capitolo ii

L'allattamento

Partire con il piede giusto: l’allattamento al seno

Ancora oggi molte persone sono convinte che allattare al seno sia una pratica poco diffusa, alternativa e di pari dignità, sul piano nutrizionale, rispetto all’alimentazione con il biberon e il latte di formula. Questo dimostra quanto sia stata potente e penetrante l’azione di propaganda che le società multinazionali produttrici di alimenti per l’infanzia sono riuscite a svolgere, per orientare milioni di donne in tutto il mondo verso il latte artificiale, derivato dal latte di mucca, per alimentare i piccoli della specie umana.


Testimonial inconsci, ma molte volte anche consci, di questa grande campagna pubblicitaria, iniziata alla fine degli anni ’50 nei paesi industrializzati, sono stati purtroppo molti operatori sanitari medici, e tra questi specialmente pediatri e ginecologi.


Allattare al seno non è una competenza innata; per migliaia di anni le donne si sono tramandate di generazione in generazione le conoscenze giuste e le tecniche migliori per favorire la produzione del latte sin dai primi minuti di vita del bambino e assicurare ai bimbi un’alimentazione a base di esclusivo latte materno per almeno sei mesi e dopo, insieme ai primi cibi solidi, fino all’anno e oltre fino a quando il bambino si staccava spontaneamente o la madre per varie ragioni decideva di interrompere.


Il miglioramento delle tecniche di assistenza al parto e al puerperio hanno avuto il merito di abbattere la mortalità materno-infantile, tuttavia tutta una serie di procedure – totalmente giustificabili nei confronti di condizioni patologiche – sono state a poco a poco applicate anche al parto fisiologico e alla gestione del neonato sano. Questo ha portato come conseguenze nefaste un aumento del tutto ingiustificato dei parti cesarei e una riduzione progressiva della pratica dell’allattamento al seno1. Si prescrivono con leggerezza farmaci spesso inutili e dagli effetti collaterali poco conosciuti, o ancora vengono finanziati dal Sistema Sanitario Nazionale programmi di discutibile efficacia sulla salute della collettività, mentre sostenere e promuovere l’allattamento al seno sembra essere considerato – da molti operatori sanitari, e spesso anche da chi programma gli interventi sanitari a livello politico – un intervento di scarso interesse e su cui vale poco investire in termini d’impegno personale e di risorse economiche.


Si legga con attenzione la tabella 1, con i vantaggi in termini di promozione della salute per i bambini e per le donne che allattano, nonché il profitto in termini di risparmio economico per la collettività. È difficile evitare il forte sospetto che siano gli interessi commerciali, che antepongono l’utile economico alla salute collettiva, a orientare gli investimenti di enormi capitali per contrastare la pratica dell’allattamento a favore del latte in polvere.


Per contrastare questa tendenza l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’UNICEF hanno lanciato il progetto Ospedale amico del Bambino e Comunità amica del Bambino2 con l’obiettivo di assegnare un riconoscimento di qualità a quegli ospedali che applicano le buone pratiche, riassunte nei “10 Passi” per promuovere e sostenere l’allattamento al seno.


Oggi (Aprile 2016) in Italia ci sono 25 Ospedali Amici dei Bambini (BFHI) e 6 Comunità Amiche (BFCI); alcuni sono in fase di rivalutazione e molti in fase di prima valutazione. Sul sito dell’UNICEF sono indicati tutti gli Ospedali e le Comunità con indirizzi e numero di telefono. L’elenco viene aggiornato in tempo reale. Tutte le mamme, salvo rarissime eccezioni quantificabili in meno dello 0,1%, possono allattare, se vengono create le giuste condizioni ambientali, se vengono offerte informazioni corrette e se sostenute in maniera adeguata3. Ogni allattamento non riuscito è responsabilità della inadeguatezza dei servizi sanitari e/o dei singoli operatori a sostenere questa pratica, e non delle donne a meno che la mamma stessa non abbia espresso un decisa volontà di non allattare.

