CAPITOLO IV

Genitori in trasformazione

La metamorfosi riflessa

Durante il periodo dell’adolescenza entrano in crisi anche i genitori, che assistono al frantumarsi della propria identità agli occhi del giovane e, al contempo, devono far spazio a un figlio differente rispetto a quello amato per anni. È necessario che si predispongano all’idea di avere in casa un individuo diverso da colui che conoscevano: talvolta affettuoso e talvolta sfuggente, custode di segreti inaccessibili e portatore di un inconsueto sguardo critico, di sfida, che li pone costantemente sotto processo e nella condizione impraticabile di non poter sbagliare mai.

Come scriveva Aristotele “i giovani sono eccessivi in tutto: amano con eccesso, odiano con eccesso” e, spesso, i destinatari di questi sentimenti contrastanti sono proprio i famigliari.

Per questo motivo i genitori devono essere disposti a crescere insieme al figlio, a cambiare con lui e in rapporto a lui, senza aspirare a essere perfetti nel loro ruolo e senza aspettarsi che la metamorfosi dell’adolescente plasmi un adulto nel quale rispecchiarsi. L’educazione sottende un processo fondato sull’azione, sull’errore e sulla correzione dello sbaglio, accettando di non essere infallibili. Un ragazzo, ormai, è in grado di cogliere e rinfacciare all’adulto i difetti non in relazione al suo essere genitore ma al suo essere individuo: sono, infatti, quasi sempre aspetti caratteriali insiti nella persona e antecedenti la costruzione della famiglia. Fragilità e insicurezze, asperità del carattere che ognuno si trascina dietro tentando di liberarsene e delle quali non vorrebbe un figlio si accorgesse.


Gli adulti sono indotti a mutare per agevolare il processo di cambiamento del figlio, in una sorta di metamorfosi riflessa che permette l’interazione fra soggetti che vivono insieme in una relazione affettiva: anche i genitori infatti possono apprendere da un figlio. E nell’abbracciare questo percorso di trasformazione personale, che consente loro di osservare il giovane con occhi diversi, devono cercare di procedere, nei limiti del possibile, affiancati e coesi. Diventa necessario fare gioco di squadra, costruire una rete di sostegno con le altre famiglie che permetta di recuperare un senso collettivo del futuro, dal momento che non si può prescindere dal legame con il prossimo. “Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso” scriveva il poeta inglese John Donne, rammentando con questo verso il monito aristotelico secondo cui un uomo è libero solo se intrattiene molti legami con gli altri e con il luogo dove vive.

L’autostima di un ragazzo ha bisogno di nutrimento psicologico, va consolidata attraverso l’affetto, il rispetto, la valorizzazione e la fiducia. Un giovane deve sentirsi apprezzato: la sua aggressività, certe volte, deriva proprio dalla sensazione di non essere stimato dai genitori. Spesso però il sentimento della fiducia risulta essere il più difficile da accordare a un figlio, nonostante sia indispensabile per compiere l’importante gesto d’amore di lasciarlo libero di spiccare il volo: imparare a essere genitori significa diventare capaci di affrancarlo gradualmente da sé. Un compito arduo che richiede una profonda intesa e complicità genitoriale, la quale tuttavia è pressoché impossibile da raggiungere: è impensabile, infatti, che i genitori siano d’accordo in tutte le situazioni conflittuali da gestire con i figli. Diventa quindi essenziale che all’interno dalla famiglia persista il senso della comunità e sia costantemente acceso il dialogo, improntato a un sincero interesse per quanto l’altro ha da comunicare. Di frequente, invece, nelle domande di un genitore il figlio percepisce esclusivamente il desiderio di controllo nei suoi confronti e non una partecipazione autentica nei confronti del suo personale universo.


La famiglia costituisce un’entità che vive nell’armonia e nell’incomprensione, nell’amore e nel disprezzo, nell’errore e nel perdono: vive poggiando le sue fondamenta sulla pari dignità dei componenti, sul rispetto reciproco e sulla collaborazione.

