CAPITOLO III

Eccessivo controllo

Uno di questi pomeriggi mia moglie rientra con uno dei nostri figli dopo una bella passeggiata nel parco. Scuotendo il capo, sbotta: “Non posso credere come certi genitori si rivolgano ai loro figli - con un’ostilità e un abbrutimento… Perché mai si sono presi il disturbo di farli, i figli?!”. Siccome anch’io ho avuto, più di una volta, la medesima reazione, ho deciso di prender nota di frasi ed episodi colti qua e là. Ecco qualche esempio raccolto di lì a qualche giorno:

− Un bimbo di circa due anni viene sgridato aspramente per aver lanciato l’orsetto di pezza ai giardinetti della biblioteca, per quanto non ci fosse nessuno nelle vicinanze;
− al supermercato un bambino chiede un biscotto alla mamma. Quando vede che un altro bimbo lo sta mangiando, glielo indica e si sente rispondere: “Beh, forse gliel’hanno dato perché fa pipì nel vasino, lui”;
− Un bimbo, tutto contento, scende dall’altalena con un’esclamazione di gioia. La madre lo rimbrotta: “Smetti subito di fare lo stupido! Basta altalena, e fallo ancora che finisci in castigo”;
− Durante la visita al museo dell’acqua potabile, una mamma cerca di evitare che il figlio combini pasticci fingendo che tutti i cartelli del museo vietino proprio quello che il piccolo vorrebbe fare - per esempio:
“Guarda, lì c’è scritto che non ci si può tuffare”. Quando il bimbo le chiede perché, lei risponde “Perché no”.

Ho subito desistito dal proseguire con le annotazioni. A parte il numero, gli episodi si assomigliavano tutti, e prenderne nota si è rivelato presto piuttosto ridondante, per non dire deprimente. Era un continuo assistere a genitori che, ai giardinetti, annunciano bruscamente che è ora di andare, a volte trascinando i figli per un braccio (e se piangevano, di solito era attribuito alla “stanchezza”). Altri che, alla stregua di sergenti che minacciano la truppa, urlano loro in faccia, brandendo il dito a un centimetro dai loro nasini. E quante volte abbiamo visto madri che, al ristorante, danno il tormento ai figli - correggendoli nei modi, rimproverandoli per come stanno seduti, commentando quello che mangiano, e quanto ne mangiano, trasformando infine la cena in un momento a cui sottrarsi il prima possibile (non c’è da stupirsi se tanti bambini non hanno fame a tavola, ma sentono appetito poco dopo).
Vi assicuro che ero assai più critico prima di avere figli. Fintanto che non ci si trova a spingere il proprio passeggino, non è possibile capire quanto esserini tanto piccoli siano capaci di mandarvi in crisi facendovi scappare la pazienza (né, ovviamente, provare i momenti di pura estasi che solo loro sanno regalare). Ecco cosa cerco sempre di tener presente ogni volta che l’atteggiamento di un altro genitore mi fa rabbrividire, oltre a rammentare di non conoscere la storia delle famiglie che mi capita di osservare per qualche minuto - che cosa possa aver passato quel genitore nel corso della mattinata o quello che può aver combinato il bambino prima che io comparissi.

Tuttavia, al di là delle possibili giustificazioni o dei giudizi in proposito, una cosa è certa: per ogni bambino lasciato libero di correre in un luogo pubblico, ad altri cento, invece, viene impedito senza motivo, o capita di subire le urla, le minacce e i soprusi dei genitori. Bambini le cui proteste vengono puntualmente ignorate, le cui domande automaticamente scartate.
Bambini abituati a ricevere, sempre e comunque, dei “no” per qualsiasi richiesta, e dei “perché no” se osano chiedere spiegazioni.
Non prendete per buono tutto questo solo perché lo dico io: fate come se foste antropologi e, la prossima volta, osservate bene quello che accade ai giardini, al supermercato o alle feste di compleanno. Non noterete nulla di nuovo, se non alcuni particolari a cui non avevate mai prestato attenzione.
C’è il rischio che certe generalizzazioni su quanto vi potrebbe capitare di vedere possano influenzarvi, ma attenzione: essere più sensibili a quanto avviene intorno a noi non è sempre piacevole. Essere molto attenti tra sforma in breve tempo una giornata al parco in un’esperienza sgradevole.
Come mi ha scritto una mamma californiana:

Le è capitato ultimamente di andare a fare la spesa? È un’esperienza insostenibile! Genitori che corrompono i figli, li umiliano, li puniscono, o danno loro contentini, tutti metodi offensivi che non si possono tollerare!
Vorrei tanto che mi si paralizzasse il cervello… A ogni “mettiti seduto o non ci veniamo più!” o “amore, se smetti di urlare ti compro il gelato” mi sento soffocare. Come facevo, prima, a non sentire?