Vantaggi derivanti dall’allattamento al seno per la madre, il bambino e la società
  • Per la mamma
    - Diminuita incidenza di emorragia post-partum.
    - Recupero fisico più veloce dopo il parto.
    - Effetto anticoncezionale (con allattamento esclusivo, efficacia del 98-99% fino al 6° mese in assenza di mestruazioni).
    - Protezione per il carcinoma del seno pre-menopausale e per il carcinoma dell’ovaio.
    - Protezione dall’osteoporosi e dalla frattura del collo del femore

  • Per il bambino
    - Protezione dalla diarrea, dalle infezioni acute delle basse vie respiratorie (polmoniti) e da altre infezioni (sepsi neonatale, infezioni urinarie).
    - Migliore stato nutrizionale (riduzione della malnutrizione e del deficit di vitamina A nei paesi poveri).
    - Protezione dalle allergie.
    - Migliore sviluppo psicologico e intellettivo.
    - Migliore acuità visiva (in prematuri e a termine).
    - Minori problemi dentari (carie da biberon, malocclusione).
    - Minore rischio di “Sindrome di morte improvvisa del lattante” (SIDS).
    - Miglior salute a lungo termine (alcuni esempi: prevenzione di diabete insulino dipendente, sclerosi a placche, linfomi e altri tumori, morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa, obesità e ipertensione arteriosa)

  • Per la famiglia e la società
    - Risparmio economico per la famiglia (in media 200 Euro al mese).
    - Diminuzione dei costi per il Sistema Sanitario Nazionale.
    - Meno mucche, allevamenti, pesticidi, diserbanti.
    - Minor spreco di carta, metalli, plastica.
    - Meno spazzatura.
    - Minor consumo di energia.

L’OMS/UNICEF raccomandano che, per tutti i bambini nati a termine, di peso adeguato e in buone condizioni di salute, ogni punto nascita attui il rooming in, che letteralmente significa stare nella stessa stanza. Il neonato dovrebbe stare 24 ore su 24 nella stanza della mamma così che questa possa allattare a richiesta del bambino stesso, assistita da personale sanitario competente e capace di offrirle informazioni corrette e sostegno empatico. Tali competenze possono essere acquisite soltanto frequentando corsi specifici teorico/pratici di almeno venti ore, svolti da docenti qualificati e nel rispetto delle indicazioni fornite dall’OMS/UNICEF.


Tale programma prevede nozioni di anatomia della mammella e di fisiologia della lattazione, tecniche di corretto posizionamento e attacco del bambino, tecniche di spremitura del seno, nonché l’acquisizione di competenze per affrontare patologie della mammella in corso di allattamento e per sostenere in maniera attiva ed empatica la donna che allatta.


In un sistema sanitario volto alla prevenzione, sarebbe auspicabile che questo tipo di formazione fosse incluso nei programmi dei corsi di specializzazione in Pediatria e Ginecologia, nonché nei corsi di laurea in scienze infermieristiche e ostetriche e costituisca materia d’esame.


Bisogna riconoscere che molti Collegi provinciali delle Ostetriche hanno, più di altre categorie professionali, manifestato sensibilità a questo problema promuovendo la frequenza di Corsi OMS/UNICEF alle loro iscritte.


Molti pediatri, ginecologi e laureati in Scienze Infermieristiche escono dai rispettivi corsi di studi con conoscenze molto generiche sull’allattamento al seno e con nessuna competenza a prendersi cura di una madre in difficoltà. Io stesso ho frequentato il corso UNICEF solo molti anni dopo aver incominciato a svolgere la mia attività di pediatra consultoriale, e ho deciso di seguirlo più per curiosità che per altro, convinto com’ero di essere già competente in materia. Ho scoperto invece, fin dalla compilazione del test d’ingresso, di avere notevoli difficoltà e man mano che il corso procedeva mi sono reso conto di quanto fossi poco preparato sul piano pratico, di quanti luoghi comuni fossi vittima, di quante conoscenze fossi privo e di quanto fossi maldestro nel sostegno psicologico.


