CAPITOLO IX

Le scelte per i nostri figli

Un pomeriggio la mia parrucchiera si è messa a parlarmi, tagliandomi i capelli, di un problema con suo figlio. Poiché non era mia intenzione renderlo un consulto approfondito, al termine del racconto mi sono limitato a suggerirle di invitare il ragazzo a proporre diversi approcci al problema.
Con mia grande sorpresa la donna ha mostrato un tale entusiasmo per il mio consiglio che ho quasi temuto di vedermi tagliare accidentalmente parte dell’orecchio.
Non c’è nulla di tanto originale nel principio secondo cui, quando c’è qualcosa che non va, i bambini dovrebbero essere chiamati in causa nel processo di risoluzione dei problemi e che, oltretutto, dovrebbero avere sempre voce in capitolo rispetto a quanto accade loro. Eppure continua a sorprendermi quanto spesso i genitori non considerino questa opzione, la trascurino o addirittura vi si oppongano irritati. Quindi potrebbe valer la pena di soffermarci a rivedere i motivi per cui - e in che modo - lasciare che i bambini partecipino alle decisioni prese.

I vantaggi della facoltà di scegliere

La prima ragione è di ordine morale: tutti abbiano il diritto ad avere il controllo delle nostre vite. Naturalmente quando si parla di bambini esistono alcuni limiti rispetto al livello e al tipo di controllo; sono molte le cose da dover decidere per loro, specie da piccoli. Ciò tuttavia non nega il principio di partenza. Ritengo che la posizione di base debba essere quella di lasciare che i nostri figli possano scegliere in merito alle questioni che li riguardano salvo nei casi in cui si renda obbligatoriamente necessario contravvenire a tale diritto. Dovremmo essere pronti a giustificare il motivo per cui, in certi casi, i bambini non dovrebbero avere il permesso di scegliere.

Tutti noi abbiamo il bisogno fondamentale di essere “artefici” della nostra vita, e non “pedine”, come ben spiega un ricercatore. È molto importante vivere un senso di autonomia, la sensazione di essere i fautori di gran parte delle nostre azioni. Di fatto spesso le diverse scelte che ci troviamo a operare sono meno significative del fatto stesso di scegliere. Per un attimo me ne sono dimenticato proprio un pomeriggio in cui il mio bambino di tre anni e mezzo mi ha chiesto un album delle figurine. Nell’armadio ce n’era una pila; ne ho scelto uno con un camioncino in copertina che pensavo gli sarebbe piaciuto, quindi gliel’ho porto. “No”, protesta lui, “Voglio scegliere io”. Ripongo l’album e gli lascio l’intera pila. Indovinate alla fine quale ha scelto.

Se il bisogno di autonomia viene cronicamente frustrato, tra le conseguenze non figura solo l’esasperazione, ma depressione se non addirittura patologie fisiche1. Come già visto nel capitolo III, sono diversi gli effetti indesiderati che tendono a manifestarsi allorquando un bambino sente di essere ipercontrollato dal genitore. Anche in classe gli studenti riflettono con difficoltà o risultano meno interessati se non hanno voce in capitolo rispetto a quanto studiato o al contesto in cui si trovano a studiare (purtroppo i metodi scolastici convenzionali e le fondamenta dell’istruzione si distinguono proprio per l’incoraggiamento alla passività). Allo stesso tempo sul lavoro gli adulti arrivano all’esaurimento non perché hanno troppo da fare, ma perché non hanno abbastanza scelta rispetto alle proprie mansioni.

La ricerca non si limita a evidenziare che non è possibile stare bene se ci si sente impotenti, ma dimostra in modo molto chiaro i vantaggi dovuti alla possibilità di scelta. Quando, per esempio, i genitori non solo resistono alla tentazione di ripiegare sul controllo ma anzi fanno un passo indietro per far sì che i figli vivano un senso di autonomia2, questi ultimi tenderanno più facilmente a fare quanto loro chiesto e risulteranno meno propensi a comportarsi male. Gli adolescenti ammessi a partecipare delle decisioni familiari sapranno fidarsi di più dei genitori e condividerne i princìpi. Inoltre finiranno per sentirsi meglio con se stessi, per amare di più la scuola e per preferire compiti più impegnativi - e, come se non bastasse, avranno una maggior tendenza a tenersi fuori dai guai. In conclusione gli studenti universitari incoraggiati dai genitori a essere indipendenti sin da piccoli hanno una maggior probabilità dei coetanei di essere sicuri di sé e di resistere alle difficoltà e alle sconfitte3.

Quando gli insegnanti concedono agli studenti maggior scelta rispetto a quanto viene svolto si ottengono risultati altrettanto sbalorditivi. Secondo un sunto della ricerca i vantaggi consisterebbero in “una maggiore percezione della propria competenza, una maggiore motivazione intrinseca, uno stato d’animo più positivo, una maggior creatività, la scelta di sfide ottimali rispetto al successo facile, maggior permanenza a scuola (ossia minor tasso di abbandono scolastico), maggiore comprensione concettuale e migliori risultati scolastici”4.

Far sì che i bambini sentano di avere delle responsabilità è, quindi, importante a ogni età, a casa come a scuola, sia per i risultati immediati che per gli obiettivi a lungo termine. Se ci pensate bene, la vita ci presenta una serie infinita di scelte riguardo problemi di entità microscopica o di portata monumentale, e tutti noi desideriamo che i nostri figli siano in grado di affrontarli in modo assennato. Se dovessi riassumere in un’unica frase le ricerche più significative e le esperienze di vita relative a questa questione, direi: i bambini imparano a prendere le decisioni giuste prendendo decisioni, non seguendo direttive.
Allo stesso tempo bisogna riconoscere che non sempre si ha la possibilità di partecipare al processo decisionale. La democrazia è notoriamente assente in gran parte delle aule scolastiche e degli uffici americani, e alcuni genitori ricorrono a tale realtà per razionalizzare i loro “perché di sì, perché di no”. Tuttavia il miglior modo per preparare i nostri figli ad affrontare le esperienze in cui verranno tenuti inutilmente sotto controllo non è quello di immergerveli prima del tempo. Sarebbe come dire che, essendo l’ambiente pieno di agenti cancerogeni, dovremmo esporre i nostri figli al maggior numero di fattori di rischio sin dalla più tenera età.

