Fiabe, gioco, videogiochi
Sviluppare l’intelligenza emotiva è fondamentale, ma come promuoverla? È possibile aiutare il bambino nella sua crescita emotiva raccontandogli fiabe o giocando insieme a lui, o ancora raccontando vissuti personali.
La fiaba, ovvero la narrazione, è uno strumento basilare di crescita emotiva, perché coinvolge la dimensione affettiva ed emotiva.
In quasi tutte le fiabe c’è uno schema che si ripete con aspetti spaventosi che servono al bambino ad esorcizzare le sue paure, se però modulate dalla voce dell’adulto e dal genitore in particolare.
Questo filtro costituisce una delle maggiori differenze rispetto allo schermo televisivo o digitale, di fronte al quale il piccolo è solo, senza protezione né strumenti per affrontare i mostri proposti e interpretarne il valore simbolico.
Attraverso la fiaba è possibile spiegare tematiche dolorose come la morte o il distacco. Essa propone problemi umani universali che preoccupano la mente del piccolo, rispondono ai perché e, attraverso associazioni, possono far comprendere temi astratti.
La fiaba è una via d’accesso che il bambino può percorrere per affrontare le sue paure e per comprendere che esiste anche il dolore, ma è possibile superarlo; che esistono mondi diversi dai quali ricavare tante opportunità.
Egli può scoprire la sua aggressività e imparare a dosarla; capire che esistono eventi tristi che fanno parte della vita, della condizione umana, ma che c’è sempre un percorso da fare e una dimensione nuova da scoprire.
Il cerbiatto Bambi perde la sua mamma, ma grazie al Grande Cerbiatto trova un’altra famiglia e la possibilità di crescere ed essere amato.
In molte fiabe si ritrova il tema della perdita dei genitori con conseguente sofferenza da parte del protagonista, ma alla fine c’è sempre il riscatto.
Il bambino comprende che di fronte alle difficoltà è necessario attivare tutte le risorse interne per farcela o fronteggiarle e uscirne più forte (resilienza).
La fiaba lo conduce a scoprire un mondo interiore, ad entrarvi in contatto, ad individuarne e definirne i contenuti.
Come la fiaba, un altro strumento importante è il gioco del “far finta di”, che permette di interpretare ruoli che saranno poi importanti nella realtà.
Il racconto di una fiaba o il gioco del “far finta di” sono caratterizzati da formati narrativi e copioni che consentono la modulazione della voce di chi narra, la spiegazione degli eventi, e dei sentimenti dei personaggi.
Il bambino, dunque, attraverso il mondo del fantastico, guidato per mano dall’adulto, principalmente dal genitore che lo consola con uno sguardo o con una carezza, un abbraccio o tenendogli la mano, entra in contatto col suo mondo interiore e riconosce l’esistenza di emozioni negative quali la rabbia, la tristezza, la paura.
Il gioco inoltre permette al bambino di esprimere le sue fantasie e i suoi desideri, di esorcizzare le paure, di dominare gli istinti.
Con i nuovi giochi digitali, soprattutto quelli sparatutto o comunque violenti, l’aggressività e le forze istintuali rimangono su un piano virtuale, inespresse, non manifestate sul piano fisico, pertanto accumulate e sedimentate dentro, senza che trovino una via d’uscita, salvo poi esplodere all’improvviso in maniera incontrollata.
A differenza di quanto accade nelle fiabe o nel gioco del “far finta di”, nelle situazioni ludiche online le difficoltà – che non si riferiscono a situazioni di vita reale – vengono risolte combattendo, annientando il nemico senza altre possibilità di soluzione. L’idea della morte, quasi sempre presente nelle fiabe, viene alleggerita del suo significato, perde la sua connotazione di prova di vita e di crescita, per diventare un semplice elemento di gioco – quasi una condizione auspicata – caricata di aggressività fine a se stessa. Ciò sviluppa un culto della morte avulso dalla realtà, particolarmente preoccupante nell’adolescenza.
La morte, considerata in genere un tabù, qualcosa di cui non parlare ai bambini per proteggerli, è stata scremata della sua connotazione di dolore fino a diventare qualcosa di insignificante. Sotto questo aspetto morire, uccidere, sopravvivere e vivere si equivalgono.
Da un punto di vista psicologico la morte dell’altro non è un fatto che genera dolore, sofferenza e che richiede elaborazione, bensì eccita, esalta, fa raggiungere punti e fa vincere. Nei videogiochi la morte fa punteggio, prestigio, vittoria. E questo è deleterio per un bambino che non ha ancora gli strumenti critici per interpretare correttamente certi eventi. Il messaggio è che vita e morte hanno lo stesso significato e vengono sminuiti nel loro rispettivo valore. La morte, inoltre, diventa una condizione provocata da altri per istinto, aggressività e desiderio di vittoria.
Trasposta nella vita reale, tale visione può essere molto pericolosa per chi non è ancora in grado di distinguere il reale dal non-reale. Le situazioni ludiche sono poi improntate su una “sospensione delle conseguenze” – come afferma la neuroscienziata Susan Greenfield, autrice del libro Mind Change-cambiamento mentale, per cui ogni azione, diversamente dalla vita reale, non comporta ripercussioni. Se nelle situazioni ludiche online si uccide, si muore e si risorge, allora l’atto di uccidere o colpire non comporta conseguenze, diventando dunque legittimo e normale.
Esistono dei videogiochi per bambini che sembrano ricalcare gli elementi della fiaba (fate, principesse, libri magici) in grado di catturarli per poi trasportarli in mondi sinistri popolati da nemici, da esseri sadici e indemoniati. Cosa può insegnare un gioco siffatto a un bambino? Cosa può trasmettergli? Può concorrere a promuovere valori di generosità, solidarietà e sviluppare l’empatia?
Valori come il rispetto della diversità, la solidarietà, la generosità, la lealtà sono sostituiti da disvalori come l’individualismo, l’egoismo, l’avidità.
I nuovi eroi televisivi e/o digitali, di cui molti bambini sono ipernutriti fin dalla culla, sono personaggi scaltri, egoisti, violenti, cinici, spesso dotati di straordinari poteri magici o tecnologici.