CAPITOLO II

L’identificazione nel gruppo

L’orientamento verso i coetanei

Negli adolescenti si assiste a una forte spinta verso il gruppo dei pari, percepito come una nuova famiglia alla quale si desidera appartenere ricercandone il consenso: l’etica del gruppo può quindi influenzare i princìpi e il senso del limite del singolo individuo in formazione. Questo impulso nella direzione del branco, e il conseguente assoggettamento alla sua dittatura, è sentito in misura maggiore da quei giovani che hanno fatto esperienza, fin dalla prima infanzia, di vuoti di orientamento generati da una mancata relazione di attaccamento con i genitori.


La genitorialità non si estrinseca in una serie di competenze, svolte in modo più o meno brillante dall’adulto, ma si esprime nella relazione che il genitore crea per istinto con il figlio al fine di curarlo, accudirlo e gradualmente, attraverso questa dipendenza, permettergli di acquisire la vera autonomia, frutto di una maturazione psicologica che lo porterà a scoprire la propria individualità. Tale maturazione è fondamentale per porre in essere una socializzazione autentica che gli consenta di andare incontro alla compagnia dei pari conservando la propria identità, senza cercarvi una comunità di simili dove il conflitto e il confronto, che derivano dall’alterità, risultino assenti.


Nel gruppo sociale, invece, l’adolescente tende a rispecchiarsi narcisisticamente alla ricerca di conferme in merito al suo valore e alla sua unicità, sebbene in realtà quest’ultima risulti omologata. Pertanto non si favorisce l’indipendenza di un figlio spingendolo verso gli amici, predisponendolo fin da piccolo alla socializzazione, o ancora agevolando la sua conformità ai coetanei nel timore che si possa sentire escluso. In questo modo la sua autostima poggerà sull’approvazione dei pari, dipenderà dal loro giudizio evanescente ed egli non imparerà a credere in se stesso; soprattutto, quando gli altri dubiteranno di lui.


Un adolescente orientato verso il gruppo sperimenterà un aumento della sua fragilità in quanto dovrà fare affidamento sui coetanei per sostenere la sua autostima e, al contempo, svilupperà un indurimento della sua sfera emotiva per non mostrarsi vulnerabile: quasi sempre, infatti, i giovani non si confidano i sentimenti più profondi nel timore di non essere compresi e di venire derisi. Per scongiurare il rischio che la compagnia diventi un rifugio per i figli bisogna trasmetter loro il senso di appartenenza alla famiglia, l’unica in grado di instillare verticalmente la cultura e le tradizioni, radicate nel contesto famigliare, sulle quali si fondano valori e princìpi.


La fame di amici, che spinge soprattutto i maschi a ricercare il gruppo nel quale esprimere l’amicizia attraverso l’azione volta alla scoperta del mondo, rispetto alle femmine, che tendono a privilegiare il rapporto a due fondato sul linguaggio per esplorare il loro universo interiore, non è tuttavia da ostacolare. Al contrario è un appetito da stimolare quando i giovani vanno incontro ai coetanei con la curiosità di scoprire le differenze, i diversi modi di vivere per arricchire il loro mondo o quando, rispecchiandosi rassicurati nell’uniformità di gusti e di gesti, stanno in realtà formando la propria individualità. In questi casi il gruppo amicale può agevolare il loro graduale distacco dalla famiglia perché asseconda il desiderio di allentare il cordone ombelicale senza, tuttavia, reciderlo completamente; in coerenza con quell’atteggiamento ambivalente che li rende smaniosi di libertà salvo, poi, desiderare il ritorno al porto sicuro rappresentato dal nucleo famigliare.


I genitori poi dovrebbero essere propositivi nel promuovere per i figli spazi di socializzazione attraverso i quali alimentare il desiderio di condivisione o di aiuto, e contrastare così l’attuale tendenza all’individualismo incentivando i valori fondati, ad esempio, sullo spirito sportivo o solidale1.

La socialità ai tempi di Internet

Gli attuali adolescenti stanno sperimentando una nuova forma di socialità, definita virtuale, che attribuisce al gruppo una funzione preponderante. È diventato fondamentale, ormai, appartenere a una determinata comunità e per raggiungere tale scopo il giovane non ha altra scelta se non omologarsi nei gusti oppure nei comportamenti ed evitare lo scontro e anche il dissenso: il tutto per conformarsi all’opinione di colui che viene individuato, attraverso il numero di like, come il leader digitale. Paradossalmente l’eccesso di libertà, correlato a un allentamento di controllo a livello sociale, ha reso tutti vittime del desiderio di uniformità. All’interno di simili agglomerati virtuali gli adolescenti assumono le sembianze di un gregge formatosi per placare l’ansia di appartenenza, nonostante esso rappresenti al contrario un insieme di individui isolati che si muovono allo stesso modo senza, tuttavia, condividere realmente nulla eccetto la volontà di non venire stigmatizzati ed esclusi in quanto diversi.


Il mondo del web sta, per di più, amplificando la propensione dei giovani al narcisismo: la loro smania di apparire, soddisfacendo la propria vanità, si fa strada a colpi di selfie (autoscatti effettuati con il telefono cellulare) da postare sui social network per documentare una quotidianità che assume valore solo in quanto condivisa, e per far circolare l’immagine di sé che si desidera trasmettere. Dal diario segreto si è passati al diario pubblico, costantemente aggiornato, da offrire in pasto agli amici che, cliccando sul tasto “Mi piace”, contribuiscono ad accrescere la vanità del protagonista e, al contempo, a placarne la solitudine. I giovani che ambiscono a tale successo, ottenuto attraverso questa forma di esibizione sociale, diventano però vulnerabili prede della vergogna e dell’umiliazione, di cui rischiano di far esperienza, se falliscono platealmente l’obiettivo. Obiettivo da perseguire ad ogni costo, anche trascurando o calpestando i sentimenti degli altri, per effetto di una sorta di anestesia che li rende incapaci di percepire gli stati d’animo di chi sta loro intorno.