Provate a ricordare i metodi educativi dell’amore condizionato descritti nei due capitoli precedenti. Uno dei motivi per cui risultano tanto nocivi ha a che fare con la sensazione di essere controllato avvertita dal bambino; e ciò vale anche per il contrario: quando si fa ricorso a premi, punizioni e a sistemi che ne manipolano il comportamento, il bambino finisce per sentire di essere amato solo quando si adegua alle nostre richieste. L’amore condizionato può essere il risultato, inconsapevole, del controllo e, viceversa, il controllo può contribuire a spiegare i gravi danni dell’amore condizionato.
Poiché l’eccessivo controllo è di per sé un problema, è bene dedicargli un apposito capitolo. E non è limitato solo a una forma specifica di disciplina, di castighi o di poster motivazionali a punti1, di sculaccioni o di “bravo!”, di permessi concessi o revocati. Adottare un metodo piuttosto che un altro servirà a poco se non ci sforziamo di capire un punto fondamentale: il problema principale nell’educazione dei ragazzi di oggi non è la permissività, ma il timore di essere permissivi. Siamo talmente preoccupati di viziare i figli che spesso finiamo per controllarli in modo eccessivo.

Certo alcuni di loro sono viziati - e altri trascurati, ma la questione sulla quale spesso e volentieri si sorvola è la dilagante micro gestione dei figli alla stregua di succursali del genitore. La domanda principale quindi, sulla quale tornerò in seguito, è come riuscire a guidare e a stabilire dei limiti (entrambi aspetti necessari) senza cadere nel controllo eccessivo; chiarendo, innanzitutto, quale sia l’eccesso al quale si è tentati di giungere, quindi il motivo per cui si tratta di una tentazione alla quale resistere.

Il modo in cui vengono trattati molti bambini denota la mancanza di rispetto verso i loro bisogni e i loro gusti - di fatto, una mancanza di rispetto per i bambini stessi. Sono molti i genitori che si comportano come se i bambini non meritassero lo stesso rispetto degli adulti. Molti anni fa lo psicologo Haim Ginott ci ha invitato a immaginare quale sarebbe la nostra reazione se, per caso, nostro figlio dimenticasse qualcosa - e come reagiremmo, invece, se la stessa cosa accadesse a un amico perennemente smemorato.
Pochi di noi pensano di redarguire l’amico con lo stesso tono usato per il figlio: “Ma che hai? Quante volte ti devo dire di controllare se hai tutto prima
di uscire? Credi che non abbia niente di meglio da fare…” e via di seguito.
Con un adulto ci limiteremmo a un semplice: “Eccoti l’ombrello”2.
Molti genitori interferiscono per la forza dell’abitudine, sbraitando uno “Smettila di correre!” anche se non v’è alcun rischio di danni a cose e persone. Altri non perdono occasione di sbattere in faccia al figlio indifeso chi è che comanda (“Perché sono tua madre, ecco perché!”, “Questa è casa mia e si fa quello che dico io!”). Altri ancora esercitano il controllo con l’uso della forza, o attraverso il senso di colpa (“Ma l’ho fatto per te! Così mi spezzi il cuore…). Certi genitori ossessionano i figli senza sosta, con continuo borbottio di critiche e solleciti, mentre altri sembrano non aver mai nulla da eccepire finché, di punto in bianco, non esplodono: è stato superato un limite - che ha più spesso a che fare con lo stato d’animo dell’adulto che non con quanto combinato dal bambino - oltre il quale il genitore si trasforma d’improvviso in un essere spaventosamente dispotico e collerico.

È chiaro che non tutti i genitori si comportano in questo modo, mentre ad alcuni non capita mai. Diversi studi dimostrano che i princìpi e le modalità con cui si educano i figli variano in base alla cultura, all’estrazione sociale, alla razza, oltre che alle tensioni a cui sono sottoposti i genitori stessi (per approfondimenti leggere l’Appendice). I ricercatori tengono, inoltre, a precisare che gran parte dei genitori non ricorre sempre alla stessa tecnica disciplinare, tendendo anzi a reagire in maniera diversa ai diversi tipi di cattivo comportamento3.

Tuttavia credo sarebbe più interessante chiedersi, innanzitutto, in che modo un genitore classifichi un comportamento come “cattivo”. Alcuni definiscono tale un atteggiamento che per me o per voi risulterebbe del tutto innocuo - finendo così per punire i figli con severità4. Forse si tratta di un aspetto di quella che in genere si definisce educazione “autoritaria”. Certi genitori risultano più severi ed esigenti che accoglienti e incoraggianti. Di rado offrono spiegazioni alla regola che impongono e non solo si aspettano assoluta obbedienza, che ottengono attraverso il libero ricorso alle punizioni, ma sostengono che per un bambino è più importante imparare a obbedire all’autorità che non pensare con la propria testa, esprimendo le proprie opinioni. Insistono con l’affermare che i figli debbano essere controllati con scrupolo, e quando viene infranta una regola - a conferma della più tetra sfiducia nei confronti della vera natura dei bambini - i genitori autoritari tendono a concludere che ciò sia frutto di una scelta deliberata, indipendentemente dall’età del piccolo, che quindi dev’esserne ritenuto responsabile.

