CAPITOLO I

Amore condizionato

Mi è capitato di provare sollievo all’idea che, nonostante tutti gli errori commessi (e che continuo a commettere) da genitore, i miei figli staranno comunque bene per il semplice fatto di amarli. Dopo tutto l’amore lenisce ogni ferita. All you need is love1. Amare significa non dover mai dire mi dispiace di aver perso la calma in cucina, stamattina.
Si tratta di un’idea rassicurante perché basata sul concetto dell’esistenza di una realtà chiamata Amore dei Genitori, un semplice farmaco da somministrare ai figli a dosi più o meno massicce (più massicce sono, meglio è, ovvio). E se tale idea si rivelasse fatalmente semplicistica? Se esistessero diversi modi di amare i figli, e non tutti ugualmente auspicabili? Come osserva la psicanalista Alice Miller, si può amare un figlio “appassionatamente - ma non nel modo in cui avrebbe bisogno di essere amato”. Se questo è vero, la vera domanda non è se - o, addirittura, quanto - amiamo i nostri figli. Conta pure come li amiamo.

Appurato ciò, ecco presto stilata una lunga lista dei diversi tipi d’amore parentale, con varie indicazioni su quale di essi sia preferibile. In questo libro viene operata una distinzione sostanziale - ossia quella tra l’amare i figli per quello che fanno e amarli per quello che sono. L’amore del primo tipo è condizionato, ovvero deve essere conquistato dal bambino attraverso un comportamento da noi considerato consono o adeguandosi ai nostri standard. L’amore del secondo tipo è incondizionato: non dipende da come si comporta il bambino, dalla sua riuscita, dall’educazione o altro.

La mia intenzione è difendere il principio dell’amore incondizionato basandomi sia su un giudizio di valore, sia su una previsione. Il giudizio di valore consiste, molto semplicemente, nel fatto che i nostri figli non devono guadagnarsi la nostra approvazione. Siamo noi a doverli amare, come dice l’amica Deborah, “senza buoni motivi”. In più non conta che siamo noi a credere di amarli incondizionatamente, ma che siano loro a sentirsi amati in questo modo.
La previsione, poi, è che amare i propri figli in maniera incondizionata darà buoni frutti. Non è solo la cosa giusta da fare, in senso morale, ma anche quella più intelligente. Un bambino ha bisogno di essere amato così com’è, e per quello che è. E se ciò avviene, riuscirà ad accettarsi come persona fondamentalmente buona, anche quando fa il matto o delude, sentendosi inoltre più libero di accettare (e aiutare) gli altri. L’amore incondizionato è, in breve, quello di cui un bambino ha bisogno per sbocciare.

Tuttavia noi genitori spesso ci sentiamo spinti nella direzione di porre condizioni al nostro consenso, e non solo in ragione di quanto siamo stati educati a credere, ma anche per come siamo stati educati. Si potrebbe dire che veniamo condizionati a porre condizioni: un sentimento che ha radici profonde nella coscienza degli americani. L’accettazione incondizionata risulta, di fatto, rara persino come ideale: se si imposta una ricerca su Internet per le varianti dell’aggettivo incondizionato, i risultati ottenuti riguardano soprattutto discussioni su religione e animali domestici. È evidente come sia difficile per molte persone immaginare un amore senza se e senza ma tra esseri umani.
Nel caso dei bambini, “se” e “ma” hanno a che vedere con il comportamentoo con i risultati. In questo, e nei prossimi tre capitoli, verranno prese in esame le tematiche legate al comportamento, in particolare come molti tra i più diffusi metodi educativi spingano i bambini a sentirsi accettati solo se si comportano come loro richiesto. Nel capitolo V, invece, si analizzerà come alcuni di loro arrivino a concludere che l’amore dei genitori dipenda dai risultati ottenuti- ad esempio - a scuola e nello sport.
La seconda metà del libro fornisce alcune indicazioni pratiche su come andare oltre questo tipo di atteggiamento, per riuscire a offrire ai figli qualcosa di più simile al tipo di amore di cui hanno bisogno. Prima di tutto, però, vorrei soffermarmi sul concetto più ampio di amore condizionato: quali princìpi lo implicano (e lo distinguono dall’amore incondizionato) e quali conseguenze effettive ha sul bambino.