La rete, secondo una ricerca effettuata dall’Oxford Internet Institute, ha accresciuto l’ansia, tipica degli adolescenti perennemente sui social, di essere esclusi dal proprio gruppo: questa paura di perdersi qualcosa è stata ribattezzata Fomo, dall’acronimo Fear of missing out cioè la paura di essere tagliati fuori dai flussi di comunicazione.


I giovani si ritrovano a consumare anche le relazioni amicali considerandole valide “fino a nuovo avviso”, secondo la celebre definizione del sociologo Zygmunt Bauman, fino a quando cioè possono trarre giovamento da esse con il minimo investimento emotivo. Questo accade in quanto i ragazzi sono alla ricerca di una sovraesposizione sui social network che, tuttavia, erode spazio al loro essere più intimo: se non sono connessi si sentono emarginati, ma i rapporti online non permettono loro di sviluppare la capacità di relazionarsi de visu con l’altro, imparando a gestire le emozioni che ne scaturiscono.


I follower di Twitter (cioè gli utenti che seguono una persona su questa rete sociale) hanno dunque rimpiazzato l’amico del cuore, ma non riusciranno a sostituire il calore umano e lo scontro dialettico che scaturiscono dall’incontro con una persona in carne e ossa. La sindrome del cinguettio continua a mietere vittime in quanto regala una popolarità immediata, rappresentando per gli adolescenti l’antidoto al loro senso di inadeguatezza e di insicurezza. Accade anche con la quantità di amici che si accumulano su Facebook, nonostante l’antropologo Robin Dunbar abbia dimostrato come esista un numero massimo di parenti e amici, stimato in centocinquanta, che si è in grado di gestire lungo l’arco di un’intera esistenza.

 

Sebbene i nostri figli stiano vivendo una vita perennemente connessi e con un grandissimo numero di contatti è aumentato il loro senso di disagio e di solitudine, poiché le amicizie virtuali nascono e terminano con un semplice click senza che subentri, in tale intervallo, la condivisione di esperienze o l’incontro nel mondo reale. Questo a riprova del fatto che l’esigenza dei giovani di espandere la propria individualità, attraverso relazioni multiple, non comporta per nulla la gratificazione tanto attesa. Il web sta ricreando quello che il politologo Giovanni Sartori denunciava avesse prodotto in passato la televisione: la “solitudine elettronica” di una folla sola anche all’interno delle mura domestiche.


Di nuovo, è compito dei genitori ripartire da una presa di coscienza sull’attuale società e di correre fattivamente ai ripari per scongiurare il pericolo di allevare una generazione di narcisi omologati e “malati di vuoto”, secondo una nota definizione dello stesso Sartori. Una generazione sempre connessa che fatica a concentrarsi, tende a non approfondire gli argomenti e, se non raggiunge immediatamente un risultato, demorde dall’impresa. Recenti ricerche statunitensi e britanniche hanno messo in evidenza ulteriori rischi del multitasking2: non solo chi lo pratica svolge male le varie attività portate avanti contemporaneamente ma soprattutto riduce il quoziente intellettivo del proprio cervello che è programmato per processare un’attività alla volta. L’emisfero linguistico del cervello, oltretutto, è un emisfero lento: la socializzazione, che si nutre innanzitutto di dialogo, dovrebbe essere caratterizzata dalla lentezza e non basarsi sullo scambio di messaggi, inviati in chat mentre si guarda un video o si aggiorna il proprio stato sul social network, messaggi che parlano un linguaggio veloce e privo di incisività per relazioni umane sempre più inconsistenti e fuggevoli.


Internet istiga alla fretta favorendo la superficialità e l’approssimazione che si esplicitano tramite commenti e pensieri gettati nella rete senza riflettere sulle conseguenze che ne derivano per sé e per gli altri. La Net Generation (come viene definita la generazione che ha dimestichezza con l’uso del computer) non teme, ad esempio, la perdita della riservatezza (privacy) che l’inserimento di continue e dettagliate notizie su se stessi comporta. Questo addormentamento del buonsenso ha colpito anche gli adulti, colpevoli di mettere in vetrina la loro vita intima pubblicando in rete album privati con migliaia di scatti dei propri bambini, ignari dell’esistenza di un mercato di tali fotografie fra i pedofili che, grazie a genitori vanitosi e irresponsabili, si alimenta senza interruzione. Prova ne è che la maggior parte delle foto e dei video, prodotti soprattutto da giovanissimi, viene sottratta a loro insaputa e indirizzata verso altri siti, compresi quelli di natura pedopornografica.


