capitolo 11

Destinazione mare

Spesso mi sento dire da persone anziane cui propongo di imparare a nuotare “Figùrati, alla mia età!”

Come se non valesse la pena mettersi lì e provare a capire come funziona il nostro corpo nell’acqua. È vero, per gli anziani è molto complesso e ci vuole più tempo.


Scherzosamente, ma fino a un certo punto, dico loro che una volta che hanno imparato a nuotare sono pronti per le Maldive, il Mar Rosso, i Caraibi. Ma senza dover andare tanto in là, li aspettano la Sardegna, il Gargano, i fondali limpidi del Conero, le acque del Salento.

Perché alla fine di tutto, il nuoto ha questo di diverso rispetto a ogni altro sport. Quello che io considero “il premio” dopo tanta fatica: la conquista del mare.


Se ci pensate, non sono molti gli sport che hanno bisogno di un altro elemento per essere praticati; forse lo sci, e anche in quel caso, benché sotto forma di neve, si parla sempre di acqua, e il paracadutismo. Ma anche in quei due casi noi non guardiamo “cosa c’è dentro la neve”. Quando ad esempio scendiamo da una montagna in velocità vediamo mondi che vedremmo ugualmente; solo, forse, da diverse prospettive.


Pensateci un momento: dopo che abbiamo imparato a nuotare, siamo in grado di guardare dentro il mare. Possiamo letteralmente esplorare un mondo che altrimenti resterebbe sconosciuto e che di fatto per molti a tutt’oggi è ignoto. Non trovate che sia affascinante? E se lo è per voi, mamma, papà, pensate quanto può esserlo ancor di più per il vostro bimbo.


Esercizio. La favola della buona notte. Provate a inventare una fiaba nella quale il tema siano i fondali marini.

I personaggi sono una tridacna, un dugongo (già solo il nome fa ridere), un piccolo squaletto chitarra (immaginate quanto può essere feroce), un colorato branco di antias e un pesce scatoletta (esiste davvero, cercatelo in rete, ha proprio quattro facce e quattro spigoli!)

Location: un prato di alghe e una città di corallo.

Concretamente, il mare

Bene, ora avete qualche strumento in più anche per gestire eventuali obiezioni tipo “preferisco giocare al telefonino”.

Ma in sostanza, tutto quello che è stato raccontato fino qui come cambia nell’acqua del mare?

Semplice: in meglio!


Partiamo dai sensi: gli occhi bruceranno molto meno e si arrosseranno meno. Il mare somiglia tanto alle lacrime quindi guardare sott’acqua senza maschera sarà più facile che in piscina. Se state pensando che però la sera dopo una giornata di spiaggia e bagni i bambini hanno gli occhi comunque arrossati, è molto più probabile che in quel caso l’infiammazione sia dovuta alle radiazioni solari e non all’acqua del mare. In quel caso applicate impacchi molto concentrati di camomilla se non avete un collirio, e mettete occhiali da sole.


Rispetto al sapore poi, per chi ha a che fare con i più piccini, imperdibili sono gli attimi in cui assaggiano per la prima volta l’acqua salata: sul viso spunta una serie di espressioni spassose dove perplessità e meraviglia si mescolano.

Il sale è anche il motivo per cui nel mare si galleggia più facilmente che in piscina. Sarà una sorpresa per i bambini scoprire che non faticano a muoversi e galleggiare come in piscina. Forse non se ne accorgeranno sul momento. Ciò che probabilmente succederà è che all’improvviso si sentiranno molto bravi. Molto più bravi di quanto non ricordassero. E questo, come si sa, farà tanto bene alla loro autostima, rafforzando la sensazione di fiducia e autoefficacia. Sentiranno di poter padroneggiare il loro corpo e le onde del mare. Non dobbiamo dimenticare che il mare, nella sua vastità e potenza, evoca un senso di inquietudine a volte schiacciante: se ci sentiamo piccoli noi, pensate quanto possono sentirsi minuscoli i bambini. Eppure, gli basta immergersi, guizzare, galleggiare, far capriole per trasformare il mare da elemento ostile ad accogliente campo giochi.

