capitolo 4

Acquaticità di base: bimbi 3-18 mesi

Più che apprendere, si allena!

Ci sono esperienze che non ha senso fare troppo presto. Se portate un bambino in vacanza prima di una certa età, non avrà ricordo di esserci stato. Questo perché, come detto in precedenza, alcune funzioni cerebrali non sono ancora consolidate, ad esempio la memoria. Questo non significa che non si debba andare in vacanza, anzi: che si scelga il mare o la montagna, cambiare aria farà bene a tutti, semplicemente non ci aspetteremo che il bimbo viva un’esperienza indimenticabile. Tuttavia, gli offriremo comunque la preziosa opportunità di sviluppare e affinare le sue competenze in un contesto diverso e arricchente! Pensate ad esempio a come un prato di montagna, pieno di fiori e sassolini, stimoli la curiosità del bambino, spingendolo a muoversi e gattonare per raggiungere tutti quegli elementi da esplorare.


Per imparare qualcosa occorre ricordare quel qualcosa, altrimenti non si può fare il passo successivo. Facciamo un esempio. Se al corso di nuoto l’istruttrice mi dice che per fare la gambata a rana devo piegare le gambe, tenere le ginocchia chiuse e i piedi a martello, ma io non memorizzo questa impostazione, alla lezione successiva non avrò idea di come fare la gambata a rana! Naturalmente questa è una semplificazione, ma il concetto fondamentale da tenere a mente è che in questi primissimi mesi, dal momento che la memoria è un’abilità che il bambino non possiede ancora pienamente, possiamo parlare solo di “sviluppo” e non di “apprendimento”, intendendo per sviluppo una serie di mutamenti biologici che avvengono nel corpo del bambino, e per apprendimento delle modifiche che riguardano schemi corporei. Potremmo dire che all’inizio il piccolo, più che apprendere, si allena! Imita e ripete i gesti di base che gli consentiranno, una volta diventati gesti efficaci per uno scopo, di essere propriamente appresi.


La dinamica inizia a cambiare verso i due anni con lo sviluppo del linguaggio e, nel corso dell’anno successivo, con l’acquisizione del conteggio, che anticipa le strategie di calcolo.

Mamma, papà, questo per dirvi che all’inizio quello che potete fare per rendere utili le sessioni in acqua (che si tratti anche solo del bagnetto) è far sì che siano come quel prato fiorito: un contesto sano, piacevole e pieno di stimoli.


Ma come possiamo trasformare uno “specchio d’acqua”, fosse anche una vasca da bagno, in un contesto accogliente e stimolante, e che faccia al tempo stesso da cornice allo sviluppo del bebè?

Intanto possiamo cominciare dalla temperatura dell’acqua. Se dobbiamo fargli il bagnetto, la temperatura ideale è sui 37 °C. Se non avete un termometro potete semplicemente immergere il vostro polso o bagnare il gomito fino alla piega interna.

Ora vediamo di cosa ha bisogno il bimbo.

La copertina di Linus

Ve li ricordate i Peanuts? Linus, l’amichetto di Charlie Brown, è diventato famoso per la sua copertina. In tutto il fumetto si intrecciano storie di lui e la sua inseparabile amica. È diventata un simbolo così iconico che quando vogliamo indicare un oggetto che ci sta particolarmente a cuore e che ci infonde tranquillità e gioia diciamo che è la nostra coperta di Linus.

Ecco, in gergo si chiama “oggetto transizionale”. La sua utilità è chiara, no? Lo dice il nome stesso: un oggetto fisico che per gradi aiuta il bebè a staccarsi dalla simbiosi nella quale vive con la mamma, di “transizione” appunto. Come abbiamo visto nel capitolo 3, infatti, per alcuni mesi il neonato non ha percezione della propria esistenza, e vive con la madre in modo simbiotico. Ecco, l’oggetto transizionale è qualcosa che lui sceglie e su cui “concentra” il proprio interesse. È un elemento fisico che rappresenta la sua fonte principale di tranquillità mentre a poco a poco si affievolisce il legame simbiotico con la madre.


Anche nell’acqua gli può risultare di grande aiuto trovare la propria “copertina di Linus”; in genere vi è una naturale predilezione per le palline colorate o per animaletti gommosi. La funzione di questi oggetti è la medesima: sono scelti per essere tenuti ben saldi nelle manine e per essere assaporati e portati alla bocca. Una volta scelta la “copertina di Linus”, che avremo cura di far ritrovare in ogni sessione, l’esplorazione può avere inizio.


