capitolo 13

La lezione del silenzio

S

i è parlato molto di una lezione che utilizziamo nel nostro metodo e che è ben nota ovunque questo sia conosciuto, e che è stata portata anche al di fuori di esso. È una lezione collettiva e, come la camminata sul filo, si basa sul controllo dei movimenti. A volte alla camminata sul filo partecipano una o due persone e poi se ne aggiungono altre. Anche se è un’attività collettiva, può accadere che solo pochi partecipino mentre gli altri guardano, dunque non è una lezione totalitaria. La lezione di cui sto per parlare oggi la chiamiamo “lezione del silenzio”; è una lezione totalitaria, nel senso che richiede la partecipazione di ogni membro della classe.


Ci si potrebbe chiedere: “Dov’è la libertà in questo? Dov’è l’educazione individuale?” Se abbiamo un’idea fissa di cosa sia e di cosa debba essere la libertà, finiamo per diventare schiavi di quest’idea. Invece, vivendo con i bambini e osservando le loro espressioni di vita, dobbiamo imparare da soli che cos’è veramente la libertà. Se lasciamo i bambini liberi possiamo osservare cosa fanno e possiamo seguire con loro una certa legge, attraverso la quale si riuniscono. Libertà è quindi districarsi da certi legami che abbiamo con determinate cose che ci limitano. Quando sappiamo cos’è la libertà, impariamo ad accettare liberamente una nuova idea.


Vorrei raccontarvi com’è nata questa lezione sul silenzio. Non mi ero mai soffermata a riflettere sul fatto che un neonato fa meno rumore di un bambino più grande. I suoi organi non sono così sviluppati, la sua voce è flebile e più sottile, il suo respiro è più silenzioso, e assume e rilascia meno aria perché i suoi polmoni sono più piccoli. Una volta, un bambino mi fu dato in braccio dalla madre per un momento, avvolto in qualcosa che si usava a quel tempo. Era davvero impressionante il silenzio di quella piccola creatura. Quel giorno ero in mezzo a quaranta bambini piccoli e dissi loro: “Guardate questo bambino, com’è immobile. È più fermo di tutti noi.” Con mia grande sorpresa, i bambini tacquero. Guardavano il piccolo tra le mie braccia e sembravano meditare su questo fatto, mentre cercavano di essere immobili come lui. Questo mi interessava. Le gambe del bambino erano avvolte strette nell’involucro. Per far ridere gli altri, dissi scherzando: “Riuscite a tenere le gambe ferme come questo piccolo?” I bambini non risero, anzi divennero ancora più pensierosi. Allora tutti unirono le gambe e i piedi e cercarono di stare il più possibile fermi. Ci riprovai: “Va bene, potete tenere le gambe ferme, ma non potete respirare in silenzio come questo bambino.” I bambini allora cercarono intensamente e con impegno di trattenere il respiro, di essere il più silenziosi possibile. Sorpresa, li osservai per un minuto. Una calma tranquilla ci avvolse, e ci fu un silenzio come non c’era mai stato prima. Non avevo mai immaginato che i bambini potessero interessarsi così tanto al silenzio. È così che è nata questa lezione.


Per ottenere il controllo sul corpo cerchiamo un fattore preciso e cioè il silenzio. È un fattore indicativo che riguarda il senso dell’udito; è indicativo perché non c’è l’impressione del suono. Per trovare questo silenzio, per raggiungerlo, dobbiamo stare completamente immobili, senza muoverci, in altre parole ci porta al controllo totale di tutti i movimenti. È diverso dal sentirsi dire: “Fai silenzio! Stai fermo!” Non si tratta semplicemente di non parlare, ma di controllare ogni movimento del corpo, persino il respiro. È una ricerca, la ricerca dell’eliminazione di ogni voce, che richiede l’accordo di tutti, perché se anche una sola persona fa rumore, il silenzio non è più perfetto. Spetta ai bambini non fare rumore. Perciò, per realizzare una lezione sul silenzio è essenziale ottenere il consenso di ogni bambino. Questo è di fondamentale importanza. Si vede che tutta l’educazione individuale non è che un funzionamento interiore della volontà, essere consapevoli di ciò che ci viene chiesto; dire sì perché accettiamo e vogliamo farlo. Sembra una cosa da poco, ma è la base di un’educazione di successo.


Una volta, quando volevo fare la lezione sul silenzio, dissi ai bambini: “Vi piacerebbe fare silenzio?” I bambini accettarono. Non mi convinceva questo assenso, così andai da ogni bambino separatamente e chiesi: “Vuoi davvero farlo?” Quando ognuno di loro dette questo consenso, dissi: “Bene, facciamo silenzio. Ognuno di voi deve stare completamente fermo. Dovete stare attenti a non muovere le mani, a non muovere i piedi, a non muovervi affatto.” Fu molto interessante che i bambini fossero felici di provare. Potevo vedere la loro anima risplendere nei loro occhi durante l’esercizio. Questo silenzio è stato di per sé rivelatore. In una città piena di macchine per le strade, il silenzio non si sente mai. Anche in campagna, dove la vita brulica, il silenzio è sconosciuto. Durante il silenzio non si sentivano i soliti rumori, così è stato possibile distinguere tra i suoni prodotti da noi e quelli che provenivano dall’esterno. Cominciammo a sentire suoni molto sottili, potevamo sentire un piccolo insetto che faceva rumore o il verso di un uccello in lontananza. Dopo un po’ riuscimmo a sentire il ticchettio dell’orologio. Era come se un nuovo mondo, che prima non esisteva, avesse preso vita.


