CAPITOLO VII

I princìpi dell’amore incondizionato

È bene che vi avverta subito: qui di seguito non troverete nessuna ricetta illustrata su “come crescere figli perfetti”. Prima di tutto dovrei essere io un genitore pressoché perfetto, e purtroppo non lo sono, per poter pensare di propinare agli altri una guida risolutiva e a prova di insuccesso su come crescere i loro, di figli. Secondo, nutro comunque forti dubbi sul senso di un approccio del genere. I consigli molto specifici (Se tuo figlio dice xprova a recarti presso y, e con un tono di voce z pronuncia la frase…”) non rispettano né i genitori, né i loro bambini. Crescere un figlio non è come montare un impianto home theater nel proprio salotto o preparare lo stufato, per cui basta solo seguire alla lettera le istruzioni di un esperto. Non esistono formule buone per tutti i casi, né posso prevedere un numero infinito di situazioni. Quindi i manuali che dichiarano di poter offrire formule del genere, tanto ambiti da mamme e papà alla disperata ricerca della cura miracolosa, fanno in genere più male che bene.

Quello che intendo fare, in questo e nei prossimi capitoli, è stilare una serie di princìpi generali e alcune proposte su come elaborare possibili alternative ai metodi educativi convenzionali, attingendo ai risultati della ricerca scientifica, alla sintesi di alcune opere di esperti competenti, dalla mia stessa esperienza e dall’osservazione di tante famiglie. Dovrete solo decidere se queste proposte vi sembreranno sensate e, in caso affermativo, come poterle applicare al percorso di crescita dei vostri figli.
I consigli che vi darò risulteranno, in verità, ben più impegnativi di quelli proposti in molti altri manuali. È più difficile far sì che i nostri bambini si sentano amati incondizionatamente che amarli e basta. È più difficile rapportarsi alla loro complessità che non concentrarsi solo sul loro comportamento.
È più difficile tentare di risolvere un problema insieme a loro, spiegando loro le ragioni per cui è bene fare la cosa giusta (per non parlare di come aiutarli a elaborare le loro ragioni) che non controllarli ricorrendo a bastone e carota. “Collaborare” richiede molti più sforzi che non “controllare”.

Curiosamente la “collaborazione” viene spesso relegata tra le aspettative troppo ambiziose. Un ricercatore, notando come i bimbi piccoli tendano in genere a comportarsi male anche quando si chiede loro di smettere, osserva che a quel punto i genitori concludono che è tutto inutile parlare con i bambini. E sottolinea come tuttavia spesso neppure le punizioni, specie quelle corporali, si dimostrano utili. Infatti la metà dei bambini di circa due anni presi in esame tornavano a comportarsi male nelle due ore successive - e quattro su cinque prima di sera - indipendentemente dalla prima reazione dei genitori. “Con la differenza… che se gli sculaccioni non funzionano, i genitori non ne mettono in dubbio l’efficacia1 (al contrario è tipico, in questi casi, ritenere che il piccolo abbia ancora più bisogno di disciplina).

Non ci sono interventi particolari, né da parte mia, né da parte di nessun altro, in grado di garantire un risultato certo. Cercare, però, di imporre a un bambino la propria volontà quasi certamente non produrrà altro risultato che un’obbedienza provvisoria e carica di risentimento (spesso, come dimostrato al capitolo III, neppure quella). Quanto proporrò ha maggiori possibilità di successo, con rischi molto ridotti sul fronte di un sano sviluppo del bambino o della relazione.
La revisione dei vecchi metodi si deve, tuttavia, accompagnare a una revisione degli obiettivi. Nello specifico la domanda principale non dovrebbe essere “Come riuscire a ottenere che mio figlio faccia quello che dico?”, bensì “Quali sono i bisogni di mio figlio - e come posso soddisfare questi bisogni?”.
Secondo la mia esperienza è possibile prevedere molto di quanto avviene nelle famiglie già solo sapendo quale delle due domande risulta prioritaria per i genitori. Non c’è neppure bisogno di conoscere la risposta che si sono dati - ossia, a quali metodi ricorrano per essere obbediti (nel primo caso) o quali bisogni attribuiscano ai figli (nel secondo). È la domanda che conta.

Concentrarsi sui bisogni dei propri figli, collaborando con loro per assicurarsi che questi vengano soddisfatti, rappresenta l’impegno a prendere i bambini sul serio. Significa trattarli da persone con sentimenti, desideri e interrogativi degni di considerazione. Non sempre è possibile accontentare i gusti di un bambino, tuttavia si può sempre prestare loro ascolto; loro hanno bisogno di non sentirsi liquidare in due parole. È importante vedere in un bambino una persona con un proprio punto di vista, con paure e preoccupazioni molto concrete (spesso ben diverse dalle nostre) e dotate di una capacità di ragionamento molto personale (e non solo “buffa”).
Quando mi trovo a reagire con orrore davanti a certi esperti e ai consigli spietati che sciorinano con tanta noncuranza, di solito è perché non mi danno affatto l’impressione di rendere onore - o in alcuni casi persino di apprezzare - i bambini. E lo stesso principio lo applico nell’osservare gli altri genitori: non mi preoccupa tanto che operino le mie stesse scelte o che ricorrano alle mie stesse strategie, quanto, per contro, se nei gesti, nelle parole e nel tono di voce traspaia che prendano i loro figli sul serio.
Nei prossimi tre capitoli darò qualche suggerimento affinché ciò avvenga attraverso tre modalità precise: esprimere un amore incondizionato, concedere maggiori possibilità di decisione ai figli e vedere le cose dal punto di vista del bambino. Prima di tutto, però, voglio proporvi una bella manciata di princìpi guida, ognuno dei quali dotato di implicazioni pratiche ben più sorprendenti e complesse di quanto non traspaia dalla breve descrizione.
Eccoli:

  1. Siate riflessivi.
  2. Rivedete le vostre richieste.
  3. Tenete sempre presente gli obiettivi a lungo termine.
  4. Mettete la relazione prima di tutto.
  5. Cambiate modo di vedere, non solo modo di agire.
  6. R I S P E T T O.
  7. Siate autentici.
  8. Parlate meno e chiedete di più.
  9. Tenete presente l’età dei vostri figli.
  10. Attribuite alle azioni dei vostri figli la migliore motivazione compatibile con i fatti.
  11. Non dite ‘no’ anche quando non è necessario.
  12. Non siate rigidi.
  13. Non abbiate fretta.