La medesima questione dell’“asservimento alle richieste dei genitori e… la precoce soppressione di impulsi ritenuti da essi inaccettabili” compare in maniera inquietante in uno dei soliti progetti di ricerca del periodo post bellico che si prefiggeva di valutare le radici psicologiche del fascismo, analizzando, nello specifico, l’infanzia di adulti che manifestavano una profonda avversione per interi gruppi sociali o una certa infatuazione per il potere5.

Questi, in realtà, non sono che casi estremi, di fronte ai quali è ovvio esprimersi con un “Beh, non si sta certo parlando di me. Io non sono autoritario, né mi metterei a urlare dietro a mio figlio perché si diverte ai giardinetti”. Tuttavia quasi tutti noi cediamo all’impulso dell’ipercontrollo, perlomeno in qualche occasione. Un po’ per la convinzione che i bambini debbano imparare a fare ciò che viene loro detto (dopo tutto gli adulti ne sanno più di loro, o no?). Un po’ perché alcuni di noi hanno personalità dispotiche per cui sin da subito si pongono nei confronti dei figli attraverso l’imposizione della propria volontà6. Altri invece cedono, di tanto in tanto, alla disperazione, specie di fronte all’opposizione dei figli. Molti genitori, infine, benché sinceramente interessati al loro benessere, non si sono mai posti il dubbio che il proprio comportamento esprima un controllo eccessivo e controproducente.
Per molti di noi è facile osservare cattivi genitori in azione, vedere chi è molto più autoritario e consolarsi con un “Io questo non l’ho mai fatto”. La difficoltà, tuttavia, sta nel riflettere su quello che sappiamo di fare, chiedendoci se sia nel reale interesse dei nostri figli.

Qual è il bambino che fa tutto quello che gli viene detto?

Mettiamo un attimo da parte gli obiettivi ambiziosi che sogniamo per i nostri figli, e concentriamoci su quello che li spinge ad assolvere alle nostre richieste. Se il nostro unico interesse è quello di far fare loro qualcosa, o di farli smettere, ora, in questo preciso istante, siamo costretti ad ammettere che a volte ci si riesce esercitando il nostro potere coercitivo - ad esempio le minacce, le punizioni, o gli ordini perentori7. Ma non sempre. A conti fatti è più probabile che a fare quello che viene loro detto siano i bambini i cui genitori non ricorrono alla forza, ma che - al contrario - hanno sviluppato un legame sicuro e affettuoso con i figli. Sono genitori rispettosi che riducono al minimo il controllo, sforzandosi invece di motivare con le dovute spiegazioni le proprie richieste.

Alcuni ricercatori, nel corso di uno studio classico, sono partiti con il dividere i genitori presi in esame tra madri sensibili, accoglienti e collaborative e madri convinte di “avere tutto il diritto di fare [con il figlio] ciò che vogliono, imponendo la propria volontà, modellandolo secondo i propri standard, interrompendolo arbitrariamente senza tener conto dei suoi desideri, dei suoi bisogni o dell’attività svolta in quel momento”. Ebbene, erano le mamme del primo gruppo - le meno dispotiche - ad avere figli più disposti a obbedire8.
Da un secondo studio era risultato che i bambini di due anni più inclini a soddisfare una determinata richiesta erano quelli i cui genitori “erano molto chiari su quanto richiesto, prestando tuttavia attenzione anche alle obiezioni dei figli e andando loro incontro nel rispetto della loro individualità e autonomia”9.

Un terzo studio rilancia ponendo l’accento su bambini in età prescolare descritti come particolarmente oppositivi. Ad alcune madri viene chiesto di giocare con i figli come d’abitudine, mentre ad altre viene proposto di “partecipare a un’attività scelta dal bambino, permettendogli di avere il controllo della natura e delle regole dell’interazione”. Le mamme vengono invitate ad astenersi dal dare ordini e dall’esprimere critiche o lodi (si noti come l’elogio è considerato una forma di manipolazione). Al termine della sessione di gioco, su richiesta dei ricercatori, esse devono formulare una serie
di ordini per far riordinare i giocattoli ai figli. Risultato: i bambini soggetti a minor controllo - ossia quelli che avevano potuto esprimersi di più sul modo di giocare - seguivano le direttive della madre con più facilità10.

