato i dati sulla vaccinazione con quelli relativi alle diagnosi di sclerosi multipla fatte tra il gennaio 1993 e il dicembre 2000. Basata su 163 casi di sclerosi e 1604 controlli, la loro analisi ha evidenziato che la vaccinazione è associata a un’incidenza tripla della malattia del sistema nervoso entro tre anni dall’immunizzazione. Lo studio non permette di capire se la vaccinazione favorisca l’insorgere della malattia semplicemente accelerando la comparsa dei sintomi presenti ma non ancora evidenti, o se invece la faccia scatenare nelle persone sane ma suscettibili a contrarla. Il dubbio di un nesso tra vaccino e sclerosi rimane quindi, ed è corroborato da queste evidenze.


Ma se in Italia l’obbligatorietà di un vaccino viene legiferata anche troppo tempestivamente sotto l’influenza di interessi economici come in questo caso, senza una attenta valutazione costo/beneficio, la decisione opposta, cioè rendere un vaccino facoltativo, è molto più lenta e macchinosa. Non è ipotizzabile che questo vaccino sia somministrato, come in altri Paesi, ai soli soggetti a rischio anche alla luce della possibilità, non remota, di un suo coinvolgimento nel favorire l’insorgenza di una malattia così grave come la sclerosi multipla?

Il vaccino anti HPV

Nel 2007 il Ministro Livia Turco introduce in Italia il vaccino contro i ceppi 16 e 18 del Papilloma virus, non obbligatorio, ma gratuito per tutte le dodicenni i cui genitori intendono aderire alla campagna di vaccinazione. L’introduzione del vaccino è preceduta da un forte clamore pubblicitario. È il primo vaccino che promette di prevenire una forma di cancro, quella della cervice dell’utero. La prima ad avvantaggiarsene sarà comunque la multinazionale che produce il vaccino; i costi infatti non sono indifferenti: 564 euro a ciclo, se acquistato in farmacia da privati cittadini, 342 alle ASL, con una spesa nazionale annua prevista a carico del Servizio Sanitario Nazionale di circa 75 milioni di euro.


Nel novembre 2007 risultava che 12 dei 27 Paesi dell’UE avevano deciso di introdurre la vaccinazione contro l’HPV: Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Spagna, Svezia, Svizzera e Regno Unito. Le strategie sono molto diversificate, e riguardano le adolescenti ma anche età successive fino ai 26 anni.


In Olanda, in attesa della decisione finale, il Collegio dei General Practitioners (i medici di famiglia) ha denunciato un’intensa campagna di promozione dell’industria al di fuori delle indicazioni ufficiali, tale da provocare un’abnorme richiesta di vaccinazione.


Un gruppo di cattedratici spagnoli ha chiesto una moratoria sull’introduzione del vaccino con una lettera aperta che ha raccolto circa 3500 firme.

Una lettera analoga è stata scritta in Italia dall’Associazione Pediatria di Comunità (APeC, affiliata all’Associazione Culturale Pediatri).


La Finlandia ha intrapreso un grande studio su 22.000 ragazze adolescenti e deciderà sull’opportunità di introdurre la vaccinazione in base ai risultati attesi nel 2020.


Al Ministero della Salute non si è dato ascolto a chi consigliava un atteggiamento più prudente e di attesa, come in Finlandia; fa meraviglia che quella scelta metodologicamente esemplare non sia stata seguita da altri Paesi.


È certo difficile valutare il peso delle pressioni dell’industria del farmaco sulle decisioni dei politici riguardo a questo vaccino, ma si può ritenere che non sia stato irrilevante.

Perché tanti dubbi tra gli addetti ai lavori?

Il vaccino rende effettivamente immuni dalle infezioni e dalle lesioni della cervice uterina provocate dagli HPV (herpes papilloma virus) 16 e 18, contro i quali è diretto.


Ma i risultati riguardano un periodo di soli 4-5 anni, e saranno necessari ulteriori studi per valutare la durata della protezione e ci vorranno decenni per verificare la reale efficacia protettiva sui tumori.


Inoltre, anche se l’effetto protettivo sembra buono per le lesioni precancerose associate al tipo 16 e più incerto per quelle associate al 18, l’effetto sul numero totale dei carcinomi della cervice uterina, per il momento, risulterebbe nullo1. Non sono ancora noti i risultati degli studi italiani in corso per conoscere i dati nazionali sul carcinoma della cervice, sui ceppi di Papilloma virus prevalenti in Italia, sulle valutazioni costi-efficacia.