Al contrario è giusto crescerli nel rispetto, offrendo loro sostegno incondizionato e consentendo loro di scegliere regolarmente. È una base che permetterà loro di riconoscere gli individui e le istituzioni autoritarie che incontreranno nel corso della vita, facendo riferimento agli standard elevati appresi crescendo. Saranno inoltre più portati a operare per migliorare
la società piuttosto che accettarne supinamente gli ordinamenti basati sull’esercizio del potere - credendoli inevitabili.
In sintesi i ragazzi che si sentono responsabili partono dal miglior presupposto per affrontare gli eventi disarmanti in modo costruttivo. E noi, in qualità di genitori, partiamo dal miglior presupposto per renderli responsabili - nella misura in cui desideriamo limitare il nostro potere su di loro.

La prima e l’ultima parola

Limitare il nostro potere non significa necessariamente non esprimere le nostre preferenze, tuttavia nel limite del possibile dovremmo lasciare la decisione finale nelle mani dei nostri figli5. Potrei, per esempio, affermare con convinzione che ritengo opportuno che mio figlio chieda scusa per un suo gesto, lasciando tuttavia a lui la scelta di considerare se tale conclusione sia giusta e se metterla o no in atto (dopo tutto l’alternativa sarebbe quella di costringerlo a scusarsi senza convinzione).

Anche quando non abbiamo nessuna intenzione di lasciare l’ultima parola ai figli, potremmo tutt’al più conceder loro la prima - ossia la possibilità di sostenere il proprio punto di vista. Così, quando il bambino chiede se sia giusto agire in un certo modo, risulta spesso sensato rispondergli “Beh, che ne pensi?” In questo modo gli si fa intendere che il suo punto di vista ha un valore, oltre a invitarlo a svolgere un ruolo attivo nella valutazione delle implicazioni delle sue richieste.
Il problema è se, e come, permettere ai figli di decidere risulti, in qualche modo, più complicato nel caso dei conflitti tra fratelli6. Molti genitori intervengono prematuramente, peggiorando le cose, schierandosi dalla parte di uno dei figli, o condannandoli entrambi ingiustamente, o ancora insistendo nel voler capire a chi attribuire la colpa. In questo modo interrompono il processo attraverso cui i figli imparano a negoziare soluzioni proprie.

Tuttavia non mi mette neppure del tutto a mio agio il consiglio generico di “lasciare che se la sbrighino da soli”. Primo perché un bambino che sente di aver diritto a protestare potrebbe pensare che non vogliate essere coinvolti, che il suo reclamo vi lasci indifferenti. Secondo perché la scelta di lavarsene le mani rischia di lasciare i bambini più deboli in balìa di quelli più forti o più furbi - dando l’impressione che qualsiasi conclusione - per quanto ingiusta - riceva il vostro plauso.
Mostrate in modo chiaro il vostro interesse e la vostra comprensione; cercate di capire quello che accade e se, a quel punto, decidete che debbano essere i bambini a trovare una soluzione, poi informatevene. Si tratta di una lezione per tutti. Parlate ai fratellini in modo da aiutarli ad affinare la propria capacità di risolvere i conflitti, perché riflettano sul concetto di imparzialità e per progettare come comportarsi in un’occasione successiva.

Tuttavia attenzione: come ammonisce uno psicologo “l’intervento del genitore non garantisce l’imparzialità; si limita a introdurre nel conflitto un soggetto ancor più forte, la cui ultima parola prescinde dai fatti”7.
Anche in assenza di aspri litigi i bambini tendono a voler decidere per i fratelli minori, dicendo loro quello che devono fare. L’atteggiamento impositivo risulta loro automatico (così come agli adulti); è il sostegno verso l’autonomia a dover essere appreso. È attraverso tale sostegno che proteggiamo i nostri piccoli da chi cerca di controllarli senza ragione.

Decidere insieme

Anche ai neonati si può permettere di scegliere. Hanno gusti molto precisi rispetto al cibo da mangiare, alla maniera di essere tenuti in braccio, a come vogliono che si faccia loro il solletico, ai giochi con cui preferiscono intrattenersi. È bene sintonizzarsi sulle loro richieste, cercando di soddisfarle per quanto possibile, invece di fossilizzarsi su schemi fissi per la pappa e la nanna o di interagire con loro come piace a noi ma non come desidererebbero loro8.

I bambini di circa due anni riescono a riferire i propri bisogni con maggior efficacia, e dispongono di più modalità di espressione del proprio disappunto nel caso in cui essi vengano disattesi. Alla capacità di gestire il proprio mondo in modo da ottenere più facilmente quanto desiderato seguono maggiori occasioni di scontro. Ecco perché capita spesso di provare sentimenti contrastanti rispetto alle maggiori competenze dei nostri figli.

Mi sono rallegrato quando, a diciotto mesi, mia figlia ha scoperto come accendere e spegnere il suo giocattolo, orgoglioso della sua competenza e, forse, un po’ sollevato dal fatto che non mi avrebbe chiamato più tanto spesso. Tuttavia il passo successivo è stato lo scontro di volontà: io spegnevo il giocattolo rumoroso, e lei subito lo riaccendeva. A quel punto avevo solo due possibilità: fare come dicevo io o fare come diceva lei. Lasciarglielo accendere, o spegnerglielo (in questo caso l’ho accontentata).

Crescendo, tuttavia, diventa sempre più possibile dare spiegazioni e discutere
con i bambini. Si tratta di una vera e propria conquista: invece di sentirsi costretti a scegliere tra il concedere o l’imporre la propria volontà, si può disporre di una terza alternativa, quella di trovare, insieme, una soluzione.
Notate come ciò sia molto diverso dal doversi porre tra due estremi opposti, la libertà assoluta da un lato e l’eccessivo controllo dall’altro. A volte la miglior alternativa tra bianco e nero non è il grigio, bensì - per esempio - l’arancione. In altri termini, ci può essere una soluzione che non rientri nel continuum che definisce le nostre alternative. Non si tratta tanto di definire quanta scelta concedere ai nostri figli, in che percentuale lasciar loro prendere delle decisioni, quanto di rendersi soggetti attivi - e interattivi - nel processo attraverso cui aiutarli a decidere.

