capitolo 66

Analizzare la lingua

D

iciamo che il bambino deve essere attivo a scuola. Spesso si intende che il bambino deve muoversi all’interno della scuola per imparare. C’è però un’altra interpretazione del termine attivo. Se presentiamo un elemento di conoscenza alla mente del bambino attraverso un’attività, la conoscenza penetra segretamente nella sua mente nel corso dell’azione che si sta compiendo. In questo modo egli comprende meglio l’idea. Il linguaggio è uno dei più grandi campi interiori di attività del bambino. La grammatica, che prende il linguaggio per analizzarlo, può essere proposta in forma attiva. È quasi come far rivivere la lingua. Alcune idee filosofiche possono penetrare meglio in questo modo.


Lo studio del verbo è di solito la parte più difficile dello studio della grammatica. Se ci fermiamo a riflettere, vediamo che il verbo è anche la parte più attiva del linguaggio. Quindi, per prima cosa proponiamo al bambino i verbi in modo dimostrativo e mostriamo che indicano un’azione. Dopo che l’azione è stata compiuta, il bambino vede che ci sono molte azioni diverse che portano all’allegria e alla felicità. Diventa così profondamente interessato al verbo.


Nel primo esercizio fatto con i verbi offriamo a ogni bambino un cartoncino su cui è scritta un’azione da compiere. A volte questi cartoncini vengono distribuiti a molti bambini che eseguono contemporaneamente l’azione riportata sul loro cartoncino: correre, camminare, saltare, sedersi. A volte tutte le carte vengono date allo stesso bambino, che esegue tutte le azioni una dopo l’altra.


Se si eseguono molte azioni contemporaneamente, si ha un movimento caotico. Se un bambino esegue tutte le azioni una dopo l’altra, è come un’azione drammatica che crea una successione di movimenti. Questa idea che il verbo rappresenti il movimento, rappresenti l’attività, deve essere fissata nella mente del bambino attraverso esercizi ripetuti.


Una volta stabilito questo, passiamo a un’altra caratteristica speciale del verbo, espressa in inglese come tense, cioè il tempo. C’è una successione logica. L’idea di tempo arriva solo quando è stata stabilita l’idea di movimento, perché il tempo è sempre determinato da un qualche tipo di movimento. Misuriamo il tempo con il movimento della Terra intorno al sole. Se usiamo un orologio, lo misuriamo con il movimento della lancetta intorno al quadrante. Quindi il tempo è sempre misurato da un movimento regolare.

Quando ci riferiamo al tempo del verbo ci riferiamo a un altro tipo di tempo che non ha un assoluto, ma che è comunque un assoluto. Per esempio, quando usiamo il tempo, usiamo espressioni che lo indicano. Quando l’azione si svolge nel presente non c’è misurazione del tempo. L’azione nel presente dura indefinitamente. Quando l’azione che si sta compiendo è finita, anche il presente è finito. Questo si vede chiaramente quando l’azione viene compiuta su un oggetto esterno. Tale azione ha una durata più breve. Prendiamo una frase al presente: bevo l’acqua. Quando la persona che compie l’azione di bere ha finito, deve dire: ho bevuto l’acqua. È già entrato nel passato. L’espressione stessa dice che la sua azione è finita ed è entrata nel passato. Posso dire: tengo una lezione. Allora il mio presente durerebbe circa un’ora e mezza. Posso dire: tengo un corso. Allora il mio presente durerebbe tre mesi135. Quindi il presente fluttua e non ha un assoluto. Non si riferisce a un arco di tempo specifico, ma dura quanto l’azione.


Possiamo compiere un’azione e contemporaneamente dire cosa stiamo facendo. Posso dire: scrivo. Posso anche scrivere davvero. Quando ho finito posso dire: bevo. Non posso compiere l’azione mentre dico le parole. Dov’è allora l’azione? Non esiste. Se parliamo di un’azione accaduta nel passato, non c’è alcuna azione fisica. L’azione e la parola si vedono insieme solo in quel momento fugace in cui la persona compie un’azione e parla allo stesso tempo. Dopo non c’è più nulla, se non l’assoluta immobilità. Dovremmo quindi dire che il verbo è una parola piuttosto che un’azione. In latino verbum significa parola. Posso parlare di ciò che ho fatto un mese fa, o un anno fa. Posso anche parlare di ciò che so fare. Sono solo parole senza realtà. Quindi il verbo è un accumulo di parole. Non c’è azione. È come una favola, un ricordo, una speranza. C’è solo immaginazione, non c’è azione.


C’è solo un caso in cui si può dire che un verbo rappresenti un’azione, quando l’azione e la parola si incontrano: alla prima persona del tempo presente all’indicativo. Tutti gli altri tempi dell’indicativo e del congiuntivo non sono altro che azioni e pensieri tradotti in parole. Chi è questa persona che parla? Questo è l’altro lato della domanda. Io dico: io scrivo. È la prima persona che parla. Posso anche dire in seguito: ho scritto. Ma non ho bisogno di fare nulla. L’io, che svolga o meno l’azione, può parlare a una sola altra persona, distinguendola così dalla folla. Questo personaggio importante portato alla ribalta e quindi onorato dall’Io è la seconda persona. Non parla. Non fa nulla.


Per rompere questa monotonia possiamo mettere in pratica il principio democratico e dire: parliamo. Ma a parlare è una sola persona! Se ognuno dicesse cosa sta facendo, sentiremmo molte persone dire simultaneamente: io parlo. Invece c’è un solo oratore che dice: noi parliamo. Parla a nome di tutte le persone che formano il gruppo: noi. Arriviamo quindi alla conclusione che il verbo non è altro che l’io che parla. Può parlare di sé. Può raccontare della sua vita passata, delle sue speranze. Può parlare dell’intero gruppo di persone. Osserviamo che è sempre l’io che parla, racconta e spera per gli altri. Nel libro c’è l’autore che scrive, che ci racconta tutti gli eventi del libro. È un racconto. Di certo non vediamo mai nessuno che agisce quando leggiamo il libro! Questa è la dimostrazione più classica dell’io che parla, che racconta quando leggiamo un libro.