Di fatto dopo molti anni di professione mi resi conto che i miei piccoli pazienti allattati al seno lo erano stati solo per la volontà e le capacità delle loro mamme e non certo per il mio aiuto.


L’Indagine conoscitiva sul percorso nascita svolta nel 2002 da Michele Grandolfo, Serena Donati e Angela Giusti dell’Istituto Superiore di Sanità, basata su interviste a circa 8.000 donne di 15 Regioni e Province Autonome italiane, ad un anno dal parto, su temi riguardanti gravidanza, parto e allattamento, ha evidenziato un forte desiderio nella stragrande maggioranza delle intervistate di allattare al seno. Tra queste la percentuale delle donne che era riuscita a praticare un allattamento completo fino al 4° mese andava da un minimo del 18% a un massimo del 56% nelle diverse realtà. Ciò significa che nel migliore dei casi circa il 40% delle donne non aveva ricevuto un sostegno adeguato per realizzare un legittimo desiderio che riguardava la salute sua e di suo figlio. Nel Rapporto ISTISAN 12/39 “Il percorso nascita: promozione e valutazione della qualità dei modelli operativi. Le indagini del 2008-2009 e del 2010-2011”, a cura del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute dell’Istituto Superiore di Sanità, viene confermato un significativo aumento dell’allattamento al seno e parimenti una riduzione dei tagli cesari nelle donne che hanno frequentato i Corsi di Accompagnamento alla Nascita (CAN).

Cosa fare

Per una futura mamma che desidera allattare è consigliabile:

  1. Frequentare un corso di accompagnamento alla nascita4. L’indagine sopra citata ha dimostrato che la frequenza di uno di questi corsi è un fattore che non solo favorisce il successo dell’allattamento al seno ma riduce anche il rischio di subire un taglio cesareo, per la vecchia nota ragione che l’ignoranza ci rende sempre deboli. È anche l’occasione per intraprendere un percorso tra pari che potrà proseguire dopo il parto, percorso che agevolerà il superamento di tante piccole difficoltà e ansie grazie all’aiuto di persone che condividono analoghe situazioni.
  2. Contattare le volontarie della La Leche League più vicina e frequentare gli incontri mensili di questa associazione. Nata negli USA negli anni ’50 da un gruppo di donne di origine sud americana che desiderava allattare al seno e non trovava nella classe medica un sostegno efficace, La Leche League è oggi un’associazione diffusa in tutto il mondo. È formata da donne che hanno allattato e che, dopo un tirocinio formativo, diventano consulenti.
    Ciascuna volontaria organizza incontri mensili tra mamme (anche che non allattano) e future mamme dove si affrontano temi riguardanti l’allevamento del bambino. Le volontarie forniscono anche consulenze telefoniche gratuite sull’allattamento. Esistono in molte località italiane anche piccoli gruppi indipendenti strutturati sullo stesso modello ed altrettanto efficaci.
  3. Informarsi presso il Consultorio familiare della propria ASL se nel territorio esistono Ospedali Amici dei Bambini o Ospedali che hanno iniziato il percorso per ottenere questa certificazione di qualità, oppure anche ospedali dove viene praticato il rooming in e sono presenti operatori che hanno frequentato un corso OMS/UNICEF sull’allattamento al seno. Si dia a questo tipo di strutture la preferenza per partorire.

Dopo il parto ci si può rivolgere:

  • ALL’OSPEDALE, se prevede un servizio di consulenza sull’allattamento al seno;

  • ALLE CONSULENTI DELLA LA LECHE LEAGUE presenti in molte città italiane o presso altri gruppi di aiuto tra mamme5;

  • AL CONSULTORIO FAMILIARE di zona se il personale, specialmente l’ostetrica, ha frequentato un corso OMS/UNICEF;

  • AL PROPRIO PEDIATRA, cercando sempre una seconda opinione, se alla prima difficoltà verrà proposta l’introduzione del latte in polvere con il biberon;

  • AD UN IBCLC6, nuova figura di professionista della salute specializzato nella gestione dell’allattamento al seno. Gli IBCLC ottengono questo titolo, riconosciuto in molti paesi del mondo, dopo aver sostenuto un esame molto impegnativo che valuta competenze teoriche e pratiche. Questi esperti, attraverso una consulenza domiciliare a pagamento, sono in grado di risolvere anche problemi assai complessi.