Uno dei primi studi riguardo i metodi educativi ha puntualizzato come i bambini risultino più “attivi, spontanei ed estroversi” quando dispongono di molte possibilità di scelta. Ma da un’analisi più approfondita è emerso che la libertà non era tutto. Era altresì necessario “un maggior livello di interazione tra genitore e bambino”9. In generale ciò significa che dobbiamo incoraggiare in modo concreto la capacità di scelta dei nostri figli, aiutandoli a farli sentire, per quanto possibile, padroni di sé. È nostro compito sostenere la loro autonomia e trovare insieme possibili modalità di accordo rispetto a questioni quali l’ora di andare a dormire o di rientrare a casa, dove trascorrere le vacanze familiari e così via.

Immaginate un bambino che trascorre, dal nostro punto di vista, troppo tempo davanti alla televisione o al computer. Di recente mi è capitato di parlarne, in separata sede, con due mamme. La prima, benché contrariata
per l’eccesso di TV in casa sua, con una scrollata di spalle mi chiede in modo retorico: “Che ci vuol fare? Di questi tempi…”. L’altra, invece, sentendo di dover intervenire, ha nascosto il telecomando alla figlia.
Entrambe le soluzioni rappresentano la classica - e falsa - dicotomia: se si lascia che i figli facciano quel che pare loro, nonostante la nostra disapprovazione, si rischia di trasmettere il messaggio che non ci interessa nulla di loro, che ci laviamo le mani da ogni responsabilità (nel caso della televisione la scelta di non intervenire può apparire, a molti genitori, più allettante poiché, nonostante i timori, è più conveniente che i figli restino buoni e occupati). Al contrario, la seconda è una soluzione impositiva: non importa se nascondere il telecomando non porterà grandi benefici (almeno non a lungo) e non farà altro che spingere il bambino a trovare il modo di recuperarlo. Quel che importa davvero è che questa modalità gli insegna l’uso della forza - o della debolezza - al fine di ottenere quello che vuole.

L’elemento in comune tra i due metodi è il non richiedere tempo, capacità, competenze, interesse e coraggio. Come detto in precedenza il vero approccio collaborativo è assai più impegnativo di atteggiamenti tipo “Sono io il genitore, quindi decido io” o “Fai quello che ti pare”. Una reazione più costruttiva parte dall’ascolto - non solo perché il bambino si senta ascoltato, ma per accertarsi di quanto stia effettivamente accadendo. Programmi televisivi e giochi elettronici sono molto divertenti, a dire il vero, ma un bambino che trascorre un tempo sconsiderato in loro compagnia forse lo fa perché depresso o per evitare altre attività (tra cui le relazioni sociali) per ragioni precise che vanno indagate. Oltre all’ascolto, è necessaria una certa sincerità riguardo i propri sentimenti e, per finire, la volontà di trovare una soluzione insieme: “Parliamo di quello che a te sembra giusto ma anche di quello che mi preoccupa. Troviamo delle soluzioni e mettiamole alla prova”.

In questo caso si potrebbe trattare di trovare un accordo riguardo un limite di tempo ragionevole da trascorrere davanti a TV e PC, e su quali programmi e giochi concedere e quali no (e perché). Ma non è che l’inizio della discussione: dovremmo addentrarci nella questione per cui la televisione è diventata la migliore amica dei nostri figli, e decidere di trascorrere più tempo con loro - in attività da scegliere insieme.
Ecco un altro esempio: una cosa è bloccare l’apertura della portiera dell’automobile per impedire che vostro figlio la apra per sbaglio mentre viaggiate in autostrada; un’altra è bloccare i finestrini perché siate solo voi, al volante, a poterli aprire e chiudere. Si tratta dell’ennesima soluzione impositiva, un modo di aggirare il problema privando i bambini di ogni potere.

Potremmo, invece, permettere loro di giocare con i finestrini elettrici, in modo che, alla fine, il divertimento scemi da solo. Se, al contrario, il problema risiede nel gioco in sé, dovremmo prenderci il tempo di spiegare perché esso costituisca un problema, chiedendo loro di smettere di giocherellare troppo con gli interruttori.
È un sistema che con i miei figli funziona quasi sempre, e così vale anche per molti altri genitori che si sono ritrovati nei miei stessi panni. I bambini collaborano davvero se trattati con rispetto, coinvolti nella risoluzione dei problemi e considerati in buona fede. Al contrario sono quelli educati attraverso i metodi abituali (e i relativi princìpi) a cercare di approfittare delle situazioni. Il detto “Dagli un dito e si prenderà il braccio” risulta corretto soprattutto per quei bambini a cui, nella vita, è stato concesso solo e soltanto un dito.

In sostanza per ognuno dei problemi che, a centinaia, si presentano nella vita familiare, la scelta è tra esercitare il controllo o trasmettere un insegnamento, tra creare un’atmosfera di sfiducia o di fiducia, tra dare esempio di autorità o aiutare i figli a essere responsabili, tra risultati educativi immediati e la realizzazione di obiettivi a lungo termine.
Si tratta di alternative fondamentali specie per quei genitori costantemente in lotta per tirare i figli giù dal letto, vestirli, lavarli, farli mangiare e spedirli a scuola in orario - ossia, quasi tutti noi. Non molto dopo che la nostra primogenita ha iniziato l’asilo, io e mia moglie siamo caduti nella trappola dell’assillo e degli svariati metodi coercitivi. I nostri sforzi, nel tentativo sempre più disperato di mettere in moto nostra figlia al mattino, erano estenuanti per tutti, e noi non ci stavamo comportando come i genitori che volevamo essere. Alla fine ci siamo seduti con la bambina in un momento in cui nessuno era di fretta e, con calma, abbiamo affrontato il problema. Invece di pontificare, ci siamo messi in ascolto. Invece di stilare un “piano di condotta” rivolto a lei (come quando si intende addomesticare un animale) ci siamo messi a riflettere: cosa potevamo fare perché il risveglio diventasse un momento più piacevole per tutti?