1) Siate riflessivi
Una volta, in un momento di frustrazione, mia moglie ha sollevato un dilemma comune a tanti genitori. “Non so come far fare ai bambini quello che dico senza arrivare a commettere gesti riprovevoli”. Non ci sono facili soluzioni a un problema come questo, ma ce n’è una che va subito scartata con decisione: quella di razionalizzare un determinato gesto in modo tale che non ci appaia più tanto riprovevole. Puff! Fine del dilemma. Allo stesso modo alcuni genitori riescono a convincersi che qualsiasi regola abbiano stabilito, comprese quelle senza una giustificazione plausibile, sia in qualche modo nell’interesse del figlio.
I genitori migliori sono introspettivi e desiderosi di darsi del filo da torcere.
Con questo non vi consiglio di struggervi nel senso di colpa e di inadeguatezza: non c’è nulla come essere ipercritici verso se stessi (o critici in modo improduttivo). Tuttavia la maggior parte di noi trarrebbe vantaggio dal dedicare del tempo a riconsiderare il proprio comportamento nei confronti dei figli, così da essere, domani, genitori migliori di oggi.
Provate a cogliere quale potrebbe essere il vostro stile educativo predominante.

Più sarete trasparenti con voi stessi, meglio riuscirete a capire come desideri ed esperienze influenzino il vostro modo di agire con i figli (ossia che cosa vi manda in bestia e perché), e più possibilità avrete di migliorarvi. Per esempio le caratteristiche di un figlio che più irritano un genitore spesso risultano essere sgraditi ricordi dei propri peggior difetti.
Come dice Piet Hein, poeta e scienziato danese: “Gli errori più difficili da perdonare / sono quelli che noi stessi abbiamo commesso”.
In breve: siate onesti con voi stessi riguardo le vostre ragioni. Non smettete di sentirvi a disagio per vostri comportamenti che suscitano davvero disagio. E tenetevi pronti a cogliere quei segnali che indicano come il vostro modo di interagire con i figli stia andando nella direzione del controllo senza che ve ne rendiate conto.

2) Rivedete le vostre richieste
Ecco un’eventualità inquietante: quando vostro figlio non fa quel che gli dite, forse il problema non sta nel bambino, ma in quello che gli state chiedendo. Stupisce come siano pochi i libri rivolti ai genitori che osino persino ventilare una simile eventualità. La stragrande maggioranza di tali manuali prendono come punto di partenza quello che i genitori intendono far fare ai propri figli, proponendo quindi sistemi per ottenerne l’obbedienza.
Nella maggioranza dei casi si tratta di tecniche che comprendono il “rinforzo positivo” o le “lezioni” - ossia minacce e ricatti. Altre volte prevedono modalità di interazione più ragionevoli e rispettose. Quasi mai, tuttavia, i genitori vengono incoraggiati a rivedere le proprie richieste.
Un libro di recente pubblicazione sottolinea, ad esempio, l’importanza di una maggiore disponibilità e abilità nella ricerca di accordi favorevoli per tutti; idea che trovo molto utile, così come l’impostazione, di un’umanità rigenerante. Tuttavia nel rivolgersi a genitori che chiedevano consiglio su come convincere i figli a rifarsi il letto o a mangiare la verdura l’autore pare aver tralasciato l’eventualità che possa trattarsi di obiettivi problematici. Se offriamo ai nostri bambini un’alimentazione salubre, si rende necessario costringerli a mangiare? E perché mai l’unico luogo al mondo di loro reale proprietà dovrebbe essere tenuto in ordine secondo gli standard dei genitori? Persino i manuali relativamente progressisti tendono a concentrarsi sul come, piuttosto che sul se, ottenere che i figli facciano quello che vogliono i genitori.

In certi casi il problema consiste nel fatto che la richiesta del genitore risulta
fuori della ragionevole portata di un bambino di una certa età (a breve vedremo in che senso). Ma anche quando quest’ultimo è in grado di adempiervi, vale sempre la pena chiedersi se sia il caso. Alcuni genitori vogliono sapere come riuscire a far suonare il pianoforte al proprio bambino; tuttavia la domanda principale è: se l’intera faccenda viene vissuta come una tortura, perché mai costringerlo a seguire le lezioni? Lo fate per lui, o per voi? Volete che finisca per odiare la musica? Lo stesso vale per molti altri ambiti.
Certo ci sono cose che ci aspettiamo dai nostri figli del tutto ragionevoli, anche se è possibile che ci troviamo in disaccordo su quali attività facciano parte della categoria. Quello che mi sta più a cuore tuttavia è che, ancor prima di mettersi alla ricerca di metodi che inducano i nostri bambini a fare ciò che diciamo loro, dovremmo innanzitutto dedicare del tempo a riconsiderare il valore o la necessità di quanto richiesto.

3) Tenete sempre presente gli obiettivi a lungo termine
Ho iniziato a scrivere questo libro invitandovi a ragionare su quello che desiderate per i vostri figli nel lungo periodo, tenendo presente l’eventualità che certi metodi educativi potrebbero, in realtà, essere d’ostacolo alla realizzazione di tali obiettivi. Ora che alcuni di questi metodi sono stati presi in esame in maniera più approfondita, potrebbe essere utile riesaminare ad uno ad uno gli obiettivi individuati.
Supponiamo, ad esempio, che desideriate fare di vostro figlio un adulto a) onesto, b) in grado di intessere relazioni serene, c) intellettualmente curioso, e d) fondamentalmente contento di sé. A questo punto il vostro compito è chiedervi se sia più o meno possibile realizzare tali obiettivi ricorrendo a tecniche di negazione dell’amore quali castighi o il rinforzo selettivo dei comportamenti da voi apprezzati, o ancora ricorrendo (anche senza tante parole) a frasi del tipo “Perché sono tua madre, ecco perché!”
Di fatto tutto ciò che fate ai vostri figli con cadenza regolare dovrebbe essere giudicato alla luce del fine ultimo che vi siete prefisso.
Non serve sempre tanta sistematicità per intavolare questo genere di riflessione. In senso più generale bisogna tenere a mente quello che davvero si vuole. È troppo facile cadere intrappolati nelle quisquilie di tutti i giorni, nei battibecchi e nelle frustrazioni che distolgono l’attenzione dai problemi seri. La buona notizia è che quando un genitore riesce a tenere ben presenti i suoi obiettivi più ampi - concentrandosi di fatto su mete più ambiziose che non quella di ottenere l’immediata obbedienza dei figli - tende a mettere in pratica metodi educativi più efficaci, ottenendo così risultati migliori2.
Dovremmo tutt’al più riuscire a vedere in prospettiva. Se oggi vostro figlio rovescia il cartoccio del latte al cacao, o perde la calma o ancora si dimentica di fare i compiti, non sarà mai tanto importante quanto ciò che farete o che non farete per aiutarlo a diventare una persona rispettabile, responsabile e generosa.