Ovviamente il bimbo è già dotato di una serie di “generatori naturali di serenità”; pensate ad esempio al famigerato “dito in bocca”, incubo o fortuna di tutti i dentisti. Ma possiamo osare di più: anche il piede può fungere da elemento rasserenante; sappiamo infatti che i neonati sono molto elastici e non faticano a portarsi gli alluci alla bocca. Così come anche le proprie mani possono risultare un potente veicolo di tranquillità, che i bebè masticano e succhiano spesso con grande impegno.

Il potere dei sensi

Più di ogni altro sport, il nuoto è fortemente interconnesso con una intensa esperienza sensoriale. Questo ovviamente perché, a differenza delle altre attività, si pratica in un elemento diverso dalla terra e dall’aria e che quindi va compreso. Vanno rivisti gli schemi motori di base, l’equilibrio, persino la respirazione che, come abbiamo visto, diventa per così dire “forzata” e diversa da quella a cui siamo abituati.


Una parte imprescindibile della didattica è incentrata sulla necessità di esplorare le sollecitazioni sensoriali che costituiscono la base per un buon adattamento corporeo all’elemento nuovo.


L’acqua preme sul corpo attraverso la pressione idrostatica, che aumenta tanto più quanto più ci si immerge. Per intenderci: se sono in piedi nell’acqua, i piedi e le gambe sentiranno la compressione idrostatica maggiore che il tronco, che di fatto è più vicino alla superficie. Ogni volta che ci immergiamo abbiamo chiaramente la percezione di questa compressione, tant’è che dopo un po’ sentiamo il bisogno di andare a fare pipì a causa del lavoro di drenaggio che si riattiva nel nostro sistema linfatico. Il liquido corporeo è spinto verso il centro e questo produce quella caratteristica sensazione di leggerezza. Gli arti possono apparire arrossati, segno che anche la circolazione si sta riattivando, e le gambe risultano visibilmente più sgonfie.


Dobbiamo sempre tenere presente che non esiste un altro elemento che agisca sul nostro corpo con una azione meccanica così forte e complessa come l’acqua. E che questo accade non appena il nostro corpo è immerso.

Questa massiccia attivazione corporea avviene anche nei piccoli ed è comprensibilmente molto faticosa. Rappresenta di fatto una delle ragioni principali per le quali, usciti dall’acqua o da un bel bagno caldo, cadono pacifici in un sonno profondo.


Considerando questo immenso lavoro preparatorio, peraltro in riferimento a un essere umano che sta crescendo, risulta chiaramente una forzatura parlare di “nuoto” e di “stili” (che altro non sono se non gesti meccanici per scivolare nell’acqua). Il piccolo “natante” per il momento deve fare i conti con la spinta dell’acqua sul suo corpo, e deve quindi capire come funziona e come può sfruttarla a suo favore. E ancora una volta lo farà attraverso i sensi.

L’immersione del viso per i bimbi 0-18

Come si può facilmente intuire, il volto ricopre un ruolo di tutto rilievo nella percezione degli stimoli che arrivano dall’acqua. Questo perché quattro dei cinque sensi si trovano sul viso, che diventa quindi, se non opportunamente abituato con molta gradualità, un punto sensibile di grande fastidio. A quanti di noi, ad esempio, dal parrucchiere o dal barbiere, non è capitato di percepire quel brivido un po’ fastidioso e un po’ solleticante che corre giù per il collo quando sentiamo l’acqua tiepida dentro le orecchie? Ecco, quella è la medesima sensazione che prova un bimbo la prima volta che viene messo a galleggiare a pancia in su. Alcuni la gradiscono, altri un po’ meno: resta il fatto che è una sensazione forte alla quale occorre aiutarli ad abituarsi. Inoltre c’è da considerare “il suono dell’acqua”: i bimbi, di fatto, hanno conosciuto i suoni del mondo da dentro il liquido amniotico; quindi, immergendo le orecchie nell’acqua ricreiamo quella suggestione sonora che vivevano quando erano ancora nella pancia.


Poi ci sono gli occhi. L’immersione degli occhi brucia a causa del cloro. Va un po’ meglio nel mare perché la salinità dell’acqua è molto simile alla composizione delle lacrime, ma non viene naturale a nessuno riempire gli occhi di acqua, né tantomeno aprirli in immersione.


