Tecniche
Per immergere il bebè ci sono diversi modi e mi verrebbe da dire che, come in tutti gli àmbiti, anche le tecniche seguono mode e correnti.
Una delle ultime è quella che consiste nel sollevarlo fuori dall’acqua, capovolgerlo con la testa verso il basso e i piedi verso l’altro in modo tale che entri nell’acqua come se facesse un tuffo di testa: la prima parte che si immerge è la parte alta del capo, poi a seguire il resto del corpo. Il vantaggio di questa tecnica è che l’acqua scivola sulla fronte e sulla radice del naso rispetto ad altre modalità in cui invece le narici sono le più esposte. In questo caso, quindi, è più difficile che l’acqua entri nel naso.
Sì, perché dobbiamo riflettere sul fatto che l’epiglottide sta in gola, e impedisce all’acqua di entrare nei polmoni. Ma il naso non ha protezione, quindi può riempirsi d’acqua e sappiamo tutti che non è una sensazione piacevole.
Un’altra tecnica un po’ più graduale è quella in cui teniamo il bebè di fronte a noi e prima di immergerlo gli soffiamo un istante sul viso. Quello che gli succede è un po’ quello che accade mettendo il viso fuori dall’auto mentre è in corsa. Questo gioco era un buffo passatempo per i bambini delle generazioni precedenti alle cinture di sicurezza! Nei lunghi viaggi estivi per raggiungere i luoghi di villeggiatura, era facile vedere ragazzini con la testa fuori dal finestrino sull’autostrada, che facevano vocalizzi e facce buffe nel vento. La pressione dell’aria sul viso, di fatto, produceva una specie di apnea se si cercava di respirare solo dal naso e si era costretti ad aprire la bocca.
Di fatto, soffiando sul viso del piccolo si ricrea la medesima situazione per un attimo: tu soffi e lui all’istante chiude gli occhi e trattiene il respiro. È quello il momento in cui puoi immergerlo. Ma la difficoltà sta proprio in questo: se non si è davvero molto rapidi, praticamente contestuali al soffio, il rischio è che venga immerso esattamente nel momento in cui ricomincia a inspirare. Nulla di drammatico, come abbiamo detto. Se invece si è rapidi, funziona, e vi trovate anche in una posizione nella quale non occorre immergere tutto il viso, ma riuscirete facilmente a fargli immergere solo la bocca o il naso.
Sia che siate intenzionati a insegnare al vostro bimbo a nuotare, sia che invece preferiate un corso con insegnanti qualificate che vi stanno accanto, ci sono alcune accortezze che possono essere di grande aiuto.
Verso i 20-24 mesi, quando cominciano a cimentarsi nel linguaggio e la comunicazione migliora enormemente, prima di immergerlo possiamo dargli qualche informazione per non bere. Indicazioni semplici come: “chiudi la bocca.” O ancora: “Fai le bollicine” o “Soffia forte”. Magari possiamo prepararlo con un “Sei pronto?” e possiamo anche attendere la risposta. Dopo che lo avrete fatto alcune volte, se non vi risponde annuendo o se vi dice di no, significa che in quel momento, per una qualche ragione, non gli va. Potete fare di più: potete dargli l’opportunità di dire come si sente. Chiedeteglielo. Serenamente. “Ti piace questo gioco?”, oppure: “Ti fa un po’ paura fare questa cosa?”. Il fatto di poterlo esplicitare lo aiuta.
La parola d’ordine è sempre una: osservazione.
Di seguito un po’ di elementi cui prestare attenzione, che possono essere di aiuto per orientarsi:
- Cosa succede quando riemerge?
- Quale espressione ha sul viso?
- L’acqua gli esce dal naso?
- L’acqua gli è andata di traverso?
- Tossisce o per qualche istante non riesce a respirare?
- Vi si aggrappa al collo appena riemerge?
- Piange? Sorride? È perplesso? È spaventato? È incuriosito?