Due sistemi educativi, due diversi presupposti

Mia figlia Abigail ha attraversato alcuni mesi davvero difficili appena compiuti quattro anni, forse in ragione dell’arrivo di un rivale: si opponeva a ogni richiesta, facendo sempre più la cattiva, urlando e battendo i piedi. I soliti riti di passaggio si erano presto trasformati in lotte di potere. Ricordo che una sera la bambina aveva promesso di fare subito il bagno appena finito di cenare. Siccome non aveva mantenuto la promessa, appena le è stata ricordata si è messa a strillare tanto forte da svegliare il fratellino. Alla nostra richiesta di calmarsi aveva ripreso a urlare.
Ed eccoci al punto: calmate le acque, avremmo dovuto, io e mia moglie, riprendere la normale routine serale di coccole e lettura di una favola tutti insieme? Secondo l’approccio condizionato no: riprendere le solite piacevoli attività sarebbe stato come premiare la condotta inaccettabile. Tali attività avrebbero dovuto essere sospese, spiegando alla bambina, con delicata fermezza, il perché le veniva data una “lezione” come quella.
Questo atteggiamento risulta rassicurante e familiare a molti di noi, oltre a essere in linea con quanto sostenuto in moltissimi libri sull’educazione dei figli. Devo inoltre ammettere che, per certi versi, sarei stato ben lieto di imporre la mia volontà su Abigail, che mi aveva davvero seccato con le sue sfide continue. In questo modo avrei avuto l’impressione di essere io, genitore, a puntare i piedi perché lei non si sentisse autorizzata a comportarsi così. Avrei ripreso il controllo della situazione.

Al contrario l’approccio incondizionato afferma che quella appena descritta è una tentazione da tenere alla larga. Bisognerebbe invece riproporre le solite coccole e la solita lettura della favola tutti insieme. Il che, in realtà, non significa ignorare quanto accaduto. “Amore incondizionato” non è una simpatica definizione con cui si intende lasciare che i figli facciano quel che vogliono. È fondamentale (una volta passato il temporale) dar loro un insegnamento, riflettendo tutti insieme - proprio come abbiamo fatto noi con nostra figlia dopo averle letto la favola. Qualsiasi fosse l’insegnamento che volevamo trasmetterle, di certo sarebbe stato meglio recepito sapendo che il nostro amore per lei non era stato scalfito dal suo comportamento.
Che ci abbiamo riflettuto o meno, si tratta di due stili educativi che poggiano entrambi su una serie di princìpi psicologici, pedagogici e sulla natura umana. Innanzitutto l’approccio condizionato è strettamente legato alla scuola di pensiero nota come comportamentismo, che si rifà per lo più alle ultime teorie di B. F. Skinner, e la cui caratteristica saliente è, come dice il nome stesso, l’attenzione esclusiva al comportamento. Secondo questa teoria quello che conta nell’uomo è soltanto ciò che può essere visto e valutato. Poiché desideri e paure non sono visibili, tanto vale concentrarsi su quello che si fa.
Si ritiene inoltre che ogni comportamento abbia un inizio e una fine, un crescendo e un calando, solo se “rinforzato”. Secondo i sostenitori di questa dottrina qualsiasi cosa è interpretabile dal punto di vista dell’ottenimento di una qualche ricompensa, sia essa offerta deliberatamente o derivata naturalmente. Se il bambino è affettuoso con i propri genitori, o se condivide la sua porzione di dolce con un amichetto, ciò avviene solo in ragione del fatto che lo stesso gesto ha già prodotto gratificazioni in passato.