4) Mettete la relazione prima di tutto
Parlando di sommi obiettivi, l’importanza della relazione con i nostri figli non sarà mai sopravvalutata. Poco tempo fa il mio amico Danny mi ha fatto un sunto di quanto appreso nella sua carriera di padre: “Aver ragione non è per forza la cosa più importante”. In realtà importa molto poco se tuo figlio si irrigidisce non appena ti vede entrare nella stanza.
Da un punto di vista schiettamente pratico è più facile gestire il cattivo comportamento dei figli - e i problemi risultano più facilmente superabili - se li facciamo sentire abbastanza al sicuro da venire a riferirci le ragioni della loro difficoltà, a cercarci per un consiglio e, potendo scegliere, da desiderare trascorrere del tempo in nostra compagnia. Inoltre, una volta certi di potersi fidare di noi, e se gliene spieghiamo l’importanza, sarà più probabile che i nostri figli faranno quello che chiediamo loro.
Certo una relazione solida e amorevole non è giustificabile innanzitutto in quanto utile; è fine a se stessa. Ecco perché dovremmo chiederci se valga la pena comprometterla solo per ottenere che nostro figlio dorma tutta la notte, inizi a usare il vasino o si comporti a modo. Ci saranno momenti in cui, per fare la cosa giusta, dovremo usare fermezza, scatenando la frustrazione dei nostri figli. Ma prima di ricorrere a interventi di controllo, o di causare l’infelicità del nostro bambino, di certo prima ancora di fare qualsiasi gesto che possa venire interpretato come condizione per il nostro amore, dovremmo essere assolutamente certi che valga la compromissione della relazione3.

5) Cambiate modo di vedere, non solo modo di agire
I genitori che amano senza condizioni non solo si comportano in modo diverso, ad esempio rifiutando l’uso delle punizioni, ma vedono le cose in modo diverso. Quando un bambino commette qualcosa di inappropriato, i genitori che vogliono bene in maniera condizionata percepiscono l’accaduto come un’infrazione, e alle infrazioni fa seguito, di norma, una “lezione”.
Quelli, invece, che amano incondizionatamente riescono a vedere lo stesso evento come un problema da risolvere, un’opportunità per insegnare qualcosa al bambino, non per farlo soffrire. Di nuovo non si tratta semplicemente di scegliere tra un approccio “collaborativo” e uno “impositivo”; tale scelta dipende dal senso che si attribuisce a quanto accaduto. Per di più considerare il comportamento dei figli come “momento di apprendimento” è un invito a coinvolgerli nel processo di risoluzione dei problemi che, in questo modo, risulterà più efficace.

6) R i s p e t t o
Quando dico di prendere i bambini sul serio, in parte intendo di trattarli con rispetto. Il mio personale giudizio di valore è che tutti lo meritano, e la mia ipotesi è che i bambini hanno maggior tendenza a rispettare il prossimo (voi compresi) se vengono a loro volta rispettati. Persino quei genitori che amano i propri figli senza alcun dubbio non sempre dimostrano altrettanto rispetto nei loro confronti: alcuni dimostrano loro sprezzo e sarcasmo, o ne banalizzano le paure; interrompono i figli con maniere che neppure si sognerebbero di usare con un adulto, eppure vanno su tutte le furie se sono loro a essere interrotti. Arrivano persino a parlarne in tono denigratorio:
“Oh, vuol fare la prima donna adesso”, “Quando fa così basta ignorarlo”.
Trattare i bambini con rispetto significa evitare tutti questi comportamenti, ma significa altresì rendersi conto che essi sanno molte più cose di quanto immaginiamo - e non mi riferisco soltanto al fatto di sapere quale dinosauro fosse carnivoro. Thomas Gordon lo spiega molto bene: “A volte i bambini sanno meglio dei genitori quando hanno fame o sonno; sanno riconoscere meglio le qualità dei loro amici, le proprie aspirazioni, i propri obiettivi, come vengono trattati dai diversi insegnanti; sanno distinguere meglio i bisogni e gli impulsi del loro organismo, chi gradiscono e chi no, quello che apprezzano e quello che non apprezzano”4. Ad ogni modo non possiamo sempre presumere che, poiché più maturi, siamo automaticamente capaci di leggere attraverso i nostri figli più di quanto non siano in grado di fare loro stessi.

Risulta quindi una mancanza di rispetto nei confronti del bambino descrivergli quello che sta o non sta provando - controbattendo, per esempio, alla dichiarazione d’odio contro il fratellino con l’esclamazione “Come puoi dire così? Ma non è vero!”. Oltre al fatto di risultare del tutto inopportune, sono risposte interpretabili nel senso di un’accettazione condizionata.
Il bambino potrebbe essere indotto a pensare che i suoi sentimenti non hanno importanza, che sia sbagliato provarli e che gli si vorrà bene solo se si arrabbierà per le cose che mamma dice essere cose che fanno arrabbiare.

7) Siate autentici
Alcune madri e alcuni padri vengono accusati di voler fare gli amici dei figli piuttosto che i genitori. Concordo con il ritenere che questo genere di confusione possa risultare sconveniente oltre che niente affatto d’aiuto.
Tuttavia, nel cercare di andare oltre il cameratismo, non dimentichiamo di comportarci da persone con i nostri figli, senza nasconderci dietro il ruolo di Padre o di Madre, al punto tale da far scomparire ogni umanità (o il rapporto umano instaurato con loro).
Con questo non intendo dire che con i figli dovremmo addentrarci nei più intimi dettagli della nostra vita. Certe cose è bene raccontarle quando avranno l’età giusta, altre è bene non raccontarle mai. Esiste, però, una dimensione di autenticità che è venuta meno nel modo di agire di certi genitori con i propri bambini, i quali riescono a percepire acutamente tale mancanza nonostante la loro incapacità di individuare esattamente la lacuna, o le storture, del rapporto.
Le persone reali hanno sentimenti propri, cose che amano o che detestano fare. I bambini dovrebbero saperlo. Le persone reali a volte si sentono in ansia, stanche, distratte. Non sempre sono sicure di quello che si deve fare. A volte dicono cose, senza pensarci, di cui alla fine si pentono. Non dovremmo fingere una competenza che non abbiamo, e quando perdiamo le staffe dovremmo ammetterlo: “Tesoro mio, ripensando alle cose che ho detto l’altra sera credo di aver sbagliato”. Il mio consiglio è quello di prendere in considerazione l’eventualità di scusarsi con i propri figli almeno due volte al mese. Perché proprio due volte? Non so, mi sembra ragionevole (quasi tutti i consigli specifici elargiti nei manuali per genitori risultano altrettanto arbitrari. Almeno io l’ammetto).