Nel momento in cui si posta online la propria immagine o il proprio pensiero se ne perde il controllo poiché inizia a fluttuare, nel mare magnum del web, come una barchetta di carta scivolata dalle mani. Ma, a differenza di questo origami, la foto o la frase non si deteriora fra i flutti: resiste indelebile, testimone di un passato che il giovane crederà di essersi lasciato alle spalle insieme alle bravate della sua adolescenza. I selezionatori del personale hanno quasi pensionato il vecchio curriculum vitae e, dopo un colloquio con il candidato, si avventurano nel mondo digitale per capire cosa questo racconti di lui: può accadere che le informazioni raccolte lo rendano inidoneo a ricoprire il ruolo offerto da una determinata azienda. Si è già verificato addirittura il caso che un post o un like a una notizia, pubblicata sul social network, sia stato ritenuto lesivo degli obblighi contrattuali di diligenza e lealtà verso la ditta per la quale si lavora, configurando una giusta causa di licenziamento o sfociando in un provvedimento disciplinare per il dipendente virtualmente scorretto.

Sempre connessi: la dipendenza dal web

Le cronache in questi ultimi anni stanno mettendo in guardia circa una nuova dipendenza che si sta diffondendo fra i giovani: la dipendenza dal web. I primi a destare scalpore sono stati gli hikikomori, cioè i ragazzi giapponesi di età compresa fra i quindici e i trent’anni socialmente esclusi, o sarebbe meglio dire autoesclusi, dal mondo reale per rifugiarsi in quello virtuale. In un secondo tempo anche in Italia si sono registrati i primi casi di questo fenomeno in rapida espansione: un figlio ha accoltellato il padre che gli aveva staccato la spina della playstation con la quale stava giocando da troppo tempo; un quattordicenne è stato colto da una crisi di nervi per essere stato mandato a dormire dopo un’intera giornata spesa davanti al computer; un ragazzo è stato sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio (TSO) in quanto dipendente da qualsiasi tipo di videogioco. Non si perda di vista poi che vengono proposti videogame sempre più violenti, come ad esempio Grand Theft Auto 5, GTA 5, nel quale i protagonisti sono tre uomini che compiono missioni senza limiti per ottenere tutto quello che vogliono: furti, rapine, violenze, stupri e omicidi sono gli ingredienti di questo videogioco che ha venduto quarantacinque milioni di copie nel mondo.


Purtroppo non si tratta di episodi isolati se presso il Ministero della Salute si è sentita la necessità di varare un piano d’intervento straordinario, istituendo due centri di riferimento nazionale, a Roma e a Torino, per accogliere e curare gli adolescenti affetti da IAD (Internet Addiction Disorder) che non escono più di casa e restano inchiodati davanti al monitor di un PC per giocare o intrecciare relazioni puramente virtuali. I sintomi di questa fame incontrollata di social network sono l’isolamento, la dipendenza, il sentimento di onnipotenza, l’aggressività e vincerla risulta difficile in quanto si vive sempre immersi nella tecnologia: per guarire bisogna imparare a convivere con quegli stessi strumenti digitali dei quali si è abusato.

Ancora una volta la strada migliore da percorrere risulta essere quella della prevenzione: gli adulti devono sostenere i propri figli affinché vivano intensamente, da protagonisti, anche la vita reale e non solo quella virtuale.


Eppure oltre il 60% dei minori accede a Internet al di fuori del controllo dei genitori e questo spiega il motivo per cui, già in prima media, quasi la metà dei ragazzi abbia un profilo su Facebook, e questo nonostante l’età minima per iscriversi sia fissata per legge a tredici anni, e fra i quattordici e i ventinove anni la presenza riguardi otto giovani su dieci. Sono pochi i padri e le madri che prestano attenzione all’uso che i giovanissimi fanno della rete: troppi sono gli adulti che rifiutano a priori un mondo che non conoscono e del quale non percepiscono i reali pericoli oppure, se lo approcciano, sono sovente i primi a cadere nelle trappole virtuali.


Le cronache raccontano episodi di ragazze adescate online: si tratta del reato di grooming, introdotto in Italia nel 2012 con la ratifica della convenzione di Lanzarote siglata in Spagna nel 2007. La condotta illecita si configura attraverso un metodo di persuasione, per mezzo di tecniche di manipolazione psicologica, indirizzato a indebolire la volontà della minore che viene indotta a superare le resistenze e a convincersi della normalità dei rapporti sessuali consumati con un adulto. Rappresenta una modalità di approccio estremamente insidiosa e strettamente correlata alla pedofilia culturale, sanzionata dal codice penale italiano e dilagata grazie alle moderne tecnologie digitali. Attraverso questo fenomeno si inneggia alle pratiche pedofile descrivendole come esperienze ideologicamente positive.


Si stima che oltre la metà dei giovani sia a rischio cyberdipendenza, in quanto controlla compulsivamente il proprio profilo sui social network e perde la cognizione del tempo che passa quando naviga in rete, con un conseguente depauperamento delle relazioni sociali e affettive che il vivere onlife, cioè nella vita vera, comporta. Si parla di autismo digitale per descrivere la difficoltà che hanno i ragazzi a comunicare faccia a faccia, senza il filtro di uno schermo e senza un’emoticon (parola, nata dalla contrazione di emotional icon, che indica il simbolo con cui, attraverso la punteggiatura, si descrivono i sentimenti di una persona) che rappresenti il loro stato d’animo.


A far da contraltare ai giovani eternamente in modalità online esistono, secondo i dati raccolti dalla ricerca Ipsos per Save the Children, 452mila adolescenti che non hanno mai avuto accesso a Internet, e la maggiore presenza di questo 11,5 per cento di disconnessi digitali si registra nelle famiglie con scarse risorse economiche e, in prevalenza, residenti al Sud o nelle isole. Si tratta di giovani che restano al di fuori del mondo virtuale non per libera scelta ma in quanto vittime del digital divide che li tiene ancorati al passato. Ancora una volta, quindi, si assiste alla mancanza di senso della misura fra chi abusa di questo strumento e chi non è neppure titolare del diritto di accedervi.