Il 25 Gennaio 2008 l’EMEA (European Medicines Agency) ha comunicato che due giovani donne sono morte improvvisamente dopo aver ricevuto la vaccinazione contro il papillomavirus. Una delle morti è avvenuta in Austria e l’altra in Germania. La causa dei decessi non è stata identificata. Queste due morti fanno seguito alla morte di altre tre ragazze (12, 19 e 22 anni), avvenuta negli Stati Uniti, alcuni giorni dopo la sommnistrazione del vaccino. L’FDA (Agenzia Americana per i farmaci e gli alimenti) ha ricevuto anche 28 segnalazioni di aborto dopo somministrazione del vaccino anti-HPV, in donne in stato di gravidanza. L’EMEA ha annunciato che continuerà a monitorare strettamente la sicurezza del vaccino.

Non dobbiamo scordare che il Pap test – che è strumento prioritario e di provata efficacia per proteggersi dal tumore del collo dell’utero – in molte ASL italiane, per mancanza di fondi, di personale o per colpevoli ritardi organizzativi, non viene ancora proposto in offerta attiva alle donne in età a rischio. Sarebbe quindi sufficiente, come prevenzione del tutto innocua, fare un Pap test e periodiche visite ginecologiche a costi di gran lunga inferiori e senza alcun rischio per la salute. Michele Grandolfo, che è stato per decenni dirigente di ricerca al Centro nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della salute dell’ISS (Istituto superiore Sanità), nel 2006 – quando il governo italiano decise di promuovere la vaccinazione antipapilloma virus sulle bambine – aveva già espresso il suo parere scritto negativo a rappresentanti dell’allora ministro. In una recente intervista2 afferma ancora, dopo 9 anni, che “La vaccinazione contro il papilloma virus non aveva senso nel 2006 e non ha senso oggi per svariati motivi. Primo: l’efficacia dei vaccini in commercio è stata testata solo considerando la riduzione delle displasie gravi e non del tumore del collo dell’utero”…e che: “Purtroppo si è visto che in Australia le giovani vaccinate sono meno propense a fare il pap test. Direi che questo è un effetto perverso gravissimo perché il pap test è l’unico mezzo efficace per prevenire il tumore del collo dell’utero. È grazie al pap test che incidenza e mortalità di questo cancro si sono ridotte progressivamente (al momento 2 decessi ogni centomila donne). Consideriamo che chi è vaccinato deve fare comunque il pap test, ma se questo strumento è già adeguato non si capisce perchè i sistemi sanitari scelgano di spendere tanti soldi in vaccini di cui si sa pochissimo. E poi bisogna considerare anche un altro aspetto: la donna vaccinata si sente inconsciamente protetta dalle malattie a trasmissione sessuale e tende a non prendere le adeguate precauzioni per evitarle (ad esempio non usando il preservativo)”.

I farmaci in pediatria sono sufficientemente valutati?

Nella primavera del 2008, quando il vaccino antiHPV ha cominciato a essere reperibile, i pediatri sono stati tempestati di telefonate da parte dei genitori delle loro pazienti che chiedevano consiglio sul da farsi. La risposta dei pediatri è stata univoca: “Vaccinate, vaccinate, vaccinate!”, salvo rare eccezioni, tra cui quella dei pediatri aderenti all’Associazione Culturale Pediatri.


Eppure qualche dubbio i pediatri avrebbero dovuto averlo, anche solo leggendo la letteratura medica in materia che, tra gli elementi su cui riflettere, indica il lungo intervallo tra l’infezione e il tumore, la possibilità che i sierotipi 16 e 18 possano essere rimpiazzati, i pochi anni (cinque) di sperimentazione del vaccino che rendono difficile una valutazione dei risultati a lungo termine. Nelle bambine, nonostante la risposta immunitaria sia migliore di quella delle donne adulte, la prevenzione del tumore con la vaccinazione a 12 anni rimane solo una speranza tutta da verificare. E gli effetti collaterali? Come sono stati valutati?


Un’altra preoccupazione è che la somministrazione di tale vaccino, non accompagnato da un’adeguata informazione, possa indurre la convinzione, specialmente tra le più giovani, di essere protette verso tutte le malattie sessualmente trasmesse, con conseguente calo della pratica dell’uso del profilattico il quale rappresenta il metodo più efficace per prevenire insieme le gravidanze indesiderate e tutte le malattie a contagio sessuale.

I vaccini antinfluenzali

Nel 2006 all’approssimarsi dell’autunno, uno spettro cominciò ad aggirarsi nei Paesi occidentali, quello della pandemia dell’influenza aviaria il cui virus, nato nei pollai della Cina e diffuso dalle migrazioni delle anatre, minacciava la nostra salute e quella dei nostri bambini.