Abigail ha suggerito che sarebbe stato tutto più veloce se le si fosse consentito di dormire con gli abiti da indossare il giorno dopo. Siccome non ci venivano in mente buone ragioni per impedirglielo, abbiamo acconsentito (non le facciamo indossare abiti che si raggrinziscono facilmente, ma - nel caso - che ci sarebbe stato di male?). La cosa ha funzionato: a volte la mattina è una lotta, ma non tanto quanto quando la vestizione era ancora parte della routine.
Il punto, avrete capito, non è per forza quello di consigliare di dormire vestiti. Il processo conta più del prodotto, e dovrebbe incoraggiare i bambini a ragionare, pianificare, partecipare all’elaborazione delle soluzioni.
L’importante è che sappiano che i loro bisogni ci stanno a cuore e che le loro idee vengono prese sul serio. Chiunque desideri crescere un figlio lucido e sicuro di sé - che non si trasformi in un adolescente disturbato - dovrebbe immaginare i probabili risultati di anni pieni di esempi di problemi risolti insieme, messi a confronto con anni in cui il genitore si è accollato tutte le decisioni più importanti. In realtà non dobbiamo azzardare pronostici sui risultati. Disponiamo di tutti gli elementi a dimostrazione che i bambini tendono ad aver maggior controllo di sé se i genitori hanno la volontà di trovare un accordo e si mostrano aperti a mutare posizione in base alle ragioni dei figli10.
Tale apertura spesso comporta maggiori interrogativi e maggiori sfide, il che può risultare frustrante. Molti di noi fingono di rimpiangere i bei vecchi tempi in cui i bambini facevano solo quel che veniva loro detto, guardandosi bene dal protestare. Ma è chiaro che noi sappiamo bene che non è così: i vecchi tempi non erano poi tanto belli, mentre il processo di riflessione e di decisione condotto insieme ai figli produce vantaggi che ci ripagano della nostra pazienza all’infinito.
Vedetela in questo modo: i genitori di bambini più grandi possono scegliere di monitorarli e controllarli nel disperato tentativo di tenerli fuori dai guai - leggendone il diario o frugando negli zaini a loro insaputa, ricorrendo a sistemi di controllo per impedire loro di guardare programmi inadatti, magari installando microcamere per averli sempre sotto gli occhi. Oppure possono decidere di instaurare un rapporto di fiducia a partire dalla primissima infanzia, coinvolgendoli nelle decisioni da prendere. In questo modo l’approccio impositivo, che sappiamo già essere offensivo e controproducente, si dimostra altresì inutile.

Ma la giornata è abbastanza lunga da permetterci di discutere di tutto con i nostri figli? Credo che a tale dubbio si possa rispondere in quattro modi.
Primo, se in via teorica è possibile che si butti via troppo tempo a complicare le cose, molti genitori devono fare ancora molta strada prima di preoccuparsi di aver preso questa direzione. L’errore molto più diffuso è quello per cui le decisioni vengono condivise troppo raramente. La stragrande maggioranza delle famiglie è affetta dalla scarsa democrazia, non dal suo eccesso.
Secondo, non vi sto raccomandando di trattare su ogni cosa, ma di fare in modo che i vostri figli sappiano che sono molti i problemi su cui è possibile trattare. Paradossalmente avvertiranno meno il bisogno di contrastare ogni decisione nel momento in cui si sentiranno sicuri che, nelle occasioni in cui avvertiranno essere di vitale importanza, potranno controbattere (o suggerire un’alternativa).

Terzo, è assai più raro che i bambini si oppongano a decisioni alle quali hanno contribuito di persona. L’approccio autoritario del tipo “finché stai in casa mia fai quello che dico io” finisce per richiedere molto più tempo e molte più energie di quanto sembri a causa dei contrasti che tende ad accendere. Oltre alla tensione vissuta sia dai genitori sia dai figli - e al danno inferto alla relazione - l’apparente utilità dell’elusione di qualsiasi confronto attraverso decisioni unilaterali alla lunga si dimostra illusoria.
Per finire, parlando di lungo periodo, quand’anche la comune risoluzione dei problemi richiedesse più tempo e maggiori sforzi rispetto ai metodi tradizionali, resta uno dei modi migliori di impiegare il proprio tempo. Per rendersene conto è bene guardare oltre il problema specifico di cui si sta discutendo, tenendo presente che si tratta di un processo che implica vantaggi incalcolabili per lo sviluppo sociale, morale e intellettuale dei nostri figli.

Pseudo-scelte

Certi genitori parlano di “scelta” non in termini di possibilità di dare maggior voce in capitolo ai figli, bensì di scusa per dare loro la colpa di aver deciso deliberatamente di comportarsi male11. In un’affermazione del tipo “Sei tu che hai scelto di infrangere le regole” il termine viene utilizzato quasi a mo’ di randellata contro il bambino. Si tratta inoltre di un modo per giustificare una punizione, per cui non dovrebbe sorprendere sapere che chi parla in questo modo tende, di fatto, con grande probabilità a ricorrere a punizioni e ad altri sistemi basati sull’esercizio della forza12.

Gli adulti che, a cuor leggero, insistono con il sostenere che i bambini scelgono di comportarsi male ricordano certi politici per i quali i poveri devono solo considerarsi causa del proprio male. In entrambi i casi, oltre alle responsabilità personali, vengono ignorati ulteriori fattori potenzialmente significativi. In particolare un bimbo molto piccolo potrebbe non aver sviluppato appieno la capacità di decidere in maniera razionale o il controllo degli impulsi impliciti nell’affermazione che abbia potuto prendere una decisione (i genitori che prendono in considerazione tali limiti cercano, con ogni probabilità, di aiutare il bambino a sviluppare le relative competenze, invece di punirlo o di dargli la colpa). Secondo elemento in comune tra genitori e politici è il fatto che proprio chi pronuncia tali affermazioni gode dei vantaggi che ne derivano. Non avverte il bisogno di rivedere le proprie decisioni e le proprie richieste. I genitori possono, ad esempio, limitarsi a raccontarsi che sono i figli a “decidere” ciò che accade loro.