Per quanto sconvolgenti siano i dati finora evidenziati, i problemi riconducibili alla tradizionale disciplina basata sul controllo si rivelano ancor più eclatanti osservando quello che fanno i bambini non appena gli adulti escono dalla stanza. Uno dei ricercatori si chiede quali bambini obbediranno alla richiesta di fare qualcosa (riordinare), ma anche quali obbediranno alla richiesta di non fare qualcosa (non giocare con alcuni oggetti), una volta rimasti soli. La risposta a entrambi i quesiti è una sola: rigano dritto quei bambini le cui mamme sono per lo più incoraggianti, affettuose e che, tendenzialmente, non incorrono in un eccessivo controllo11.
Gli studi non si esauriscono qui. Un’altra coppia di psicologi indaga sui fattori che suscitano nel bambino un’obbedienza sincera e “consapevole”, in contrapposizione con un’obbedienza più riluttante e “situazionale”. Altri due colleghi si interrogano sui motivi che spingono i piccoli a seguire le direttive di adulti diversi da mamma e papà12. In entrambi i casi i risultati migliori provenivano dai bimbi educati da genitori rispettosi e sensibili, e non concentrati sul controllo.
In ultima analisi uno dei motivi per cui l’approccio duro e impositivo è destinato a fallire risiede nel fatto che, in realtà, non è possibile controllare i figli - per lo meno non nelle cose davvero importanti. È molto difficile convincere un bambino a mangiare un cibo piuttosto che un altro, o fargli fare pipì qui e non lì; praticamente impossibile costringerlo ad andare a
nanna, a smettere di piangere, a prestarci ascolto o a rispettarci. Ecco le questioni che mettono in crisi i genitori, proprio perché li costringono a fare i conti con il limite, implicito, tra quello che un essere umano può e quello che non può imporre a un altro essere umano. Nel caso specifico dei bambini piccoli, e successivamente degli adolescenti, il raggiungimento del controllo si rivela una mera illusione13. È triste, tuttavia, constatare che ciò non ci dissuade dal ricercare modalità sempre nuove - più scaltre o più efficaci - per ottenere l’obbedienza dei nostri figli. E ogni fallimento è spesso l’ennesima conferma che quel che ci vuole è… alzare il tiro.

Gli estremi opposti

È paradossale come proprio i genitori più impegnati a tenere i figli sotto controllo finiscono per averceli meno. Ma non è tutto qui: ancor più significativo è il fatto che l’approccio basato sull’esercizio della forza non solo risulta inefficace, ma anche estremamente dannoso, persino quando sembra funzionare. Come mi rivelò una volta Thomas Gordon, padre del Parent Effectiveness Training14: “Gli ambienti autocratici fanno ammalare”.
Chiaro che non tutti si ammalano alla stessa maniera. Da molto tempo ormai gli psicoterapeuti concordano con il ritenere che un unico problema di fondo può sfociare in sintomatologie diverse da individuo a individuo.
C’è ad esempio chi, dubitando del proprio valore, tende a sottovalutarsi e a dimostrare insicurezza. Altri invece, seppur nutrendo gli stessi dubbi, adottano atteggiamenti arroganti e autocelebrativi: sembrano voler compensare la scarsa autostima con lo sfoggio della propria grandezza. Pare quindi che due personalità in apparenza agli antipodi si sviluppino da una radice comune.
Lo stesso vale per i genitori che ricorrono all’ipercontrollo: certi figli diventano ultra obbedienti, altri ultra oppositivi. Vediamo ora nello specifico entrambi gli atteggiamenti.

Molti genitori sognano figli che facciano sempre quanto viene loro detto; tuttavia, come già spiegato nell’Introduzione, il totale asservimento all’obbedienza non è proprio un buon segno. Se i “Sissignore” dei tanti impiegati deferenti che in ufficio non osano mai contraddire il capo suscitano la nostra ilarità, perché allora considerare i “Sissignore” dei nostri figli come l’ideale?
Nel 1948 “Child Development” pubblica il primo studio a tale riguardo, da cui risulta che i bambini in età prescolare con genitori autoritari tendono a un comportamento “tranquillo, educato e non oppositivo”. Allo stesso tempo però dimostrano scarsa interazione con i coetanei e poca curiosità e originalità. “Il controllo autoritario …produce conformità a scapito della libertà personale” conclude lo studio15.

A oltre quarant’anni di distanza, nel 1991, la stessa rivista pubblicò i risultati di una ricerca condotta su 4.100 adolescenti. L’obiettivo era, di nuovo, quello di determinare il benessere psicologico e sociale dei ragazzi, mettendolo in relazione con i metodi educativi applicati dai genitori. Risultò che i figli di genitori autoritari ottenevano un punteggio elevato per quanto riguarda i “livelli di obbedienza e conformità agli standard degli adulti”. Tuttavia, aggiungono i ricercatori, “i ragazzi sembrano aver pagato un prezzo molto alto in termini di sicurezza nelle proprie capacità - per quanto riguarda la fiducia in sé e la percezione delle proprie competenze sociali e scolastiche. Il quadro generale è quello di un gruppo di giovani oppressi dall’obbedienza”16.