Una riflessione “sostenibile”

La prima volta che sono stata in Mar Rosso, mentre ci portavano a Ras Mohammed, luogo ribattezzato “i giardini di Allah” per la ricchezza gioiosa dei suoi fondali che pullulano di pesci coloratissimi e coralli multiformi, lungo il tragitto ho visto giocare sul reef un gruppetto di ragazzini. Semivestiti, con abiti da giorno e con i sandali stavano in piedi sui coralli schizzandosi come se fossero stati i bambini di un qualunque altro mare con un comune fondale sabbioso. Ma loro non stavano in piedi sulla sabbia, camminavano senza curarsi del fatto che stavano calpestando e facendo scempio del corallo. Nei villaggi turistici trovavi scritto ovunque a lettere cubitali che camminare sul reef era severamente vietato e che ti potevano fare la multa.


Mentre li guardavo mi evocarono una immagine antica: quelle vecchie foto in bianco e nero dei nostri bisnonni sulla spiaggia con i “costumi” a righe e con le “ragazze” con il fazzoletto in testa, quando ancora non esisteva lo “snorkelling” e al mare si andava solo per bagnarsi e rinfrescarsi un po’.

In un successivo viaggio, sempre alla volta del Sinai, questa volta mi imbattei in alcune donne che, armate di sacchi e bastoni, non solo camminavano sulla barriera, ma erano intente a colpire e infilzare qualcosa e a fare leva per staccare dalla roccia qualcos’altro che non riuscivo a vedere. La medesima sera, di rientro dall’escursione, rividi quelle donne che si incamminavano sulla spiaggia, questa volta con i sacchi carichi. Poco lontano una di loro stava seduta sulla sabbia; il suo sacco era aperto e potei vedere cos’è che avevano fatto per tutto il giorno. La donna armata di coltello stava aprendo una grossa tridacna per recuperarne il contenuto. Quei sacchi erano pieni, colmi di tridacne. Per me turista quelle eleganti conchiglie colorate, che fanno venire in mente Botticelli perché la prima volta che ne hai vista una è stato certamente nei suoi quadri, erano una meraviglia da osservare e custodire, una gioia per gli occhi di cui mi nutrivo nelle lunghe nuotate lungo il reef. Il massimo che mi limitavo a fare era ripararle con la mano dal sole per vedere come si chiudevano rapide cambiando sfumatura.


Per loro erano cibo. Come cozze qualsiasi. Vongole. Molluschi qualsiasi. Nulla più.

“Loro possono”, mi fu detto dalla guida. Sono beduini, i più antichi abitanti dell’Egitto. Hanno concessioni speciali. Quella informazione mi aveva messo addosso una gran malinconia. Mi chiedevo cos’altro avrebbero potuto mangiare in alternativa.

Un paio di giorni dopo, assistetti a un’altra scena che mi fece formulare la riflessione che vorrei condividere con voi. Un giorno di festa e alcuni abitanti del luogo ancora una volta sulla spiaggia. I più giovani che si rincorrono sul reef. All’improvviso uno di loro tira fuori una maschera da sub, un po’ usurata ma ancora utilizzabile. È un attimo. Il gioco del rincorrersi si ferma, la barriera per il momento è salva. I bambini si passano la maschera per osservare ciò che hanno sotto i piedi.


Fino a quel momento non mi ero resa conto che non avessero gli strumenti per guardare il loro mare come lo guardavo io. Non avevo compreso il fatto che, pur vivendo sulle rive di un mare che è considerato dal resto dell’umanità un meraviglioso patrimonio, non avevano i mezzi per proteggerlo.

Ecco perché è così importante che i piccoli vedano. E possano scoprire: perché non possono proteggere qualcosa che non sanno esistere.