A volte è il concetto di scelta, non tanto il termine, a venir mal utilizzato.
Succede quando i genitori fingono di lasciar decidere il figlio mentre, in realtà, sono loro a detenere la vera autorità decisionale. Esistono tre forme assai diffuse di “pseudo-scelta”, tutte tristemente descritte nei manuali di disciplina quali esempio di buona condotta.
Nella prima versione il genitore pone una domanda tendenziosa del tipo “Preferisci lavarli ora i piatti oppure durante il tuo programma preferito?”.
Il problema non è tanto la proposta di sole due opzioni, ma l’assenza di una vera e propria scelta. È ovvio che il bambino non voglia rinunciare al suo programma. In realtà il genitore gli sta dicendo “I piatti li lavi adesso altrimenti non ti faccio guardare la televisione” - o, in termini più generali, “Fai come ti dico io o verrai punito”. La formulazione in veste di scelta non nasconde in realtà nient’altro che una minaccia.

Il secondo tipo di pseudo-scelta si distingue solo per il fatto che l’inganno si manifesta dopo che il bambino ha compiuto un gesto ritenuto improprio. Il genitore annuncia la prossima punizione, descrivendola però come se fosse stata richiesta dal bimbo stesso - dicendo ad esempio “Hai scelto di farti mettere in castigo”. Frase amata da diversi genitori che si sentono come sollevati dalla responsabilità di quanto stanno per mettere in atto, ma fondamentalmente disonesta e manipolatoria. Alla ferita della punizione si aggiunge l’insulto di una sorta di giochetto mentale per cui la realtà viene rielaborata, facendo credere, di fatto, al bambino di aver desiderato che gli venisse inferta una sofferenza. Dire “Hai scelto di farti mettere in castigo” è una bugia; un genitore sincero direbbe “Ho scelto di metterti in castigo”.
Una versione leggermente modificata della stessa tecnica consiste nel pronunciare minacce del tipo “Non mi spingere a sculacciarti!” (oppure “… a spedirti in camera tua”, e ancora “… a ritirarti il permesso” e così via) - fingendo, di fatto, che sia il bambino il responsabile della “scelta” del genitore di ricorrere a una punizione. È interessante osservare quanti genitori che, convinti, affermano che i bambini debbano rendersi responsabili del proprio comportamento - a volte persino prima di essere abbastanza grandi da riuscirvi - alla fine modifichino la realtà in modo tale da sottrarsi alla responsabilità del loro comportamento (“Non guardare me! È stato mio figlio a costringermi a fargli male!”).

L’ultima forma di pseudo-scelta si verifica quando i genitori cedono alla volontà di lasciar scegliere i figli, anticipando tuttavia quali saranno i risultati.
Certe alternative sono accettabili, altre no, e ci si aspetta che il bambino intuisca quello che il genitore vuole da lui - ossia, se se la sente ancora di avere la possibilità di “scegliere”. (“Mi sembra che tu non sia maturo abbastanza da lasciarti prendere decisioni del genere da solo” significa “Non hai fatto la scelta che volevo io”.) Meglio sarebbe dirgli “Scelgo io per te”, che è un’affermazione per lo meno onesta, piuttosto che inscenare una simile farsa.

I limiti dei limiti

Persino quei genitori che non ricorrono a simili inganni dovrebbero riflettere sull’eventualità di limitare inutilmente le possibilità di scelta dei figli. Per quanto alcune decisioni debbano essere prese dagli adulti - e nonostante che le scelte fatte dai bambini per se stessi debbano, spesso, essere limitate - avverto un certo disagio quando genitori (o chi dà loro consiglio) affermano in tono enfatico e compiaciuto la necessità di “dare dei limiti”.

Frase troppo spesso utilizzata per giustificare un approccio che sottintende fin troppo controllo.
Ciò trova particolare conferma nel momento in cui si aggiunge che non bisognerebbe sentirsi troppo in colpa perché, nonostante l’apparente resistenza, in realtà i bambini vogliono dei limiti. Come sottolinea Thomas Gordon, si tratta di una “mezza verità pericolosa”: i piccoli forse accettano limiti, arrivando persino a riconoscerne il valore, ma ciò di cui hanno bisogno è essere consultati e non tenuti a freno. Osservate le diverse reazioni di un bambino di fronte a “limiti imposti da un adulto e… limiti che hanno contribuito a stabilire”. La domanda da porre, afferma Gordon, non è se limiti e regole siano o no necessari, ma “chi li stabilisce: solo gli adulti o gli adulti e i bambini - insieme”13.

A volte i limiti stabiliti dai genitori assumono la forma di permesso di decidere solo in merito a questioni di scarsa importanza. Ricordo una madre che, fiera, mi ha riferito di aver deciso di lasciare che il figlio facesse sempre le sue scelte, ogni volta che il risultato per lei non era interessante.
I vantaggi dell’autonomia di cui ho trattato in precedenza presuppongono che i bambini abbiano voce in capitolo su questioni per le quali ci interessa il risultato finale. Essi dovrebbero poter prendere decisioni che, potenzialmente, ci facciano trasalire un minimo.

È chiaro che tale facoltà in parte verrà loro concessa in misura proporzionale alla loro età: non intendo dire che un bambino di tre anni debba decidere se essere o non essere vaccinato. Tuttavia già a quest’età è in grado di ricevere piccoli ragguagli circa problemi ben più rilevanti del colore del bicchierino da usare a tavola. È altresì importante valutare il problema in questione. In certi ambiti, quali la salute e la sicurezza, si potrebbe coinvolgerli in scelte più marginali, come quando fare il bagno o che genere di casco indossare prima di salire in bicicletta o sullo skateboard. In altri ambiti, però, quali la scelta dei mobili e del colore della cameretta, dovrebbero poter avere un margine più ampio per decidere le cose che piacciono a loro (i genitori autoritari, al contrario, non soltanto danno scarsa possibilità di scelta, ma tendono oltretutto a gestire le questioni di gusto e di inclinazione personale alla stregua di questioni morali con un’unica risposta corretta - risposta che, ovviamente, deve esser pronunciata dal genitore).

Non è mia intenzione precisare esattamente che cosa un dato bambino dovrebbe poter decidere a una data età. Ma la sfida che lancio a tutti noi è assicurarsi che, nell’affermare che un figlio non dovrebbe avere scelta riguardo determinate questioni, lo si faccia perché una scelta non avrebbe senso, e non solo perché non si ha intenzione di allentare il controllo. Spesso persino i genitori migliori trovano arduo dover rinunciare a un briciolo della propria autorità, ma lo fanno ugualmente. In caso contrario, finiscono per fare mea culpa borbottando: “Aspetta un attimo! Perché l’ho presa io quella decisione? Non potevo chiederglielo, invece di dirglielo?”