Non si può vivere senza cellulare

A compromettere ulteriormente la scarsa capacità degli adolescenti di interagire con gli altri si è inserito, come una sorta di protesi sul corpo, lo strumento tecnologico che rassicura i genitori ansiosi di conoscere gli spostamenti dei figli ma che, invece, dovrebbe impensierirli. Quasi tutti i giovani posseggono un cellulare: i bambini, fin dalle elementari, sfiancano gli adulti che non cedono alla richiesta di dotarli del telefonino, con il risultato che oltre la metà dei ragazzini stringe nelle mani uno smartphone senza limiti e regole per il suo utilizzo e, soprattutto, senza alcun filtro che blocchi contatti indesiderati o pericolose navigazioni in mari digitali dove si rischia di far naufragio.


Anche il cellulare ha la funzione di riempire il vuoto adolescenziale e rappresenta una sorta di rimedio per la noia che non si riesce ad amministrare. I ragazzi trascorrono il tempo incollati al suo display, mentre potrebbero perdersi fra le pagine avventurose di un libro, godersi il panorama dal finestrino dell’auto durante una gita, gustarsi una pietanza al ristorante anziché fotografarla per postarla su Instagram, conversare con i commensali vicini invece di messaggiare con gli amici lontani.


Con l’illusione dell’onnipotenza che azzera le distanze si perde il contatto sia con il mondo reale circostante sia con il proprio mondo interiore, gli unici dove risulti non esserci mai “campo”. Gli adulti, purtroppo, sono i primi a offrire il cattivo esempio raccontando la propria vita sentimentale a rassegnati passeggeri di un treno, rendendo edotti sui loro problemi lavorativi infastiditi vicini di ombrellone, arricchendo con un sottofondo musicale non richiesto convegni e riunioni. Il telefonino trilla di continuo celebrando il requiem in memoria del silenzio e dell’attesa. È essenziale imparare a zittirlo, senza cedere subito al suo richiamo e senza sentirsi perduti perché la batteria si è scaricata nel bel mezzo di un viaggio, se si desidera dettare regole e condizioni ai figli in merito al suo corretto utilizzo.

Il decalogo per i genitori3:

  1. Dare il buon esempio. Un adolescente non uscirà mai dalla dipendenza se i genitori sono a loro volta dipendenti;
  2. Patti chiari subito. Spiegare, al momento dell’acquisto, che il telefonino appartiene ai genitori e viene concesso solo in uso: se si violano le regole può essere sequestrato;
  3. Di notte si dorme. Togliere o far spegnere il telefonino ai figli dalle nove di sera fino al mattino successivo;
  4. Se si studia niente WhatsApp. Togliere o far spegnere il telefonino al pomeriggio quando si devono fare i compiti;
  5. A tavola si mangia e si parla. Vietare l’uso del telefonino quando si è insieme a tavola, in casa o al ristorante;
  6. Trovare il tempo per l’offline. Stabilire che durante il week-end la famiglia spegne i dispositivi elettronici per passare alcune ore insieme;
  7. Guardarsi negli occhi. Spiegare ai figli che le relazioni con le persone sono migliori se, ogni tanto, si parla direttamente con loro guardandosi negli occhi;
  8. C’è anche la vita reale. Abituare i figli a osservare il mondo reale e non solo quello virtuale;
  9. Vivere invece di fotografare. Spiegare che non si deve filmare o fotografare tutto: spesso è meglio vivere un’esperienza memorizzandola solo nel proprio cervello;
  10. Provare, qualche volta, a lasciare a casa il telefonino vincendo la paura di essere isolati dal mondo e dagli amici.

Il lato oscuro della rete: il cyberbullismo

Sta diventando un’esigenza improcrastinabile coniugare le moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) all’etica. Al cellulare, proprio come al web, è necessario applicare regole, la netiquette, come viene definito il galateo della rete, e limiti che ne permettano il corretto utilizzo e preservino, soprattutto i giovani, dalle influenze negative: l’obiettivo primario consiste nell’arginare la diffusione dell’intolleranza digitale, sdoganata da un linguaggio insultante e aggressivo, che si fa strada a colpi di tweet misogini, razzisti, violenti e impregnati di turpiloquio, tutti figli dell’odio che online è alimentato dalla de-individuazione dell’autore. Per contenere questo fenomeno e garantire, insieme alla neutralità della rete, il diritto al suo uso corretto e consapevole, la Camera dei Deputati ha promosso una Carta dei diritti di Internet, da proporre all’Europa, affinché anche nel mondo virtuale sussistano il rispetto della dignità, della libertà, dell’uguaglianza, la tutela dei dati personali e il diritto all’oblio.


È innegabile che esista un lato oscuro di Internet: si pensi al motore di ricerca Grams attraverso il quale vengono commercializzati tutti quei prodotti che nel mondo reale sono illegali: dalla droga alle armi, dai documenti falsi al materiale pedopornografico. Tuttavia, anche senza addentrarsi nel deep web e continuando a navigare in superficie, si rischia di naufragare dopo essere entrati in collisione con la piattaforma di Ask for me. Si tratta di un social network, nato nel 2010 in Lettonia, edificato sulle domande e sulle risposte degli oltre sessantacinque milioni di utenti, per la maggior parte adolescenti in fuga da Facebook perché frequentato da troppi genitori e privo, per il momento, dell’opzione che garantisca l’anonimato. Complice proprio l’ambita possibilità di askare in forma anonima e di seguire gli amici senza che questi lo sappiano, Ask.fm è diventato il regno degli stalker, che si avvalgono della dialettica binaria del web, oscillante dall’elogio all’insulto, e dell’immediatezza.