Per fronteggiare l’altalena di sentimenti, che caratterizza la vita di un adolescente, gli adulti devono modificare il loro atteggiamento anche attraverso l’alternanza di flessibilità e forza. Flessibilità nell’adattarsi al giovane in divenire e forza nel sostenerlo, trasmettendogli fiducia nei momenti di difficoltà; nonostante, e spesso, l’adulto non sappia esattamente come approcciarsi al meglio a queste nuove situazioni, e sia lacerato dal dubbio di non agire correttamente o, con il rifiuto davanti a una richiesta, di spezzare il legame con il figlio che, mai come in questa fase dell’esistenza, vira all’improvviso dall’intimità al distacco. Ricordiamo però che il dissenso non potrà mai rompere la relazione d’amore che sussiste fra genitore e figlio. È basilare poi che l’adulto accetti di perdere lo status di eroe agli occhi del giovane per recuperare quello di un individuo con molteplici difetti che, puntualmente, gli verranno rinfacciati con ferocia e disprezzo. L’adolescente infatti mette in atto nei confronti dei genitori una dura revisione critica, contrassegnata da un estremismo che può condurlo perfino a nutrire un sentimento di delusione per come gli appaiono quegli stessi adulti, denudati impietosamente dall’alone di onnipotenza con cui, durante l’infanzia, li aveva ammantati. Tale sentimento lascerà, più tardi, il posto a quello della disillusione quando verranno accettate le figure genitoriali nella loro interezza, con pregi e difetti; come suggeriva Goethe “si diventa adulti solo quando si perdonano le colpe ai propri genitori”…

Tramandare la storia famigliare

I genitori devono trovare anche il tempo e il coraggio di narrarsi, allo scopo di esteriorizzare il proprio senso di inadeguatezza e sostenere, in tal modo, la verbalizzazione di un eventuale disagio da parte dell’adolescente. Devono saper esprimere al figlio il proprio dolore e il proprio rammarico per aver commesso un errore, devono poter dichiarare la propria imperfezione in quanto hanno il diritto di sbagliare e di perdonarsi: l’apparente perfezione spesso deriva soltanto da un legame freddo e distaccato, immune da sentimenti. Manifestando le proprie mancanze, inoltre, gli adulti permettono al giovane di essere più indulgente con le sue, di accettarsi e di porsi con autenticità all’interno di una relazione, di qualunque natura sia, dialogando con voce e sentimenti trasparenti; per entrare in rapporto con l’altro mediante l’attenzione e il rispetto, ingredienti imprescindibili per coltivare una vicinanza caratterizzata da un profondo e genuino slancio emotivo. Per allacciare una simile relazione è fondamentale l’empatia: la capacità cioè di immedesimarsi negli altri che favorisce l’apertura verso il prossimo e predispone alla condivisione di sentimenti diversi unendo senza, tuttavia, azzerare le differenze. La neuroscienza parla di un’intelligenza emotiva che permette di comprendere i comportamenti di chi si ha davanti. Secondo Richard Weissbourd, psicologo di Harvard, l’empatia si può coltivare e dovrebbero iniziare a insegnarla i genitori stessi, mediante cinque regole utili a sviluppare l’altruismo e il senso della comunità nei figli.

Le cinque regole auree del progetto Making Caring Common1:

  1. Making caring for others a priority. Rendere una priorità il fatto di occuparsi degli altri;
  2. Provide opportunity for children to practice caring and gratitude. Offrire occasioni ai bambini per praticare l’attenzione verso gli altri e la gratitudine;
  3. Expand your child’s circle of concern. Allargare il cerchio delle persone con le quali i bambini si relazionano;
  4. Be a strong moral role model and mentor. Essere mentore e modello di una precisa posizione morale;
  5. Guide children in managing destructive feelings. Aiutare i bambini a gestire i sentimenti distruttivi.


Per riuscire ad accogliere l’altro è sempre e comunque indispensabile aver avviato un percorso introspettivo, percorso che può essere agevolato dall’abitudine di tenere un diario. La scrittura autobiografica, infatti, può aiutare ad approfondire la conoscenza di se stessi attraverso la narrazione della propria storia, mediante il raccoglimento che permette di guardarsi indietro, cogliendo sfumature che erano sfuggite, per andare avanti continuando ad apprendere dalle situazioni e dagli incontri, compresi quelli con i propri figli, in un processo di formazione e trasformazione che dura un’intera vita.