Un modo per assicurarsi scelte vere e intelligenti è spingersi oltre il permesso di indicare un’unica opzione da una lista stilata da noi (“Preferisci x, y o z?”). Scelta limitata gestibile da un bimbo molto piccolo, ma verso i cinque, sei anni un bambino dovrebbe disporre di molte opportunità che generino possibilità diverse, invece di doverne scegliere soltanto una tra quelle che gli avete presentato. Cercate di porre domande aperte, quali “Cosa vorresti fare oggi?”. Sarebbe bello fare qualche proposta se il bambino sembra titubante, tuttavia non lo incalzate prima del tempo: la vera autonomia nasce dalla costruzione più che dalla selezione14.

Quando devono ma non vogliono

Per quanto ci impegniamo a ragionare a fondo sull’eventualità che esista una giustificazione plausibile a ciò che stiamo chiedendo di fare (o di non fare) ai nostri figli, ci saranno sempre richieste in nessun modo negoziabili. Ci saranno sempre casi in cui è necessario obbedire, occasioni in cui saremo costretti a dir loro “Devi” o “Non puoi”. Che fare allora?
La buona notizia è che i genitori che non hanno calcato la mano nel pretendere obbedienza a tutti i costi con ogni probabilità si accorgeranno che i figli daranno loro il beneficio del dubbio, facendo all’occorrenza quanto loro richiesto (così come quando, pur sapendo di poter prender parte alle decisioni prese, sentono di non essere tenuti a farlo per qualsivoglia questione).

L’opposizione si manifesta con maggior frequenza in quei bambini che si sentono impotenti e si vedono costretti a far valere la propria autonomia attraverso manifestazioni eclatanti.
Tuttavia si presenteranno occasioni in cui faranno resistenza a quanto chiedete loro, a prescindere dalle vostre buone ragioni e per quanto moderata sia l’imposizione della vostra autorità. Anche in quei casi, però, si può ricorrere ad alternative diverse dai premi, dalle punizioni e dalla crudele imposizione delle regole.

1. Applicate la tecnica meno invasiva
Cercate di essere il più possibile gentili e cordiali, e non usate il vostro potere per sovrastare vostro figlio. Se ha un caratteraccio e si oppone rabbioso a ogni vostra proposta, non innescate una lotta. È inutile discutere se il bambino non è in grado di ragionare, e di certo non ha senso urlargli addosso. Concedetegli qualche attimo per calmarsi: la tempesta passerà.
Questo consiglio funziona anche nel caso in cui dobbiate affrontare una resistenza passiva. Immaginate che vostro figlio rifiuti di mettere a posto un giocattolo. Si siede dandovi le spalle e va avanti a giocare. L’impulso di insistere, di ricorrere alle maniere forti e di mostrarsi intransigenti si fa molto forte. Dopo tutto si sta mettendo alla prova la vostra autorità!

I figli non dovrebbero permettersi di ignorare i genitori! Ma se faceste un respiro profondo, chiedendo al bimbo di riordinare una volta finito di giocare, e lasciaste la stanza? Facendo un passo indietro e lasciandogli un attimo di pace gli permettete di mantenere la propria autonomia, nonché la propria dignità.
Secondo la mia esperienza, un tipo di approccio non conflittuale produce risultati davvero ottimi - contribuendo, per di più, a mantenere un’atmosfera serena, senza scalfire troppo il rapporto (di fatto la strategia della richiesta con ritiro potrebbe essere idonea anche per gli insegnanti)15. Tuttavia richiede un notevole auto controllo, oltre che tanta santa pazienza.

Con i bambini piccoli in particolare non ci si può aspettare obbedienza immediata in ogni circostanza, a prescindere dalla nostra condotta di genitori.
Bisogna prepararsi a dover ripetere la richiesta o il divieto (e la relativa ragione) diverse volte. Bisogna aspettarsi delle giornate no. Non è realistico pensare che i bambini obbediscano sempre, ed è deleterio considerare queste interferenze alla stregua di battaglie da vincere a ogni costo. Ricordate che i metodi convenzionali non funzionano affatto nel lungo termine, mentre rischiano di produrre danni incalcolabili.

2. Siate onesti
Se quanto richiesto a vostro figlio non è proprio entusiasmante, riconoscetelo. Se desiderate che se ne stia buono solo perché ne avete già dovute sopportare abbastanza durante il giorno, diteglielo. Non inventate giustificazioni più altisonanti, né fingete che quanto richiesto sia piacevole se è assai improbabile che lo sia. Cercate di mettervi nei suoi panni (e di questo parlerò più a lungo nel prossimo capitolo) esprimendo con le parole che userete il suo punto di vista: “So che è frustrante non poter fare [attività desiderata], tesoro, e magari preferiresti che ti lasciassi in pace, vero? Ma…”

3. Spiegate i motivi
“Perché di sì” non è affatto un buon motivo: è ricorrere alla forza bruta, insegnando ai nostri figli ad arrangiarsi da sé. Meglio sarebbe non solo evitare frasi del genere, ma anche spiegare i motivi. Gran parte delle nostre richieste sono esplicabili persino a bambini di due anni se si utilizzano termini che siano quantomeno in grado di afferrare (“Tuo fratello sta aspettando che lo andiamo a prendere a scuola; se non ci andiamo adesso, non saprà dove siamo e si sentirà molto triste”). Dare delle spiegazioni non garantisce che il bambino accetti di buon grado le nostre richieste - così come non può sempre funzionare che qualcuno dica a noi di fare così, o di non fare colà - tuttavia rende più probabile l’accettazione. Ad ogni modo abbiamo diritto, a ogni età, di sapere il motivo per cui le nostre scelte vengono limitate.