Ma la parte che forse è più difficile abituare a essere immersa è il naso. È capitato a chiunque, almeno una volta, di “bere dal naso”. Si coordina male l’inspirazione, oppure al mare arriva un’onda inaspettata e il naso si riempie di acqua. È una sensazione fastidiosissima, che può diventare un dolore alla radice del naso che si ripercuote sulla fronte. Peraltro è un dolore che con la pandemia ci siamo scoperti a dover provare molte volte, quando abbiamo dovuto sottoporci a un tampone: lo strumento utilizzato per verificare la positività al covid, di fatto, agisce meccanicamente nelle stesse parti in cui arriva l’acqua quando beviamo dal naso.


Direi che siamo tutti concordi sul fatto che è una sensazione fastidiosa che vorremmo il più possibile evitare. Fare qualche piccola o grossa bevuta dal naso, durante l’apprendimento dell’immersione del viso, è praticamente inevitabile, ma non è nulla di drammatico. Quello che più in generale risulta importante è “l’atmosfera” di tutta l’esplorazione; il clima di tranquillità che minimizza i momenti di fastidio, facendoli percepire come qualcosa di trascurabile e accettabile rispetto all’esperienza nel suo complesso, che sarà divertente, stimolante, nonché amorevole e ricca di momenti di tenerezza.

Tornando ai dettagli tecnici, c’è da dire che i neonati mantengono abbastanza naturalmente il riflesso di chiusura dell’epiglottide, che blocca più o meno spontaneamente l’ingresso dell’acqua nelle vie aeree. Ma dalla mia esperienza è un riflesso che dura un istante o poco più, perciò nelle immersioni complete, i bimbi finiscono comunque per avere un po’ di acqua nelle vie aeree.


La bocca riveste un ruolo centralissimo in questa fase; potremmo dire che è un crocevia di esplorazioni e funzioni che dobbiamo considerare correttamente. Come vedremo con maggior dettaglio in seguito, è lo strumento d’esplorazione per elezione. Di fatto il bimbo ha una motilità molto ridotta, e la bocca è ricchissima di recettori in grado di mappare rapidamente le caratteristiche di ogni cosa con cui viene in contatto. Quindi, in questa prima fase, occorrerà mediare tra questa funzione cruciale e la necessità di regolarne l’apertura e la chiusura in relazione alla sua immersione, per impedire che venga inghiottita acqua inutilmente. Ma c’è un’altra questione spinosa: i denti. Nei primi mesi il piccolo è alle prese con i denti che spuntano, premono per bucare le gengive, spingono, tagliano, pizzicano in maniera insopportabile. Spesso si vede il bambino che sbava, che tiene un oggetto indeformabile in bocca e lo stringe con la parte anteriore delle gengive. In questa fase, nella bocca si intreccia tutto: fastidio, soddisfazione, dolore, sollievo, conoscenza.

Materiale utile

Nei primissimi mesi non hai bisogno di grandi cose per far vivere a tuo figlio momenti piacevoli e tranquilli nell’acqua. Come abbiamo visto, in questa fase il bagnetto è già di per sé un’esperienza sensoriale potente e stimolante. Basti tu. Vediamo quindi cosa puoi fare per circondarlo mentre si guarda intorno e comincia piano piano a visualizzare porzioni di mondo oltre il tuo sguardo.


All’inizio ci siete solo tu e lui. Il primo istante in cui vi immergete. Tu, mamma, ma anche tu, papà. Certo, all’inizio il legame fisico tra mamma e bambino è più profondo e percepibile. Potente e sorprendente.

Ricordo alcuni episodi divertenti rispetto alla natura di questo legame (sul quale non avevo il minimo controllo, era qualcosa che mi succedeva dentro), che risalgono a quando è nato il mio primo figlio: quando ero molto stanca, tra un allattamento e l’altro, cercavo di riposare un po’ e lo consegnavo al papà. Restavamo nella stessa stanza. Io cadevo addormentata quasi all’istante. Il bimbo soffriva di coliche gassose, perciò si lamentava. Ricordo che in diverse occasioni, al risveglio da quei momenti di breve riposo, mi sono sorpresa a dondolare come se lo stessi cullando! Sdraiata sul letto tenevo le braccia come se lo contenessero e le muovevo nell’aria con ritmicità come facevo quando volevo addormentarlo. Nonostante io stessi dormendo profondamente, sentivo il suo pianto e nel sonno muovevo le braccia come se lo stessi cullando.


Quindi il primo punto fondamentale da tenere a mente è l’atmosfera che si crea in quel primo momento.

Vediamo cosa può essere di aiuto nelle diverse situazioni.

Primo bagnetto

Come abbiamo accennato in precedenza, uno strumento davvero utile è la tua voce. Parlagli con dolcezza, anche se è la prima volta, sei emozionata e hai paura di sbagliare. Prendetevi il vostro tempo: è un momento speciale, di coccole e intimità.