Le esperienze vissute dagli adulti non devono certo assurgere a dogmi ma, attraverso la loro semplice trasmissione, possono servire ad aiutare un giovane nel difficile processo di comprensione di se stesso, offrendo una delle tante chiavi di lettura di fatti e situazioni. Inoltre ai genitori, per capire meglio il figlio, può risultare utile tornare con la mente allo loro adolescenza, ricordando le insicurezze e i dubbi che l’avevano caratterizzata: il desiderio di sognare a occhi aperti, la smania di uscire per assaporare con gli amici la prima libertà oppure la necessità di rinchiudersi nella propria camera per interrogarsi su un futuro lontano e confuso.


Non esiste una ricetta in grado di risolvere le inevitabili crisi adolescenziali ma, sicuramente, può essere utile il confronto e lo scambio di punti di vista fra le generazioni. Gli adulti dovrebbero astenersi dall’elargire spiegazioni razionali sul comportamento di un figlio, dimostrando di saperlo decodificare meglio di quanto riesca a fare lui stesso; un ragazzo, spesso, non desidera essere realmente compreso e non vuole che si parli di lui bensì che si parli con lui o, ancor meglio, lo si ascolti con attenzione e con un sincero interesse per quanto esprime.

I genitori che narrano della loro adolescenza, non ammantata di nostalgia o di straordinarietà, possono far comprendere al figlio come da un periodo difficile e tormentato si possa uscire, possono far scorgere uno spiraglio dal quale filtra la luce di una soluzione che spetta, sempre e comunque, al giovane trovare. Deve, però, trattarsi di un’adolescenza risolta dagli adulti che invece, sempre più sovente, vivono la maturità in una sorta di “adultescenza”.

La crisi del modello genitoriale autorevole: genitori “adultescenti”

Il termine “adultescente”, inserito nell’edizione 2014 del dizionario Zingarelli della lingua italiana e derivato dalla parola “kidult” coniata dagli americani, indica “una persona adulta le cui condizioni di vita e la cui mentalità sono considerate simili a quelle di un adolescente”, insomma un eterno Peter Pan che si rifiuta di crescere e di assumersi le responsabilità che l’età matura comporta, comprese quelle genitoriali. Si sta assistendo a un’uniformità generazionale che accomuna i giovani e gli adulti nella rincorsa esasperata verso la perfezione fisica, con l’abuso della chirurgia estetica e il proliferare dei disturbi alimentari, verso il conseguimento del piacere spinto oltre ogni limite, verso il consumo compulsivo di beni effimeri nel vano tentativo di colmare il vuoto provocato dall’aver lungamente trascurato di nutrire la propria interiorità.


Edonismo, narcisismo, consumismo, competizione sono i valori fondanti dell’odierna società, perseguiti da coloro che dovrebbero ispirare, attraverso l’esempio, le nuove generazioni. Il risultato sono giovani senza più alcun modello a cui riferirsi che non si identifichi in quello veicolato dalla pressione dei media, ragazzi rimasti orfani di guide autorevoli che siano coerenti nei fatti e non nell’inazione parolaia, nella debolezza normativa che consegna ai figli figure genitoriali totalmente inadeguate a ricoprire un ruolo così difficile e impegnativo. Adolescenti disorientati da genitori che si comportano come amici, in piena crisi come loro per un fisico che non accettano perché non conforme agli odierni standard di bellezza o per un nuovo amore tormentato che li rende distratti e assenti in casa. Padri peluche che pensano di educare i figli seguendo i dettami di un’indulgenza programmatica e madri che credono di essere vicine alle figlie e alle loro problematiche solo perché indossano gli stessi abiti e frequentano la stessa palestra, gareggiando a chi sia la più bella del reame. Genitori sbiaditi che, non raccogliendo il guanto della sfida educativa, non offrono ai giovani punti di riferimento, ovvero coordinate sicure per una navigazione a vista nell’immenso mare di incertezze adolescenziali.

