capitolo 52

Il ruolo dell’adulto

L

a preparazione dello spirito dell’insegnante è una parte vitale del nostro metodo, molto più importante della spiegazione del materiale. Nelle nostre scuole l’insegnante deve avere un atteggiamento diverso da quello dell’insegnante di una scuola tradizionale. In una scuola tradizionale l’insegnante insegna e gli alunni siedono in silenzio ad ascoltare. L’insegnante dà solo compiti comuni a tutti, quindi gli alunni sono passivi mentre l’insegnante è attiva, o attivi secondo la volontà dell’insegnante. L’insegnante nella scuola tradizionale è essa stessa un’autorità, l’autorità immediata nella gerarchia delle autorità che devono pesare sull’infanzia. Quest’autorità ha un certo potere. La maestra si sente qualcuno, perché una volta chiusa la porta della scuola e rimasta sola con gli alunni, questi ultimi devono obbedirle.


A volte, quando l’insegnante non ha in sé l’autorità necessaria, vengono dati dei mezzi per aiutarla, ad esempio le viene permesso di punire i bambini. Ci sono alcune gerarchie anche tra queste punizioni. Spesso le punizioni sono inflitte secondo un senso di giustizia: per un particolare errore il bambino riceve una particolare punizione. Le punizioni sono innumerevoli, non hanno limiti, quindi l’insegnante può anche punire l’intera classe. A volte vengono dati dei premi al bambino, tuttavia questi premi vengono assegnati solo una o due volte all’anno, dunque costituiscono solo una sorta di visione lontana, mentre le punizioni sono la razione quotidiana. Da questi scaturiscono quelli che potremmo definire cattivi sentimenti: la competizione, la vanità di chi vince i premi, il sotterfugio e il dire falsità per sfuggire alle punizioni e la mancanza di volontà di aiutarsi a vicenda. Questa visione delle cose ha suggerito a uno scrittore inglese – forse è un’esagerazione – che la vita scolastica è un inferno.


Se vogliamo diventare insegnanti di successo in questo nuovo metodo educativo, dobbiamo riconsiderare il nostro compito e la nostra personalità di insegnanti. Dobbiamo assumerci la missione di migliorare la condizione dell’educazione. Il compito principale non è imparare il metodo, ma favorire un nuovo e migliore modo di vivere per il bambino. È quindi necessario che l’insegnante abbia una preparazione interiore.


Il poeta inglese che ha offerto la definizione di scuola tradizionale era cristiano e di conseguenza aveva l’idea cristiana dell’aldilà. L’inferno è un punto di approdo definitivo da cui nessuno può uscire. Esiste un altro luogo, un piano temporaneo, chiamato Purgatorio. Questo Purgatorio è un luogo di dolore nella consolazione, un luogo in cui si diventa più perfetti e si raggiunge l’elevazione verso un livello superiore attraverso l’impegno continuo e l’autopurificazione. Tra coloro che si purificano c’è uno spirito superiore il cui unico compito è quello di puntare il dito verso il Cielo, cioè la massima perfezione, dove si deve ancora arrivare. Per questo il poeta ha chiamato le nostre scuole il Purgatorio e non il Paradiso. Lo spirito più elevato del Purgatorio è l’insegnante che indica la strada.


L’insegnante è quindi la speranza, la consolazione e la guida del bambino che cerca di elevarsi. Per realizzare il compito che le è stato assegnato, l’insegnante si trova in un luogo più elevato, un luogo davvero difficile da raggiungere. È saggio per l’insegnante che vuole intraprendere questo nuovo compito (quello di condurre il bambino a una vita superiore), rendersi conto delle difficoltà che deve incontrare. A volte, l’insegnante nelle nostre scuole ha successo molto rapidamente e molto facilmente. Molto spesso ci riesce nella pratica, solo dopo una lunga esperienza. Questo dipende dalla natura del suo spirito. Può aver bisogno di un lungo periodo di formazione per cambiare il suo spirito e dargli un’altra forma. Ciò avviene attraverso la pratica, il contatto con i bambini e l’esperienza. In fondo, l’insegnante deve saperlo da sé.