Quello dell’influenza aviaria è un virus che, come dice la parola, colpisce i pennuti e non mostra particolare affinità per la specie umana. Esiste da molto tempo, come quello dell’influenza umana e da molto tempo assai raramente fa il salto di specie infettando l’uomo.


Ma in quali condizioni? E quali uomini? Le condizioni sono quelle di uno strettissimo rapporto di convivenza tra uomini e polli e di igiene scarsissima. I soggetti colpiti sono contadini poveri delle campagne cinesi, i loro familiari e conviventi e i lavoratori di allevamenti di polli in Paesi dell’estremo oriente.

Il numero dei casi di soggetti ammalati e poi deceduti, sempre in estremo oriente, è stato inferiore a cento.


Non è stato pubblicato alcuno studio che stabilisca la riduzione della mortalità, delle complicazioni gravi e della trasmissione dell’influenza nella comunità utilizzando la vaccinazione routinaria dei bambini contro l’influenza e tanto meno che offra qualche protezione nei confronti dell’influenza aviaria.

Tuttavia il Senatore Storace, allora ministro della Sanità, decise di stanziare 50 milioni di euro per l’acquisto di vaccini futuribili che ancora dovevano essere prodotti, facendo un enorme favore alla casa farmaceutica Roche, che in quel periodo incrementò del 20% il suo fatturato e del 60% il valore dei titoli in borsa.


Così commentò la Senatrice dell’opposizione Tiziana Valpiana, in Commissione Affari Sociali: “Il Ministro della Salute semina l’allarmismo, alimentando la colossale campagna mediatica messa a punto dall’industria farmaceutica attraverso il marketing della paura, senza preoccuparsi di una corretta e veritiera informazione ai cittadini e curandosi ancor meno di cosa questo avrebbe causato all’economia e all’occupazione”… “Invece di potenziare i servizi rendendoli in grado di gestire un’eventuale e del tutto ipotetica pandemia, il governo ha dimostrato che la presunta collaborazione tra pubblico e privato è basata sulla totale subalternità del pubblico agli interessi dei privati. I cittadini continuano a non essere informati su quali siano i comportamenti da adottare e su che cosa sia effettivamente rischioso e cosa mero allarmismo e disinformazione, mentre non si sta assumendo alcun provvedimento concreto per limitare i danni causati dalla caccia agli uccelli migratori e da un sistema di allevamenti intensivi non sostenibile per l’ambiente e la salute dei cittadini.

La vera prevenzione e una vera difesa non può essere basata su ‘cure miracolose’, ma sull’informazione corretta e sulla predisposizione di una rete sanitaria efficiente e ramificata, in grado di contenere e gestire un’eventuale emergenza.

Il Ministro Storace forse non si rende conto delle sue responsabilità verso i cittadini e i lavoratori del settore e, soprattutto, che non è accettabile che il Ministro della salute si renda responsabile della propagazione di una vera e propria psicosi basata sulla disinformazione e sulla copertura di interessi di parte invece che su una seria e competente prevenzione e politica sanitaria.”


Nonostante la loro assoluta inutilità, quell’anno andarono a ruba anche i vaccini antinfluenzali; e sebbene ufficialmente si continuasse a dichiarare che il vaccino antinfluenzale non era consigliato in età pediatrica perché, in effetti, non ci sono prove di efficacia nei bambini sani e assai poco si sa degli effetti collaterali, a livello personale molti pediatri non si impegnarono a dissuadere i genitori dei loro pazienti e qualche eminente epidemiologo, intervistato alla radio, dichiarò che se pure il vaccino non proteggeva dall’influenza aviaria comunque male non faceva. Un altro argomento che veniva utilizzato per vaccinare i bambini era che, in caso di pandemia, nei bambini vaccinati contro l’influenza umana sarebbe stata più semplice una diagnosi differenziale precoce.


Due categorie furono le vittime più importanti di questa follia collettiva causata da una potente azione di marketing: i lavoratori di molti allevamenti di polli che videro le vendite calare a zero e molte specie di uccelli selvatici – ricordo una comunità di cigni in Puglia – martiri di una pulizia etnica dissennata.


Bisogna poi aggiungere tutti i bambini che quell’anno, senza alcuna giustificazione scientifica, sono stati sottoposti a questa vaccinazione con il beneplacito delle autorità sanitarie e spesso dei loro pediatri.