Abbiamo avuto scuole (le scuole di solito sono rumorose) con duecentocinquanta bambini in una classe che all’improvviso hanno taciuto. Quando c’è consenso, quando c’è accordo, non c’è rumore. Il consenso può essere di trecento persone o di tremila o più, eppure il silenzio non sarebbe maggiore. Il silenzio è il risultato materiale di questo accordo.


In quel periodo ero interessata al meccanismo del funzionamento dell’orecchio umano. Cercavamo di scoprire quanto fosse acuto l’udito del nostro paziente e a tal fine utilizzavamo diverse tecniche. In uno degli esperimenti un orologio è stato posto a una certa distanza dall’orecchio del paziente. In un altro esperimento abbiamo testato l’acutezza dell’udito del paziente chiamandolo con voce afona. Se l’individuo non mi guardava quando lo chiamavo in questo modo, il suo udito era in cattivo stato. Se mi sentiva senza vedere i movimenti delle mie labbra, il suo udito era abbastanza buono.

Così ho fatto questa aggiunta alla lezione del silenzio. Ho detto ai bambini: “Ora andate nella stanza accanto e restate lì senza fare rumore, e io chiamerò ciascuno di voi per nome. Quando sentite chiamare il vostro nome, alzatevi senza fare rumore e venite da me senza disturbare nessuno nella stanza.” Nel silenzio che seguì cominciai a chiamarli uno per uno. Vidi una bambina che avevo chiamato alzarsi con un viso raggiante e camminare lentamente verso di me con molta attenzione, senza fare rumore. Quando mi raggiunse, disse: “Ci sono riuscita! Sono arrivata senza fare rumore!” Poi ho chiamato un altro bambino che è venuto da me facendo lo stesso sforzo, con la stessa attenzione, per non rompere il silenzio della comunità. Ho dato a ciascuno di loro una caramella come premio per la vittoria ottenuta arrivando senza fare rumore, ma i bambini non l’hanno voluta! Era nato qualcosa di prezioso, qualcosa che rimaneva. Si disposero intorno a me e mantennero il silenzio. Dopo aver chiamato alcuni bambini per nome, pensai che per dei bambini così piccoli questa lezione poteva essere eccessiva, così dissi: “Fermiamoci qui.” I poveri bambini che aspettavano ancora di essere chiamati erano molto tristi e dissero: “Perché non ci chiami?” Allora capii che era necessario chiamare ognuno di loro, perché ognuno di loro aspettava la chiamata che arrivava nel silenzio.


Una volta ero a New York e sono andata a visitare una delle nostre scuole. Uno degli insegnanti mi chiese: “Vuole vedere la lezione sul silenzio? Viene bene. Non parlo, mi limito a scrivere la parola silenzio sulla lavagna e il silenzio cade.” Non vedevo l’ora di osservarla. Ci recammo nell’aula dove i bambini stavano lavorando. Quando l’insegnante scrisse le prime due lettere s e i sulla lavagna, nella stanza calò il silenzio. Si trattava solo di un indizio, eppure era sufficiente per attirare il silenzio dei bambini. Ecco quanto era cercato e apprezzato il silenzio! Mostra il bisogno dell’anima umana di staccarsi dal mondo esterno, un bisogno reale che si rivela nel bambino. La voce che esce dal buio, da questo silenzio, chiama l’anima. Il silenzio offre all’anima qualcosa che soddisfa un bisogno spirituale.


All’inizio questo interessante fenomeno ha suscitato molte discussioni, molti attaccarono il nostro metodo. Mi accusavano di cercare di ipnotizzare i bambini, di imporre loro la mia volontà; mi dipingevano come un mago la cui personalità esercitava un fascino particolare sui bambini. Tuttavia, a poco a poco tutti si accorsero che il silenzio non nasceva dalla mia persona, ma si manifestava perché era ciò che i bambini cercavano.


Che grande successo ha avuto questa lezione in seguito! È stata riproposta da tutte le parti. All’epoca era opinione comune che fosse impossibile per i bambini stare in silenzio, e quindi era interessante che ai bambini piacesse così tanto. In molti l’hanno provato, anche in scuole che non avevano nulla a che fare con il mio metodo e con me. Hanno visto che i bambini erano più tranquilli quando veniva impartita la lezione sul silenzio. Perché?