Vi sono due ragioni per cui chiedere scusa. La prima è perché è di grande esempio. Come già spiegato in precedenza, non ha senso obbligare un bambino a dire “mi dispiace” se non si sente affatto dispiaciuto. Il modo più efficace per abituarlo all’idea di doversi scusare è mostrargli come si fa. La seconda è perché chiedere scusa vi costringe a scendere dal piedistallo del perfetto genitore, ricordando ai vostri figli che non siete infallibili.
Di fatto è la dimostrazione di come sia possibile ammettere (a se stessi e agli altri) che possiamo commettere errori, che a volte è colpa nostra senza però perdere la faccia o sentirsi inesorabilmente inadeguati.
Le ragioni per cui chiedere scusa è tanto importante sono altresì quelle per cui la gran parte dei genitori non lo fa mai. Dopo tutto è rassicurante ergersi su un piedistallo, in una posizione di assoluta e indiscutibile autorità.
Dire “mi dispiace” è come rendersi vulnerabili, il che per molti di noi non è per nulla facile - in parte per l’estrema vulnerabilità vissuta da bambini.
Per di più sono molti i genitori a temere che la realizzazione di un legame autentico ed empatico con i propri figli rischi di comprometterne il controllo. Gran parte dell’amore condizionato si giustifica dal fatto che, quando questi due obiettivi si scontrano, il controllo tende ad avere la meglio sull’unione. Lo si può percepire persino dal modo con cui i genitori prendono subdolamente le distanze dai figli, ad esempio rivolgendosi a loro in terza persona (“Ora mamma deve andare”) molto dopo che i bambini abbiano imparato il funzionamento dei pronomi.

I nostri figli continueranno a guardarci ammirati anche se ammettiamo candidamente i nostri limiti, anche se rivolgiamo loro parole che vengono dal cuore, anche se si accorgono che, nonostante la saggezza e i tanti privilegi che comporta l’essere adulti, restiamo sempre persone che lottano per affermarsi, per fare la cosa giusta, per rispondere ai bisogni del prossimo, per continuare a imparare - proprio come loro. Di fatto più siamo veri con loro, e più loro ci porteranno vero rispetto.

8) Parlate meno e chiedete di più
Dettare (seppur in modo gentile) idee, sentimenti e obiezioni ai ragazzi è assai meno proficuo che ottenerli. Se parlare con i nostri figli dei loro errori non produce i risultati sperati, non significa che si debba ricorrere a una disciplina più dura. Forse è successo perché abbiamo parlato soprattutto noi. Forse eravamo talmente occupati a spiegar loro il nostro punto di vista da non aver loro permesso di considerare il proprio. Essere un bravo genitore è più una questione di ascolto che di insegnamento.
Un papà mi ha scritto dall’Ontario per raccontarmi di quando la sua bimba di quattro anni è rientrata da scuola con una borsa piena di merendine.

Le gettò tutte sul pavimento del salotto, combinando un gran pasticcio, quindi le chiesi di rimetterle in borsa e di appoggiare quest’ultima sulla sedia. Si rifiutò. La mia prima reazione fu quella di prenderla come un affronto alla mia autorità: mi aveva “disobbedito” e quindi bisognava punirla, altrimenti non mi avrebbe mai più prestato ascolto. [Invece] le chiesi: “Perché non le vuoi mettere a posto?”, e lei rispose: “Perché le voglio mangiare”. A quel punto andò tutto a posto: non dovevo dire altro che: “Le puoi mangiare anche se le rimetti in cartella - voglio solo che il salotto resti in ordine”. Immediatamente mia figlia rimise le merende nella borsa e le appoggiò sul tavolo.

Di norma la prima cosa da fare è cogliere la fonte del problema, riconoscere di che cosa abbiano bisogno i bambini. Per esempio i bimbi di due-tre anni spesso fanno storie perché attraversano una turbolenta fase transitoria tra la prima infanzia e la fase successiva, lottando con le attrattive di libertà e indipendenza, il potere che deriva dall’essere in grado di fare cose nuove e, al contempo, cercando di far fronte alle sgradite limitazioni all’esercizio della propria volontà. Desiderano più autonomia di quanta loro concessa - spesso più di quanta siano in grado di gestire, spaventati dalla distanza (o dall’opposizione) dai genitori. L’ultima cosa di cui avrebbero bisogno in un tumulto come questo è un genitore troppo concentrato sullo stabilire limiti e sul mantenere il controllo.
A volte le ragioni di un comportamento turbolento sono riconducibili a un bambino o a una situazione particolari. Quando il bimbo è troppo piccolo per spiegare - o, in certi casi, persino capire - tali ragioni, è nostro compito mettere assieme i tasselli del puzzle che potrebbe dare un senso a quanto accade. Quando mio figlio Asa a tre anni ha iniziato a essere intrattabile e appiccicoso, ci siamo accorti che poteva dipendere dal fatto che la sua tata - che ci aveva aiutato a occuparci di lui sin dalla nascita - era andata via. Non solo si trattava di un vero e proprio lutto per il piccolo, ma anche di un motivo per chiedersi se, in qualche modo, pure mamma e papà se ne sarebbero andati via all’improvviso prima o poi. Dirgli di smetterla di fare storie sarebbe stato inutile e frustrante.

Quando i bambini diventano grandi abbastanza da riferirci se si sentono infelici o arrabbiati, la domanda è se si sentano abbastanza al sicuro per farlo. Nostro compito è ricreare questo senso di sicurezza, prestando ascolto senza giudicare, assicurandosi che siano consapevoli di non mettersi nei guai raccontandoci quello che hanno combinato o di non venir condannati per quello che provano. Non lo dico da relativista convinto che tutto quello che la gente fa è sempre valido e ingiudicabile. Lo dico da pragmatico che si rende conto della necessità di conoscere la radice di un problema per trovarne la soluzione e di come le persone che temono di essere giudicate siano meno disposte a parlare apertamente e quindi meno disposte a rivelare le informazioni necessarie alla comprensione della radice del problema.
Ecco perché prendere sul serio questo principio - “parlate meno e chiedete di più” - è un ottimo consiglio per diventare non solo genitori migliori, ma anche coniugi, amici, dirigenti e insegnanti migliori.

D’altro canto non tutti i tipi di domanda sono ugualmente proficui.
Quelle retoriche, che non intendono ottenere davvero una risposta sensata, nella migliore delle ipotesi sono solo inutili: “Perché non guardi in faccia le persone quando ti parlano?”. Peggio ancora le domande che presuppongono un’unica risposta esatta, per cui al bambino non si chiede di riflettere ma solo di tirare a indovinare la risposta che vi aspettate: “Cosa dovresti dire a tua sorella visto che le sei andato addosso?”
Dopo aver presentato un breve elenco di simili “domande con cui non si va molto lontano” l’autrice Barbara Coloroso suggerisce, prima di porre qualsiasi quesito, di “domandarsi perché lo si sta ponendo”. Mettere in chiaro i nostri motivi può aiutarci a capire se valga la pena domandare5.
Suggerimento: è quando non siamo del tutto certi di quello che risponderà il bambino, e quando siamo disposti a ricevere più di una risposta, che la domanda sarà quasi sicuramente utile.
Talvolta sarebbe meglio evitare di parlare o di fare domande. In molte situazioni ci sentiamo a disagio perché costretti a dire qualcosa, anche se il miglior consiglio sarebbe quello di tacere. A volte, quando un bimbo è molto triste, la psicologa infantile Alicia Lieberman suggerisce che “stargli solo accanto, in silenzio, rende onore all’esperienza del bambino. Coccole e abbracci (sempre se accettati) sanno esprimere sentimenti molto meglio delle parole. In realtà l’uso delle parole in certe circostanze diventa necessariamente un abuso. Ci sarà tempo per le parole più tardi”6.
È chiaro che non esistono ricette per capire quando parlare e quando astenersi. A volte affrontiamo l’infelicità del bambino, o la sua rabbia, o il suo cattivo comportamento parlando troppo, in qualche occasione parlando troppo poco, più spesso parlando in maniera non particolarmente proficua. Nel complesso, tuttavia, il consiglio di parlare meno e di chiedere di più può farci da utile guida, specie se applicato in maniera da renderci più attenti e comprensivi.