In breve, il modo in cui agiamo - che rappresenta il totale di quello che siamo - è determinato da forze esterne, ossia quelle che ci hanno premiato o punito in precedenza. Persino coloro che non hanno mai letto nulla di Skinner sembrano sposarne i princìpi. Quando genitori e insegnanti non fanno altro che parlare del “comportamento” di un bambino, è come se dessero importanza unicamente a quel che sta in superficie. Non importa chi siano i nostri figli, quello che pensano o sentono. Lasciate perdere motivazioni e valori: il punto è cambiarne il comportamento. Si tratta di un chiaro invito all’applicazione di sistemi educativi volti unicamente a imporre ai propri figli di agire - o di non agire - in un determinato modo.
Ecco un chiaro esempio di comportamentismo quotidiano: vi sarà forse capitato di incontrare genitori che obbligano il figlio a scusarsi dopo essere stato cattivo o offensivo - “Adesso chiedi scusa!”. Beh, che cosa accade in questi casi? Quei genitori pensano forse che pronunciare la fatidica frase faccia magicamente scaturire nei loro figli un sentimento di genuino rincrescimento, a dispetto di ogni evidenza contraria? O, peggio, neppure si curano che il figlio si senta davvero dispiaciuto, dal momento che non è la sincerità a contare ma l’atto di pronunciare le parole giuste. L’obbligo di chiedere scusa insegna soprattutto a dire cose che non si pensano affatto - ossia a mentire.
Non si tratta di un semplice atteggiamento isolato da rivedere. È uno dei molteplici esempi di come la filosofia skinneriana - concentrata unicamente sul comportamento - abbia limitato la nostra capacità di comprendere i figli, deformando il nostro rapporto con loro. Tutto ciò è evidente in molti schemi utilizzati per insegnare ai piccoli ad andare a nanna da soli o a usare il vasino. Dal punto di vista di certi metodi, il motivo per cui il bimbo piange da solo al buio è del tutto irrilevante: potrebbe essere per paura, per noia, per solitudine o per fame. Allo stesso modo non importa il motivo per cui un bambino di due anni rifiuti di fare pipì nel water come gli viene detto da mamma e papà. Gli esperti che suggeriscono metodi per accompagnare passo per passo i nostri bambini a dormire da soli nella propria cameretta, convincendoci a donare loro stellette dorate, caramelle, e premi vari in cambio di un po’ di pipì nel water, non si interessano dei pensieri, dei sentimenti e delle intenzioni alla base di un determinato comportamento, bensì solo del comportamento stesso (anche senza aver fatto le verifiche necessarie, azzarderei la seguente regola empirica: il valore di un manuale per genitori è inversamente proporzionale alle volte in cui riporta il termine “comportamento”).

Ma torniamo ad Abigail. L’approccio condizionato stabilisce che la lettura della favola o qualsiasi altra manifestazione del nostro amore costante nei suoi confronti non farebbe altro che invitarla a una nuova sfida. Ne dedurrebbe che va bene svegliare il fratellino o rifiutarsi di entrare in vasca, perché il nostro affetto verrebbe interpretato come rinforzo di quanto appena fatto.
L’amore incondizionato ha una visione dell’episodio descritto - e soprattutto degli esseri umani - assai diversa. Tanto per cominciare ci chiede di considerare i motivi del comportamento di Abigail più “interni” che “esterni”. Non è detto che le sue azioni trovino meccanicamente spiegazione in forze esterne quali la gratificazione ricevuta da un comportamento precedente. Forse la bambina si sente in balìa di paure che non conosce, o di frustrazioni difficili da esprimere.
Secondo l’amore incondizionato gli atteggiamenti sono solo il riflesso di pensieri e sentimenti, di bisogni e intenzioni. In sostanza ciò che conta è il bambino che mette in atto un comportamento, e non il comportamento in sé. I bambini non sono animaletti da addomesticare, né computer da programmare per dare risposte prevedibili a seconda degli input inseriti.
Essi si comporteranno in un modo piuttosto che in un altro per le più svariate ragioni, non sempre facilmente distinguibili. Non possiamo limitarci a ignorare tali ragioni, rispondendo solo alle conseguenze (ossia ai comportamenti). Ciascuna di quelle ragioni è, forse, responsabile di linee di condotta tra loro completamente diverse. Se, ad esempio, risultasse che il vero motivo dell’oppositività di Abigail è il timore delle maggiori attenzioni riservate al fratellino, dovremmo fare i conti con questo problema, e non ridurci a contenere l’espressione del suo timore.