Nella scuola comune l’insegnante mira ad avere questo silenzio, ma uno dei problemi è che non ce l’ha. Per ottenerlo allora inizia a fare rumore, di solito sbattendo qualcosa sul tavolo, e a gridare sopra tutte le altre voci della classe: “Bambini, fate silenzio!” Se i bambini imparano per imitazione, l’istinto è quello di copiare; tutto questo rumore dovrebbe eccitarli a muoversi e a fare più rumore. L’insegnante ordina ai bambini di appoggiare le braccia sui banchi in un modo particolare, in modo che si vedano tutte le braccia, e di tenere i piedi uniti. Sa che per avere silenzio deve ottenere l’assenza di movimento. La reazione dei bambini è quella di scalciare con sollievo quando l’insegnante distoglie lo sguardo. La reazione all’ordine imposto è la ribellione. Qual è l’obiettivo dell’insegnante? Quello di rendere i bambini il più silenziosi possibile. In altre parole, il silenzio è legato all’insegnante che ordina ai bambini di stare zitti e fermi. È l’insegnante che detiene e mantiene la disciplina. Se l’insegnante esce dalla stanza, si scatena un terribile litigio, con i bambini che strillano e corrono. Questo succede perché la disciplina è legata a un individuo esterno, all’adulto. Nella lezione sul silenzio i bambini non tacciono perché qualcuno ha ordinato loro di farlo, ma perché hanno acconsentito a tacere, perché vogliono tacere, perché hanno bisogno di tacere.


Una volta che i bambini hanno partecipato alla lezione sul silenzio, si è visto che istintivamente cercavano di compiere le loro azioni in silenzio. Quando correvano, cercavano di farlo in punta di piedi. Tentavano di evitare gli ostacoli, di non urtare le sedie, di posare gli oggetti con delicatezza. Sono diventati più gentili. Hanno percepito la scortesia di un rumore che può essere evitato.


Lo scopo della lezione sul silenzio non è che i bambini debbano fare tutto senza alcun rumore, tuttavia, a poco a poco, sono diventati più attenti nei loro movimenti. Quando l’insegnante usciva dalla classe, tutti rimanevano in silenzio. Si muovevano e prendevano gli oggetti di cui avevano bisogno in silenzio. Quando uscivano dalla classe se ne andavano in silenzio, senza fare movimenti rumorosi o disordinati. La disciplina spontanea è nata nei bambini, che hanno iniziato ad apprezzare la raffinatezza del movimento controllato e la scortesia del rumore inutile; ognuno diventa consapevole di questa disciplina.


Il silenzio non si può accendere premendo un pulsante come una luce elettrica. È necessario capirlo chiaramente, perché sono stati commessi molti crimini in nome della Montessori. Alcuni insegnanti dicono ai bambini: “Ricordatevi che siete bambini Montessori. Quando prendete queste cose non fate rumore!” In seguito, ogni volta che si sente un rumore, l’insegnante si alza, cambia espressione, spesso con gli occhi fuori dalle orbite per la rabbia. Questi bambini, prima di fare qualsiasi cosa, guardano gli occhi minacciosi dell’insegnante o il sorriso sul suo volto come guida. In queste classi c’è un silenzio totale, perché gli insegnanti sono lì per tenere fermi i bambini, che, dal canto loro, sono sempre tesi e spesso immobili. Quando entriamo in una classe di questo tipo, vediamo che i bambini non ti guardano e non ti salutano. L’insegnante è orgoglioso e dice: “Guardate, i bambini sono così presi dal loro lavoro che non si accorgono del vostro arrivo.”


Tuttavia, a volte c’è un’esplosione di entusiasmo e di affetto. Una volta la regina d’Italia venne a visitare una delle nostre scuole. Era interessata a vedere le cose che i bambini avevano fatto, e loro non si accontentarono di mostrarle i lavori, ma vollero mandare i loro saluti e le cose alla principessa, una nipote della regina, una bambina di otto anni. La scena fu rumorosa, a dimostrazione del fatto che nella vita del bambino ci sono molte situazioni che non sono affatto silenziose.


Bisogna quindi capire che il silenzio e la disciplina sono creazioni spontanee del bambino. Una classe può essere rumorosa, ma un giorno verrà la calma, arriverà lo sviluppo. Al contrario, nella scuola dove la disciplina è congelata, non c’è speranza di sviluppo. Quando i bambini agiscono spontaneamente, non sempre rimangono fermi e in silenzio. Possono farlo per un minuto, come esercizio. Corrono per la stanza, svolgendo le loro attività con piacere, e si sentono i piccoli rumori che i bambini fanno quando camminano o corrono. È come il ronzio delle api che gironzolano intorno all’alveare.


La disciplina del silenzio è legata all’anima del bambino e non alla volontà di una persona esterna. Se infondiamo lo spirito del silenzio nell’ambiente del bambino si crea una disciplina indipendente dalla volontà dell’insegnante. La disciplina, il silenzio, la calma diventano libera espressione. La fioritura della disciplina è quindi il risultato di una crescita, è uno sviluppo spirituale.

Lezioni dall'India 1939
Lezioni dall'India 1939
Maria Montessori
Lo sviluppo creativo del bambino. 75 lezioni in italiano tenute da Maria Montessori durante il primo Corso Montessori Internazionale nel 1939 a Madras, che spaziano dalla psicologia all’uso dei materiali.