9) Tenete presente l’età dei vostri figli
Qualsiasi consiglio, in questo libro o altrove, dovrebbe essere messo in pratica in maniera diversa a seconda delle diverse età del bambino; le strategie utilizzate dovrebbero cambiare man mano che il bambino cresce.
Per esempio quando un bimbo scoppia a piangere perché gli avete sottratto l’oggetto pericoloso con cui stava giocando, sarebbe giusto distrarlo con un altro giocattolo o oggetto. Ma questo sistema si rivelerebbe inutile, per non dire offensivo, applicandolo a un bambino più grande, esattamente come se voi vi lamentaste di una cosa che vi infastidisce solo per far cambiare argomento a vostra moglie o a vostro marito.

I genitori dispotici, come già detto, tendono a nutrire aspettative irrealistiche nei confronti dei figli, in parte perché, in realtà, non si rendono conto di quanto esse siano irrealistiche7: capita, ad esempio, che puniscano il figlio di due anni perché non ha saputo fare quanto promesso, o che si aspettino che un bambino in età da asilo se ne stia seduto buono buono durante un’interminabile cena di famiglia. La verità è che i bimbi molto piccoli non sono proprio in grado di cogliere l’obbligo insito in ogni promessa; ritenerlo responsabile di un impegno del genere sarebbe, a dirla con una delle frasi più amate da chi si occupa della prima infanzia, “evolutivamente inappropriato”. Allo stesso modo risulta irrealistico aspettarsi che i bambini rimangano fermi molto a lungo. È normale che si agitino, che usino un tono di voce alto, che dimentichino di spegnere un gioco che funziona a batterie, e che si innervosiscano per quelle che, ai nostri occhi, non sono altro che minime variazioni dell’ambiente che li circonda. Dobbiamo circoscrivere le nostre aspettative all’interno delle loro effettive possibilità.

10) “Attribuite alle azioni dei vostri figli la migliore motivazione compatibile con i fatti”
Questa frase, presa a prestito dalla scrittrice ed educatrice Nel Noddings8è il consiglio più saggio che mi sia mai capitato di ricevere. Esso scaturisce da due elementi: primo, di solito non siamo sicuri al cento per cento del perché un bambino si sia comportato in una certa maniera; secondo, le nostre convinzioni su queste ragioni possono generare una profezia autorealizzante. Se si parte dal presupposto che ogni gesto improprio sia imputabile al sinistro desiderio del bambino di creare scompiglio o di metterci alla prova - o se lo attribuiamo alla sua natura di provocatore - si rischia di farlo diventare esattamente quello che temiamo che sia. I bambini elaborano una teoria sulle proprie motivazioni basata, in parte, sulle nostre supposizioni in merito a quelle stesse motivazioni, agendo quindi di conseguenza.
“Pensi che io sia cattivo e basta e di dovermi tenere sempre sotto controllo? Bene, allora guarda che mi comporto proprio come dici tu”.

Durante i miei incontri mi capita di invitare i partecipanti a rammentare un fatto della propria infanzia in cui abbiano commesso qualcosa di sbagliato - o siano stati accusati di aver commesso qualcosa di sbagliato.
Chiedo loro di ricordare il maggior numero di particolari possibile riguardo l’accaduto: quello che è stato detto o fatto loro da un adulto e cosa ne sia risultato. Rimango sempre colpito dalla vividezza dei ricordi, come se quei fatti fossero accaduti poche settimane prima, e non decenni addietro. Si tratta di un esercizio che spesso serve a tenere in mente come le punizioni vengano vissute dal punto di vista del bambino, il dolore che provocano e la loro scarsa utilità. Ma mi colpisce anche la frequenza con cui le storie che mi vengono raccontate riguardassero insegnanti o genitori che, senza disporre di prove sufficienti, saltavano alla conclusione che quei bambini avessero fatto qualcosa di sbagliato anche se non era vero. Ricordare è una lezione molto utile, se non altro per far sì che i nostri figli, una volta cresciuti, non abbiano a raccontare certe storie su di noi in simili incontri.
Anche se un genitore non dichiara espressamente che il figlio si è comportato in un certo modo perché stupido, cattivo o combina guai, bisogna vedere se ne sono convinti. Non sono solo gli attributi espressi a contare, ma quelli che elaboriamo nella nostra mente. Anche se dalla nostra bocca non usciranno mai epiteti poco lusinghieri nei confronti di nostro figlio, le supposizioni in merito ai motivi dei loro comportamenti influenzeranno immancabilmente il nostro modo di trattarlo. Più negative sono, più saremo inclini a controllarlo senza ragione.

La buona notizia è che possiamo interrompere il circolo vizioso ricreandone uno “fiducioso”: in assenza di prove concrete a dimostrazione del contrario, perché non presupporre che esista una spiegazione innocente di quanto accaduto? Forse quella che sembrava essere un’aggressione deliberata era solo un incidente. Forse quello che appariva come un furto non lo era affatto. Possiamo aiutare i nostri figli a sviluppare determinati valori trattandoli come se fossero già mossi da quegli stessi valori. In questo modo imparano a riconoscere il meglio di sé e a credere alla nostra fiducia.
Il caso in cui la ricerca di un motivo plausibile risulta più ovvio e più sensato è l’immaturità. Una malefatta spesso trova giustificazione nell’imperizia o nell’assenza di guida, nell’innocente desiderio di esplorare, nell’incapacità di prevedere quello che può accadere se si prende una cosa in un determinato modo. Quando un genitore urla addosso al proprio bambino le solite domande rabbiose e retoriche - “Che cosa t’è venuto in mente di fare? Ma sei scemo?” - immagino la risposta del piccolo: “No, non sono scemo, ho tre anni!”. Allo stesso modo, per quanto possa stancarvi dover raccogliere il cucchiaio per l’ennesima volta, è importante sapere che un bimbo di un anno continua a gettarlo dal seggiolone solo perché a quell’età i bambini si divertono a lanciare gli oggetti - non per “mettere alla prova i vostri limiti”, di certo neppure per far disperare la mamma. Il fatto che l’azione di un bambino possa avere effetti negativi su di voi non significa che rientri nelle sue intenzioni.