Accanto all’impegno di capire e di attribuire una ragione specifica a ogni azione specifica esiste un imperativo essenziale: bisogna che la bambina sappia che le vogliamo bene, accada quel che accada. In realtà la cosa più importante stasera è che riceva le stesse coccole, così da comprendere dai nostri gesti che il nostro amore per lei è incrollabile. Ecco ciò che le serve per superare questo brutto momento.
Ad ogni modo infliggerle una giusta punizione difficilmente risulterà costruttivo. È più facile che la faccia di nuovo scoppiare a piangere e, quand’anche riuscisse a farla tacere per un po’ - o a evitare qualsiasi esternazione la sera successiva, per timore di un nostro allontanamento - il risultato finale sarà tutt’altro che positivo. Primo perché abbiamo ignorato quanto avveniva nella sua testa; secondo perché quello che noi consideravamo un insegnamento è più facile che a lei sembri la negazione del nostro bene. In generale questo sistema la farà sentire ancor più infelice, forse persino più sola e incompresa. Nello specifico le insegnerà che sarà amata - e degna d’amore - solo quando si comporta come vogliamo noi. Secondo le ricerche in merito, che illustrerò a breve, questo atteggiamento non fa che peggiorare le cose.

Riflettendo a fondo su tali questioni, nel corso degli anni sono giunto alla conclusione che l’amore condizionato non trova giustificazione solo nel comportamentismo, ma scaturisce anche da altro. Provate ancora una volta a immaginare: la bimba piange, visibilmente sconvolta, e quando smette il suo papà la porta nel lettone con sé e le legge, tenendola stretta stretta, un racconto di Rana e Rospo2. I sostenitori dell’approccio condizionato risponderebbero con un perentorio “No, no, no, questo significa rinforzare un comportamento sbagliato! Così la bambina impara che va bene essere cattivi!”

Tale interpretazione non si limita a riflettere un’idea preconcetta su ciò che imparano da una determinata situazione, o addirittura su come lo imparano. Riflette di una visione terribilmente cinica dell’infanzia - e più in generale della natura umana - secondo cui, appena ve n’è la possibilità, il bambino approfitta subito di noi. Dagli un dito e si prenderà il braccio. Da una situazione ambigua un bambino trarrà il peggior insegnamento (non “Sono amato, comunque”, bensì “Ehi, va bene se faccio danni!”). L’accettazione senza se e senza ma verrà interpretata come la licenza a comportarsi in modo egoistico, arrogante, avido e insensibile. L’amore condizionato scaturisce, almeno in parte, dalla profonda, e cinica, convinzione che accettare i figli per quello che sono di fatto consente loro di essere cattivi, poiché, in sostanza, è quel che sono3.
Per contro l’approccio incondizionato ci ricorda innanzitutto che scopo di Abigail non è quello di rendermi infelice. Non intende farmi dispetto, ma dirmi nell’unica maniera che conosce che qualcosa non va. Forse in un fatto avvenuto, o forse in fenomeni non così visibili ma presenti da un po’.
Si tratta di una posizione che si schiera a favore della fiducia nei confronti dei bambini, in opposizione al principio per cui dall’affetto essi traggono sempre l’insegnamento sbagliato, o che sapere di potersela cavare fa sì che vogliano sempre comportarsi male.
Non si tratta di una lettura romantica, o irrealistica, un negare il fatto che a volte bambini (e adulti) combinano seri pasticci. I figli vanno, sì, guidati e aiutati, ma non domati o sottomessi come piccoli mostri. I bambini sono capaci di compassione o di aggressività, altruismo o egoismo, collaborazione o competitività. Molto dipende dal modo in cui vengono cresciuti - che comporta, tra l’altro, il fatto di sentirsi amati incondizionatamente; se, quando sono più piccoli, si mettono a far capricci o rifiutano di fare il bagno come promesso, spesso il motivo risiede nell’età - ossia nell’incapacità di comprendere la fonte del proprio disagio, di esprimere i propri sentimenti in maniera più appropriata, di riuscire a mantenere una promessa. In un’ottica più ampia, la scelta tra approccio condizionato e incondizionato è quindi una scelta tra due visioni radicalmente diverse della natura umana.
In realtà c’è ancora tutta una serie di presupposti da mettere a nudo.