L’obbedienza eccessiva è, quindi, un risultato dell’eccessivo controllo.
Tuttavia lo stesso metodo educativo può spingere verso l’estremo opposto, alla ribellione contro tutto e tutti. Quando ogni volontà, ogni giudizio, la stessa necessità di avere voce in capitolo sulla propria vita vengono frustrati, l’unico modo per recuperare un senso di autonomia è l’iperoppositività.
Quando un bambino si sente impotente perché costretto dal genitore a sottomettersi alla sua volontà, spesso sente crescere in sé una rabbia violenta che, anche se impossibile da esprimere in quel preciso momento, non significa che sparisca. Cosa ne sia di quella rabbia dipende dalla personalità del bambino e dal particolare contesto. A volte gli scontri con i genitori si inaspriscono ulteriormente. Come afferma Nancy Samalin, anche “chi vince, perde”. Quando costringiamo i figli a obbedire con la forza, con le minacce o le punizioni li facciamo sentire impotenti. Non potendo sopportare di sentirsi in quel modo, ecco che essi provocano un ulteriore scontro per dimostrare di non essere del tutto impotenti”17. Ma da chi imparano a usare il potere? Da noi. Non solo l’educazione autoritaria esaspera i nostri figli, ma insegna loro come dirigere la rabbia verso gli altri18.

Certi bambini cresceranno con il desiderio di prendersi gioco dell’autorità, a volte sfogando la propria ostilità anche a scuola o ai giardinetti (da alcuni studi risulta che i figli di genitori autoritari, già a tre anni di vita, tendono a essere violenti e aggressivi con i coetanei, i quali spesso decidono di non voler avere nulla a che fare con loro19. L’isolamento forzato non gioca di certo a favore del loro sviluppo).
A volte, invece, se il bambino teme di sfidare l’adulto faccia a faccia, cercherà la maniera di farlo alle sue spalle. Un’educazione autoritaria spesso genera figli così educati da essere l’invidia di tutti i genitori, ma che, non di rado, hanno soltanto imparato a nascondere bene una birbanteria la cui natura si rivela, a volte, sorprendentemente meschina. Ci appaiono perfetti, ma in realtà conducono una “doppia vita”. Come ben spiega uno psicoterapeuta, “Poiché i nostri genitori hanno insistentemente esercitato il proprio controllo sulle nostre vite, ci siamo creati un’esistenza della quale erano al corrente, e un’esistenza a loro del tutto ignota”20. Si tratta di bimbi che, in ultima istanza, rischiano di sviluppare disturbi psicologici di vario tipo, oltre a provare terrore per chi li tratta in questo modo, alienandosene permanentemente. L’amore condizionato può quindi produrre risultati immediati, ma a costo di distruggere, nel tempo, la relazione con i figli, per sempre.

Ecco l’interessante testimonianza di una madre, condivisa all’interno di un forum on-line. Nel suo post la donna descrive un Natale passato con i parenti del marito - educati secondo una ferrea disciplina, applicata successivamente anche ai figli. Essi trascorrono la vacanza raccontandosi alcune bravate di gioventù. “Quei bimbi sempre tanto educati, disciplinati e perbene si trasformavano in teppisti scatenati non appena i genitori davano loro le spalle”, scrive, “combinando cose che mai mi sarebbero venute in mente”.
Nella sua famiglia d’origine, al contrario “non esistevano tabelle [di comportamento], premi, punizioni programmate, divieti di uscita, sospensione di ‘privilegi’ o sculaccioni”. Né, giura, si sono mai combinati grossi guai.
Con questo non voglio dire che l’oppositività sia sempre una cosa preoccupante.

Un certo numero di “no” è piuttosto normale e assolutamente sano, specie intorno ai 2/3 anni e poi all’inizio dell’adolescenza. Mi riferisco, piuttosto, a una forma di oppositività macroscopicamente violenta, molto più duratura e profonda. Certi bambini sono la prova vivente che un modello educativo rivolto sostanzialmente all’ottenimento dell’obbedienza spesso fallisce nel suo stessa obiettivo, oltre a produrre un’infinità di altri problemi.
Qual è l’alternativa all’eccessiva obbedienza o all’eccessiva oppositività? Che genere di bambini sarebbero? Alle richieste dei genitori - e, più in là, degli altri - risponderebbero a volte sì e a volte no, senza sentirsi tenuti a obbedire o a trasgredire, facendo quello che viene loro richiesto il più delle volte, specie se convinti che ciò abbia un senso o un’importanza particolari per chi ha avanzato la richiesta. Molto probabilmente si tratterebbe dei figli di quei genitori che si sono costruiti una riserva di fiducia trattandoli con rispetto, spiegando loro i motivi delle loro richieste e rinunciando ad aspettative irrealistiche di obbedienza. Genitori che hanno fatto pace con il fatto che ogni tanto i figli si impongono con un certo grado di oppositività, e che quindi, quando ciò avviene, non si scompongono.