Tuffi

Se avessi la facoltà di abolire una parola so per certo che abolirei la parola “campione”. Nutro un senso dello sport che rasenta la sacralità e trovo che l’idea di assegnare appellativi ed etichette sia intrinsecamente avversa al potere educativo che lo sport di qualità porta in sé. Premesso questo, è anche vero che la natura umana ha bisogno di vittorie, di sconfitte, di campioni. Va bene; però, diciamolo, c’è tempo. La questione della gara e della competizione la possiamo affrontare dopo che “le fondamenta” sono state costruite saldamente. Qui la nostra priorità è crescere bene, in salute e in serenità. E di fatto è un po’ come per i tuffi. Abbiamo preparato il viso gradualmente, abbiamo sperimentato tanti tipi di galleggiamento. Possiamo certo dire che se l’immersione è il passaggio più complesso e delicato dell’acquaticità di base, il tuffo ne è l’espressione più emozionante. Il tuffo è un salto nella fiducia. È una prova di coraggio sconfinata. Sconfinata. Ve lo ricordate Indiana Jones nell’ultima crociata? La terza prova che deve affrontare per raggiungere finalmente il santo Graal: un salto nel vuoto. Un vero e proprio salto nella fede. Lo è altrettanto per i primi tuffi. Tuffarsi dall’alto, anche solo della propria altezza. fa semplicemente paura. Voi direte: ma io il primo tuffo glielo voglio far fare prima che lui possa percepire la paura, così saltiamo il problema. Vero mamma. Verissimo papà. Ma quel famigerato momento di “estinzione” e presa di coscienza che a volte passa sotto traccia e neppure si vede, c’è. Arriva. E fa paura. Fa paura l’altezza. Fa paura la “fluidità dell’acqua” e il fatto che non sia ferma e solida. Fa paura la sensazione di andare giù all’infinito.


Alla fine il professor Jones quel salto lo fa e scopre che sotto di lui c’è una lingua di roccia perfettamente mimetizzata da un’illusione ottica. Il piccolo ha le tue braccia. Indiana Jones chiude gli occhi e fa un salto nella fede. Il bimbo cerca fiducia nel tuo sguardo. Il tuffo è un obiettivo e un traguardo. E una volta superato il primo diventa un gioco irresistibile che ci apre un mondo di possibilità come tuffarsi da uno scivolo, da un canotto, tuffarsi dalle spalle del papà. Non solo. Una volta che il gesto non fa più paura, il bambino ci prenderà gusto e comincerà ad sperimentare tutte le variazioni sul tema: “tuffo a bomba”, “tuffo a candela”, ”tuffo in piedi”, “tuffo a sedere”. E ancora “tuffo di testa”, “tuffo a piroetta “e quelli preferiti dagli adolescenti (e temuti dai bagnini): il tuffo con la rincorsa e con la capriola.


Quindi, tornando alla parola “campione”, forse un’eccezione la possiamo fare rispetto al primo tuffo di tuo figlio. Avrà già vinto forse la sua prima e più grande sfida. Il primo tuffo della sua vita. Una sfida così importante gli vale l’appellativo di campione. Si porterà con sé quel momento, forse non proprio in superficie, ma ben nascosto nel profondo, e riaffiorerà ogni volta che dovrà trovare la forza per affrontare un nuovo tuffo. La prima volta che verrà sconfitto, la prima volta che riceverà un premio, la prima volta che verrà abbandonato, la prima volta che farà qualcosa di nobile, la prima volta che farà l’amore. La prima volta che sarà al tuo posto e che avrà la medesima paura e felicità che provi tu che sei la sua mamma, il suo papà, il suo allenatore. Fa poca differenza. Sei qualcuno nella sua vita con un compito molto importante.

Primi tuffi e acquaticità neonatale
Primi tuffi e acquaticità neonatale
Maria Letizia Trento
Guida con esercizi e giochi per esplorare l’acqua. Una guida ricca di esercizi, di semplici ma preziose informazioni tecniche, nonché di aneddoti e racconti, pensata per accompagnare i neonati alla scoperta della loro corporeità e di questo magico elemento, di cui conservano ancora una vivida memoria.