INTERVISTE AGLI ESPERTI

Intervista a Michele Villanova

Maestro di danza, già primo ballerino del Teatro alla Scala - Milano

Lo sport inteso come metafora di vita che insegna a realizzare i propri desideri con passione, lealtà impegno, sacrificio, reagendo davanti alle sconfitte e lavorando in squadra nel rispetto dei propri compagni, appare un concetto superato scritto nei vecchi manuali di educazione fisica. Come si possono amplificare quelle voci fuori dal coro che, nonostante tutto, portano avanti con caparbietà questo concetto che rappresenta il vero senso dello sport?


Per amplificare queste voci è necessario ripristinare l’eccellenza della disciplina partendo dall’analisi della figura dell’insegnante che, agli occhi della società, è decaduta in quanto l’insegnamento rappresenta, sempre più spesso, il ripiego a un personale fallimento. Dovrebbe essere una figura importante mentre, invece, molti se ne sono appropriati per sopperire a una sconfitta. A qualsiasi livello e in qualsiasi campo si trova un insegnante che sa trasmettere solo astio e rancore per tale situazione: nel rapporto con l’allievo non infonde passione ma riflette il proprio stato d’animo negativo. Uno degli errori più diffusi, inoltre, è quello di trasformarsi in critico mentre non dovrebbe far trasparire mai, neanche per un attimo, quella che potrebbe essere una sua preferenza e non dovrebbe offendere mai chi sbaglia. I ragazzi non hanno tutti gli stessi ritmi di crescita, ognuno ha i propri che, poi, determineranno la riuscita come atleta o come artista ma, soprattutto, come essere umano. Ribadisco, dunque, che il ruolo dell’insegnante non andrebbe classificato: lo si diventa a un certo punto del proprio percorso professionale e non dovrebbe rappresentare mai una scappatoia al fallimento.

La nota sentenza di Giovenale “mens sana in corpore sano” risulta quantomai anacronistica se si riflette sui frequenti casi di anoressia o vigoressia, per citare solo alcuni fra i disturbi del comportamento alimentare, che si sviluppano in ambienti sportivi. Gli atleti, attraverso la disciplina, dovrebbero imparare a gestire le proprie emozioni e, invece, ne risultano travolti: cosa ha contribuito a inceppare il motore della crescita fisica e psicologica di un giovane?


È estremamente importante esaminare cosa significa “mens sana in corpore sano”. È assolutamente necessario che chi insegna abbia la consapevolezza che il cervello non può contemplare due stati d’animo differenti contemporaneamente, quindi se si desidera ottenere la serenità e il benessere, rispettivamente di mente e corpo, è su questo che bisogna lavorare: un ragazzo deve essere posto in uno stato d’animo eccellente dal maestro che aspira ottenere da lui l’eccellenza della prestazione. È fondamentale inoltre ripristinare, anche attraverso i modelli veicolati dalla società, la consapevolezza che nella sport, come nella vita, è importante essere e non apparire. E per essere ci vuole una tecnica, quindi una disciplina: bisogna portare il giovane a vivere una determinata disciplina con serenità. Solo in questo modo sarà in futuro un individuo eccellente. La didattica rappresenta uno scambio continuo fra maestro e allievo, dove il primo è costretto a mettersi continuamente in discussione in quanto, ogni volta, si trova davanti una persona diversa e, nel fare questo, deve sempre tenere come punto fermo la disciplina. Troppo spesso, invece, si abbattono i pilastri della disciplina, della didattica, dell’autorevolezza, del passaggio logico e conseguenziale del fare e poi insegnare, a totale discapito del giovane che cerca, sempre e comunque, di piacere al proprio maestro correndo il pericolo di sottostare a forme di insegnamento errate. In merito al dilagare dei disturbi del comportamento alimentare non va sottovalutato il rischio di infettività presente in certi ambienti sportivi: il giovane si ammala in quanto è il maestro che lo vuole far ammalare intaccando, attraverso il suo insegnamento, il principio “mens sana in corpore sano”.
Per questo motivo è necessario guardare l’atleta in faccia: si corregge dagli occhi che sono l’ingresso dell’anima, e non dalle gambe, solo in questo modo si rende un giovane fiero e sereno di essere, e non solo di apparire, un ballerino o un campione. E solo in questo modo la maggior parte dei ragazzi, che non saranno ballerini o campioni, avranno imparato ad accettare con serenità i loro limiti, convivendo con essi, e potranno procedere liberi per la loro strada. Un sano insegnamento farà uscire un giovane potenziato e non devastato dall’esperienza sportiva; per questo motivo un maestro deve insistere a battagliare in maniera corretta e con umiltà, senza aspettarsi che gli torni qualcosa ma, semplicemente, perché crede in quello che fa e desidera trasmettere con passione la propria arte.