La nostra società ci insegna che le cose vanno guadagnate, che nella vita non regala niente nessuno; quindi l’eventuale contravvenzione a tale regola scatena la furia di molti. Si noti, ad esempio, la diffusa ostilità nei confronti dello stato assistenziale e di chi ne beneficia, o i modelli di retribuzione a risultato che imperversano nel mondo del lavoro; senza dimenticare tutti quegli insegnanti che considerano qualsiasi evento piacevole (ad esempio una vacanza) un regalo, una sorta di ricompensa per essere stati all’altezza delle loro aspettative.
In sostanza l’approccio condizionato riflette la tendenza a considerare ogni relazione umana, ivi comprese quelle all’interno della famiglia stessa, in termini di transazione economica. Le leggi di mercato - domanda e offerta, pan per focaccia - si ergono a princìpi assoluti e universali, come se tutto ciò che facciamo nella vita, compreso il rapporto con i nostri figli, fosse paragonabile all’acquisto di un’automobile o all’affitto di un appartamento.
Un autore di libri rivolti ai genitori - non a caso un comportamentista - si esprime in questi termini: “Se voglio portare mia figlia a fare una passeggiata, o se desidero abbracciarla e darle un bacio, prima devo essere certo che se lo sia meritato”4. Prima di liquidare tale affermazione come la visione di un estremista isolato, sappiate che l’esimia psicologa Diana Baumrind sostiene una tesi analoga contro l’approccio incondizionato (vedi cap. VI), per cui “il principio di reciprocità, il pagamento commisurato al valore del bene, è una legge di vita valida per tutti5.

Anche molti scrittori o terapeuti che non fanno esplicito riferimento alla questione paiono, tuttavia, adottare un modello analogo a quello economico.
Leggendo tra le righe, il messaggio che intendono trasmettere sembra scaturire dalla convinzione che se i bambini non si comportano come vogliamo noi, è giusto privarli di quello che piace loro. Dopotutto nulla si ottiene gratis. Neppure la felicità. Né l’amore.
Quante volte vi sarà capitato di sentire pronunciare - in tono enfatico e di sfida - che una cosa o un’altra è “un privilegio e non un diritto”? Mi capita allora di immaginare di condurre una ricerca volta a individuare i tratti di personalità caratteristici di chi sostiene questa posizione. Provate a pensare a un individuo convinto che tutto, dal gelato alle attenzioni, sia condizionato dal comportamento del bambino, che nulla vada mai regalato.
Riuscite a crearvene un’immagine? Che espressione del viso vedete? Vi sembra una persona felice? Vi sembra che le piaccia davvero stare con i bambini? La vorreste come amico?

Quando sento ribadire il principio di cui sopra, poi, non posso fare a meno di chiedermi che cosa intenda l’interlocutore per diritto. Non c’è proprio nulla a cui un essere umano abbia semplicemente diritto? Non esistono relazioni che vorremmo esenti dalle leggi economiche? È vero che gli adulti si aspettano un compenso per il lavoro svolto, così come si aspettano di pagare cibo e altri beni. Il punto però è se, o in quali circostanze, un simile “principio di reciprocità” sia applicabile ai rapporti familiari e d’amicizia.
La psicologia sociale spiega come, in realtà, esistano persone con cui intratteniamo rapporti che potremmo definire relazioni di scambio: farò qualcosa per te se tu fai qualcosa per me (o mi dài qualcosa); precisando tuttavia che ciò non vale, né che auspichiamo valga, per tutte le nostre relazioni, alcune delle quali si basano sull’altruismo più che sulla reciprocità. Secondo uno studio, infatti, coloro che vivono il rapporto coniugale in termini di scambio, assicurandosi di ricevere tanto quanto offerto, tendono ad avere matrimoni meno soddisfacenti6.

Diventati adulti, i nostri figli avranno innumerevoli occasioni di inserirsi come attori economici, consumatori e lavoratori, in contesti in cui le regole dell’interesse personale e i termini di ogni scambio vengono calcolati con la massima precisione. Tuttavia l’approccio incondizionato insiste nel ritenere la famiglia un porto, un rifugio da tali transazioni e, in particolare, l’amore di un genitore gratuito in tutti i sensi. È un puro e semplice dono.
Un diritto di ogni bambino.
Se tutto ciò vi sembra plausibile, e se i princìpi fondamentali dell’amore incondizionato - quali guardare al bambino nella sua interezza, non solo per il suo comportamento, e smettere di aspettarsi il peggio dalla natura dei nostri figli - vi suonano altrettanto sensati, allora si rende necessario rimettere in discussione i modelli educativi convenzionali basati su princìpi diametralmente opposti. I sistemi che seguono l’ottica dell’amore condizionato tendono all’ottenimento dell’obbedienza tramite l’imposizione. Per contro i consigli elencati nella seconda metà del libro, che scaturiscono naturalmente dal principio dell’amore incondizionato, sono tutte variazioni sul tema della collaborazione con i figli, per aiutarli a diventare adulti per bene in grado di prendere le giuste decisioni.
Lo schema seguente riassume le principali differenze tra i due approcci:


INCONDIZIONATO
CONDIZIONATO
Interesse
Bambino nella sua
interezza (pensieri,
sentimenti, ragioni)
Comportamento
Visione della
natura umana
Positiva ed equilibrata
Negativa
Visione dell’amore
del genitore
Dono
Privilegio da
guadagnare
Modalità
“Collaborazione”
(risoluzione dei problemi)
“Imposizione”
(controllo attraverso
premi e punizioni)

Conseguenze dell’amore condizionato

Così come è possibile che i nostri sistemi educativi siano in contraddizione con gli obiettivi a lungo termine che ci prefiggiamo per i nostri figli (vedi l’Introduzione), è altrettanto possibile rilevare un’incongruenza tra i metodi dettati dall’approccio condizionato e le nostre più profonde convinzioni.
In entrambi i casi sarebbe forse utile rivedere il nostro operato nei confronti dei figli. Tuttavia il processo all’approccio condizionato non si esaurisce nella valutazione di princìpi e presupposti difficilmente accettabili dai più. Tale processo si inasprisce nel momento in cui si vanno a valutare le conseguenze reali che questo tipo di educazione ha sui bambini.
Quasi mezzo secolo fa lo psicologo Carl Rogers rispose all’interrogativo: “Che cosa accade quando l’amore di un genitore dipende dal comportamento dei figli?”. Rogers risponde che i destinatari di questo amore prenderanno a negare le parti di sé che non vengono apprezzate, arrivando infine a considerarsi degni solo agendo (pensando o sentendosi) in determinati modi7. Si tratta, in sostanza, dell’anticamera della nevrosi - se non peggio. Una pubblicazione dell’Irish Department of Health and Children8 (diffusa e adottata presso molte organizzazioni internazionali) illustra, attraverso dieci esempi, il concetto di “abuso emotivo”. Al secondo punto, subito dopo “costanti critiche, sarcasmo, ostilità o colpevolizzazione” si legge “amore condizionato da parte del genitore, il cui affetto nei confronti del figlio dipende dal comportamento e dalle azioni di quest’ultimo”9.