Io stesso, formatore nei corsi OMS/UNICEF per l’allattamento al seno, e con una lunga esperienza di promozione e sostegno alle mamme, prima di prescrivere latte di formula a una mamma che desidera allattare ma che presenta gravi difficoltà, suggerisco un consulto con una IBCLC, proprio come faccio quando invio un mio paziente da un otorinolaringoiatra o da un oculista. Così facendo non mi sento certo sminuito nel mio ruolo di medico e di pediatra.

Lo svezzamento

Nonostante le numerose prove scientifiche e le conseguenti raccomandazioni ufficiali OMS/UNICEF di introdurre cibi diversi dal latte solo dopo il 6° mese compiuto, molti pediatri ancora oggi consigliano di svezzare i bambini dal 4° mese di vita o anche prima, come dimostra la già citata indagine condotta dall’Istituto Superiore di Sanità.


Svezzare dopo il 6° mese non è un capriccio naturista, ma il risultato di studi sulla fisiologia dell’apparato digerente del neonato: fino ai 6 mesi infatti l’intestino del lattante non è capace di demolire completamente le proteine diverse da quelle contenute nel latte materno e pertanto diventa molto alto il rischio di sensibilizzare il suo sistema immunitario contro queste stesse proteine. Di conseguenza lo svezzamento precoce contribuisce sensibilmente ad aumentare l’incidenza delle malattie allergiche, oggi sempre più frequenti.

Le industrie che producono alimenti per l’infanzia esercitano una forte pressione affinché lo svezzamento inizi con alimenti semisolidi o semiliquidi prodotti industrialmente (disidratati, liofilizzati e omogeneizzati). Ciò significa introdurre cibi diversi dal latte materno in bambini che, per ragioni fisiche e neuromuscolari legate all’età, non sono ancora in grado di masticare.

Esiste un Codice Internazionale sulla Commercializzazione degli alimenti per l’infanzia firmato da molti governi – compresa l’Italia – e dalle più importanti aziende che producono alimenti per l’infanzia, il quale fissa regole severe sulla pubblicità di questi prodotti; tali regole vengono però sistematicamente violate, forse perché l’entità delle multe applicate è ridicola rispetto ai profitti ottenuti7. Per comprendere meglio la dinamica dello svezzamento dobbiamo riflettere sul fatto che il bambino allattato al seno è preparato ad assaggiare e gustare i nuovi cibi perché già ne conosce il sapore. Infatti tutti gli alimenti che la madre ha mangiato durante la gravidanza hanno trasmesso il loro sapore al liquido amniotico e quelli assunti in corsi di allattamento conferiscono al latte il loro specifico gusto8. Per questo sono inutili le lunghe liste di cibi vietati, imposte alle madri che allattano alla dimissione dal punto nascita, liste elaborate senza alcun fondamento scientifico dall’estro di operatori sanitari poco prudenti, spesso assai tempestivi nel consigliare latte artificiale con proteine di mucca o, peggio ancora, di soia alla prima difficoltà nell’allattamento, mentre si accaniscono nel negare alle madri che allattano cipolla, aglio e broccoletti perché “danno sapore al latte”!

Così come il latte della mucca che pascola in un prato alpino avrà il gusto delle erbe profumate di cui il vitellino si nutrirà, ugualmente il latte di mamma dovrà avere sapore e profumare di quello che il bambino imparerà a mangiare durante e dopo lo svezzamento.