L’insegnante deve avere davanti a sé un quadro di ciò che avviene nell’ambiente. Deve sapere che non deve fare tutto lei, che il cammino del bambino verso la perfezione non dipende dalla sua azione diretta, ma dall’interazione del bambino con l’ambiente. In questo ambiente ci sono determinate serie di materiali che vengono utilizzate per determinati esercizi. L’insegnante deve pensare: “Il mio compito è mettere il bambino in stretta relazione con questi oggetti. Una volta fatto questo, affido il bambino alle cure di questi oggetti che gli serviranno come palestra mentale e spirituale con cui avanzare verso la perfezione.”


L’insegnante, pur essendo padrona dell’ambiente, è come un re il cui massimo ideale è abdicare. La sua gloria sta nel poter dire: “Questi bambini possono fare a meno di me.” L’insegnante è un’energia che dirige e guida, ha una missione molto chiara: essere la salvatrice delle anime. In una scuola tradizionale spesso un ispettore interroga gli alunni, che rispondono alle sue domande in modo corretto e veloce. Di solito, alla fine dell’interrogatorio, l’ispettore (probabilmente senza nemmeno guardare i bambini) si rivolge all’insegnante e dice: “Congratulazioni, avete fatto un bel lavoro.” Questo elogio fa piacere alle insegnanti delle scuole tradizionali. Tuttavia, generalmente le insegnanti delle nostre scuole vi rinunciano. Quando i visitatori vengono a vedere il buon lavoro dei bambini, dicono: “Oh, come sono bravi questi bambini!” Le nostre insegnanti devono essere umili. La loro massima ambizione deve essere quella di poter dire: “Guardate, loro fanno tutto da soli e io non faccio niente.”

L’insegnante deve raggiungere questo obiettivo senza punizioni o premi, ma suscitando l’interesse del bambino. È l’interesse che spinge lo spirito ad andare avanti, non le punizioni o i premi. Si tratta di un cambiamento totale di metodo. Fino a pochi anni75 fa, come mezzo di trasporto si usavano carrozze con ruote trainate da cavalli o da tori. Più gli animali tiravano forte, più le carrozze andavano veloci. All’epoca non avremmo mai potuto concepire una carrozza senza animali che la tirassero. Anche se la carrozza aveva le ruote, non poteva muoversi da sola. In seguito abbiamo capito che se c’è un motore all’interno della carrozza non c’è bisogno di cavalli o buoi. Può essere difficile mettere questo motore all’interno della carrozza, può costare molto, ma con il cambiare dei tempi questo è stato reso possibile. Allo stesso modo i tempi hanno portato a un cambiamento nei mezzi con cui il bambino avanza sulla strada della cultura e dello sviluppo intellettuale. 


Del resto, l’automobile può andare più veloce di una carrozza trainata da dieci cavalli! Anche nel campo intellettuale deve esserci un progresso così rapido. L’insegnante deve quindi arrivare al punto in cui dice: “Non tiro più questo carro mentale.” Deve rinunciare a essere il mezzo con cui l’intelletto del bambino si muove. In questo modo il bambino può raggiungere un grado di progresso molto più elevato, al quale l’insegnante deve collaborare. Affinché la carrozza vada senza i cavalli non possiamo togliere i cavalli e lasciare la carrozza da sola! La carrozza non andrà. L’insegnante non deve mai dimenticarlo. Prima di staccare i cavalli, il motore deve essere messo nella carrozza. Prima di rinunciare alla sua posizione regale, l’insegnante deve accendere l’interesse del bambino. Perciò l’interesse della classe è sempre vivo nell’insegnante, che si sente profondamente responsabile di ogni bambino.

Una volta ho incontrato una persona che, a detta di tutti, era in grado di leggere i pensieri. Mi fu chiesto di pensare a qualcosa da fargli fare e di seguirlo lentamente per vedere se l’avrebbe fatto. Non ci credevo affatto. Seguii quest’uomo, ma quello che fece fu completamente diverso da quello che pensavo! All’improvviso pensai tra me e me che avrei davvero voluto che facesse ciò che volevo. Quando l’ho voluto davvero, il mio scetticismo era sparito. L’uomo è andato dritto come una freccia nel luogo in cui avevo voluto che andasse! I bambini sono molto sensibili allo spirito dell’insegnante. L’insegnante può essere una persona molto buona che non sgrida gli alunni, eppure, se un giorno è nervosa, vediamo che tutta la classe diventa nervosa! 


