Allattamento al seno a richiesta e a termine
Prima di diventare madre immaginavo come sarebbe stata la vita con il mio piccolo e non era esattamente come poi è stato. Ho avuto la fortuna di avere nove nipoti, di cui tre cresciuti praticamente in casa dei nonni (i miei genitori) a causa delle scelte e delle necessità lavorative dei genitori.
Già da ragazza, quindi, cambiavo pannolini, preparavo biberon per chi non allattava al seno, lavavo panni sporchi, cantavo ninne nanne, giocavo a più non posso con loro.
Quando ho scoperto di essere incinta, era questa l’immagine della madre che avevo, solo con qualche responsabilità in più; un concetto un po’ vago il cui vero significato mi sfuggiva. Certo, sapere cambiare un pannolino mi ha aiutata. Ma quello impariamo subito a farlo tutti.
È ovvio che le domande che mi ponevo erano tante e i dubbi sulle scelte che avrei fatto, altrettanti. Di una cosa, però, ero sicura: volevo allattare il mio bambino. Ma allattare, per me, significava dovergli offrire il seno quando avrebbe avuto fame, quindi ogni tre o quattro ore, come avveniva per le poppate con i biberon che preparavo ai miei nipoti. Come avevo visto fare a tutte le donne che avevo conosciuto e che praticavano l’allattamento. Oltretutto, sapevo che avrei dovuto interrompere l’allattamento a sei mesi, ovvero con l’inizio dello svezzamento, così come mi era stato suggerito da più parti.
Quando mio figlio è nato, alle ore 4:50 di un dolcissimo settembre, in clinica mi chiesero se preferivo tenerlo in camera o lasciarlo in nursery. Io, stremata, risposi che avrei voluto dormire un po’ e poi lo avrei preso con me. Ebbene sì, è andata esattamente così perché nessuno mi aveva avvisata dell’importanza del contatto con la madre fin dalla primissima vita extrauterina. Né io avevo avuto modo di informarmi al riguardo. Per tutta la gravidanza, avevo letto molto sullo sviluppo del mio bambino, mese per mese, rimandando la ricerca di informazioni su tutto ciò che sarebbe avvenuto dopo il parto.
Mea culpa? Forse avrei dovuto informarmi prima. È pur vero che né al corso preparto né intorno a me ho avuto qualcuno che mi mettesse al corrente di tutto ciò che riguarda l’allattamento: dai suoi benefici all’importanza di un attaccamento precoce del bambino a tanti altri vantaggi per mamma e bambino che elencherò. Il fatto che non sapessi nulla in questione di allattamento non mi ha certo aiutato. Come dicevo, mio figlio ha dormito un paio d’ore in nursery. Io, al contrario, complici l’adrenalina che avevo in corpo e il desiderio di rivederlo, non ho chiuso occhio. Alle 6:00 del mattino ho chiamato la nursery e ho chiesto che mi fosse portato il bambino in camera. Solo a quel punto mi hanno domandarono se volevo allattarlo, perché aveva fame e avrebbero, in alternativa, preparato un biberon di latte. Be’, pensai, se aveva fame potevate darglielo, mica gli fa male un biberon di latte! Solo dopo, ho capito di avere formulato un pensiero veramente inappropriato. Perché i bambini hanno bisogno subito di attaccarsi al seno della madre, anzi, è consigliabile offrire il seno il prima possibile per avviare facilmente l’allattamento e per gli effetti positivi che questo ha sia per la salute sia per il legame affettivo.
Quando una puericultrice portò mio figlio in camera, sistemò la navicella accanto a me e andò via. Io lo presi in braccio, lo avvicinai al seno e lui si attaccò velocemente. Fui fortunata. Ma, anche questo, lo scoprii dopo. Ho conosciuto decine di mamme che hanno abbandonato l’allattamento perché non sostenute e guidate nelle primissime fasi di avvio.
Solo successivamente un’ostetrica mi fece visita in camera, spiegandomi come avrei dovuto attaccare il mio bambino e, soprattutto, ogni quanto avrei dovuto farlo: ogni tre ore. Di più sì, ma non di meno. Questo, per “non disturbare la digestione del bambino e abituarlo a poppate extra, e per non compromettere la mia salute”, visto che mi avrebbe stancata troppo. E già, ha detto proprio così. Quindi: se io avevo visto donne praticare questo genere di “allattamento a orari stabiliti”, e se me ne dà conferma un’ostetrica, io, che non ho idea di cosa dovrò fare, mi fido, no? Ed è quello che ho fatto: ho seguito alla lettera le sue indicazioni.
Lasciata la clinica, io e il mio bambino abbiamo iniziato a conoscerci. Come suggerito, gli offrivo il seno ogni tre ore. Nell’intervallo tra queste, dopo circa un’ora e mezza dall’ultima poppata, lui cominciava a essere nervoso e a strillare. Io, ancora stanca e con i punti dell’episiotomia, mostravo già i primi segni di cedimento, chiedendomi se non fosse il caso di proporgli del latte in formula.
Solo dopo un episodio di mastite con febbre a 40°, avvenuto nelle prime fasi di avvio, all’incirca dopo una settimana dall’uscita dalla clinica, ho iniziato a informarmi sull’allattamento al seno e lì mi si è aperto un mondo. Questo, però, soltanto dopo avere ceduto alla tentazione di offrirgli dei biberon di latte in formula, sia perché credevo che il mio non gli bastasse, sia perché mi avevano suggerito di farlo, per riposarmi tra una poppata e l’altra.
Per fortuna sono riuscita ad ascoltare il mio istinto materno e la pratica non è durata a lungo. Ho capito che stavo sbagliando qualcosa in termini di attaccamento al seno (continuavo ad avere ingorghi) e nella somministrazione dell’aggiunta di latte artificiale. Così, mi sono rivolta a un’associazione che, nella mia città, si occupa di aiutare e guidare future mamme e neomadri.
Una dolcissima mamma alla pari mi ha aiutata a risolvere il problema dei numerosi ingorghi al seno e mi ha sostenuta psicologicamente per i primi mesi. È anche grazie a lei se ho potuto allattare ancora a lungo il mio bambino e se ho scoperto i numerosi benefici di un allattamento a richiesta.
Attorno a me, infatti, nessuno mi sapeva assistere: avevano tutte allattato artificialmente i loro bambini. Solo quella mamma alla pari mi aveva saputo aiutare dicendomi: “Attaccatelo al seno, lascia stare quello che ti ha detto l’ostetrica”. Presi così il mio piccolo e cominciai a offrirgli il seno ogni volta che lo vedevo nervoso, pronto a piangere. Ebbene, da quando ho consapevolmente avviato un tipo di allattamento a richiesta, mio figlio non ha più pianto. Ha deciso lui quando e quanto nutrirsi o consolarsi. E ha trovato sempre conforto nella sua amata “tatti” (è così che chiama il seno) senza che io glielo negassi.