Sono all’ordine del giorno le brutali lapidazioni da parte di gruppi di ragazzi contro la vittima predestinata che, talvolta, non riesce a reggere l’urto di una simile violenza mediatica. Come è accaduto alla quattordicenne che si è tolta la vita dopo essere stata perseguitata dai bulli per aver postato le foto delle sue braccia tagliuzzate dalla lametta. Nadia è stata l’ennesima vittima del cyberbullismo che si va ad aggiungere ad Hannah, una sua coetanea inglese che si è impiccata per non aver sopportato gli insulti e le offese ricevute su Ask.fm; a Carolina, quindici anni, suicidatasi dopo essere stata braccata per mesi online da un gruppo di ragazzini; ad Amanda, una canadese che ha subìto la gogna mediatica architettata dal suo aguzzino, al quale aveva mostrato il seno nudo. Prima di morire questa quindicenne ha affidato a YouTube un suo videotestamento scrivendo su foglietti di carta: “Non ho nessuno. Ho bisogno di qualcuno”.


Un grido di dolore lanciato nel luogo dove i ragazzi cercano dialogo ma, sovente, raccolgono insulti e scherzi pesanti, capaci di innescare reazioni smisurate tipiche dell’adolescenza: modalità messe in atto per sottrarsi alla sofferenza momentanea senza avere la consapevolezza delle conseguenze irrimediabili che un gesto, inteso soltanto nella sua dimensione plateale, comporta.


Un giovane su tre, agevolato dall’anonimato che scatena la sua aggressività, diffonde in rete notizie offensive o false su coetanei che ne subiscono gli effetti in modo amplificato, e questo proprio a causa della dipendenza che non consente di staccare la spina dal mondo virtuale, culla del disagio stesso. Un mondo che gli adolescenti frequentano, convinti di trovarvi quel senso di appartenenza e condivisione dei sentimenti che faticano a rintracciare in quello reale, ma che purtroppo mostra il suo lato peggiore e violento accanendosi con i soggetti più deboli, carenti di attaccamento a figure genitoriali con le quali confidarsi e per questo vittime predestinate del cyberbullismo. Un fenomeno alimentato dall’anonimato, come già detto, e in rapida espansione all’interno delle reti sociali, fra le quali Facebook che ha lanciato una nuova applicazione, destinata a smartphone e tablet, per permettere di dialogare in forma anonima: un ulteriore impulso per i molestatori presenti nella rete, definiti troll, che postano pesanti insulti o gravi minacce gettando nell’angoscia chi li riceve.


La rete sta fungendo da cassa di risonanza anche per gli atti di bullismo, che sono sempre esistiti, ma che adesso vengono documentati da video, di ordinaria violenza ai danni della vittima di turno, e rappresentano per il carnefice un trofeo da esibire online al fine di racimolare i like che accrescono la sua notorietà. Uno degli ultimi episodi, in ordine di tempo, è quello occorso a una dodicenne genovese selvaggiamente picchiata da una ragazza di sedici anni di fronte ai coetanei che, invece di difendere la giovane, hanno ripreso l’episodio con i cellulari per poi condividerlo su You Tube. Internet regala quindi popolarità ai bulli, che si guadagnano a suon di pugni, calci e filmati la leadership dell’aggressività al fine di esercitare potere sul branco.


I genitori dovrebbero insegnare ai figli, fin da piccoli, a riflettere sul rapporto fra le loro azioni e le corrispondenti reazioni suscitate nei compagni o nei fratelli: solo in questo modo i giovani impareranno a rispettare l’altro e le sue emozioni. Rispettare, dal latino re-spectare cioè guardare di nuovo concedendosi tempo, implica il mantenimento di una distanza fra se stessi e l’interlocutore, che permetta di accoglierne l’alterità e la diversità. È un atteggiamento difficile da adottare anche per un adulto e per questo motivo la pratica di soffermarsi a osservare chi si incontra deve iniziare in tenera età e durare l’intera esistenza.

Il marketing delle condotte a rischio

Gli adolescenti vivono all’insegna del qui e ora, aderendo a pericolosi schemi di divertimento suggeriti dai media o dal mercato. Rientra nel primo caso il fenomeno del balconing che, esploso da un paio di estati in Spagna, ha già mietuto vittime a Palma di Maiorca fra i teenagers i quali, aiutati da dosi massicce di alcol ed eccitanti, raccolgono la sfida di lanciarsi dai balconi degli alberghi nelle piscine sottostanti. Una pericolosa moda suicida promossa dal reality televisivo della BBC Sun, sex and suspicious parents, dove le telecamere seguono le vacanze all’insegna dell’eccesso di adolescenti sorpresi successivamente dall’arrivo dei genitori che, anziché redarguirli, si mostrano comprensivi e indulgenti nei confronti di quelle che definiscono “ragazzate”. Gli adulti devono, d’altra parte, prestare molta attenzione a non fare a loro volta marketing delle condotte a rischio, sebbene motivati da finalità di prevenzione. Ciò accade quando mettono in guardia, in modo perentorio, sulle conseguenze dannose per la salute di fumo, alcol e droga ottenendo l’effetto opposto: far nascere nell’adolescente il desiderio di trasgredire al divieto realizzando i comportamenti proibiti. Quasi sempre poi il diniego si dimostra un mezzo educativo con un’efficacia temporale limitata; l’educazione preventiva deve essere costante in famiglia e sostenuta da condotte coerenti: non si può spiegare a un figlio quanto siano nocivi gli effetti del fumo mentre ci si accinge ad accendere l’ennesima sigaretta. Capita anche che i ragazzi cerchino rifugio in queste sostanze poiché non riescono a reggere la pressione dei continui stimoli ai quali, fin da piccoli, vengono sottoposti con la complicità dei genitori. Spesso gli adulti, tormentati dalla scarsa socializzazione del giovane, non comprendono come lui abbia rifuggito un gruppo dove si consumano troppe birre e si accendono spinelli senza temere l’esclusione, la derisione o il giudizio. È necessario che un genitore, in simili frangenti, sappia sostenere la cultura della diversità promossa, con coraggio e responsabilità, dal ragazzo all’interno della sua compagnia.