Il prezzo del controllo: dall’iperalimentazione all’iperstimolazione

Nel capitolo II ho descritto gli effetti dell’autostima contingente citando lo studio condotto dagli psicologi dell’Università di Rochester, Richard Ryan e Edward Deci (Deci ha collaborato anche all’indagine sugli studenti universitari da cui erano emerse le tristi conseguenze dell’amore condizionato).
Nel corso degli ultimi decenni i due ricercatori hanno raccolto, insieme a collaboratori ed ex studenti, prove delle conseguenze nefaste che colpiscono - a ogni età - coloro che si sentono sotto controllo, sia esso esercitato sotto forma di punizioni, premi, amore condizionato, semplice coercizione o altre modalità.
Prendendo in esame i metodi educativi, i due psicologi hanno scoperto che più un bambino si sente costretto e controllato, più “netta sarà la resistenza a quanto favorito dalla società”, e più instabile risulterà l’identità e il senso di sé del bambino21. Torniamo ora alla ricerca condotta sugli studenti universitari. Perché è risultato tanto dannoso quel “ti voglio bene solo se…” pronunciato dai loro genitori? Perché è un messaggio che li ha fatti sentire controllati dall’interno, facendoli crescere con la sensazione di dover avere comportamenti - e risultati - di un certo tipo per compiacere i genitori, e in ultima istanza per sentirsi bene con se stessi. La parola chiave di quest’ultima frase è dovere: essi non si sentivano, psicologicamente, liberi di fare altrimenti.

L’interiorizzazione dell’impulso a “fare i bravi”, a lavorare sodo e quant’altro pur di far contenti mamma e papà non va tanto bene se il risultato non corrisponde a una vera decisione. E dallo studio risulta che non lo era. Gli studenti convinti che i genitori volessero loro bene in modo puramente condizionato tendevano molto più dei coetanei ad ammettere che il loro modo di agire dipendesse più da una “forte pressione interna” che non da “una scelta autentica”. Confessavano altresì che la gioia dovuta al conseguimento di un buon risultato fosse in genere di breve durata, di avere un’opinione di se stessi molto oscillante e di sentirsi spesso in colpa o provare vergogna22.
Deci e Ryan sostengono che i bambini nascono non solo con determinati bisogni fondamentali, tra cui quello di avere voce in capitolo sulla propria vita, ma anche con la capacità di decidere secondo tali bisogni; sono dotati di una “bussola di autoregolazione naturale”. Quando vengono eccessivamente controllati - ad esempio con premi e lodi a profusione per indurli a fare quello che vogliamo noi - i bimbi iniziano a dipendere da fonti di controllo esterne. La bussola si inceppa e il piccolo perde la capacità di autoregolarsi23.

Alimentazione

Quello dell’alimentazione è un esempio eloquente. È vero che i bambini non sempre scelgono i cibi più sani (per questo è necessario insegnare loro che cosa fa bene e che cosa non fa bene al loro organismo, proponendo un numero limitato di opzioni cosicché, qualunque sia il cibo scelto, sarà sempre accettabile). D’altro canto, anche senza il nostro intervento, già da molto piccoli i bimbi tendono a consumare la quantità di calorie necessarie al loro corpo. A volte vanno avanti giorni mangiando pochissimo, tanto da farci preoccupare, per poi trangugiare di colpo porzioni pantagrueliche. Se consumano cibi ricchi di grassi, tendono a mangiare meno, o qualcosa di meno calorico, ai pasti successivi. In termini di alimentazione, quindi, sembra che i bimbi abbiano una capacità di autoregolazione straordinaria.

A meno che non si cerchi di gestirne l’organismo al posto loro. Alcuni anni fa due nutrizionisti dell’Illinois condussero un interessante esperimento: presero in esame 77 bambini di età compresa fra i 2 e i 4 anni, indagando anche il grado di controllo sulle loro abitudini alimentari esercitato dai genitori. I due ricercatori scoprirono così che i genitori che insistevano affinché i figli mangiassero solo ai pasti (e non quando avevano fame), o perché non lasciassero nulla nel piatto (anche se i piccoli non avevano fame), o che usavano il cibo (specie i dolci) come ricompensa, si ritrovavano con bambini che avevano perso la capacità di regolare l’assunzione calorica.
Alcuni di questi genitori avevano evidenti problemi con il cibo, che presto avrebbero trasmesso ai figli. A prescindere dalle ragioni, però, l’eccessivo controllo presentava il conto ben prima dello svezzamento da pannolino: i piccoli avevano “scarse possibilità di imparare a controllare l’assunzione di cibo”, finendo per non riconoscere più i segnali di fame inviati dall’organismo. Risultato: molti di loro avevano già iniziato a ingrassare24.