Se interrogati, gran parte dei genitori risponde di amare i figli ovviamente in modo incondizionato, indipendentemente dai metodi che io (e altri autori) consideriamo problematici. Alcuni di loro arrivano persino a dire di punirli secondo tali modalità proprio perché li amano. Vorrei allora tornare su una considerazione finora soltanto accennata. I sentimenti che proviamo per i nostri figli non hanno la stessa importanza del modo in cui essi vivono questi sentimenti e considerano la maniera in cui vengono trattati. Gli insegnanti ci ricordano che in classe non conta tanto cosa viene insegnato, ma quello che viene appreso. E lo stesso vale in famiglia: l’importante è il messaggio che i figli ricevono, non quello che pensiamo di aver trasmesso.
I ricercatori che si occupano di studiare gli effetti dei diversi metodi educativi hanno trovato non poche difficoltà nel trovare un sistema che individuasse e valutasse che cosa in effetti accada tra le mura domestiche.
Non sempre è possibile avere un’osservazione diretta delle principali interazioni (o riuscire a filmarle), per cui si è reso necessario condurre alcuni esperimenti in laboratorio, dove viene chiesto alla coppia figlio-genitore di fare qualcosa insieme. A volte i genitori vengono interrogati direttamente, o si chiede loro di rispondere a un questionario, circa i metodi educativi adottati di prassi. Se abbastanza grandi, sono i figli stessi a venire interrogati sul comportamento dei genitori, o - se già adulti - su come essi erano soliti comportarsi.
Si tratta di sistemi che comportano degli svantaggi, e la scelta del metodo può influire sui risultati dello studio. Quando, ad esempio, viene chiesto separatamente a genitori e figli di raccontare quanto avvenuto, i resoconti possono esser molto diversi10. È interessante notare come, per conoscere la verità in modo obiettivo, la percezione che hanno i bambini dei comportamenti dei genitori è tanto accurata quanto ciò che dei propri comportamenti riferiscono i genitori stessi11.
Tuttavia il punto non è stabilire chi abbia ragione, pressoché impossibile quando sono in gioco i sentimenti, piuttosto definire a quale prospettiva corrispondono gli svariati effetti registrati nel bambino. Si prenda in esame uno studio rivolto all’approccio condizionato. I figli di genitori che dichiaravano di adottare tale metodo non apparivano diversi dai figli di chi dichiarava il contrario. Tuttavia quando i bambini venivano divisi dai ricercatori in chi percepiva o meno l’utilizzo di tali sistemi, la differenza diventava lampante. Coloro che riconoscevano di aver ricevuto amore condizionato da parte dei genitori stavano mediamente peggio di quelli che non lo riconoscevano12. Ulteriori particolari verranno analizzati in seguito.
In questa sede voglio semplicemente sottolineare che quello che pensiamo di fare (o giureremmo di non fare) come genitori non è tanto importante, in termini di effetti sui nostri figli, quanto il loro vissuto rispetto a questo.
Nel corso degli ultimi anni si è registrato un boom di ricerche sull’amore condizionato, il cui prodotto più significativo risulta essere una pubblicazione
del 2004. Si tratta di uno studio che ha preso in esame oltre un centinaio di studenti universitari, a cui è stato chiesto se il bene loro dimostrato dai genitori variasse a seconda di quattro possibili fattori: se, da bambini, erano stati (1) bravi studenti, (2) molto impegnati nello sport, (3) molto rispettosi verso il prossimo, (4) bravi a reprimere sentimenti negativi quali la paura.
Inoltre è stato loro chiesto se di fatto avessero la tendenza ad assumere quel genere di comportamenti (quali, ad esempio, reprimere i propri sentimenti o
preparare gli esami al meglio) e come fosse il rapporto con i genitori.
La ricerca ha rivelato che il ricorso all’amore condizionato contribuiva almeno in parte a ottenere i comportamenti auspicati. I bambini che ricevevano l’approvazione dei genitori solo in base a determinati atteggiamenti finivano con maggior probabilità per assumere quegli stessi atteggiamenti - anche all’università. Tuttavia il prezzo di una tale modalità risultava molto alto: primo, gli studenti convinti di essere amati dai genitori in modo condizionato finivano più spesso per sentirsi rifiutati e, di conseguenza, per provare risentimento e avversione nei loro confronti.
È facile immaginare come, alla stessa domanda, i genitori in questione avrebbero risposto: “Non so proprio come mio figlio possa pensarla così!
Gli voglio bene sempre e comunque!”. Le versioni ascoltate sono risultate loro così diverse - e scomode - solo perché i ricercatori hanno deciso di intervistare quegli “ex” bambini direttamente. Molti di loro sentivano di ricevere molto meno affetto se non riuscivano a soddisfare le aspettative dei
genitori, o se non obbedivano - proprio gli studenti che avevano rapporti tesi con la famiglia di origine.