Questo non significa che l’insegnante debba essere una forza trainante, che ipnotizza i bambini con la sua volontà. I bambini devono invece sentire un’energia guida in mezzo a loro. Questa è la prima corona, potremmo dire dell’imperatore, la volontà dell’insegnante di guidare il bambino verso questa finalità con la convinzione che per lui sarà qualcosa di grande. La risoluzione dell’insegnante è: “Non abbandonerò mai questo bambino nemmeno per un minuto. Lo lascerò soltanto quando avrà imboccato la strada che sarà in grado di percorrere da solo.”

Finora abbiamo esaminato l’insegnante come energia direttrice. Per mantenere il bambino entro certi limiti deve offrirgli il materiale seguendo una certa tecnica. L’insegnante deve quindi avere una comunicazione diretta con questo materiale e usarlo con la necessaria esattezza. Deve esercitarsi ripetutamente per sperimentare e scoprire dentro di sé la differenza tra l’uso scorretto del materiale e quello esatto. Ripetere questi esercizi è un sacrificio, perché l’insegnante non ha alcun interesse a ripeterli con esattezza tante volte quanto il bambino. Forse l’insegnante non avrà la pazienza sufficiente per ripetere un esercizio trenta volte! Se l’insegnante si sacrifica per l’esperimento psicologico, può misurare la forza del bambino. Una volta concentrata la sua attenzione sul materiale, attraverso i pensieri che le sorgono nella mente può rendersi conto in qualche misura del tipo di sviluppo che si verifica nella personalità del bambino utilizzando il materiale.

Molti di questi esercizi sono test mentali. I Blocchi Cilindrici e la Torre Rosa sono utilizzati in alcuni test76 nelle scuole di formazione professionale e di orientamento. Tuttavia, gli strumenti che offriamo al bambino sono più perfetti e più scientifici di quelli che vengono usati in queste scuole. Per esempio, in città come Londra e Parigi, dove il traffico è enorme, non vengono rilasciate patenti di guida per autoveicoli, autobus e taxi a meno che non siano stati esaminati da queste istituzioni di orientamento. Lo scopo dell’utilizzo di questi esercizi nelle istituzioni professionali è quello di testare la costruzione della mano e la coordinazione dei movimenti.


L’insegnante quindi deve fare questo sacrificio e fare questi esercizi come autoverifica, ripetendoli con pazienza come fa il bambino. Tuttavia il suo obiettivo non deve essere quello di vedere quanto è brava nell’esercizio, ma di vedere fino a che punto può arrivare. Deve cercare di penetrare nello spirito del bambino e provare a sentire ciò che il bambino esperirebbe. L’insegnante dovrebbe fare questi esercizi come se stesse salendo una scala, cercando di immaginare a ogni gradino ciò che il bambino prova in ogni fase dell’esercizio. Non può essere un re senza possedere la pazienza.


Oltre alla preparazione dell’ambiente e del materiale, e alla successiva presentazione del materiale, è essenziale la preparazione interiore e spirituale dell’insegnante. Questa preparazione non è qualcosa di vago e astratto, ma il modo in cui l’insegnante deve sentirsi quando si avvicina al bambino. Questa preparazione è lunga da descrivere e ancora più lunga da realizzare, perché per ottenerla è necessario esercizio. Per esempio, l’insegnante deve essere in grado di distinguere tra le attività formative del bambino e le sue attività motorie disordinate, tra il bambino che è inerte perché scoraggiato e il bambino che si limita a osservare quello che fanno gli altri, che può essere esteriormente inerte ma è interiormente attivo attraverso questa osservazione.