Genitori e nonni si accorgeranno, proprio intorno ai 6 mesi, che il bambino comincia a osservare con curiosità e desiderio quello che i grandi stanno mangiando. Quell’interesse e quel desiderio saranno gli indicatori che permettono di capire che il bambino è pronto ad accogliere alimenti diversi dal latte materno. Una buona abitudine italiana, specialmente di nonni e papà, è quella di intingere il pane nel sugo e di farlo assaggiare al piccolo: è la maniera più semplice e gustosa per iniziare questo viaggio verso l’autonomia alimentare. Come ben indicato nell’opuscolo edito dalla Regione Lazio dal titolo Mangio bene con voi, i 3 segnali per capire se il bambino è pronto per gli alimenti solidi sono:

  1. Stare in posizione seduta e tenere dritta la testa, coordinare gli occhi le mani e la bocca per guardare il cibo.

  2. Afferrare il cibo e portarlo alla bocca da solo.

  3. Deglutire gli alimenti. I bambini che non sono pronti sputeranno il cibo e ci sarà più pappa sul viso che in bocca.

Il divezzamento si svolgerà in modo variato secondo la cultura di appartenenza9 e può essere anche per i genitori l’occasione per recuperare abitudini alimentari proprie delle tradizioni familiari e regionali. In Italia e nei Paesi del Mediterraneo è tradizione iniziare con una pappa salata a base di brodo vegetale.


Ho smesso da tempo di scrivere, come fosse una prescrizione medica, la ricetta del brodo vegetale secondo lo schema che mi hanno insegnato molti anni fa alla scuola di specializzazione. Preferisco parlare con i genitori delle loro abitudini alimentari, dei cibi preferiti, di chi è più bravo a cucinare, sottolineando l’aspetto edonistico del mangiare. Insegnare a una mamma o ad un papà come cucinare significa svalutare le loro capacità di genitori responsabili, medicalizzare comportamenti che riguardano l’allevamento del bambino, offrire un modello di dipendenza dal pediatra su temi che i genitori devono saper gestire da soli. L’attenzione più importante delle famiglie va indirizzata sul chiedersi se le abitudini alimentari della famiglia siano sane. La competenza nelle scelte alimentari oggi non è per nulla scontata: pubblicità e impegni di vita hanno generato modelli alimentari tutt’altro che sani e manca la formazione e l’informazione che permettono scelte corrette e utili dal punto di vista della salute. Le abitudini alimentari della famiglia, buone o cattive che siano, saranno quelle che il bambino si porterà dietro per tutta la vita, e saranno determinanti per la sua salute futura.

Cosa fare

  • ASSAGGIARE SEMPRE QUELLO CHE SI DÀ AL BAMBINO perché prima di tutto deve essere gradevole anche per l’adulto.

  • UTILIZZARE L’APPETITO DEL BAMBINO COME IL MIGLIOR INDICATORE delle quantità da offrire.

  • NON INSISTERE SE IL BAMBINO NON GRADISCE UN CIBO: nessun alimento è indispensabile e insostituibile! Salvo riprovarci dopo qualche tempo.

  • INTRODURRE LATTE, PESCE E UOVA CON GRADUALITÀ per evidenziare facilmente eventuali allergie e intolleranze alimentari: starnuti all’assunzione di un alimento nuovo, irritazioni cutanee intorno alla bocca e sulla pelle, sono piccole indicazioni che devono suggerire prudenza;

  • USARE COME GRASSO ALIMENTARE SOLTANTO OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA.

  • FAR SEDERE IL BAMBINO A TAVOLA CON I GENITORI e prima possibile metterlo nelle condizioni di mangiare da solo.

  • USARE SEMPRE CIBI FRESCHI poiché:

    1. la biodisponibilità dei nutrienti è massima;

    2. è probabile che contengano minor quantità di additivi chimici dannosi (conservanti, antibiotici, zuccheri aggiunti, ecc);

    3. abituano il bambino ai sapori e alla consistenza del cibo;

    4. abituano il bambino a un rapporto attivo con il cibo (importanza del masticare e non “ingurgitare”);

  • CI VUOLE TEMPO; non forzare, la maggior parte dei bambini sa quando è sazio; provare ad andare al ritmo del bambino e smettere quando mostra di non volerne più.

