Grazia Honegger Fresco nel suo già citato “Senza parole” riassume in 5 punti gli indicatori per valutare positivamente un nido:
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Se la presenza dei genitori all’interno del Nido è richiesta almeno per dieci giorni e se all’occorrenza può essere prolungata.
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Se il bambino è affidato stabilmente a una educatrice (la mattina troverà sempre la stessa o cambierà ogni giorno?).
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Quali saranno le modalità relative ai pasti e al sonnellino, e come sono arredate le zone del nido a essi destinate.
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Se i genitori potranno conoscere in anticipo l’educatrice che si occuperà del loro bambino per poterle raccontare in anticipo preferenze e abitudini del figlio.
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Se anche i più piccoli quando è bel tempo vengono portati in giardino.
Personalmente aggiungo un sesto punto ai cinque di Grazia: molti nidi comunali, ma anche privati o aziendali, (tra questi quelli gestiti dal Centro Nascita Montessori) hanno iniziato ad accettare, e meglio ancora a promuovere, l’utilizzo del latte materno spremuto per i bambini ancora allattati al seno.
Vengono fissate delle procedure chiare sulla raccolta e la conservazione del latte per proteggere la salute dei piccoli.
La presenza su un dato territorio, corrispondente a una Asl o a un Distretto Socio-Sanitario, di nidi che in tale maniera promuovono l’allattamento al seno è considerata un elemento fondamentale nella valutazione positiva per l’attribuzione del riconoscimento di Comunità Amica dei Bambini da parte dell’UNICEF.
Sarebbe assai utile che le educatrici dei nidi avessero un’informazione adeguata e competente (come avviene nei corsi base e avanzati per tali operatrici del Centro Nascita Montessori) sulla promozione, il sostegno e la protezione dell’allattamento al seno.
Sarei felice di non sentire più le mamme lamentarsi che l’educatrice del nido ha espresso opinioni come questa:
Ma come? a 18 mesi ancora l’allatta al seno! Ma lo sa che ormai il suo latte non ha più sostanza e rende il bambino troppo dipendente?
Se molti dei punti precedenti mancano, credo sia meglio evitare l’ingresso del bambino nel nido – specialmente nei primi mesi – e incoraggio le mamme a utilizzare al massimo i congedi di maternità e tutto ciò che la legge offre per ritardarne l’ingresso; almeno dopo la svezzamento (quindi non prima del 7° mese) per evitare al bambino la duplice separazione dal seno materno e dai rassicuranti riferimenti sensoriali del proprio ambiente domestico.
Esiste una certa connessione tra il sistema immunitario e le condizioni psicologiche ed emotive di una persona; e ancora di più nei bambini, che tanto più sono piccoli tanto più esprimeranno con il corpo il loro disagio, non essendo in grado di farlo con le parole.
Il bambino che frequenta il nido e si ammala spesso ci sta dicendo che qualcosa non va: l’ambientamento non procede bene, la relazione con gli adulti o con gli altri bambini presenta delle criticità, il cibo non è adeguato (troppi dolci o caramelle come pacificatori) oppure il bambino non regge i ritmi imposti dagli adulti. In questi casi cerco di trovare con i genitori le possibili cause arrivando se possibile per rimuoverle; certo non è somministrando di continuo antibiotici o cortisonici che risolveremo il problema.
Spesso il bambino sta solo chiedendo un po’ di riposo e un calo di ritmi per lui troppo accelerati. Una buona convalescenza dopo una malattia febbrile è molto più efficace di una medicina che abbrevia apparentemente i tempi di guarigione ma che non impedirà inevitabile ricadute.
Consiglio sempre ai genitori dei miei pazienti e non solo di quelli che frequentano il nido di non essere precipitosi, a guarigione clinica avvenuta, di rimandare i figli a scuola. Nel periodo della febbre conviene starsene a letto, a completo riposo per i più piccoli, disegnando, leggendo o facendosi leggere libri per i più grandi.