Secondo Tom Jefferson, responsabile del settore vaccini della Cochrane Collaboration, rete di ricercatori che valuta con criteri i assai affidabili il valore di affermazioni scientifiche attraverso l’analisi statistica (Metanalisi) dei dati riportati in molti articoli scritti su un dato argomento, il vaccino antinfluenzale non serve ai bambini – e in particolare a quelli sotto i 2 anni – per i quali, nel migliore dei casi e trascurando gli effetti collaterali, avrebbe un’efficacia pari al placebo (che però è privo di effetti collaterali), riduce di sole 2 ore le assenze di malattia per gli adulti e del 28% l’ospedalizzazione degli anziani.


Come era prevedibile la pandemia non c’è stata. Oggi nessuno parla più di influenza aviaria, i polli sono tornati sulle nostre tavole e i cigni nei laghi

Cosa inventeranno le case produttrici di vaccini la prossima volta?

Il vaccino antipneumococco

Nel 2001 è stata autorizzata in Europa la commercializzazione del vaccino antipneumococco. L’incidenza di malattie provocate da questo germe è assai bassa (27 su 100.000). Può avere un senso vaccinare i bambini a rischio per particolari condizioni di salute3, ma desta molti dubbi estendere a tutta la popolazione sotto i 2 anni gratuitamente questo vaccino, come avviene in 9 regioni italiane. Poche delle regioni che hanno introdotto il vaccino hanno attivato sistemi di sorveglianza sulla diffusione di queste infezioni e per la individuazione dei ceppi più diffusi. Infatti il vaccino non protegge contro tutti i ceppi di pneumococco ma solo contro due di essi.


“È un vaccino sviluppato per il mercato americano dove l’incidenza di meningite da pneumococco è centinaia di volte superiore a quella europea” come commenta Vittorio Demicheli, direttore dell’Assessorato alla sanità della regione Piemonte sulle pagine di “La Repubblica” e aggiunge che “l’impatto sulle infezioni polmonari e le otiti è minimo”. Il prezzo al pubblico è di 281 euro a ciclo ma molte regioni lo offrono gratuitamente sottraendo fondi a progetti di impatto maggiore nella promozione della salute come ad esempio il potenziamento della rete dei consultori e la promozione dell’allattamento al seno.

In America due diversi studi4 hanno dimostrato che sta avvenendo il fenomeno del rimpiazzo: nuovi ceppi, che prima venivano tenuti a bada da quelli più diffusi, soppiantano questi e si tratta di ceppi che, al contrario di quelli precedenti, sono assai più resistenti agli antibiotici. È esattamente quello che avviene in qualunque ecosistema: se in un certo ambiente scompaiono o vengono eliminati i predatori di specie dannose, quelle specie prendono il sopravvento, spesso provocando danni maggiori di quelli che provocavano i loro predatori.


Nonostante ciò il vaccino viene offerto, senza tante spiegazioni, in molti centri vaccinali e i genitori accettano di farlo somministrare ai loro figli ignorando che, non solo in breve tempo quel vaccino potrebbe diventare inutile, ma che quella vaccinazione potrebbe contribuire a favorire la diffusione di ceppi di pneumococco più aggressivi e patogeni.


È giusto che i genitori affrontino le vaccinazioni dei loro piccoli con prudenza. Le loro obiezioni meritano grande rispetto da parte degli operatori sanitari, per la complessità del tema e per le conoscenze, sempre parziali sulle conseguenze a medio e lungo termine. L’operatore del centro vaccinale e il pediatra, oltre a offrire conoscenze sempre aggiornate sui vantaggi ma anche sugli effetti collaterali dei vaccini, deve porsi con empatia e senza pregiudizi di fronte ai dubbi dei genitori per trovare insieme la migliore soluzione possibile.

Tutte le persone hanno il diritto di essere informate in maniera trasparente e completa e di esprimere dubbi, senza timore di essere giudicate, su temi che riguardano la loro salute o quella dei loro figli.

In molti casi i vaccini sono stati introdotti con troppa sollecitudine e offerti acriticamente a tutti i bambini e non soltanto ai soggetti a rischio. Uno studio del 20085 conferma, dopo aver revisionato 739 studi pediatrici pubblicati tra il 1996 ed il 2002, che nelle sperimentazioni in pediatria viene posta scarsa attenzione alle reazioni avverse.


I politici, come abbiamo visto, si sono spesso mostrati subalterni agli interessi dell’industria farmaceutica ma anche“le relazioni tra medici ed industria sono intense, usano canali e metodi sempre più sofisticati e influenzano i comportamenti prescrittivi. L’obbligo di trasparenza e i codici di autodisciplina non sono sufficienti a limitare queste relazioni6.