Moralità

I dati relativi all’alimentazione sono interessanti, se non allarmanti, già di per sé, tuttavia non sono che il segnale di un rischio di più ampia portata.
La regolazione esterna rischia di interferire con lo sviluppo della regolazione interna non soltanto sul piano alimentare, ma anche su quello etico.
Metodi educativi rigidi non fanno nulla per incentivare la crescita morale del bambino, la quale, al contrario, ne risulta compromessa. È assai improbabile che chi si sente costretto a fare ciò che gli viene ordinato sviluppi una riflessione personale sui tanti interrogativi etici, innescando così un circolo vizioso: minore è la possibilità di decidere quale sia il modo giusto di comportarsi, maggiore sarà il rischio di comportarsi in modo tale da indurre il genitore a riconoscere nell’irresponsabilità del figlio il motivo per cui negargli il diritto di scegliere.

Secondo uno degli articoli più citati in materia di ricerca sullo sviluppo infantile, se i figli di genitori autoritari non si impongono mai, in un modo o nell’altro, “rispetto alle modalità di resistenza alle tentazioni prestabilite”, prove più significative indicano come “essi diano minor dimostrazione di ‘coscienza’, con una maggiore probabilità di fare riferimento a un orientamento morale più esterno che interno nel disquisire circa il comportamento più ‘corretto’ da assumere in contesti di conflitto morale”25.

Interesse

Ecco un ulteriore risvolto dell’eccessivo controllo: quando il bambino si sente costretto a fare una cosa - o gli viene imposta una modalità troppo rigida di svolgimento - è molto probabile che perda interesse in quello che fa e che non voglia affrontare compiti più impegnativi. In un interessante esperimento alcuni genitori venivano invitati a sedersi sul pavimento accanto ai figli molto piccoli - di età inferiore ai due anni - che giocavano con alcuni oggetti. Subito alcuni di loro si erano intromessi nel gioco, o avevano iniziato a impartire ordini (“Metti lì la costruzione. Non lì, lì!).
Altri invece lasciavano i figli liberi di esplorare, incoraggiandoli o dando loro una mano in caso di bisogno. In un secondo tempo ai bimbi venivano dati altri giocattoli, questa volta in assenza dei genitori. Si è scoperto che, da soli, i figli dei genitori più invasivi tendevano a rinunciare quasi subito a giocare piuttosto che tentare di capire il funzionamento del nuovo giocattolo.
Una ricerca condotta una decina di anni dopo ha ottenuto risultati molto simili con bambini di sei-sette anni: quelli con cui i genitori avevano giocato in modo invasivo (ordinando loro che cosa fare, criticandoli o lodandoli) mostravano di perdere interesse nell’attività. Lasciati soli, giocavano per un periodo più breve, confessando di trovare i giocattoli meno divertenti di quanto non li considerassero i figli dei genitori meno invadenti26.

Competenze

Il primo studio a dimostrare una perdita di interesse nel bambino risale alla metà degli anni Ottanta, ad opera di Wendy Grolnick, ex studentessa di Deci e Ryan, nonché loro collega. (Il secondo studio è stato condotto, tra gli altri, dallo stesso Deci). Una ventina d’anni più tardi Grolnick dimostra come i genitori più autoritari non solo sono responsabili di un calo d’interesse nei figli, ma rischiano altresì di ridurne il profitto. Questa volta la ricercatrice osservò il modo in cui alcuni alunni di terza elementare svolgevano, insieme ai genitori, un paio di compiti simili a quelli scolastici (il primo legato all’uso delle cartine, l’altro alla metrica di alcune poesie); in un secondo momento, veniva chiesto a ogni bambino di svolgere gli stessi compiti da soli. I figli dei genitori più invadenti avevano lavorato peggio senza di loro27.
È interessante notare come i genitori che esercitavano il maggior controllo (quantomeno nel compito della poesia) fossero proprio quelli che si sentivano più controllati a loro volta - essendo venuti al corrente della valutazione delle competenze dei figli al termine delle prove28. Lo stesso vale per gli insegnanti: stategli con il fiato sul collo per “alzare il livello” e ne farete dei sergenti istruttori. Ironia della sorte, i loro studenti finiranno per raggiungere un livello inferiore a quello ottenuto dai colleghi che insegnano in classi dove c’è minor insistenza, dall’alto, sulla “responsabilità”29.