I ragazzi diventano adulti grazie alle persone che incontrano lungo il proprio cammino di crescita, persone che li affascinano, li orientano e li aiutano a scoprire le loro potenzialità e le loro inclinazioni: dovrebbero essere i famigliari, gli insegnanti, gli allenatori sportivi o individui incontrati occasionalmente ad accendere in loro una scintilla. Ma oggigiorno questi modelli di riferimento “della porta accanto” scarseggiano, e di conseguenza si assiste alla proliferazione di manuali, scritti da sedicenti specialisti, che si prefiggono di insegnare come afferrare il successo; in alternativa, sempre più giovani, orfani di guide affidabili, si ispirano alle vite e agli stili delle cosiddette celebrity.


L’identità si crea come un’opera d’arte e ogni artista deve assumersi la responsabilità di quanto ha creato o di quanto ha contribuito a creare, come nel caso di un genitore con il proprio figlio. Educarlo deve rispondere a una delicata esigenza di bilanciamento fra l’essere esigenti senza diventare pressanti, fra il sapere lasciar correre in talune circostanze senza risultare dimissionari, fra il proteggerlo senza soffocarlo e il concedergli spazi di libertà senza disinteressarsi completamente a lui. Nell’educazione coesistono, dunque, la frustrazione e la gratificazione, il rimprovero e l’abbraccio; con l’atto educativo si esprime amore mediante l’esempio, l’ascolto, il divieto, la rassicurazione, il limite, l’incoraggiamento.

Educare risulta un difficile gioco di equilibri, reso ancora più complesso dall’influenza esterna di una società che tende a uniformare verso il basso il livello culturale e valoriale. Gli attuali adolescenti, così come molti adulti, dipendono narcisisticamente dal riconoscimento da parte dell’ambiente sociale nel quale vivono e che, troppo spesso, si ispira al culto del denaro, investe sull’apparenza, venera il successo, ricorre all’improvvisazione, rifugge la responsabilità.

Gli adulti dovrebbero, invece, assumersi la responsabilità di recare, attraverso la loro condotta quotidiana, una testimonianza di vita vissuta con passione e desiderio. Si può fare, tuttavia, l’esperienza del desiderio solo scontrandosi contro un limite che la ricerca esasperata di una vita orientata al puro edonismo tende a eclissare. Bisogna assumersi costantemente la responsabilità dell’atto educativo, accettando il rischio di commettere errori senza, per questo motivo, abdicare al ruolo genitoriale. Sovente, invece, nelle case regna un disinteressamento reciproco: da qui scaturisce un profondo senso di isolamento e solitudine nell’affrontare problemi che, inseriti in tali contesti, appaiono ancora più grandi e insormontabili.

Rete di sostegno

Appare chiara l’esigenza di creare una rete di sostegno, con il mondo della scuola e dello sport, per mettere insieme le tessere del mosaico e ricomporre il giovane nella sua fedele e rinnovata essenza.

I genitori desiderano rispecchiarsi nel figlio per ritrovarsi in lui e molte volte da questo desiderio scaturiscono errori di valutazione e abbagli sulla vera identità di un ragazzo, ovvero sulle decisioni che si prendono nella falsa convinzione che siano per il suo bene. Conviene non dimenticare che la personalità di ognuno è un prisma dalle molteplici facce e il ragazzo ne mostra ai genitori solo alcune; per ricomporre il puzzle, diventa necessario raccogliere le tessere fornite dagli insegnanti, dagli allenatori, dai conoscenti, dagli amici, dalle persone che lo frequentano e del quale intercettano alcuni aspetti caratteriali sconosciuti ai genitori. Accade di scoprire, durante un colloquio con i professori, come il figlio estroverso e spiritoso che si aggira per casa sia, in classe, uno studente timido e riservato, o viceversa. Sussiste comunque sempre il dubbio di non comprendere mai pienamente un figlio in quanto l’amore che si frappone fra lui e il genitore annebbia in quest’ultimo la lucidità di giudizio.