In Italia l’antitrust a novembre 2008 ha multato la FIMP, il più potente sindacato dei pediatri di libera scelta, per aver concesso con troppa facilità il proprio logo (un marchio che tra i genitori suscita molta fiducia) ad aziende come la Wyeth, produttrice del vaccino antipneumococco e nel 2006 l’Agenzia Italiana del Farmaco aveva indotto la stessa Wyeth a sospendere una campagna pubblicitaria a favore della vaccinazione nei bambini attraverso uno spot non autorizzato e non conforme alle indicazioni del Piano sanitario nazionale.

Il rispetto dei pazienti

Ai genitori che non si sentissero soddisfatti delle informazioni ricevute dagli operatori dei centri vaccinali o dai pediatri consiglio la lettura di tre libri assai ben documentati che per dovere di aggiornamento sarebbero utili anche agli operatori sanitari: Gava Roberto, Le Vaccinazioni Pediatriche, Revisione delle conoscenze scientifiche, Salus Infirmorum 2006; Serravalle Eugenio, Bambini super-vaccinati. Saperne di più per una scelta responsabile, 2° ed. Il leone verde, 2012, Gava Roberto-Serravalle Eugenio, Vaccinare contro il papilloma virus?, Salus Infirmorum 2008.


Esistono inoltre associazioni, considerate dalla medicina istituzionale aggressive e in mala fede e perciò demonizzate, critiche nei confronti delle vaccinazioni, che meriterebbero di essere ascoltate non solo dai genitori, ma anche dalle autorità sanitarie anche in pubblici dibattiti, su un tema così delicato.


Un ultimo fatto interessante che indica lo strapotere delle case produttrici di vaccini in Italia è che ai genitori che vogliono rispettare l’obbligo vaccinale somministrando i soli vaccini obbligatori (tetano, difterite, polio ed epatite B) questa libertà è negata perché non sono di fatto più in commercio tali vaccini singoli ma sempre associati a uno o due vaccini facoltativi, divenuti di fatto obbligatori, non per legge ma per decisione unilaterale di queste multinazionali. A Roma i genitori che vogliono somministrare ai loro figli i soli vaccini obbligatori sono costretti a rivolgrsi a un ospedale di un altro Stato (il Vaticano) perché soltanto all’ospedale “Bambino Gesù” è disponibile il vaccino tetravalente che contiene solo gli obbligatori.


In effetti, dal 2001, il vaccino più somministrato in Italia è proprio il vaccino esavalente che contiene tutti gli obbligatori più due facoltativi.


Il rapporto ISTISAN 06/16 dell’Istituto Superiore di Sanità raccomanda la creazione di un sistema di sorveglianza per le reazioni avverse da vaccini “…allo scopo di garantire la massima sicurezza delle strategie vaccinali e fornire informazioni al pubblico relativamente non solo alla reale efficacia ed utilità ma soprattutto alla sicurezza ed innocuità…”. Nello stesso studio, nella discussione a pagina 21 si conferma che “…il vaccino esavalente, che risulta comunque avere un eccesso di rischio di reazioni neurologiche…

Bambini e (troppe) medicine - Seconda edizione
Bambini e (troppe) medicine - Seconda edizione
Franco De Luca
Difendersi dall’eccessiva medicalizzazione dei nostri figli.Come evitare di somministrare troppe medicine ai bambini e migliorare il loro stato di salute con semplici rimedi naturali. Da diverso tempo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) raccomanda, per ciò che concerne la gestione della salute in famiglia, di passare da un approccio prescrittivo a una scelta partecipata.Bambini e (troppe) medicine di Franco De Luca è un libro pensato per aiutare i genitori ad acquisire fiducia nelle proprie capacità di accudire il bambino e valutare il suo stato di salute, evitando di delegare al pediatra tutte le decisioni, anche le più semplici.Il testo è completato da semplici ricette di preparati casalinghi che possono evitare di fare ricorso, nelle piccole patologie dell’infanzia, a farmaci i cui effetti collaterali superano spesso quelli terapeutici. L’ebook di questo libro è certificato dalla Fondazione Libri Italiani Accessibili (LIA) come accessibili da parte di persone cieche e ipovedenti. Conosci l’autore Franco De Luca ha svolto l’attività di Pediatra di Comunità dal 1978 presso il consultorio familiare di Campagnano di Roma, dove, dal 2012 al 2016, è stato Direttore dell’Unità Operativa Complessa “Tutela Salute della Donna e Medicina Preventiva in età evolutiva”.Attualmente in pensione, affianca alla libera professione l’impegno nella promozione, protezione e sostegno dell’allattamento al seno, come formatore e tutor valutatore per l’UNICEF delle iniziative Comunità e ospedali Amici dei bambini. Dal 2003 è presidente del Centro Nascita Montessori.