La maggior parte delle volte, però, gli adolescenti si avvicinano al mondo dell’alcol o della droga per conformarsi al gruppo e ribadirne, attraverso queste condotte, l’appartenenza, liberandosi nel contempo da un fastidioso senso di insoddisfazione o di inadeguatezza.


Dal mondo dei media arrivano altri pericolosi input alla trasgressione, come i siti pro-ana, già esaminati nel precedente capitolo, o quelli che inneggiano al satanismo: in Italia esistono più di cinquecento sette sataniche che reclutano in rete giovani proseliti, di età compresa fra i quattordici e i sedici anni, da sottoporre ad abusi sessuali o a violenze fisiche e psicologiche. Navigando nel web i ragazzi possono, inoltre, imbattersi in video che promuovono l’autolesionismo (il cutting consiste nel provocarsi tagli mediante l’utilizzo di lamette o altri oggetti affilati come coltelli, frammenti di vetro, forbici) o che istigano al suicidio attraverso filmati dove viene illustrato nel dettaglio come darsi la morte.


Molti giovani sviluppano in rete la dipendenza al gioco d’azzardo, attirati dai gestori di questo business illegale con l’esca dei facili guadagni che induce a cliccare su un link per accedere a siti di scommesse a pagamento o di tornei di poker. Ogni giorno si assiste al proliferare di app per gli smartphone con nuove tipologie di gioco che invitano alla prova tramite l’offerta di fiche gratuite. Inoltre la mancata richiesta, in molti casi, degli estremi del documento d’identità e la possibilità di pagare tramite l’addebito sul conto telefonico hanno reso il gambling, cioè la dipendenza dal gioco online, una vera e propria emergenza sociale: un ragazzo su sei sotto i quattordici dichiara di aver frequentato almeno una volta questi siti. A complicare la situazione è sopraggiunta la crisi economica che rafforza la strategia di uno Stato assente nella prevenzione ma molto attivo nel far cassa con il gioco d’azzardo: si stima che quasi uno studente su venti arrivi a spendere, per questo vizio, cinquanta euro in un mese.

Internet: la piazza virtuale per lo spaccio della droga

L’adolescente può cedere all’impulso di fare esperienza di sostanze stupefacenti per la curiosità di provare l’effetto che provocano, per conformarsi al gruppo, per puro spirito di trasgressione oppure perché è alla ricerca di una stampella chimica che possa infondergli coraggio nelle relazioni interpersonali, migliorarne le prestazioni, amplificare il divertimento del sabato sera.


Fra le ragazze si sta diffondendo l’utilizzo di anfetamine e cocaina al fine di azzerare lo stimolo dell’appetito e restare in linea, mentre i giovani che frequentano le palestre ricorrono a integratori o sostanze dopanti per raggiungere traguardi sportivi che, altrimenti, richiederebbero tempo e fatica. Tuttavia i luoghi per elezione dove si consumano i primi approcci con le droghe sono le discoteche: i templi della cultura dello sballo che aprono sempre più tardi e dove, per tirare avanti fino a notte fonda ballando e socializzando, diventa imprescindibile l’aiuto chimico.


Alcuni adolescenti assumono tali sostanze per eliminare il senso di disagio e di inadeguatezza: una sorta di interruttore con il quale si spengono queste sgradevoli sensazioni senza dover affrontare la causa del problema. Ancora una volta si tratta di giovani con una scarsa autostima, orfani di genitori in grado di allenarli ad affrontare situazioni difficili ed eventuali sconfitte.


Accanto alle droghe convenzionali come la cocaina, l’ecstasy, gli allucinogeni, le anfetamine, l’eroina e la cannabis, che non deve essere ritenuta una droga leggera in quanto la concentrazione del principio attivo, il tetraidrocannabinolo, negli odierni spinelli arriva al 25% contro il 5% di quelli che si fumavano negli anni Settanta, si sono aggiunte nuove sostanze psicoattive. Si tratta delle smart drug, o droghe intelligenti, sostanze sintetiche spacciate come naturali che non sono rintracciabili facilmente nel sangue o nelle urine di chi le consuma. Esse possono provocare attacchi di panico, tachicardia, allucinazioni ma anche infarto, ictus e coma: pertanto non sono sostanze prive di effetti collaterali come vengono propagandate nel web, moderna piazza virtuale dello spaccio. In questi supermarket della droga nascono continuamente nuove smart drug con parziali modifiche della struttura chimica rispetto alle precedenti, bandite dal mercato dopo essere state catalogate come sostanze illegali. Se si inserisce nel motore di ricerca la parola “incensi” o “profumatori di ambienti” si possono tranquillamente acquistare, con carte prepagate, e ricevere a domicilio miscele dagli effetti equiparabili a quelli della cannabis. Sempre online si possono trovare i “catinoni sintetici”, mascherati da fertilizzanti, che regalano un’eccitazione paragonabile a quella prodotta dalla cocaina; la ketamina, un farmaco utilizzato dai veterinari, che assunta in compresse produce effetti simili a quelli indotti dalle pasticche di ecstasy; o infine il GHB o droga dello stupro, un farmaco inodore e insapore per l’insonnia e l’alcolismo, che aggiunto ai drink induce alla perdita di controllo.