Spesso all’inizio la povera insegnante, pur piena di buone intenzioni e di buona volontà, non capisce nulla. A volte un’insegnante di questo tipo dà il via a un’azione disordinata da cui può nascere una rivoluzione in classe. Quest’insegnante sente l’umiliazione del suo fallimento. Forse si sente umiliata anche quando un giorno vede un bambino che non ha fatto nulla per molti giorni, che è stato lasciato solo, alzarsi all’improvviso e iniziare a fare qualcosa! L’insegnante non ha istruito il bambino e quindi la cosa la sorprende. Ciò è dovuto alla mancanza di comprensione di ciò che accade nell’anima del bambino. Dato che l’insegnante rappresenta il re, questi eventi nel suo piccolo regno la turbano perché non sa come mai si verificano. La povera insegnante si sente inadeguata, sente di non saper insegnare con questo metodo. L’impulso naturale è quello di correre in aiuto del bambino. Tuttavia, con una raccomandazione molto forte e l’affermazione di una verità molto chiara, le viene detto di fare la cosa più difficile: astenersi dal dare un aiuto sbagliato. Se interferisce inutilmente, spegne la luce. Così, assumendo il compito di insegnante, si trova in una massa di difficoltà e responsabilità. Nelle scuole tradizionali è molto più facile, perché l’insegnante può dire ai bambini cosa fare e usare la sua energia per far loro seguire le sue istruzioni. Tutte le porte sono chiuse. Se alla fine dell’anno ha commesso un errore, l’ispettore che arriva si guarda intorno e ci passa sopra. Nel nostro metodo, tuttavia, c’è una responsabilità che la coscienza di un insegnante risvegliata sente. L’insegnante deve avere la volontà di imparare e di sacrificarsi per avere successo. Deve sentire: “Oh, prego di potermi astenere da interventi inutili. Prego di non spegnere la fiamma nell’anima del bambino. Sono pronta, se necessario, a legarmi alla sedia per evitare di intervenire inutilmente.”


A un’insegnante che proviene da una scuola tradizionale la prima cosa che diciamo è: “Il modo in cui tratti i bambini è assolutamente sbagliato.” Questo le toglie ogni fiducia in sé stessa. Se l’insegnante è disposta a imparare e le viene dimostrato che non sa nulla dei bambini, non può essere né attiva né passiva e chiede disperatamente: “Non potrebbe darci una tecnica che ci aiuti a rispettare ed educare una personalità con un senso di responsabilità?” Se l’insegnante ha buone intenzioni e non è consapevole di fare del male, è necessario incoraggiarla.


Una volta, per offrire ad alcune insegnanti questa preparazione, decidemmo che alcuni di noi avrebbero dovuto fingere di essere bambini, e che quelli che rimanevano adulti avrebbero trattato gli altri come gli adulti trattano di solito i bambini.


Nella vita normale, in casa, quando un bambino fa qualcosa, diciamo: “Smettila di farlo, non essere sciocco!” A volte chiediamo: “Quante bugie hai detto da ieri?” Quando un bambino ci piace immensamente, anche se siamo estranei a lui, diciamo: “Oh, che bel bambino che è!” E dimostriamo il nostro affetto anche mettendogli un dito sulla testa e accarezzandogli i capelli!


Immaginiamo un marito e una moglie che escono a fare una passeggiata. Il marito incontra un suo amico che non conosce la moglie. L’amico chiede: “È questa tua moglie?” Il marito risponde: “Oh, mia moglie! È una persona così capricciosa! Fa continuamente capricci di ogni genere. È così birichina. Mangia troppo e si lamenta del mal di pancia e io devo darle le medicine!” Considereremmo le parole del marito inappropriate, eppure parliamo così dei bambini, anche dei nostri figli! Quando qualcuno socialmente superiore viene a casa nostra, a volte presentiamo il bambino e diciamo: “Vede, questo bimbo ha il petto molto stretto. È predisposto alla tubercolosi. I suoi occhi non sono molto belli e ha le tonsille gonfie. Devono essere tolte. Non è molto intelligente. Anzi, è un po’ stupido!” Questo è il modo in cui presentiamo il bambino a un perfetto sconosciuto!


Se portiamo avanti questa finzione per una sola settimana, sarà una settimana molto dura sia per l’adulto che viene trattato come un bambino sia per l’adulto che rimane tale. Dobbiamo però renderci conto che se nella finzione il trattamento errato è difficile da accettare, dura solo una settimana. Per il bambino non si tratta di una settimana, né di un mese, né di un anno: viene trattato così per tutta la sua vita di bambino.