4. Trasformatelo in un gioco
Per aiutare vostro figlio a trovare il lato piacevole di un’attività di per sé non proprio divertente, usate la fantasia. Quando i bambini piccoli rifiutano di lavarsi i denti, si può invitarli a concentrarsi sul suono delle setole sullo smalto, che dà subito prova della loro abilità nel rimuovere tutto lo sporco cattivo dai dentini. Un gioco più sofisticato potrebbe essere quello dell’aeroplano (in forma di spazzolino) che continua a decollare e ad atterrargli in bocca. Inventate varianti personali - o meglio ancora - chiedete a vostro figlio di farlo. Ai bambini più grandi, invece, si può chiedere di pensare ai diversi modi di svolgere un compito, o di calcolare quanto tempo richieda farlo in un modo piuttosto che in un altro.

5. Siate d’esempio
Gli adulti non sono tenuti a seguire le stesse regole dei bambini, tuttavia gran parte di quelle regole devono valere pure per noi. Se chiediamo a nostro figlio di rimettere in ordine o di spegnere la luce quando esce da una stanza, se gli diciamo di non interrompere, di non dire parolacce o di non usare un tono offensivo, anche noi dobbiamo fare lo stesso. Non solo per una questione di correttezza, ma perché risulta più facile far fare a un bambino qualcosa che anche noi facciamo volentieri.

6. Date loro più possibilità di scelta
Quando si trovano a dover fare qualcosa per forza, chiedete ai vostri figli come intendono farla, dove, quando, o con chi. Non appena si inizia ad avere un approccio più creativo - coinvolgendo, ripeto, i bambini stessi - ci si sorprende di quante possibilità di scelta si presentino nonostante che la realtà resti quella di dover svolgere un compito16.
Le proposte che seguono possono essere applicate alternativamente.
Prendete, ad esempio, un bambino che non si vuole lavare le mani prima di cena. Il genitore potrebbe dire: “Beh, so che quello che stai facendo adesso è più interessante di andare al lavandino, ma bisogna che ti lavi le mani se non vuoi ammalarti per lo sporco che finirai per mangiare. Se hai le mani sporche, la tua boccuccia sarà felice di quello che mangi, ma il tuo pancino starà molto male [facoltativo: fingete di essere un pancino che protesta con una buffa vocina]. Allora preferisci lavartele in cucina o in bagno?” Ecco un’alternativa diversa: “Preferisci lavarti le mani da solo, o con mamma? (Anch’io mi lavo le mani prima di mangiare)”; “Vuoi lavarle nel lavandino o tuffarle in una tinozza grande grande con tante bolle di sapone?” e così via.

A volte capita che i bambini si comportino in maniera assolutamente inaccettabile, quindi si rende necessario fermarli e basta. È possibile che vivano il nostro intervento come una punizione, con maggior difficoltà a spiegarne, con calma, le ragioni e a preservare il rapporto. Per tale motivo il ricorso a metodi coercitivi netti dev’essere l’ultima spiaggia, una strategia da applicare di rado e a malincuore. In caso di assoluta necessità, dovremmo fare tutto il possibile per attutire il colpo e ridurre al minimo gli effetti punitivi di una simile condotta, utilizzando un tono affettuoso e dispiaciuto, certi che, alla fine, si possa risolvere il problema insieme.
Dovremmo, inoltre, cercare soluzioni che aiutino il bambino a ricuperare la propria dignità e un certo senso di potere. Se non ci sentiamo sicuri a lasciare che un dodicenne partecipi a una festa senza la supervisione di un adulto, e se tale decisione ne scatena l’amaro risentimento, ci sarà, forse, un altro ambito della sua vita in cui potergli concedere maggior controllo: magari lasciandogli avere più voce in capitolo riguardo il suo guardaroba o l’orario di rientro, o ancora l’uso del computer. Se volete dare un bell’appellativo a tale pratica, definitela pure “intervento risarcitorio dell’autonomia”.

Un giorno che ero a passeggio con la mia bambina di tre anni, lei si rifiuta di salire in macchina e, seduta stante, si siede sul marciapiede. Per fortuna non avevo fretta quindi non ho perso il buonumore e mi sono limitato ad aspettare i suoi comodi. Alla fine si rialza e si mette a camminare a passo pesante senza rivolgermi la parola. Io non ero ricorso a sistemi esplicitamente coercitivi, tuttavia la realtà era che avevo fatto come volevo io, mentre lei no, quindi non ne era affatto felice. Messa l’automobile in garage, mia figlia annuncia di voler restare in macchina ad ascoltare la musica.
Non solo gliel’ho concesso più a lungo di quanto non fosse mia abitudine, ma di quando in quando l’andavo a trovare per chiederle se fosse pronta a rientrare. Il mio intento era assicurarmi che sapesse - e che sapesse che sapevo - che stava a lei decidere. Ripeto, il principio è molto semplice: se si è costretti ad agire in modo da ridurre il senso di autodeterminazione del bambino in una determinata occasione, ci si sforzi di ripristinarlo in un’occasione diversa.

È ovvio che la reazione passivo-aggressiva intrinseca nello stare seduti in silenzio non ci mette alla prova quanto quella attivo-aggressiva di un capriccio esplicito. Alcuni autori illuminati considerano il capriccio elemento significativo di un sano sviluppo, mentre altri lo interpretano come sintomo di frustrazione nei confronti del comportamento dei genitori - presumibilmente a ragione - che non sanno come esprimere altrimenti. È probabile che la verità risieda in parte in entrambe le interpretazioni: forse i capricci non sono inevitabili e particolarmente auspicabili, da un lato, ma dall’altro non è detto che siano sintomo di un comportamento genitoriale scorretto.
Ad ogni modo ciò che conta è agire, alla bisogna, nel modo più costruttivo possibile.
Regola numero uno: se siete in pubblico ignorate chiunque vi circondi.
Più vi preoccuperete del giudizio degli altri riguardo la vostra capacità di fare il genitore, maggiore sarà il rischio di reagire in modo troppo autoritario o troppo poco amorevole e paziente. Non si tratta di quello che gli altri pensano di voi: si tratta dei bisogni di vostro figlio.

Regola numero due: immaginate la situazione dal punto di vista di vostro figlio. Chi è preda di un capriccio molto probabilmente si sente spaventato dalla sua stessa rabbia, terrorizzato dalla propria mancanza di controllo. Quindi non farete alcun favore al bambino ignorandolo o trattandolo in modo brusco. Ricorrete al controllo strettamente necessario ad assicurarvi che persone (e, meno importante, cose) non siano in pericolo. Pensate a trasmettergli serenità, calma e rassicurazioni, lasciando che il capriccio sbollisca da sé. Solo dopo potrete affrontarne le cause implicite insieme.