Per maggiori conferme, è stato condotto un ulteriore studio in cui si prendevano in esame oltre un centinaio di madri con figli grandi. Anche in questo caso l’amore condizionato è risultato deleterio: le madri che, da bambine, avevano percepito di essere amate dai genitori solo quando riuscivano a soddisfarne le aspettative, da adulte avevano una minor stima di sé. Tuttavia dimostravano una spiccata tendenza a riproporre gli stessi metodi una volta diventate genitrici. Quelle madri riversavano un affetto condizionato “sui figli nonostante i risvolti negativi che tale metodo aveva avuto su di loro”13.
Benché si tratti - a quanto mi risulti - del primo studio a dimostrare come i metodi educativi legati all’amore condizionato vengano tramandati ai figli, ulteriori prove a conferma dei risvolti negativi di tale approccio sono state raccolte anche da altri psicologi. Nel prossimo capitolo, che affronterà due particolari modalità di attuazione dell’approccio condizionato, verranno illustrati alcuni di questi risvolti; anche se, in termini generali, i risultati ottenuti sono pressoché inconfutabili. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Denver, ad esempio, ha dimostrato come gli adolescenti che avvertono l’obbligo di soddisfare determinati requisiti per potersi guadagnare l’approvazione dei genitori spesso finiscono per non apprezzarsi.
Questo, a sua volta, può spingere un adolescente a costruirsi un “falso sé” - in altri termini, a fingere di essere la persona che mamma e papà amano.
La disperata ricerca di approvazione spesso comporta depressione, disperazione, e la tendenza a perdere il contatto con il proprio sé autentico. In certi casi l’adolescente arriva a non riconoscere più chi sia veramente, talmente duro è stato lo sforzo per diventare qualcun altro14.
Negli anni la ricerca ha scoperto che “maggiore è il sostegno condizionato ricevuto, minore è la percezione del proprio valore”. Se il bambino riceve amore a determinate condizioni, si accetterà solo a determinate condizioni.
Per contro coloro che si sentono accettati senza se e senza ma - dai genitori o, come indicano alcuni studi, anche dagli insegnanti - si sentiranno più facilmente meglio nei propri panni15, proprio come predetto da Carl Rogers.
E questo ci conduce al fine ultimo di questo libro, il punto chiave su cui vi invito a riflettere. Nei questionari sottoposti agli adolescenti o ai giovani adulti per la valutazione dell’approccio condizionato, di solito viene chiesto di scegliere tra “sempre”, “spesso”, “qualche volta”, “quasi mai”, “mai” in risposta a quesiti quali “Mia madre mi faceva sentire il legame affettivo tra noi anche durante i nostri più accesi contrasti”, oppure “Quando mio padre non è d’accordo con me, so che mi vuole bene comunque”16. E voi, come vorreste che rispondessero i vostri figli a domande come queste, fra dieci o quindici anni - e come pensate risponderanno?

Amarli senza se e senza ma
Amarli senza se e senza ma
Alfie Kohn
Dalla logica dei premi e delle punizioni a quella dell’amore e della ragione.Un classico dell’amore incondizionato. Come crescere i figli eliminando finalmente i piccoli ricatti, le minacce, le promesse e i premi. Crescere un figlio non è un gioco da ragazzi!Diventare genitori è un esame costante sulle capacità di affrontare disordine e imprevedibilità, un ruolo per cui non ci si può preparare davvero.Una delle difficoltà maggiori è la tentazione di domare l’atteggiamento di opposizione dei figli alle nostre richieste, rischiando di trasformarli in burattini addomesticati o, al contrario, di provocare danni approvando tutto ciò che dicono e fanno.Allora, come farsi obbedire dai propri figli?Sistemi educativi quali punizioni, castighi, premi e altre forme di controllo inducono i nostri figli a credere di essere amati solo se ci compiacciono o ci colpiscono in modo favorevole.Nel suo libro Alfie Kohn si allontana dai messaggi veicolati da certi metodi convenzionali e ribalta la prospettiva, chiedendosi quali siano i bisogni dei nostri figli e come possiamo soddisfarli.L’autore suggerisce una serie di idee per allontanarsi da metodi abituali che prevedono l’imposizione di qualcosa ai bambini, per approcciarsi a modalità che portino invece alla collaborazione con loro.Amarli senza se e senza ma risponde a una domanda cruciale: le nostre azioni quotidiane possono contribuire a rendere nostro figlio l’adulto che vorremmo?Consigli utili affinché il bambino possa aspirare a diventare un adulto sano, responsabile ma allo stesso tempo sensibile e premuroso.Un libro rivoluzionario e illuminante per diventare a tutti gli effetti genitori senza se e senza ma, poiché uno dei bisogni fondamentali del bambino è proprio essere amato in maniera incondizionata ed essere accettato anche quando combina guai o fallisce: in sintesi, essere amato per quello che è e non per quello che fa. Conosci l’autore Alfie Kohn ha pubblicato diversi libri, tra cui Punished by Rewards e The Schools Our Children Deserve, che hanno dato un forte contributo all’operato di educatori e genitori. Vive con la famiglia nei pressi di Boston, dove tiene conferenze e seminari, ed è raggiungibile sul web all’indirizzo www.alfiekohn.org.