Possiamo anche darci una prova, che chiamiamo “il giorno della penitenza”, che rappresenta la giornata del bambino a scuola. Facciamo in modo che al mattino venga a scuola qualcuno che, in una lingua per noi assolutamente incomprensibile, parli per circa tre ore. Durante queste tre ore non dobbiamo muoverci, dobbiamo prestare tutta l’attenzione di cui siamo capaci a ciò che dice la persona. Le dita e le braccia non devono muoversi. Dobbiamo semplicemente stare seduti in silenzio e ascoltare. Se per un momento i nostri occhi si annebbiano e rivelano che la nostra mente è altrove, la persona che sta parlando chiede: “Cosa ho detto? Ripetete quello che ho detto!” Se non riusciamo a farlo, andiamo incontro a conseguenze terribili. Dopo i pasti, anche se siamo stanchi, torniamo e lo stesso trattamento continua per altre tre ore. È difficile per noi sopportare una cosa simile per un giorno. Pensate allora al bambino che subisce questo trattamento ogni giorno della sua vita; non solo da bambino, non solo da ragazzo, ma anche da giovane uomo.


Questa finzione è una tecnica di preparazione spirituale per l’insegnante, una preparazione in cui lei stessa è il materiale. Mentre si comporta come un bambino, l’insegnante si sente più o meno umiliata, perché non sa come affrontare le cose. Durante questa difficile preparazione si rende anche conto, attraverso l’esperienza, del danno arrecato al bambino in seguito a un trattamento errato.


L’insegnante deve avere fede: che il bambino diventerà calmo, che il bambino è buono e non cattivo, che un giorno farà cose meravigliose. Se l’insegnante non ha fede, deve sforzarsi di ripetersi: “Sì, questa è la verità. Io ci credo!” Allora arriverà il giorno benedetto: il bambino si libererà di queste deviazioni, perderà i suoi difetti, le sue attività disordinate e l’apatia, e rivelerà il suo amore per il lavoro. Forse non tutti i bambini si trasformeranno. Forse sarà uno solo, come una luce che guiderà l’insegnante e le darà fiducia. I suoi occhi penetreranno nell’anima del bambino e saranno consolati. Così inizia una nuova vita. L’insegnante, quando si trova a cercare di aiutare il bambino, si tira indietro pensando: “Non devo interferire. Non devo dare al bambino un aiuto inutile! Sono arrivata a questo punto dopo tante sofferenze. Ora devo essere come uno che non esiste.” Se il bambino ha bisogno di qualcosa, l’insegnante ricorda: “Sì, questo è il momento di offrire questo nuovo elemento di conoscenza. Devo offrirlo con esattezza.” Ricorda anche a che età devono essere proposti al bambino gli esercizi paralleli. Se non riesce a ricordare, cercherà nel suo libro del materiale con ansia e preoccupazione di ricordare ciò che ha dimenticato.


Mentre l’insegnante segue il suo percorso burrascoso, vedrà il bambino portare a termine il suo lavoro ripetendo sempre la stessa cosa con la stessa esattezza, alla stessa velocità, finché non le verrà voglia di dire: “Vorrei che andasse avanti e facesse qualcos’altro!” Tuttavia, a poco a poco l’insegnante percepisce qualcosa di nuovo, un barlume di speranza e sente: “Devo avere la pazienza di cui il bambino è capace. Devo aspettare!”


L’insegnante comincia a vedere che i bambini fanno cose che la fanno meravigliare, che sono molto al di là di quello che immagina, forse in un modo diverso da quello che si aspettava. Questa è un’esperienza valida, un’esperienza guidata dalla coscienza dell’insegnante stessa. Il progresso del bambino non è dovuto al merito dell’insegnante, ma è il risultato del suo sviluppo interiore. L’insegnante può aver sentito questa verità e persino averla imparata a memoria, ma è molto diverso averne sentito parlare come un fenomeno rispetto al fatto che si verifichi davanti ai suoi occhi. Forse è come sentir parlare del mare blu, uno specchio d’acqua in continuo movimento che dà molto piacere quando ci si immerge al sorgere del sole! Ne abbiamo sentito parlare, ne abbiamo visto le immagini e abbiamo sentito come si sono sentiti i nostri amici quando hanno fatto il bagno, ma è molto diverso quando lo vediamo per la prima volta ed entriamo nelle sue acque. Sentiamo qualcosa che non possiamo descrivere, che non abbiamo imparato dalle descrizioni. È la nostra stessa esperienza, la nostra stessa gioia. Quando l’insegnante vede il bambino abbandonare improvvisamente le azioni disordinate, rendersi conto della propria intelligenza e diventare un ometto serio, prova una grande emozione che nessuno che non abbia fatto questa esperienza può provare. Molti tocchi delicati, di cui non sospettava nemmeno l’esistenza, scaturiscono dall’anima del bambino e vengono rivelati dalle sue azioni.