Fate pratica

Uno degli intenti di questo capitolo è mostrare quante volte tendiamo a escludere i nostri figli da scelte che sarebbero in grado di fare, sprecando così occasioni utili per imparare e soddisfare il loro bisogno di autonomia.
A tale proposito ho descritto alcune situazioni reali in cui si è consentito ai bambini di scegliere.
Il problema è che non ho modo di sapere se qualcuno degli esempi forniti possa essere applicabile alla vostra vita. Se fossimo seduti nella stessa stanza potrei chiedervi dei vostri casi specifici, dandovi risposte in merito, magari elaborando soluzioni, a partire dalla vostra particolare situazione, su come contribuire a una partecipazione maggiore e più proficua dei vostri figli. Tuttavia, poiché questo è un libro, e non un seminario, il massimo che possa fare è rivolgere l’ultima parte del capitolo direttamente a voi, raccomandandovi di coinvolgere, in ognuna delle tre attività che elencherò, il coniuge o il compagno, o magari un amico anch’esso genitore.

Esercizio 1
Tanto per incominciare potrebbe essere utile prendere in esame alcune modalità di risposta a situazioni comuni, con l’obiettivo di prendere dimestichezza con l’elaborazione di strategie collaborative e di sottolinearne le differenze rispetto ai più diffusi metodi impositivi.
Esempio A: Vostro figlio si rifiuta di andare a letto, prima fingendo di non avervi sentito annunciare l’ora di andare a dormire, poi elemosinando qualche altro minuto, e insistendo di avere ancora una cosetta da finire, protestando, poi, che non è giusto dovere andare a nanna tanto presto, infine rifiutandosi e basta in tono stizzito.
Elencate qualche esempio di reazione impositiva convenzionale:


Ora provate a pensare, in alternativa, a un paio di soluzioni collaborative:


Esempio B: Ultimamente vostro figlio ha iniziato a rivolgersi a voi - o a un fratello - in un tono offensivo.
Elencate di nuovo alcuni esempi di reazione impositiva:


Ed elencate alcune soluzioni collaborative:
 

Esercizio 2
Adesso provate a pensare a un atteggiamento di vostro figlio che vi disturba o vi preoccupa. Potrebbe rientrare nei problemi trattati nel libro o di una questione di cui non ho parlato.
Primo, descrivete il problema:



Supponiamo che a questo punto abbiate capito bene cosa non fare.
Prendetevi il tempo necessario - minuti, ore, magari giorni - per elaborare un paio di soluzioni potenzialmente più proficue. Annotatele.


Cerchiate o sottolineate la soluzione, tra quelle elencate, che pensate di applicare. Applicatela. Lasciate trascorrere del tempo, quindi prendete nota dei risultati - e di quanto si potrebbe fare in alternativa per ottenere risultati migliori.


Ripetete il procedimento una o più volte qualora lo riteniate necessario.
Esercizio 3
Ora che siete venuti a conoscenza dei metodi collaborativi, ne avete elaborati di propri, elaborandone infine alcuni in risposta a difficoltà reali vissute con vostro figlio, siete giunti all’ultima fase: l’elaborazione di metodi collaborativi non solo per vostro figlio ma con vostro figlio.
Se intendete farlo a partire da un problema diverso da quello descritto nell’esercizio precedente, ricorrete a un esempio diverso.
Al momento giusto chiedete a vostro figlio di pensare a quale sarebbe il modo migliore di affrontare il problema. Estrapolate una o due idee e annotatele:

1.

2.

3.

Insieme al vostro bambino scegliete la soluzione, tra quelle elencate, che vi sembra più promettente. Quindi mettetela in pratica.
Infine annotate i risultati ottenuti - e il modo migliore, per voi e per lui, di tornare ad applicare, all’occorrenza, la stessa soluzione.

Amarli senza se e senza ma
Amarli senza se e senza ma
Alfie Kohn
Dalla logica dei premi e delle punizioni a quella dell’amore e della ragione.Un classico dell’amore incondizionato. Come crescere i figli eliminando finalmente i piccoli ricatti, le minacce, le promesse e i premi. Crescere un figlio non è un gioco da ragazzi!Diventare genitori è un esame costante sulle capacità di affrontare disordine e imprevedibilità, un ruolo per cui non ci si può preparare davvero.Una delle difficoltà maggiori è la tentazione di domare l’atteggiamento di opposizione dei figli alle nostre richieste, rischiando di trasformarli in burattini addomesticati o, al contrario, di provocare danni approvando tutto ciò che dicono e fanno.Allora, come farsi obbedire dai propri figli?Sistemi educativi quali punizioni, castighi, premi e altre forme di controllo inducono i nostri figli a credere di essere amati solo se ci compiacciono o ci colpiscono in modo favorevole.Nel suo libro Alfie Kohn si allontana dai messaggi veicolati da certi metodi convenzionali e ribalta la prospettiva, chiedendosi quali siano i bisogni dei nostri figli e come possiamo soddisfarli.L’autore suggerisce una serie di idee per allontanarsi da metodi abituali che prevedono l’imposizione di qualcosa ai bambini, per approcciarsi a modalità che portino invece alla collaborazione con loro.Amarli senza se e senza ma risponde a una domanda cruciale: le nostre azioni quotidiane possono contribuire a rendere nostro figlio l’adulto che vorremmo?Consigli utili affinché il bambino possa aspirare a diventare un adulto sano, responsabile ma allo stesso tempo sensibile e premuroso.Un libro rivoluzionario e illuminante per diventare a tutti gli effetti genitori senza se e senza ma, poiché uno dei bisogni fondamentali del bambino è proprio essere amato in maniera incondizionata ed essere accettato anche quando combina guai o fallisce: in sintesi, essere amato per quello che è e non per quello che fa. Conosci l’autore Alfie Kohn ha pubblicato diversi libri, tra cui Punished by Rewards e The Schools Our Children Deserve, che hanno dato un forte contributo all’operato di educatori e genitori. Vive con la famiglia nei pressi di Boston, dove tiene conferenze e seminari, ed è raggiungibile sul web all’indirizzo www.alfiekohn.org.