Con il binge drinking non si brinda alla vita

Nel capitolo precedente si è affrontato il fenomeno, quasi tutto al femminile, della drunkoressia al quale fa da contraltare quello, declinato maggiormente al maschile, del binge drinking: la tendenza a consumare parecchie dosi alcoliche in un lasso di tempo breve e lontano dai pasti, solitamente cinque o sei bevute nell’arco di due o tre ore.


Non deve sorprendere, quindi, che l’alcol sia alla base di un quarto degli incidenti stradali occorsi agli under ventiquattro e che, nei fine settimana, alcuni ospedali riservino un paio di letti agli adolescenti che giungono al pronto soccorso in coma etilico. L’età non solo delle prime bevute ma anche delle prime ubriacature è drammaticamente scesa sotto i dodici anni, contro i quattordici della media europea, mentre oltre il settanta per cento dei ragazzi fra i diciotto e i ventiquattro anni consuma bevande alcoliche.


Si tratta di una vera e propria epidemia da alcol che ha iniziato a diffondersi, negli anni Ottanta, con la nascita degli happy hour tenuti a battesimo nella “Milano da bere”: era l’epoca dei locali di tendenza frequentati da studenti universitari, industriali e modelle con il bicchiere in mano e il sorriso di chi si sta godendo la vita, stampato sul volto. In questo modo l’abuso di alcol ha perso la connotazione negativa, che relegava gli alcolizzati ai margini della società, per assumerne una positiva, collegata al benessere, alla performance e al divertimento. Le stesse campagne pubblicitarie, che promuovono il consumo di superalcolici, si avvalgono di atmosfere eleganti e testimonial prestigiosi. Con simili premesse i genitori stentano a percepire la potenziale pericolosità dell’alcol, una sostanza tossica come la ben più temuta droga, che può provocare una diminuzione dei freni inibitori con la conseguente perdita di autocontrollo fino ad arrivare all’incoscienza, al coma e alla morte. Inoltre, anche quando non provoca questi danni nell’immediato, l’alcol resta in circolo nel sangue lungamente svolgendo la sua azione tossica, più marcata nel caso si tratti di giovani consumatori, su fegato e cervello. Ulteriori conseguenze si potranno valutare solo nel lungo periodo: si ipotizza un’emergenza di patologie alcoliche nei futuri trentenni, dediti al binge drinking durante l’adolescenza, fra le quali cardiopatie, infarti e danni al sistema neurologico.


Un’altra tendenza pericolosa, legata ai superalcolici e importata dall’Est europeo, consiste nell’instillarsi negli occhi gocce di vodka che, in tal modo, entra rapidamente in circolo permettendo di raggiungere la sbornia in tempi brevissimi.


Gli adulti devono smettere di considerare l’alcol una sostanza innocua, socialmente accettata, e devono attivarsi per sviluppare il senso critico dei propri figli fin da piccoli negando loro, in occasione delle festicciole di compleanno, spumanti per bambini o bevande energizzanti. Ma, soprattutto, devono veicolare il messaggio che le esperienze autentiche e appaganti si vivono soltanto da sobri.


Anche il web sta contribuendo a istigare all’abuso di sostanze alcoliche attraverso la folle moda della neck nomination, dove neck indica il collo della bottiglia che il protagonista si scola per poi, secondo una successiva variante del gioco, compiere una bravata in stato di ebrezza e, infine, nominare l’amico che dovrà emulare il suo gesto entro le ventiquattro ore: il tutto debitamente filmato e caricato sui social network. Il fenomeno delle bevute online ha già provocato la morte di molti ragazzi nel mondo, tutti sotto i trent’anni.

Fumarsi l’adolescenza

Gli adolescenti accendono la loro prima sigaretta per sentirsi meno a disagio, per vincere l’impaccio di non saper dove mettere le mani, per sembrare più grandi o per integrarsi nel gruppo dei pari. Il rischio legato al consumo di tabacco fra i giovani – più di un ragazzo su tre fuma abitualmente sigarette – è tuttavia sottovalutato dagli adulti ancor più di quello legato all’alcol. Per il genitore che fuma è difficile rappresentare un modello di comportamento per suo figlio che, con la complicità delle malsane abitudini respirate in famiglia e con la facilità con cui può reperire le sigarette, si avvierà a sviluppare una pericolosa dipendenza alla nicotina agevolata dalla mancanza di sintomi da intossicazione.


I dati forniti dall’Aiom, Associazione Italiana di Oncologia Medica, nell’ambito del progetto “Non fare Autogol. Gioca d’attacco contro il cancro”, rivelano che fuma il 39% dei quindicenni e l’8% dei tredicenni: uno stile di vita errato, un’innocua trasgressione che, come viene spiegato nell’opuscolo dell’iniziativa, rischia di trasformarsi in un clamoroso autogol per la salute dei giovani considerando che “a ogni boccata di sigaretta, durante la combustione, si sprigionano più di 4000 sostanze chimiche” nocive per l’organismo.


