La crisi delle istituzioni: scuola e famiglia
Si è esaminato come i giovani, alla ricerca della loro unicità, abbiano bisogno del sostegno della famiglia e della scuola, che dovrebbero indicar loro anche limiti e regole. Sempre più spesso, però, si assiste a genitori che delegano ai docenti non solo l’istruzione dei figli ma anche la loro educazione. È all’ordine del giorno la raccolta delle lamentele di insegnanti nell’impossibilità di svolgere le lezioni, in quanto la maggior parte dei ragazzi è ingestibile e non ha rispetto dell’autorità che, in ambito scolastico, il professore dovrebbe incarnare. Molto sovente è lo stesso genitore a non avere considerazione per il corpo docenti, rompendo in tal modo il patto educativo con la scuola posto alla base del corretto sviluppo di un giovane. Le recenti cronache raccontano di denunce per abuso dei mezzi di correzione, e di richieste di risarcimento danni per migliaia di euro, avviate dai famigliari di alunni ripresi dagli insegnanti per episodi di bullismo o per non aver svolto i compiti loro assegnati. Risulta chiaro come, in simili circostanze, i giovani siano confusi e vengano privati delle più basilari norme di educazione civica: in presenza di genitori che contestano insegnanti e voti, e assumono sempre posizioni difensive nei confronti dei propri figli, la scuola non potrà che continuare a perdere autorevolezza; e questo andrà a discapito del percorso formativo degli adolescenti.
In modo simmetrico, molti insegnanti appaiono sfiduciati e portano avanti stancamente un programma ministeriale logoro e depauperato di qualsiasi elemento di stimolo. Professori dimissionari che non sanno più accendere la passione e la curiosità verso la propria materia, il gusto dell’approfondimento e del confronto, l’amore per la cultura che rende un giovane assetato di quella conoscenza che dovrebbe traghettarlo verso la maturità. La scuola non ha raccolto la sfida di orientare i giovani allo sviluppo della capacità introspettiva e della competenza sociale. Fornendo solo nozioni senza indicare un metodo di ricerca, che aprirebbe le porte a un giudizio critico, l’istituzione scolastica ha abdicato al suo ruolo precipuo: coltivare esseri umani completi, pronti al dialogo e al confronto con l’altro, capaci di sentirsi come i musicisti dell’orchestra-classe in grado di sviluppare l’arte del contrappunto per creare armonia. La scuola, specchiandosi in una società caratterizzata da individualismo e competizione, richiede ai giovani l’alta prestazione rappresentata dal voto ma trascura le peculiarità del singolo studente: scarsa, infatti, risulta l’attenzione alle problematiche adolescenziali, sempre più critiche e amplificate nell’era digitale.
Anche la famiglia è in affanno e sembra non riuscire più a contrastare efficacemente la forte pressione mediatica che difatti tende a travolgerla. In questi ultimi anni si è assistito a un azzeramento del divario generazionale fra genitori e figli, il che ha reso i primi amici e complici dei secondi in una pericolosa confusione di ruoli. Da una parte vi sono gli adulti che, rincorrendo l’eterna giovinezza e l’esasperato consumismo, rifuggono qualsiasi forma di responsabilità genitoriale e non pongono alcun limite né a se stessi né ai propri figli. Dall’altra si collocano gli adolescenti alla disperata ricerca di regole da contestare o infrangere, ma in presenza delle quali sentirsi rassicurati e protetti.
L’unica protezione che i genitori procurano al figlio è rappresentata dal telefono cellulare, che permette loro di monitorare i suoi spostamenti senza prestare troppa attenzione ai suoi compagni di avventura. Apparecchi che spengono il dialogo in quanto sempre accesi e attraverso i quali i giovani possono entrare, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento della giornata, in contatto con le insidie che la realtà virtuale riserva a sprovveduti navigatori.
Anche il significato della parola “amore verso un figlio” sembra aver subìto una profonda trasformazione: amarlo, ormai, significa assecondare ogni sua richiesta e desiderio, purché non si senta in difetto verso i coetanei e non soffra per un rifiuto. È con un regalo che si cerca di esaudirlo senza indugio, mettendo a tacere l’eventuale senso di colpa che attanaglia i genitori per i pochi momenti che gli dedicano. Ciò avviene nel tentativo di convincersi che, prima nell’infanzia e dopo nell’adolescenza, conta la qualità e non la quantità del tempo dedicato a un figlio, mentre è solo quest’ultima che permette di condividere esperienze, raggiungendo l’obiettivo del vivere insieme intensamente anche situazioni difficili. Si rincorre l’illusione che sia più importante offrirgli abiti griffati e gadget elettronici di ultima generazione anziché tempo e disponibilità ad ascoltarlo o a percepire il disagio che lo sta affliggendo. Ma in tal modo si sta drammaticamente contribuendo a commercializzare anche la vita intima, crescendo giovani consumatori al posto di individui.