Sono molti gli errori commessi dagli adulti in nome del presunto bene di un giovane che, spesso, si tende a proteggere superando i princìpi etici sui quali dovrebbe fondarsi la società.


Nel film I nostri ragazzi del regista De Matteo si affronta il dissidio, fra regole e affetto, che due coppie di genitori devono affrontare dopo aver scoperto che i propri figli si sono macchiati di un crimine efferato: deve prevalere il cuore o la giustizia, la famiglia o la comunità? Un dilemma dal quale spesso si esce facendo prevalere le ragioni del sentimento, soprattutto quando l’azione riprovevole, commessa dall’adolescente, viene archiviata come bravata dagli adulti. In tal modo il senso della comunità scivola agli ultimi posti di un’ipotetica classifica che annovera fra i primi i legami famigliari, l’amicizia, l’appartenenza a un determinato gruppo. Si tratta di un condono educativo messo in atto da una famiglia iperprotettiva che, non aprendosi verso l’esterno, non trasmette ai figli l’importanza di assumersi una responsabilità nei confronti della società. Un nucleo inteso come nido accogliente, attento esclusivamente ai bisogni e ai diritti dei suoi componenti, non educa futuri cittadini capaci di farsi carico delle conseguenze derivanti dalle loro azioni. Con siffatte premesse difficilmente si può pensare di creare una società sostenibile, basata sul rispetto delle relazioni umane, nella quale, come sosteneva il filosofo Bertrand Russel, la felicità deriva da un cordiale interesse per le persone, fatto di ascolto e partecipazione.

Trovare il tempo per i figli: quantità e qualità

L’eccessivo consumo di televisione e web riduce spazio ai momenti di dialogo e scambio famigliare, ma forse il ritiro degli adolescenti nel mondo virtuale, dove chattano per ore con sconosciuti disposti ad ascoltarli, dipende proprio dal fatto che in casa incrociano genitori troppo distratti dai molteplici impegni, incapaci di offrire sia la quantità sia la qualità del loro preziosissimo tempo, inadatti interlocutori per raccogliere i turbamenti dei figli. E così nei giovani, come afferma la scrittrice Paola Mastrocola, muore il dono della parola e, di conseguenza, dell’ascolto; quest’ultimo infatti reca insito in sé quel concetto di passività che l’attuale cultura dell’intervento continuo ha relegato in un angolo. Le parole che ancora si spendono hanno perso valore, sono state svuotate di contenuti, private di spessore e di significati che non siano quelli prettamente “pubblicitari” che permettono di vendersi alla fiera della vanità. Talvolta, invece, le parole vengono usate come armi contundenti, affilati coltelli da lanciare con odio e rancore contro un genitore troppo assente, nel disperato tentativo di sentirsi meno invisibili ai suoi occhi.

Il problema dell’invisibilità, in tutti i sensi, è lo stesso che attanaglia Michele, protagonista quindicenne e confuso del film Il ragazzo invisibile di Salvatores, il quale prima di scoprirsi degli inaspettati superpoteri deve fare i conti con la fatica di vivere una quotidianità scandita da scuola, famiglia, feste, che accomuna molti giovani. Ragazzi alle prese con la sofferenza provocata da coetanei che umiliano e da situazioni che imbarazzano, nelle quali si desidererebbe solo sparire, oppure alle prese con il sogno irrealizzabile di essere visti dalla compagna di cui si è segretamente innamorati.