Per dissuadere un giovane dal fumo può essere più utile, rispetto all’elenco aggiornato dei conoscenti morti per tumore ai polmoni, spegnere l’ultima sigaretta con lui se si è fumatori, focalizzare la sua attenzione sulla paghetta settimanale che va letteralmente in fumo, e informarlo sui danni estetici, un tema al quale gli adolescenti sono molto sensibili, provocati a capelli, pelle e denti.

Il divertimento si nutre di eccessi e trasgressione

Un adolescente corre un rischio ogni volta che vive un’esperienza nuova, mettendosi alla prova ed esponendosi all’eventuale fallimento con la conseguenza di sperimentare, sulla propria pelle, il bruciante sentimento della vergogna. In questo caso si tratta di una situazione rischiosa con valenza costruttiva che permette al giovane di conoscersi meglio, imparando a valutare le proprie potenzialità e i propri limiti. Ma ci sono anche altri rischi che i ragazzi amano correre alla ricerca di sensazioni forti, come quelli suggeriti dall’attuale cultura dello sballo.


Gareggiare ad alta velocità in moto, camminare di notte lungo la linea di mezzeria della strada, accettare una neck nomination, dedicarsi ad atti di microcriminalità, lanciarsi da un balcone nella piscina sottostante sono tutti comportamenti connotati da una voglia di trasgressione fine a se stessa e priva di insegnamenti esperienziali. Rappresentano prove di coraggio inutili affrontate da ragazzi che, vivendo la quotidianità con un opprimente senso di fallimento e insoddisfazione, cercano una rivincita il sabato sera trasformandosi in una sorta di supereroi senza possederne i superpoteri. Eroi che si lanciano in atti vandalici o partecipano a violenze di gruppo per gridare al mondo che esistono, reclamando il loro posto.


Si tratta di adolescenti che non hanno ancora trovato la loro sicurezza e la loro posizione nel mondo e, identificandosi nel gesto plateale, rischiano di bruciarsi la vita. Giovani che talvolta hanno appreso dagli adulti, insofferenti a qualsiasi regola, la lezione su come divertirsi solo attraverso eccesso e sregolatezza.

La prevenzione last minute dei genitori

Resistere alla cultura dello sballo, dalla sfida in motorino all’abuso di alcol, dipende molto dalla capacità dell’adolescente di non cedere ai condizionamenti dell’ambiente che frequenta, sapendo contrapporre e sostenere la propria autonomia e il proprio senso di responsabilità davanti agli atteggiamenti uniformati del gruppo. Ma per essere in grado di mantenere questa posizione, con sicurezza e determinazione, è necessario un lavoro costante dei genitori; non è sufficiente la prevenzione last minute del sabato sera sulla porta di casa, mentre il ragazzo sta per uscire, mediante una serie di divieti e raccomandazioni che lo infastidiscono, mentre lui desidererebbe sentirsi dire semplicemente: “Divertiti con i tuoi amici!”, comprendendo come quella frase ne sottende un’altra molto importante per lui: “Io mi fido di te!”.


Però il sentimento della fiducia verso i figli matura solo se i genitori hanno saputo comportarsi come un bravo contadino che coltiva la pianta con dedizione costante, rispettando i tempi di crescita e di maturazione dei frutti, prevenendo le insidie di parassiti e agenti atmosferici avversi.

Si comprende ancora una volta l’importanza di tenere saldamente accanto a sé i figli finché non saranno in grado di tenersi saldamente a se stessi, liberi dai condizionamenti del mondo esterno e, più di ogni altra cosa, dall’ossessione di essere accettati e apprezzati dal gruppo dei pari.


I genitori devono trasmettere a un giovane l’idea che saranno sempre presenti qualora fosse in difficoltà e quindi, sulla porta di casa prima di uscire, sarebbe auspicabile gli augurassero: “Divertiti!” aggiungendo “Chiama se avessi bisogno!”.


Rammentando sempre che, affinché in una situazione di emergenza un figlio abbia il coraggio di chiedere aiuto senza temere il castigo per aver disubbidito, l’adulto deve aver dimostrato la sua propensione all’accoglienza e alla riconciliazione attraverso il perdono.

Adolescenza
Adolescenza
Ilaria Caprioglio
Genitori e figli in trasformazione.Come affrontare la fase critica dell’adolescenza dei figli, assumendo il ruolo di guida, educando i giovani a un genuino desiderio di crescita. L’adolescenza è un periodo di metamorfosi, fisica e psicologica, vissuta dai nostri figli sotto l’influenza (sovente negativa) del mondo digitale.I ragazzi, lasciati soli in “autogestione”, tendono a orientarsi sulla linea dei coetanei, subendo la pressione della società odierna, improntata al narcisismo, al consumismo e alla competizione.Nel libro Adolescenza di Ilaria Caprioglio i genitori scoprono come tornare ad assumere, con coerenza e responsabilità, il ruolo di guida per educare i giovani a un genuino desiderio di crescita. Conosci l’autore Ilaria Caprioglio, avvocato e scrittrice, è sposata e madre di tre figli. Sostiene iniziative sociali rivolte ai giovani e promuove, nelle scuole italiane, progetti di sensibilizzazione sugli effetti della pressione mediatica e sulle insidie del web.È vice-presidente dell’associazione Mi nutro di vita e ideatrice della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla contro i disturbi del comportamento alimentare.