Per tutte queste ragioni preferisco al termine “Autosvezzamento” quello di “Svezzamento guidato dal bambino”, che è più coerente e conseguente all’allattamento a richiesta.

Cibi sani per bambini sani

Offrire al bambino, sin dallo svezzamento, cibi preparati in casa significa rafforzare nei genitori la fiducia nelle proprie capacità, sfatando il pregiudizio secondo cui ciò che è preparato industrialmente è più sano e più sicuro. Iniziare lo svezzamento con liofilizzati, omogeneizzati, farine precotte significa delegare ad altri il controllo su quello che il bambino mangia. Se si comincia in questo modo sarà facile che in età successive, altrettanto passivamente e con estrema disinvoltura, vengano proposte ai bambini merendine molto caloriche e di scarso valore nutritivo, troppo ricche di zuccheri semplici e di grassi dannosi, fino poi ad arrivare al fast food, un modo di mangiare che ha perso ogni vitalità, riempie lo stomaco senza nutrire, soddisfa forse il palato, ma certo non le esigenze di un organismo in accrescimento. Va sottolineato che tutto quello che viene prodotto industrialmente necessita di additivi chimici per la conservazione: tutte le mamme sanno che nello spazio di 3 giorni qualunque cibo cambia la sua consistenza, il suo odore e la sua gradevolezza al palato. Come è possibile che un alimento industriale si mantenga inalterato nel tempo?


Importante è anche sottolineare la monotonia del gusto dell’alimento industriale per bambini e l’eccesso di zuccheri utilizzati sia come conservanti, sia per facilitare l’appetenza del piccolo.


Negli ultimi 10-20 anni si è assistito a un allarmante aumento dell’obesità, della sindrome metabolica10 e del diabete di tipo 2 (quello alimentare) nell’infanzia e nell’adolescenza, patologie causate dal cambiamento dello stile di vita alimentare e motorio dei bambini negli ultimi 30 anni.

Se vogliamo analizzare le concause di queste patologie dobbiamo cominciare col dire che il latte materno ha un contenuto proteico piuttosto basso, inferiore a quello del latte artificiale e ancor più di quello di mucca. L’allattamento artificiale ha come primo inconveniente quello di sottoporre il bambino a una precoce quanto antifisiologica dieta iperproteica. In genere l’allattamento artificiale viene seguito da un precoce svezzamento con frequente uso di omogeneizzati e altri alimenti industriali, troppo ricchi di zuccheri e privi di energia vitale a causa delle manipolazioni eccessive a cui sono sottoposti. Se si continua su questa strada al bambino verranno date merendine e bevande dolci, che abbondano ancora una volta in zuccheri e acidi grassi trans. Gli stessi bambini che si nutrono (si fa per dire) in questo modo hanno smesso di giocare all’aperto con i coetanei e trascorrono troppe ore seduti davanti a un computer, al televisore o a giochi elettronici.


Si comprende allora come sia facile riscontrare anche nell’infanzia un iniziale aumento dei grassi circolanti nel sangue, a cui segue l’aumento di glicogeno nel fegato e di glucosio nel circolo sanguigno. Un’alimentazione con un eccesso di zuccheri, cioè ad alto indice glicemico provoca una rapida salita della glicemia con successivo aumento dell’insulina dopo il pasto, per permettere allo zucchero di essere assorbito dalle cellule. Se questo meccanismo si ripete troppo spesso nel tempo è facile che il pancreas, troppo sollecitato a produrre insulina, a poco a poco sarà sempre meno capace di produrne a sufficienza fino ad arrivare all’esaurimento e quindi al diabete di tipo 2.