Sono episodi contraddistinti da disagio, solitudine e senso di inadeguatezza che un adolescente affronta in silenzio, per non mostrarsi più vulnerabile di quello che già crede di essere, nella convinzione che la propria fragilità sia fuori luogo se paragonata alla sicurezza del compagno di banco, dalla battuta pronta e dalla postura sciolta, leader della classe. Il silenzio, dietro il quale si trincera un adolescente, diventa una cinta muraria inespugnabile per i genitori in cerca di un appiglio per comunicare e quindi sintonizzarsi sui pensieri che affollano la sua giovane mente. Per questo motivo bisogna anche saper ascoltare e interpretare i silenzi di un figlio, mentre gli si offrono regole e relazione nel tentativo di renderlo capace di affrontare con coraggio le emozioni, comprese quelle negative che gli adulti tentano goffamente di rimuovere dalla sua vita nella falsa convinzione di proteggerlo. Avvicinarlo invece alla malattia e alla morte, di un anziano famigliare ad esempio, gli permette di attribuire a questi concetti il giusto carico emotivo del quale sono stati svuotati con la complicità di videogame e film violenti, dove la sofferenza fisica e l’evento morte appaiono asettici e lontani, e gli consente di gestire in modo graduale la sofferenza derivante dai primi dolorosi distacchi.

È necessario, inoltre, stimolarlo a gestire i momenti di vuoto, colmandoli con la fantasia e la creatività, e comunicare con lui avvalendosi di tutti i cinque sensi: dall’abbraccio al sorriso, dalla carezza allo sguardo attento. È auspicabile rispondere alla sua richiesta di attenzione non con l’offerta di beni materiali bensì con il dono della relazione, che implica elargire quanto gli adulti hanno di più prezioso e parcellizzato: il loro tempo. Si vive immersi in un’epoca nella quale l’esortazione festina lente (affrettati lentamente), che compare accanto alle tartarughe con la vela sul carapace affrescate nel salone dei Cinquecento a Firenze, appare assolutamente incomprensibile: è impensabile per molti genitori rallentare al fine di “perdere tempo” con i propri figli, concedendosi una passeggiata nei boschi o un pomeriggio trascorso a oziare godendo di una tranquilla e improduttiva quotidianità.


La logica della produttività e dell’efficienza che impregna l’attuale società è entrata anche all’interno della famiglia e delle sue relazioni con il risultato che, spesso, il giovane sente solo la pressione costante delle richieste dei genitori che lo spronano a eccellere in tutti i campi, compresi quelli che non gli sarebbero congeniali. Accanto a queste figure genitoriali si affiancano quelle troppo indulgenti verso un figlio che non si applica in alcun campo: si tratta in entrambi i casi di atteggiamenti che, con percorsi diversi, possono compromettere l’autostima di un adolescente che non si sentirà all’altezza delle aspettative oppure avrà la sensazione di essere abbandonato a se stesso e alla sua negligenza.

L’importanza dei no

I limiti posti dai genitori rappresentano un recinto da scavalcare e al quale tornare, per essere rassicurati, dopo i primi approcci con il mondo esterno. Costituiscono dei punti di riferimento emotivi per orientarsi e un valido stimolo per sviluppare al meglio le proprie risorse davanti al rifiuto e alla conseguente frustrazione.

Il recente modello educativo genitoriale tende a basarsi sulla relazione e sul dialogo, trascurando l’imposizione di regole. Alle volte invece esse continuano a sussistere, ma risultano autoprodotte all’interno della famiglia e sganciate da qualsiasi principio etico di carattere generale. Si parla, in queste circostanze, di familismo morale fondato sulla massimizzazione dei vantaggi famigliari e sull’azzeramento dei conflitti fra genitori e figli all’insegna di un passaggio, come lo definisce lo psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet, dalla famiglia etica alla famiglia affettiva. Una delle conseguenze di tale passaggio risiede nella tendenza dei giovani a non nutrire più alcun timore reverenziale nei confronti degli adulti. Molti genitori e insegnanti difatti cercano di allacciare relazioni per rintracciare punti di incontro, senza prospettare mai castighi o divieti: hanno abdicato al ruolo di guide, talvolta severe e intransigenti, azzerando al contempo il conflitto intergenerazionale. Spesso il desiderio di spegnere sul nascere ogni scintilla, che prelude allo scontro con i figli, scaturisce da un disinteresse dei genitori che preferiscono vivere in un clima famigliare all’apparenza sereno ma, in realtà, fondato sulla superficialità e sullo scarso impegno profuso nel ruolo genitoriale. Gli adolescenti soffrono della tranquillità apparente che si respira fra le mura domestiche, in quanto percepiscono che è ispirata non dall’attenzione e dal consenso dei genitori, bensì dal mero disinteresse e dall’assenza dovuti all’impegno in altri progetti e traguardi, nei quali i figli non sono coinvolti.