Se c’è un rubinetto, puoi aprirlo leggermente in modo che si crei un sottile rivolo d’acqua. Mi raccomando, non un torrente! E assicurati che sia della medesima temperatura dell’acqua in cui è già immerso il bimbo, altrimenti si raffredderà gradualmente o, viceversa, finirà per scaldarsi troppo. Se decidi di mettere il bebè nel lavandino o dentro una piccola vaschetta, tienigli una mano sotto la testina e lascia che l’acqua bagni gradualmente anche la nuca ed entri piano piano nelle orecchie. Puoi versargli con la mano a coppa un po’ di acqua sul capo e bagnarli il viso con la mano umida.


Se invece hai a disposizione la vasca da bagno o vuoi fare il primo bagno insieme a lui, in un certo senso è tutto semplificato. La vasca è come una sorta di divano: puoi metterti comoda e accoccolarti con il bebè addosso. Puoi anche allattarlo mentre siete “a mollo”: vivrà quel momento con grande piacere.

Prima volta in piscina oppure al mare

Ma arriviamo alla situazione che forse ci interessa maggiormente: prima volta in piscina oppure in mare. In un’“acqua grande”, per intenderci.

La prima cosa da tenere a mente è: se stai comodo tu, di norma sta comodo anche lui. Quindi mettiti in un punto in cui non sei contratto o stai con le ginocchia “in bocca” o con la schiena curva. O, peggio ancora, con le braccia rigide.


Appoggia la sua testa sulla tua spalla, circondalo con il braccio e con la mano libera gioca con l’acqua: fagli vedere le mille forme che può prendere. Puoi far cadere goccioline o, se ce l’hai a disposizione, puoi usare una spugna strizzandola dall’alto, oppure anche il tappino di un bagnoschiuma. Alterna questo minimo esercizio a lunghi momenti riposanti in cui non fate niente. Tieni il bebè sulla tua spalla e “dondolate” a destra e a sinistra, cullandovi.

Alternate ancora questi momenti con altri nei quali far cadere le goccioline sui suoi piedi, su una manina o sulla pancia.

Non pensare che siano sciocchezze. Ricorda il potere che hanno i sensi in questa fase!


Tale “sessione acquatica” funzionerà per diverse settimane se il bimbo ha tre mesi o poco più. Presto inizierà a voler afferrare l’acqua, poi ad afferrare gli oggetti che avrà a portata di mano. Più o meno immediatamente proverà, con o senza successo, a portarli alla bocca. Poi riuscirà ad afferrare i medesimi oggetti con entrambe le mani e ad avvicinarli alla bocca.

Mentre affina questa complicatissima sequenza, comincerà ad allenare i muscoli dell’addome e inizierà a contrarsi e scattare, piegandosi come un libro che si chiude, sollevando fuori dall’acqua i piedi e afferrandoli rapido con le mani.


C’è una possibilità tutt’altro che remota che il tuo piccolo detesti stare a pancia in su. Di solito questa avversione non si manifesta nei primissimi mesi, ma verso i sei, quando il tono muscolare e la motilità migliorano.

Galleggiare a pancia in su non piace a molti bebè: alcuni lo adorano, ma tanti si sentono a disagio perché non possono abbracciare il genitore. E può capitare così, da un giorno all’altro: fino a qualche giorno prima giocavano tranquilli a pancia in su, poi all’improvviso, non appena li fai galleggiare, cominciano a rotolarsi portando le braccia verso il collo del genitore nel tentativo di afferrarlo. Va da sé che in quel caso tutta l’esplorazione continuerà da seduti, o scivolando a pancia in giù. Puoi provare a mettere le braccia come nell’immagine: diventare come una barchetta per il piccolo e navigare insieme tra i giochi e le onde.


Nelle prime settimane, questa posizione è quasi obbligata. Il bebè infatti non è in grado di sostenere il peso della testa. In realtà, quando i muscoli del collo sono più tonici, e diventa quindi possibile sorreggere il capo, è il momento di cominciare a far piccoli scivolamenti a pancia in giù.

Primi tuffi e acquaticità neonatale
Primi tuffi e acquaticità neonatale
Maria Letizia Trento
Guida con esercizi e giochi per esplorare l’acqua. Una guida ricca di esercizi, di semplici ma preziose informazioni tecniche, nonché di aneddoti e racconti, pensata per accompagnare i neonati alla scoperta della loro corporeità e di questo magico elemento, di cui conservano ancora una vivida memoria.