Poi, mamma e papà, ci siete voi. Molto di ciò che esprimete sarà fondamentale per dare una connotazione emotiva a questa esperienza. Perciò provate a guardarvi da fuori e ad ascoltare come vi sentite. Qualche buona domanda anche per voi.
- Vi sentite pronti?
- Pensate di spaventarvi?
- Siete pronti a gestire l’emozione che vivrà vostro figlio?
- Siete sicuri di saperla riconoscere?
- Ma soprattutto, siete pronti ad accoglierla?
Mamma, papà, prendetevi il tempo necessario per imparare a conoscere il vostro bambino. Servono il tempo e la pazienza. Seguitelo e proponetegli giochi che istintivamente sentite utili in quel momento.
Vi riporto a questo proposito il racconto di un’esperienza.
Mi viene chiesta una sostituzione da un collega per l’acquaticità 0-18 mesi. Mi trovo quindi con genitori nuovi e bimbi che non ho mai visto. Una mamma molto giovane mi si avvicina e mi fa notare come sua figlia sia eccitata e molto dinamica nell’esplorare l’acqua, quasi incontenibile. La osservo per un po’, seguo madre e figlia mentre saltellano per la vasca provando il materiale che ho proposto. Ho la sensazione che la madre fatichi a contenere la bimba e che quest’ultima non sia soddisfatta.
Ma è solo una sensazione.
In effetti poco dopo la madre torna da me come se non riuscisse a trovare il gioco adatto. Provo a proporle quindi di mettere la piccola a sedere su un tappetone di gommapiuma, così da farle provare l’instabilità e la morbidezza dell’acqua e nello stesso tempo per stimolare lo sviluppo dell’equilibrio.
Prendo quindi il tappeto, la mamma siede sopra sua figlia e si gira un momento, distratta dal commento di un’altra mamma. È in quel preciso istante che la bambina decide di tuffarsi a capofitto nell’acqua, proprio mentre la madre è di spalle e non può assolutamente vederla né tantomeno recuperarla. Ovviamente appena quest’ultima si gira e si accorge di ciò che sta accadendo si allarma e cerca di recuperarla. Decido di fermarla e le prendo la bimba dalle braccia: la madre è davvero molto spaventata, mentre la piccola è solo un po’ perplessa; se leggesse lo spavento nella madre assocerebbe automaticamente quella spontanea esplorazione a qualcosa di pericoloso. Faccio presente alla madre che la sua bimba sta facendo semplicemente il suo compito evolutivo di sperimentazione, e che non c’è da allarmarsi: si tratta di pochi istanti sott’acqua, non c’è il minimo pericolo. Le lascio quindi il tempo di rincuorarsi e nel frattempo saltello con la sua bimba ridendo e sottolineando quanto sia stata brava.
Quando sento che la madre e la figlia sono emotivamente allineate per sperimentare insieme, rimetto la piccola sul tappeto e propongo alla mamma di lasciare ancora una volta che vada sott’acqua prima di prenderla.
Nel frattempo, gli altri genitori si sono avvicinati al tappeto e ci hanno fatto sedere i loro bambini. Quell’episodio ha creato eccitazione e ora anche loro sperano che i loro piccoli si buttino in acqua spensierati. Invece gli altri non si comportano così: uno ad esempio si gira a pancia in giù e arretra verso il bordo in modo da scendere prima con i piedi e dopo con il resto del corpo, mentre gli altri guardano un po’ timorosi tendendo le braccia al genitore e sperimentando l’instabilità della gommapiuma sull’acqua, che di fatto è la ragione per la quale ho proposto quel gioco.
Questo episodio consente di capire quanto sia soggettivo l’apprendimento e quanto siano soggettive le attitudini. E non dobbiamo mai dimenticare che a una certa “precocità” non corrisponde necessariamente una predisposizione. Nel caso precedente, la bimba che si tuffa dal tappetone prima dei suoi coetanei non è detto che sia adatta a fare nuoto agonistico più di quanto non lo siano gli altri.
Per questo, è importante procedere con gradualità.