Quindi com’è possibile mettere in moto questo circolo fiducioso? Immaginate un bambino di cinque anni che raccoglie un grosso sasso con l’intenzione di lanciarlo. “Un’insegnante lì accanto gli dice, distratta ‘Dammi quel sasso’, quindi gli mostra, portandogli il sasso alla testa, cosa potrebbe capitare se colpisse la testa di un qualsiasi compagno. A quel punto la maestra ridà la pietra al bambino, dicendogli ‘Fa’ attenzione’”. Dopo aver raccontato questo aneddoto in una scuola giapponese, Catherine Lewis, pedagogista esperta nella prima infanzia, sottolinea come l’avesse colpita il fatto che l’insegnante “non avesse chiesto al bambino di riporre la pietra, né supposto la sua intenzione di scagliarla”. Al contrario la maestra 

aveva supposto si trattasse solo di un problema di informazione - che il ragazzino non avesse pensato bene come il sasso potesse colpire i compagni.
L’atteggiamento dell’insegnante presupponeva altresì una capacità di autocontrollo del bambino: dopo tutto la maestra gliel’ha resa, la pietra. Per contro se avesse ritirato il sasso o inflitto una punizione, il ragazzino avrebbe potuto dedurne la propria inaffidabilità o incapacità di autocontrollo, riconoscendo nella punizione, e non nel pericolo di ferire i compagni, il motivo per non lanciare sassi.

Lewis riconosce che “se il ragazzino fosse stato un dodicenne disturbato nel comportamento che, al contrario, aveva l’intenzione di colpire un compagno, e l’insegnante gli avesse reso la pietra, lui ne avrebbe dedotto che l’adulto era matto”9. Parimenti sarebbe sciocco o disonesto suggerire a un bambino che abbia tirato un calcio con cattiveria che forse non voleva fare del male a nessuno10. Ecco perché il motto di Noddings è quello di attribuire al bambino il motivo migliore compatibile con i fatti. Tuttavia moltissime volte i fatti ci sono ignoti e dovremmo essere orientati a concedere ai figli il beneficio del dubbio.
Di nuovo si tratta di un suggerimento particolarmente adatto ai bambini più piccoli, il cui apparente cattivo comportamento è, in realtà, attribuibile soprattutto all’età (nel qual caso le nostre benevole supposizioni sarebbero giuste) e il senso di sé ancora in evoluzione (e quindi le nostre supposizioni, benevole o malevole, avrebbero maggiori ripercussioni). Tuttavia anche nel caso di bambini più grandi, la nostra prima reazione non dovrebbe essere mai quella di puntare il dito: “Beh, se si è arrabbiato si vede che gli hai fatto qualcosa”. Dovremmo, piuttosto, essere comprensivi e scoprire perché i nostri figli si comportano in un certo modo.

11) Non dite no anche quando non è necessario
La convinzione che i genitori di oggi non dicano abbastanza no ai propri figli è un aspetto dell’assunto più generale secondo cui il permissivismo dilaga ormai ovunque e che i ragazzi sono viziati perché i genitori non li tengono abbastanza sott’occhio. Ho già affrontato questo concetto, tuttavia potrebbe essere utile approfondire il tema specifico dell’inflessibilità.
La verità è che gran parte delle madri e dei padri dice costantemente no. Secondo alcuni studi descrittivi, ai bambini molto piccoli in particolare si impedisce di fare quello che desiderano, o li si obbliga a fare quello che preferirebbero evitare, letteralmente quasi ogni minuto11 (se non ci credete, provate a registrare quanto accade in casa vostra durante il giorno). Certo nessun genitore responsabile può evitare tutti questi interventi in toto, tuttavia varrebbe la pena chiedersi se non si arriva a eccedere.

Se si è a rischio d’incolumità, ad esempio, è necessario intervenire, indipendentemente dalla frustrazione che ne deriverà. Ma neppure in questo caso ci sono soluzioni nette. Rimanendo coerenti con l’imperativo di tenere presente l’età, è bene rendersi conto che i bambini imparano ad anticipare e a evitare i potenziali pericoli man mano che crescono (è chiaro che svilupperanno certe competenze con più facilità se riceveranno il giusto sostegno e se verranno trattati con fiducia e rispetto). Ciò significa che molti dei limiti imposti dai genitori diventeranno sempre meno necessari e sempre più circoscritti. C’è poi, com’è ovvio, la questione di come intervenire quando necessario: con delicatezza o con decisione? In modo comprensivo o offensivo? Con o senza spiegazioni?

Già da molto piccoli risulta, spesso, discutibile se quanto intendono fare i nostri figli sia effettivamente pericoloso. A volte tiriamo in ballo il principio dell’incolumità a giustificazione di un no per altre ragioni. Magari diciamo loro di smettere un’attività in realtà piuttosto innocua, o un no automatico se fanno proposte fuori dal consueto. A volte neghiamo loro il permesso di fare una cosa solo perché scomodo per noi. Il vostro bimbo - in età d’asilo - ha in mente di dare inizio a un grosso progetto artistico che prevedete creerà un disordine per lui impossibile da rimettere a posto.
Il vostro no è giustificabile? Vostro figlio di sei anni vuole che vi prestiate all’ennesimo gioco di ruolo aperto a tutta la famiglia in cui ognuno di voi deve fingere di essere un animale. Non avete nulla di urgente da fare in quel momento, ma siete stanchi di simili intrattenimenti e preferireste che giocasse per conto suo. Vostro figlio, dieci anni, vi chiede di portargli una merendina mentre guarda la TV. Si tratta di una richiesta ragionevole, di quelle che vi danno modo di dare l’esempio di come essere gentili nei confronti del prossimo, oppure dovreste insistere perché se la vada a prendere lui, la merendina? E già che ci siamo, va bene che vostro figlio decida di dormire per terra? O di sedersi di spalle a cena?

Non si tratta di casi in cui si va incontro ai bisogni dei bambini. Si tratta di desideri, quindi risulta impossibile stabilire in anticipo la risposta educativa più corretta. E tuttavia il mio suggerimento è di dire sì ogni volta che è possibile. Questa dovrebbe essere la risposta predefinita, tale per cui ci
vuole una buona ragione per non prestarsi a quanto richiesto, o per intervenire a vietare qualcosa. Ciò solleva, com’è ovvio, la questione di che cosa si intenda per buona ragione, il che tuttavia è un modo ragionevole di porre il problema, soprattutto se è vostra consuetudine rifiutare la maggior parte delle richieste (più avanti mi dilungherò sulla ricerca di un accordo risolutivo quale alternativa alla pura concessione o negazione di un permesso).
Quando dico che dovremmo assicurarci di non dire no troppo spesso o inutilmente non intendo che la nostra comodità o la nostra volontà non siano altrettanto importanti. Lo sono, tuttavia non dovrebbero contare tanto da limitare i nostri figli in modo gratuito, proibendo loro di mettersi alla prova.
Quando ci si ritrova nella situazione, l’intero iter educativo dei figli si rivela maledettamente scomodo, specie se si desidera dedicarvisi al meglio. Se non si ha intenzione di rinunciare al tempo per se stessi, se si desidera mantenere la casa pulita e in ordine è meglio optare per l’allevamento di pesci tropicali.