Tutto questo che possiamo dire è breve. Possiamo essere brevi in molte maniere, in molti modi. Quando una persona è in un modo assertivo dice con grande chiarezza cosa sta facendo, cosa ha fatto in passato, come lo ha fatto e cosa farà in futuro. È sicuro delle sue idee. È sicuro delle sue azioni. È sicuro di sé. Questo è un modo.


C’è un altro modo in cui questo tipo di sicurezza non c’è più. Si tratta di un modo dubbioso: se avessi una macchina, potrei andare al mare. Qui non c’è volontà assertiva, né sicurezza, né certezza dell’obiettivo. Non si parla più di fatti, ma di speranze. Non c’è nulla, nemmeno la personalità di chi parla.


C’è poi un altro modo della persona che ha una personalità impellente, che è diventata un dittatore. Questo è il modo imperativo. Io dico: scrivi. Dov’è finito l’io? Quando divento dittatore, quando comincio a comandare gli altri, devo rinunciare all’io. Nel verbo sta la psicologia dell’uomo, perché non possiamo mai essere dittatori di noi stessi. L’imperativo si usa solo in seconda persona. Non appena diventiamo dittatori perdiamo la nostra personalità e l’io è finito.

Vediamo quindi gli strani modi. I movimenti del pensiero sono più o meno gli stessi in tutte le lingue, quindi tutte le lingue condividono questi modi. Dobbiamo addentrarci nella filosofia del verbo per accennare alle cose che si possono far capire a un bambino. Possiamo penetrare nella mente del bambino compiendo diverse azioni. Attraverso l’azione, tutto diventa vivo e interessante. Quando i bambini parlano tra loro nelle loro conversazioni quotidiane, tutto diventa chiaro.


I grammatici classificano i verbi in tre gruppi: transitivi, intransitivi e riflessivi. È molto facile mostrare questa classificazione nella sua interezza.


Se prendiamo tutte le matite dalla scatola e le mettiamo sul tavolo, stiamo compiendo un’azione sugli oggetti, le matite. Quando spostiamo qualcosa compiamo un’azione che passa dalla persona all’oggetto. La persona ha bisogno dell’oggetto per compiere l’azione. C’è un soggetto che agisce e un oggetto con cui agire. Posso dire: apparecchio la tavola. Posso compiere l’azione per molto tempo. L’azione che viene compiuta può essere vista. Questo illustra la funzione del verbo transitivo. Dico: camminare. Un individuo può camminare senza un oggetto con cui camminare. Questa è la funzione del verbo intransitivo. Posso dire a una persona: lavati. Qui c’è un oggetto. C’è anche il soggetto, la persona che si lava. Quindi l’azione torna al soggetto, con l’aiuto di un oggetto. Questo illustra la funzione del verbo riflessivo.

I verbi sono rappresentati da un cerchio rosso. Quando il verbo è transitivo aggiungiamo una freccia per indicare che l’azione passa a un altro oggetto. Diciamo: lui apparecchia la tavola. La freccia indica il simbolo che è l’oggetto: il tavolo. Possiamo rappresentare simbolicamente il soggetto che compie un’azione sull’oggetto. Questo diventa un tipo di analisi. Questo è ciò che chiamiamo analisi logica o analisi della frase136. Tutto fa parte del linguaggio in modo naturale e spontaneo. Il linguaggio è un insieme vivente. Quando prendiamo in considerazione il soggetto che compie l’azione sull’oggetto cerchiamo tra tutte le altre parole quelle che rappresentano le azioni. In una pagina di testo scritta che prepariamo per i bambini, dobbiamo innanzitutto mettere un piccolo cerchio rosso sopra ogni verbo che troviamo. Se c’è una parola che mostra che un’azione è stata compiuta, deve esserci stato naturalmente qualcuno che l’ha compiuta. Chi ha compiuto l’azione? Su quale oggetto è stata compiuta l’azione? Anche questi sono elementi interessanti. Possiamo cercare le diverse parole e analizzarle tutte. Le risposte a queste domande possono essere espresse in modo teatrale.


Dobbiamo ora ricordare l’importanza della preparazione dei bambini prima che sapessero leggere, quando i piccoli venivano sottoposti a esercizi di conversazione mentre erano seduti con l’insegnante intorno al tavolo. Si trattava di un gioco di domande a cui i bambini dovevano rispondere. Così come abbiamo individuato tutti i sostantivi in una frase, ora dobbiamo individuare tutti i verbi. Dobbiamo anche cercare chi ha compiuto l’azione e scoprire su quale oggetto è stata compiuta. Vediamo che ci sono tante azioni quanti sono i verbi. Si tratta di un’altra branca della grammatica, che si dirama in complicazioni sempre più divertenti.

C’è un altro aspetto di questo esercizio: il riconoscimento delle diverse parti del discorso. Così come mettiamo un cerchio rosso sopra i verbi e un triangolo nero sopra i nomi, possiamo mettere un simbolo per rappresentare ogni parte del discorso in una frase. Quale rivelazione offre al bambino questa traduzione delle parole in simboli! La chiamiamo analisi grammaticale137.

Lezioni dall'India 1939
Lezioni dall'India 1939
Maria Montessori
Lo sviluppo creativo del bambino. 75 lezioni in italiano tenute da Maria Montessori durante il primo Corso Montessori Internazionale nel 1939 a Madras, che spaziano dalla psicologia all’uso dei materiali.