Nel suo utilissimo e conciso The Psychology of Parental Control, Grolnick fa una summa del vasto numero di ricerche che dimostrano come  un’educazione basata sul controllo è associabile a minori livelli di motivazione intrinseca, minore interiorizzazione di valori e princìpi morali, minore autoregolazione”, nonché a una maggiore auto svalutazione - per non parlare degli “effetti collaterali indesiderati sulla relazione genitore-figlio”. E aggiunge “questo aspetto non riguarda solo la crescita e il benessere del bambino, ma anche la sua realizzazione nella vita come adulto felice ed equlibrato”.
La sua interpretazione dei risultati dimostra in modo inequivocabile che se il bambino ha bisogni diversi a seconda dell’età, le conseguenze di un controllo eccessivo risultano dannose in ogni fase della vita; e che se i metodi educativi variano in base alla razza, alla classe sociale e alla cultura, gli effetti negativi del controllo eccessivo sono trasversali30.
Aggettivi quali eccessivo o troppo sollevano, com’è ovvio, l’interrogativo circa l’esistenza o meno di un quantitativo ideale di controllo. Rispondo sostenendo che la ricerca di che cosa sia giusto per un figlio non è tanto di natura quantitativa, piuttosto qualitativa. Partendo dalla nostra definizione di controllo, risulta avere molto più senso cercare possibili alternative ad esso piuttosto che ridurne il livello. I bambini hanno bisogno, per esempio, di una vita strutturata - e alcuni di loro in modo particolare - il che non equivale a dire che necessitino di un’esistenza moderatamente controllata31.
Dove sta la differenza? Al di là delle evidenti sfumature, di regola sono ragionevoli quelle strutture che vengono imposte solo se necessario, in modo
flessibile, evitando inutili restrizioni e, se possibile, con la partecipazione del bambino. Il risultato è assai diverso da quello ottenuto con l’imposizione della propria volontà attraverso pressioni o metodi coercitivi, di norma considerati forme di controllo.
In quanto genitori è necessario che ci sentiamo coinvolti in modo consapevole in ogni aspetto della vita dei nostri figli. Niente di quanto scritto in questo libro deve essere interpretato come scusa per starsene seduti a guardarli crescere da sé. Si può dire che è nostro dovere avere tutto “sotto controllo”, nel senso di creare un ambiente sicuro ed equilibrato, fare da guida e porre dei limiti - ma non “esercitare il controllo”, ovvero pretendere obbedienza assoluta o sottoporre i figli a pressioni o continui divieti.
In realtà, per quanto possa apparire paradossale, c’è bisogno di avere sotto controllo il modo in cui possiamo aiutarli ad avere il controllo della loro vita. L’obiettivo è la responsabilizzazione più che l’obbedienza, attraverso metodi rispettosi più che coercitivi.
Potrà accadere che il controllo, nel senso più comune del termine, si renda inevitabile, per cui il trucco sarà riuscire a non eccedere. Tuttavia bisogna porsi nell’ottica di un approccio educativo sostanzialmente diverso dal controllo, piuttosto che limitarsi a cercare la miglior soluzione intermedia tra il “troppo” e il “non abbastanza”. Troverete utili consigli in merito al capitolo IX.

Amarli senza se e senza ma
Amarli senza se e senza ma
Alfie Kohn
Dalla logica dei premi e delle punizioni a quella dell’amore e della ragione.Un classico dell’amore incondizionato. Come crescere i figli eliminando finalmente i piccoli ricatti, le minacce, le promesse e i premi. Crescere un figlio non è un gioco da ragazzi!Diventare genitori è un esame costante sulle capacità di affrontare disordine e imprevedibilità, un ruolo per cui non ci si può preparare davvero.Una delle difficoltà maggiori è la tentazione di domare l’atteggiamento di opposizione dei figli alle nostre richieste, rischiando di trasformarli in burattini addomesticati o, al contrario, di provocare danni approvando tutto ciò che dicono e fanno.Allora, come farsi obbedire dai propri figli?Sistemi educativi quali punizioni, castighi, premi e altre forme di controllo inducono i nostri figli a credere di essere amati solo se ci compiacciono o ci colpiscono in modo favorevole.Nel suo libro Alfie Kohn si allontana dai messaggi veicolati da certi metodi convenzionali e ribalta la prospettiva, chiedendosi quali siano i bisogni dei nostri figli e come possiamo soddisfarli.L’autore suggerisce una serie di idee per allontanarsi da metodi abituali che prevedono l’imposizione di qualcosa ai bambini, per approcciarsi a modalità che portino invece alla collaborazione con loro.Amarli senza se e senza ma risponde a una domanda cruciale: le nostre azioni quotidiane possono contribuire a rendere nostro figlio l’adulto che vorremmo?Consigli utili affinché il bambino possa aspirare a diventare un adulto sano, responsabile ma allo stesso tempo sensibile e premuroso.Un libro rivoluzionario e illuminante per diventare a tutti gli effetti genitori senza se e senza ma, poiché uno dei bisogni fondamentali del bambino è proprio essere amato in maniera incondizionata ed essere accettato anche quando combina guai o fallisce: in sintesi, essere amato per quello che è e non per quello che fa. Conosci l’autore Alfie Kohn ha pubblicato diversi libri, tra cui Punished by Rewards e The Schools Our Children Deserve, che hanno dato un forte contributo all’operato di educatori e genitori. Vive con la famiglia nei pressi di Boston, dove tiene conferenze e seminari, ed è raggiungibile sul web all’indirizzo www.alfiekohn.org.