Alcuni genitori sostengono che i limiti siano auspicabili di per sé: “I bambini si devono abituare alle frustrazioni; così imparano che nella vita non si può fare sempre quel che si vuole”. Affermazione che, a volte, pare una razionalizzazione dei loro no e che viene addotta al posto di ragioni diverse. Tuttavia tutti coloro che prendono sul serio una tale affermazione dovrebbero semplicemente osservare come la frustrazione venga vissuta assai frequentemente anche nelle famiglie in cui i genitori si sforzano di dire sì il più possibile. Ci sono moltissime occasioni in cui imparare a gestire i limiti, per affrontare l’impossibilità di ottenere sempre quel che si vuole. I bambini non hanno bisogno che pure i genitori rincarino la dose dicendo no quando potrebbero dire sì. Oltretutto la miglior preparazione per affrontare le difficoltà del “mondo reale” è quella di sperimentare la felicità e il successo. Nessuno impara a gestire l’infelicità perché è stato deliberatamente reso infelice da piccolo.

Oltre al desiderio di lasciare che i nostri figli si sentano capaci, si divertano ad andare alla scoperta del mondo e scoprano nuove possibilità (anche quando non funzionano come previsto), vi è una ragione di tipo pratico alla limitazione dei no. È molto difficile applicare un’infinita serie di divieti.
Ciò solleva un dilemma: da un lato potremmo finire per sentirci obbligati a lasciar perdere, permettendo ai nostri figli di fare ciò che vogliono; il risultato è che non saremo presi sul serio quando dovremo davvero mettere un limite. Dall’altro rischieremmo di rifiutarci di tornare sui nostri passi, perdendo un sacco di tempo in uno stato di conflitto assai sgradevole per tutti. Il mio consiglio è: scegliete le battaglie da combattere.
Chiaro che la questione non si limita alle volte in cui scegliamo di dire sì o no. In determinate circostanze entrambe le risposte possono rivelarsi sbagliate. Così come accade di prendere l’abitudine di declinare gran parte delle richieste di un bambino, è altrettanto facile finire per arrendersi a ogni pretesa: “Oh, vatti a prendere quel benedetto biscotto, allora”12. A volte cediamo per pigrizia: è più facile concedere ai figli quel che vogliono, specie se ci sentiamo impotenti, confusi e frustrati riguardo la gestione delle loro richieste, che a volte paiono non finire mai.

Ciò che più conta sono i motivi delle nostre decisioni e fino a che punto intendiamo guidare i nostri bambini, sostenendone le scelte, stando loro accanto - il che è assai più difficile che dire semplicemente si o no. Parlo di quella che potremmo definire educazione consapevole, in contrapposizione all’autoeducazione. Essa richiede una riserva enorme di pazienza e di attenzione; in certi casi ci chiede di mettere in discussione la nostra stessa educazione.
È ovvio che non è sempre possibile ottemperare a tutte le richieste, considerando a fondo le implicazioni di ogni eventuale risposta - soprattutto
quando si è al limite. Tuttavia, anche se non risulta sempre fattibile, dovremmo sforzarci il più possibile in tal senso. Riassumendo: mai dire no se non è strettamente necessario. E considerate le ragioni di quello che dite.

12) Non siate rigidi
Un’ottusa coerenza è il marchio di garanzia di un’educazione inefficace (come disse più o meno Ralph Waldo Emerson). Nelle occasioni speciali lasciate perdere le regole; ogni tanto dimenticatevi dell’ora della nanna; in determinati casi sospendete il divieto di mangiare in salotto. Spiegate ai vostri figli che si tratta, in realtà, di eccezioni, eventi che non si verificano spesso, tuttavia non lasciate che il timore di creare un precedente vi impedisca di essere flessibili e spontanei.

Lo stesso vale per il modo di reagire alla disobbedienza. Ogni specifica azione va interpretata rispetto a un contesto, in funzione di determinate situazioni o cause. Si possono fare concessioni quando il bambino ha una giornata no, o nell’eventualità che, una sera, siate voi a sentirvi meno tolleranti.
Inoltre tenete presente che i bambini che più patiscono l’inflessibilità - quelli che, alla stregua di avvocati, si appellano disperati a tutte le possibili attenuanti - sono coloro i cui genitori ricorrono alle punizioni. Per contro è incredibile quanto si sia meno stressati e meno sulla difensiva, o quanto si insista meno su una definizione uniforme di giustizia (“se dovesse accadere, la reazione deve essere questa”) quando si pensa in termini di problemi da risolvere e non di infrazioni da punire. La rinuncia alle punizioni libera i genitori dal dover agire in modo diverso a seconda del figlio senza scatenare rabbiose accuse di favoritismo. Trattamento equo tra fratelli non significa uguale trattamento ed è molto, ma molto più semplice essere flessibili quando non ci si deve concentrare sulla punizione da assegnare.

Sono d’accordo con chi osserva che, in genere, i bambini stanno meglio se nella loro vita c’è un certo livello di prevedibilità. Tuttavia è facile eccedere - o, più precisamente, sottovalutare il fatto che essi abbiano anche necessità prioritarie rispetto a questa. Non ha gran valore vivere in un ambiente prevedibilmente sgradevole, quale una famiglia in cui i figli possono contare sull’ipercontrollo, o vengono trattati con scarso rispetto, o amati in maniera puramente condizionata. Il punto non è solo sapere cosa deve aspettarsi un bambino, piuttosto se quello che deve aspettarsi ha un senso.
Per finire, oltre alle differenze da situazione a situazione, o da bambino e bambino, c’è il problema delle differenze da genitore a genitore. È vero che se mamma e papà hanno limiti di tolleranza molto diversi riguardo il cibo spazzatura, o in merito all’ora di andare a dormire, i bambini capiscono immediatamente a chi chiedere, persino come muoverli l’uno contro l’altra. Ma, ripeto, è facile eccedere o applicare in modo sbagliato quella coerenza che tanto viene chiamata in causa nei manuali per genitori, citandola con frasi del tipo “tenere un fronte comune”. Tuttavia, come diceva
Alice Miller, al bambino potrebbe sembrare che due giganti si siano alleati contro di lui13. Per di più non gli fa male vedere che a volte gli adulti hanno opinioni diverse, perché è segno che siamo umani, oltre a permetterci di mostrargli come risolvere i contrasti in maniera rispettosa - o, in certi casi, semplicemente come imparare a tollerare le differenze. Lezioni di vita che vengono a mancare se entrambi i genitori si sentono costretti a tenere, di fronte ai figli, una posizione comune per ogni problema, per non parlare dell’implicita disonestà che ciò comporta.