Improvvisamente l’insegnante che temeva di andare a scuola al mattino ora corre per arrivare prima, in modo da essere presente quando arrivano i bambini, per vedere quali nuovi fenomeni si verificheranno quel giorno. Forse ora anche i bambini si affrettano verso la scuola, per arrivare presto e iniziare a lavorare, o per aspettare l’insegnante. Così c’è un nuovo amore, un nuovo brivido nel lavoro e uno spirito amorevole, poiché l’interesse sia dell’insegnante che dei bambini è elevato. Spesso, una volta chiusa la scuola, l’insegnante resta lì ore e ore, senza retribuzione, con i soli rimproveri del governo77, solo per pensare a cosa preparare per il giorno dopo, per trovare nuove lezioni, nuovo cibo per l’anima del bambino. Non sappiamo se l’insegnante lo faccia per il nuovo bambino che ha visto rivelarsi davanti ai suoi occhi o per sé stessa. Per l’insegnante, questa esperienza è rinfrescante come una passeggiata in un luogo incantevole, o l’aria fresca in cima a una montagna, o la tranquilla solitudine dei boschi. In effetti, sente l’elevazione della sua anima, si sente più vicina a Dio. L’insegnante ha scoperto un luogo divino, che prima era coperto da una coltre di oscurità e di errori.


Per scoprire l’anima del bambino, è necessario che l’insegnante curi innanzitutto il bambino dalle sue deviazioni. Deve poi condurlo su un percorso di sviluppo con un aiuto positivo, fornendogli gli strumenti necessari. Ancora più interessante è ciò che accade alla sua persona: l’insegnante così piena di presunzione, così ignorante, violenta e rozza, che spegne inconsapevolmente la luce della vita del bambino credendo di offrirgli conoscenza, acquisisce improvvisamente buona volontà e un’anima distaccata da sé. Compie persino degli esercizi per la ricerca della fede. È pronta a fare sacrifici per credere nel bambino. Diventa umile di spirito. Facendo esercizi con pazienza, diventa una creatura dei boschi, delle foreste, una parte di un’anima che deve far nascere una nuova forma di vita.


La nuova vita, quindi, non è limitata solo al bambino; anche l’insegnante deve possederla. Dunque la grande scoperta è che anche l’insegnante è in grado di subire un cambiamento con l’aiuto del bambino. Questi cambiamenti che avvengono nell’anima hanno spesso portato a grandi cambiamenti nella vita. Molte insegnanti hanno abbandonato le cose che sembravano importanti per loro, molte hanno pianto e hanno detto: “È impossibile per noi tornare ai vecchi metodi. Non potremmo mai più insegnare nel vecchio modo. Non possiamo nemmeno più concepire il bambino alla vecchia maniera!”


Si tratta in realtà della cooperazione tra l’anima del bambino e l’anima dell’insegnante. Entrambe le anime sono ora libere, entrambe hanno raggiunto la stessa vetta. Il bambino è grato all’insegnante. L’insegnante guarda sé stessa e riconosce il nuovo essere che è diventata, e si chiede: “A chi devo questo? Non devo forse essere grata al bambino? In fondo chi di noi è l’insegnante?” Così la parola insegnante si innalza fino a diventare un’unità, che è il maestro e l’insegnante di tutti.

Lezioni dall'India 1939
Lezioni dall'India 1939
Maria Montessori
Lo sviluppo creativo del bambino. 75 lezioni in italiano tenute da Maria Montessori durante il primo Corso Montessori Internazionale nel 1939 a Madras, che spaziano dalla psicologia all’uso dei materiali.