Le regole e i divieti rappresentano dei rinforzi nel legame genitori-figli, offrendo un senso tangibile di appartenenza alla famiglia laddove la loro mancanza, a favore di un’educazione troppo indulgente, denota spesso disattenzione e anaffettività, freddezza e vuoto emotivo. La frustrazione materiale, il dire “no” alle continue richieste di acquisto di oggetti effimeri dettati dalla moda del momento, viene bilanciata dalla sicurezza affettiva che si respira in famiglia.

Talvolta i genitori sono accondiscendenti e permissivi in quanto temono che un “no” possa scatenare una tragedia, come è accaduto alla ragazzina di Forlì che, prima di togliersi la vita, ha scritto sul suo cellulare dure parole di condanna all’indirizzo della madre e del padre:

“Mi uccido e la colpa è dei miei genitori. Troppo severi, troppo insensibili, troppo restrittivi: mi sento in prigione, tutto mi è vietato, posso solo suicidarmi.”


Il terrore che, a seguito di un diniego o di una lite, la reazione di un giovane possa essere eccessiva e dalla porta sbattuta si passi alla fuga e al gesto estremo, spesso assale l’adulto che si è lasciato andare a toni aspri di rimprovero dei quali si è subito pentito. È accaduto, ad esempio, che degli studenti si siano tolti la vita per un brutto voto: reazioni smodate tipiche di una età vissuta perennemente in bilico fra euforia e depressione. Una vulnerabilità quella dell’adolescente che scaturisce dalla sua immaturità e incompletezza come individuo.

Sono situazioni limite che tuttavia paralizzano alcuni genitori nella loro funzione educativa, rendendoli ostaggio di ricatti del giovane il quale, spesso, li considera alla stregua di feroci carcerieri capaci solo di tarpargli le ali. In tali casi si assiste a due realtà, legate da sentimenti di amore e odio, che nonostante convivano sotto il medesimo tetto non riescono mai a comprendersi.

Il pediatra Donald Winnicott sosteneva che “dove c’è un ragazzo che lancia la sua sfida per crescere, là deve esserci un adulto pronto a raccoglierla” e pronto a farsi carico di tutte le conseguenze che tale sfida comporta, poiché la posta in palio è troppo alta: la nascita di un individuo autonomo e capace di andare incontro all’esistenza con coraggio, senso di responsabilità ed equilibrio.

Un equilibrio difficile da trovare tanto sui pedali, quando da piccoli ci si affida fiduciosi alla mano di un genitore che sorregge il sellino, quanto nella vita ma che, una volta raggiunto, permette di stringere forte il manubrio e sfrecciare autonomi verso la propria avventura.

Adolescenza
Adolescenza
Ilaria Caprioglio
Genitori e figli in trasformazione.Come affrontare la fase critica dell’adolescenza dei figli, assumendo il ruolo di guida, educando i giovani a un genuino desiderio di crescita. L’adolescenza è un periodo di metamorfosi, fisica e psicologica, vissuta dai nostri figli sotto l’influenza (sovente negativa) del mondo digitale.I ragazzi, lasciati soli in “autogestione”, tendono a orientarsi sulla linea dei coetanei, subendo la pressione della società odierna, improntata al narcisismo, al consumismo e alla competizione.Nel libro Adolescenza di Ilaria Caprioglio i genitori scoprono come tornare ad assumere, con coerenza e responsabilità, il ruolo di guida per educare i giovani a un genuino desiderio di crescita. Conosci l’autore Ilaria Caprioglio, avvocato e scrittrice, è sposata e madre di tre figli. Sostiene iniziative sociali rivolte ai giovani e promuove, nelle scuole italiane, progetti di sensibilizzazione sugli effetti della pressione mediatica e sulle insidie del web.È vice-presidente dell’associazione Mi nutro di vita e ideatrice della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla contro i disturbi del comportamento alimentare.