I beni materiali sono diventati un surrogato dell’amore e questo gli strateghi del marketing lo hanno compreso da molto tempo sostenendo l’“adultizzazione” di bambini che ormai orientano i consumi dell’intera famiglia e piegando gli adolescenti alle regole del carattere mimetico del desiderio, secondo cui si sceglie un prodotto pensando all’immagine che, attraverso quell’oggetto, si vuole trasmettere agli altri di se stessi. Anche la moda gioca con l’identità degli adulti e, specularmente, con quella dei ragazzi: indossando un vestito si diventa qualcuno senza doversi impegnare per essere realmente quell’individuo.
I genitori devono tornare al più presto a rappresentare un fattore di protezione per gli odierni adolescenti abbandonati in autogestione, devono sottrarli all’influenza negativa dei media e impegnarsi a trasmetter loro il principio che sancisce come la maggior parte dei beni necessari per essere felici non siano in vendita. Il calore di una famiglia unita, la solidarietà di un’amicizia sincera, l’orgoglio per aver svolto un lavoro con impegno e dedizione, l’appagamento per essersi presi cura in maniera disinteressata di chi era in difficoltà costituiscono straordinari strumenti di soddisfazione che non sottostanno alle leggi di mercato. Queste ultime, al contrario, sono improntate sul concetto di gratificazione istantanea, sull’idea di vita usa-e-getta nella quale la gioia è subordinata al consumo e non alla relazione. L’identità si misura oramai con gli oggetti che si possiedono e i genitori rinunciano a esortare i propri figli affinché vadano contro corrente e cantino con voci fuori dal coro per non diventare quello che gli altri impongono loro di essere. Gli adulti non si preoccupano di indicare ai giovani quali strumenti sarebbero indispensabili per diventare davvero autonomi, per non piegarsi al consumismo passivo che li vorrebbe tutti omologati nei desideri e nelle aspettative, bulimici di sensazioni forti e di appagamenti immediati.
È proprio in questa frenesia del fare e dell’avere, a discapito dell’essere, che affonda le sue radici la crisi morale dell’individuo; crisi che si riverbera nell’assenza di rispetto per se stessi e per gli altri, figli compresi, e nella conseguente mancanza di dignità che preclude ai genitori la possibilità di proporsi come guide degne di fiducia, punti di riferimento solidi e affidabili per l’adolescente che si aggira confuso per casa. Troppi adulti ritengono che la strada dell’accudimento e della protezione dei propri figli non passi attraverso le regole e i limiti, bensì attraverso la soddisfazione immediata di ogni loro bisogno economico e sociale, l’ipervalorizzazione e l’incentivazione della frenesia del fare. Si stimolano i ragazzi a fare esperienze, esortandoli a partire per vacanze-studio all’estero e scegliendo per loro mete sempre più lontane, con l’obiettivo di convincersi di avere figli già perfettamente autonomi. Non ci si preoccupa, invece, delle esperienze interiori che gli adolescenti dovrebbero maturare per progredire e rendersi realmente autonomi, capaci di reggere all’urto dell’aspettativa di perfezione delusa, o dell’invisibilità sociale che oggigiorno viene identificata con la mancata realizzazione personale.
Fagocitati da una società altamente performante, gli adulti si sono dimenticati che la competizione non seleziona i migliori ma, semplicemente, premia i meno sensibili inducendo le persone timide e introverse a dichiarare fallimento. Un numero sempre maggiore di giovani inoltre, se non sperimenta il sentimento delle frustrazioni a livello materiale, soffre però di un immenso vuoto emotivo, creatosi all’interno di una casa dove non si respira più il senso di appartenenza e di compartecipazione. Una casa dove i genitori tengono costantemente il piede premuto sull’acceleratore e si preoccupano se il figlio, anziché uscire e socializzare, si ritaglia dei momenti per perder tempo, per fantasticare, per oziare, provando in tal modo a familiarizzare con le nuove emozioni che stanno affiorando in lui e che chiedono a gran voce di essere decodificate e riordinate.