13) Non abbiate fretta
Un tempo rivolgevo questo suggerimento ai genitori di bambini piccoli, più che altro come battuta di spirito. Ovviamente non sempre riusciamo a controllare i nostri programmi, per quanto sarebbe bello disporre di più tempo. Tuttavia sono diventato molto più serio su questo punto e l’importanza di fare tutto il possibile, il più spesso possibile, per evitare situazioni in cui ci sentiamo spinti all’uso di sistemi coercitivi. I genitori si fanno più autoritari quando il tempo a disposizione è poco, proprio come accade in pubblico. La combinazione di questi due fattori è letale.
In un momento di tranquillità sedetevi (con l’altro genitore, se c’è) e decidete che cosa cambiare nei vostri programmi in modo da ridurre il rischio di essere frettolosi con i vostri figli. Perché non alzarsi un quarto d’ora prima? Perché non andare a fare la spesa il sabato? Perché non cambiare l’orario del bagno? Spesso evitare la fretta è più semplice di quanto ci si aspetti, se l’obiettivo è quello di non far vivere i figli sempre di corsa, così da permettere loro di godersi l’infanzia.

Secondo vantaggio: rivedendo i vostri programmi potrete permettervi il lusso di concedere del tempo a un figlio oppositivo e disobbediente, invece di tirare in ballo minacce o altri mezzi per imporre la vostra volontà. Se lui si rifiuta di fare una cosa per voi necessaria, potrete dirgli: “Mi spiace, tesoro, ma devi proprio metterti il cappotto. Fuori fa freddissimo e noi dobbiamo camminare per un po’. Se però preferisci aspettare un attimo, va bene: dimmi tu quando sei pronto.” (Quest’ultima frase la uso molto spesso). Se vi fermate un secondo e concedete a vostro figlio un po’ di tempo, vedrete che di solito si deciderà. Sappiate, però, che per quanto gli stiate permettendo di decidere quando obbedire, state continuando a imporgli la vostra volontà, quindi si tratta di una tecnica da non utilizzare indiscriminatamente.
Seguendo il secondo principio enunciato in questo capitolo dovreste insistere con l’essere obbediti solo dopo aver pensato seriamente se davvero una determinata richiesta sia innegoziabile, e perché.
Anche nei casi in cui si è un po’ di fretta, è bene non pretendere di spaccare il minuto per poi perdere le ore. Mettere premura a un bimbo piccolo è una stupidaggine. Quindi, spesso ha più senso perdere del tempo ora per risparmiarne più tardi. Un pomeriggio mio figlio di due anni si addormentò mentre stavamo andando al supermercato. Se lo avessi piazzato sul carrello, sballottandolo da una corsia all’altra, l’avrei reso infelice (e un bambino infelice ha proprio bisogno di compagnia). Invece piano piano lo presi in braccio e, per quanto non avessi molto tempo a disposizione, mi misi a sedere tranquillo con lui per qualche minuto, indicandogli le cose che sapevo interessargli di più, con l’intenzione di aiutarlo a svegliarsi poco a poco.
Siamo riusciti a fare la spesa piuttosto alla svelta e senza lagne.

C’è un ulteriore punto più generale nascosto dietro l’intera discussione: invece di cercare di cambiare il comportamento di vostro figlio, di solito ha più senso mutare il contesto. Quello che vale per il tempo vale anche per lo spazio. Un cancello chiuso oltre il quale un bimbo di due anni rimane in vista è più sensato del tentativo di mettergli paura o di convincerlo a non andare in strada. In generale fate tutto il possibile per evitare eventuali problemi. Se prevedete che vostro figlio abbia difficoltà a restare seduto immobile (ad esempio al ristorante), portate qualche libro, giocattoli o altre distrazioni invece di imporgli la responsabilità di essere buono.
Per concludere non posso fare a meno di sottolineare come la frase “non abbiate fretta” abbia un ulteriore significato: si potrebbe intendere come invito a rallentare per assaporare il tempo in compagnia dei vostri figli. Quando è nato il nostro primogenito, subito abbiamo giurato che avremmo lanciato un pannolino sporco all’ennesimo individuo che ci avesse messo al corrente, in tutta onestà, che “crescono tanto in fretta”. Sì, sì, sì, rispondevamo.
Ma com’è vero.

Amarli senza se e senza ma
Amarli senza se e senza ma
Alfie Kohn
Dalla logica dei premi e delle punizioni a quella dell’amore e della ragione.Un classico dell’amore incondizionato. Come crescere i figli eliminando finalmente i piccoli ricatti, le minacce, le promesse e i premi. Crescere un figlio non è un gioco da ragazzi!Diventare genitori è un esame costante sulle capacità di affrontare disordine e imprevedibilità, un ruolo per cui non ci si può preparare davvero.Una delle difficoltà maggiori è la tentazione di domare l’atteggiamento di opposizione dei figli alle nostre richieste, rischiando di trasformarli in burattini addomesticati o, al contrario, di provocare danni approvando tutto ciò che dicono e fanno.Allora, come farsi obbedire dai propri figli?Sistemi educativi quali punizioni, castighi, premi e altre forme di controllo inducono i nostri figli a credere di essere amati solo se ci compiacciono o ci colpiscono in modo favorevole.Nel suo libro Alfie Kohn si allontana dai messaggi veicolati da certi metodi convenzionali e ribalta la prospettiva, chiedendosi quali siano i bisogni dei nostri figli e come possiamo soddisfarli.L’autore suggerisce una serie di idee per allontanarsi da metodi abituali che prevedono l’imposizione di qualcosa ai bambini, per approcciarsi a modalità che portino invece alla collaborazione con loro.Amarli senza se e senza ma risponde a una domanda cruciale: le nostre azioni quotidiane possono contribuire a rendere nostro figlio l’adulto che vorremmo?Consigli utili affinché il bambino possa aspirare a diventare un adulto sano, responsabile ma allo stesso tempo sensibile e premuroso.Un libro rivoluzionario e illuminante per diventare a tutti gli effetti genitori senza se e senza ma, poiché uno dei bisogni fondamentali del bambino è proprio essere amato in maniera incondizionata ed essere accettato anche quando combina guai o fallisce: in sintesi, essere amato per quello che è e non per quello che fa. Conosci l’autore Alfie Kohn ha pubblicato diversi libri, tra cui Punished by Rewards e The Schools Our Children Deserve, che hanno dato un forte contributo all’operato di educatori e genitori. Vive con la famiglia nei pressi di Boston, dove tiene conferenze e seminari, ed è raggiungibile sul web all’indirizzo www.alfiekohn.org.