In teoria tutti i governi dei paesi industrializzati sono impegnati in programmi per combattere l’obesità e le sue conseguenze. In Inghilterra sono stati sostituiti i distributori automatici di merendine e bibite con distributori di frutta fresca e all’interno delle scuole si svolgono campagne di educazione all’alimentazione sana. Non così in altri Paesi come l’Italia, dove si parla molto dell’argomento, sono state anche prese diverse iniziative a livello di Stato e di Regioni, ma l’accento è sempre messo più sulla riduzione dell’introito calorico che sulla qualità dei cibi assunti.


Spesso si tenta di contenere l’obesità infantile con diete ipocaloriche che, se discutibili nell’adulto, sono sicuramente fallimentari in epoca evolutiva. In questa fase della vita è infatti indispensabile che il bambino non abbia carenza di nutrienti utili al suo sviluppo. Quello che conta non è solo ridurre l’apporto calorico, ma soprattutto tener conto del rapporto qualità/quantità del cibo, perché questo rapporto è il vero responsabile della patologia.

Cosa fare

  • UNA COLAZIONE ABBONDANTE con alimenti freschi, pane di forno11, eventualmente tostato, con burro e marmellata (meglio se fatta in casa) o pane olio e pomodoro, pane olio e sale, pane e prosciutto crudo, latte, yogurt o formaggio, spremuta di arance fresche, crostate o ciambelloni preparati in casa con olio d’oliva o burro, che oltre al vantaggio di contenere meno zucchero rispetto ai prodotti industriali, sono privi di conservanti chimici e di grassi più o meno trans12 immancabilmente presenti nei prodotti preconfezionati.

  • VARIARE SPESSO GLI ALIMENTI, SUDDIVIDENDO I PASTI NELL’ARCO DELLA GIORNATA: piccola merenda a scuola, pranzo, cena, utilizzando sempre cibi freschi preparati in casa. La suddivisione dei pasti evita che il bambino spilucchi di continuo durante la giornata, abitudine che prelude all’obesità e indica la presenza di uno squilibrio della glicemia da affrontare con temperstività13.

  • EVITARE TUTTA LA GAMMA DEL FAST FOOD, vale a dire le bibite gassate, le patatine, le merendine ecc.

Con queste semplici regole si potranno evitare grossi danni alla salute e i vostri bambini, affinando il loro gusto, saranno sempre meno attratti da cibi artificiali, assai costosi, prodotti in serie, dannosi per la salute e dal monotono sapore troppo dolce o troppo salato.

Bambini e (troppe) medicine - Seconda edizione
Bambini e (troppe) medicine - Seconda edizione
Franco De Luca
Difendersi dall’eccessiva medicalizzazione dei nostri figli.Come evitare di somministrare troppe medicine ai bambini e migliorare il loro stato di salute con semplici rimedi naturali. Da diverso tempo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) raccomanda, per ciò che concerne la gestione della salute in famiglia, di passare da un approccio prescrittivo a una scelta partecipata.Bambini e (troppe) medicine di Franco De Luca è un libro pensato per aiutare i genitori ad acquisire fiducia nelle proprie capacità di accudire il bambino e valutare il suo stato di salute, evitando di delegare al pediatra tutte le decisioni, anche le più semplici.Il testo è completato da semplici ricette di preparati casalinghi che possono evitare di fare ricorso, nelle piccole patologie dell’infanzia, a farmaci i cui effetti collaterali superano spesso quelli terapeutici. L’ebook di questo libro è certificato dalla Fondazione Libri Italiani Accessibili (LIA) come accessibili da parte di persone cieche e ipovedenti. Conosci l’autore Franco De Luca ha svolto l’attività di Pediatra di Comunità dal 1978 presso il consultorio familiare di Campagnano di Roma, dove, dal 2012 al 2016, è stato Direttore dell’Unità Operativa Complessa “Tutela Salute della Donna e Medicina Preventiva in età evolutiva”.Attualmente in pensione, affianca alla libera professione l’impegno nella promozione, protezione e sostegno dell’allattamento al seno, come formatore e tutor valutatore per l’UNICEF delle iniziative Comunità e ospedali Amici dei bambini. Dal 2003 è presidente del Centro Nascita Montessori.