Quanto possono avere inciso in negativo la spettacolarizzazione e i forti interessi economici che, ormai, sembrano dominare la maggior parte delle discipline agonistiche?


Hanno inciso in maniera esponenziale in quanto hanno sbilanciato la persona verso l’apparire a discapito dell’essere. La spettacolarizzazione ha portato alla monetizzazione dello sport e ha indotto a spingere un individuo, piuttosto che un altro più meritevole, semplicemente perché dotato di maggior impatto mediatico nonostante fosse privo di un reale valore intrinseco. Non interessa la concretezza del personaggio ma interessa che appaia ciò che in quel determinato momento si richiede: si costruiscono o distruggono individui in risposta a ciò che vuole il pubblico e, di conseguenza, lo sponsor. Porto l’esempio della mia esperienza come maestro nel programma televisivo “Amici”, un programma altamente diseducativo in quanto se può aver risvegliato l’interesse nei confronti della danza lo ha destato con un’imposizione di base fallata: è l’emblema del fatto che nella vita conta la scorciatoia e ha contribuito a distruggere la consapevolezza di quanto sia importante la disciplina.

Nel mondo dello sport si parla sempre più spesso di professionismo precoce, promosso dalle società sportive e alimentato dalle aspettative genitoriali. Quale sarebbe, secondo Lei, l’approccio corretto che dovrebbero avere i genitori di un giovane sportivo?


L’approccio dei genitori con le discipline che i figli intendono intraprendere è fondamentale. Il professionismo precoce e le aspettative genitoriali hanno spesso generato una distorsione della realtà sportiva e artistica, favorendo atteggiamenti competitivi poco salutari dal punto di vista fisico e psicologico. Questo accade quando si smette di amare una disciplina, che si pratica con la passione di chi vuole principalmente divertirsi e apprendere, e la si usa per compensare altre mancanze. Un genitore deve essere disposto ad accettare il proprio figlio per quello che è, indipendentemente dai risultati che otterrà. Deve supportarlo e affiancarlo nel percorso senza mai proiettare i propri obiettivi, perché nessuno ha il diritto di prevaricare i desideri dell’altro, neanche i genitori a cui i figli sono dati in prestito. Un giovane danzatore classico, ad esempio, può trarre beneficio dalla danza in qualsiasi momento se vive la sua passione senza pressioni esterne e falsi miti. Questa è la strada da percorrere: mantenere ognuno il proprio specifico ruolo, assolvendo con dignità al compito di educatori e fornendo gli strumenti necessari al benessere e la crescita dei giovani attraverso discipline che per natura sono sempre appartenute all’essere umano.

Adolescenza
Adolescenza
Ilaria Caprioglio
Genitori e figli in trasformazione.Come affrontare la fase critica dell’adolescenza dei figli, assumendo il ruolo di guida, educando i giovani a un genuino desiderio di crescita. L’adolescenza è un periodo di metamorfosi, fisica e psicologica, vissuta dai nostri figli sotto l’influenza (sovente negativa) del mondo digitale.I ragazzi, lasciati soli in “autogestione”, tendono a orientarsi sulla linea dei coetanei, subendo la pressione della società odierna, improntata al narcisismo, al consumismo e alla competizione.Nel libro Adolescenza di Ilaria Caprioglio i genitori scoprono come tornare ad assumere, con coerenza e responsabilità, il ruolo di guida per educare i giovani a un genuino desiderio di crescita. Conosci l’autore Ilaria Caprioglio, avvocato e scrittrice, è sposata e madre di tre figli. Sostiene iniziative sociali rivolte ai giovani e promuove, nelle scuole italiane, progetti di sensibilizzazione sugli effetti della pressione mediatica e sulle insidie del web.È vice-presidente dell’associazione Mi nutro di vita e ideatrice della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla contro i disturbi del comportamento alimentare.